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Happy 501st Legion Day: celebriamo Vader’s Fist, il manipolo militare più iconico dell’universo Star Wars

C’è una data che ogni fan di Star Wars dovrebbe cerchiare in rosso nel proprio calendario: il 1° maggio, scritto nella forma anglosassone 5-01, è il giorno dedicato alla leggendaria 501st Legion. Non una semplice ricorrenza per appassionati in costume, ma una vera e propria celebrazione del club di costuming imperiale più grande del pianeta. Sì, perché la 501st è molto più di un gruppo di cosplayer: è un simbolo, un movimento globale, un pezzo vivo e pulsante della mitologia di Star Wars. E oggi, il mondo nerd si inchina con rispetto davanti a questa legione di sogno e impegno, che nel 2022 ha celebrato il suo venticinquesimo anniversario.

Fondata nel 1997 da Albin Johnson, un giovane della Carolina del Sud con un sogno grande quanto la Morte Nera, la 501st Legion è nata con l’obiettivo semplice – ma potentissimo – di unire i fan dei costumi dell’Impero sotto un’unica bandiera. Non bastava essere appassionati: bisognava incarnare, con rigore e passione, lo spirito dell’Impero Galattico, armature comprese. E da quell’idea, sbocciata online sul sito Detention Block 2551, si è generato un impero del fandom che conta oggi oltre 10.000 membri attivi in tutto il mondo, divisi in “guarnigioni” (o garrison) locali, presenti in più di 50 paesi.

Dietro le maschere, un cuore grande così

Non bisogna farsi ingannare dalle armature bianche scintillanti e dall’incedere marziale: la 501st non è solo spettacolo, è anche missione sociale. I membri della Legione non si limitano a sfilare ai Comic-Con o a presidiare eventi ufficiali Disney – anche se fanno pure quello, con la benedizione di Lucasfilm stessa. Il cuore dell’organizzazione batte forte per la beneficenza. Dagli ospedali pediatrici alle raccolte fondi, passando per visite speciali a bambini malati o eventi dedicati a cause umanitarie, la 501st utilizza la magia di Star Wars per portare luce dove c’è buio, proprio come farebbe un Jedi… ma con l’elmo di uno stormtrooper.

Nel solo 2013, le attività della 501st hanno raccolto oltre 16 milioni di dollari. E tutto questo nasce da una dedizione assoluta: i costumi non sono semplici travestimenti, ma repliche fedelissime, spesso costruite artigianalmente, secondo standard rigorosissimi. È questo livello di accuratezza e passione che ha permesso alla Legione di ottenere lo status ufficiale di gruppo approvato da Lucasfilm, l’unico del suo genere.

Quando la finzione diventa canon

Il riconoscimento più epico? Quello entrato nella timeline ufficiale. Già nel 2004, Timothy Zahn, autore culto dell’Universo Espanso, ha omaggiato la Legione nel suo romanzo Survivor’s Quest, inserendo una unità chiamata proprio 501st Legion. Ma è nel 2005, con La Vendetta dei Sith, che la realtà e la finzione si fondono definitivamente: la legione di cloni che segue Darth Vader nel massacro del Tempio Jedi è la 501. E non finisce qui: anche in The Force Awakens si può scorgere il logo della Legione nel castello di Maz Kanata, e il droide rosa R2-KT, dedicato alla figlia scomparsa di Johnson, ha fatto il suo debutto ufficiale nella saga.

La storia di Katie e il cuore dietro l’armatura

Sì, perché dietro l’epopea della 501st c’è una storia commovente. Nel 2004, alla figlia di Albin, la piccola Katie, venne diagnosticato un tumore cerebrale terminale. Il suo ultimo desiderio? Avere accanto un droide come R2-D2. E così nacque R2-KT, il droide rosa che è diventato ambasciatore di speranza e mascotte della Legione. Dopo la morte di Katie, R2-KT è diventato simbolo di amore e resistenza, viaggiando in lungo e in largo per missioni benefiche. E infine, come in una favola galattica, è entrato nel cast di The Force Awakens e in diversi episodi delle serie animate.

Una fratellanza galattica

Secondo Johnson, la 501st non è solo un club: è una famiglia, un esercito di anime gemelle che condividono un’identità, una visione, una missione. “Volevamo creare qualcosa con un senso di cameratismo”, racconta. “Indossare un’armatura è un’emozione, ma farlo con altre trenta persone è un’esperienza unica”. Ecco perché la struttura della Legione richiama quella imperiale: con gradi, gerarchie, e Garrison locali che operano autonomamente ma unite sotto un’unica visione globale.

In Italia, a portare avanti la missione di Vader’s Fist è la 501st Italica Garrison, che coordina eventi, raduni e missioni benefiche nel nostro Paese con la stessa dedizione imperiale. Ogni evento è una celebrazione della saga di George Lucas, una dichiarazione d’amore verso un universo narrativo che ha segnato generazioni.

Una leggenda che non si ferma

Oggi, a distanza di quasi trent’anni dalla sua nascita, la 501st Legion è più attiva che mai. Johnson non si è mai fermato. Ancora oggi, risponde alle mail dei fan, coordina attività, fornisce supporto tecnico a chi vuole costruire il proprio costume. Possiede tre armature da stormtrooper e un set completo da Boba Fett, e non ha alcuna intenzione di “andare in pensione”.

Durante la celebrazione del 20° anniversario a Orlando, circondato da centinaia di membri in uniforme, Johnson ha espresso la sua gioia con queste parole: “Festeggiare è una delle espressioni più pure dell’obiettivo originale che avevo in mente, circondato da persone speciali che condividono questa energia positiva”.

Lunga vita alla Fist

In un’epoca in cui i fandom spesso si dividono, la 501st Legion è un esempio luminoso di come l’amore per un franchise possa unire, ispirare e fare del bene. Non importa da dove vieni, quanti crediti hai nel portafoglio o che lingua parli: se porti nel cuore la passione per Star Wars, e sei pronto a incarnarla con disciplina e dedizione, c’è un posto per te tra le fila della Legione.

E oggi, 1 maggio, è il giorno giusto per alzare il blaster al cielo e dire con orgoglio: lunga vita alla 501st! Lunga vita a Vader’s Fist!

Forever Winx: Un Reboot fatato per il Ventunesimo Anniversario

Le fatine più celebri del panorama dell’animazione tornano con una nuova avventura che promette di incantare e rinnovare il legame con milioni di fan. “Winx Club”, la serie che ha consacrato Rainbow come uno dei principali studi di animazione a livello mondiale, celebra il suo ventunesimo anniversario con “Forever Winx” un reboot che si prepara a conquistare Rai Kids e Netflix, rispettivamente da settembre e ottobre 2025. La nuova stagione segna un capitolo epocale per una delle saghe più amate della storia, portando con sé novità che non mancheranno di entusiasmare il pubblico di tutte le età. Forever Winx, che promette di portare freschezza e modernità a una narrazione che ha accompagnato generazioni di spettatori, non è solo una rivisitazione delle vecchie storie, ma una vera e propria rinascita. Come sottolineato dal creatore della serie, Iginio Straffi, questo nuovo capitolo vuole essere un omaggio alla magia che ha sempre contraddistinto il mondo delle Winx, ma con un occhio alle nuove esigenze e tendenze che caratterizzano il pubblico di oggi. Non si tratta di un semplice remake, ma di una storia che evolve, pur mantenendo intatte le radici che l’hanno resa celebre.

Una delle novità più attese riguarda la musica: Forever Winx, il brano inedito che accompagnerà le nuove trasformazioni delle sei protagoniste, è interpretato da una voce speciale, quella di Virginia Bocelli, figlia del celebre tenore Andrea Bocelli. Questo brano rappresenta un vero e proprio omaggio al cuore della serie, che ha sempre avuto nella musica un elemento distintivo. Forever Winx sarà disponibile in versione integrale su tutte le piattaforme digitali a partire dal 2 maggio 2025, e i fan avranno l’opportunità di ascoltarla dal vivo il 3 maggio durante il COMICON Napoli 2025, dove Virginia Bocelli sarà ospite speciale accompagnata dalla Rainbow Dance Crew. Un’occasione unica per celebrare l’universo delle Winx in un evento che si preannuncia straordinario.

https://youtu.be/JRObKjwZTwY

Ma le novità non finiscono qui. Durante tutto il mese di aprile, i fan potranno scoprire le nuove trasformazioni delle fatine, tra cui una nuova collezione di fashion doll, che promette di far tornare alla ribalta le iconiche ali glitterate, una delle caratteristiche più amate delle Winx. Il nuovo look delle protagoniste rispecchierà una fusione di elementi classici e moderni, con un tocco di innovazione che esprime perfettamente il desiderio di celebrare il passato mentre si guarda al futuro. Tra le novità, anche una serie di nuove e coloratissime ali, che faranno parte della collezione di fashion doll in uscita a fine anno, pronti a collezionare la magia della serie.

Questo nuovo capitolo di Winx Club non è solo un ritorno alle origini, ma una rivisitazione che punta a rinvigorire l’intero franchise, con uno slancio che mira a coinvolgere un pubblico sempre più ampio, dalle nuove generazioni ai fan storici. L’arrivo della serie su piattaforme di streaming come Netflix apre nuove possibilità di fruizione, permettendo al brand di continuare a crescere e ad evolversi in un panorama globale sempre più digitalizzato. La serie, che ha già conquistato milioni di spettatori in oltre 150 paesi, si prepara a far volare ancora una volta il suo incanto, con episodi pieni di magia, avventure mozzafiato e una visione fresca del mondo di Alfea e della Dimensione Magica.

Nel 2025, quindi, le Winx torneranno più forti che mai, pronte a vivere nuove emozionanti avventure, con una trama che riprende le gesta di Bloom e delle sue compagne, ma con un’atmosfera rinnovata e nuovi spettacolari effetti speciali che promettono di rendere questa esperienza ancora più coinvolgente. La serie non si limiterà a rivisitare le storie passate, ma darà vita a nuove sfide, rivelando il destino delle Winx sotto un’altra luce, in una produzione che ha tutte le carte in regola per essere un altro grande successo.

La magia di Winx Club non si esaurisce nei suoi episodi, ma si estende in un mondo che ha saputo crescere insieme ai suoi fan, da coloro che lo seguivano fin dai primi episodi nel 2004, fino ai giovani che oggi scoprano per la prima volta le avventure delle fatine. La nuova serie è destinata a diventare un altro fenomeno globale, che continuerà a incantare, emozionare e a far sognare milioni di spettatori in tutto il mondo.

In attesa di scoprire quale nuova magia riserveranno le Winx, i fan sono chiamati a prepararsi a un’avventura che non mancherà di farli volare ancora una volta nell’universo incantato che ha reso immortali queste straordinarie fate.

Il Dantedì: La Giornata Nazionale per Celebrare Dante Alighieri e il Lascito della Divina Commedia

Il 25 marzo è una data che, a partire dal 2020, ha acquisito un significato particolare per gli italiani e per gli appassionati di letteratura mondiale, con l’istituzione del “Dantedì”, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Questa ricorrenza celebra il sommo Poeta, simbolo della cultura e della lingua italiana, e segna l’inizio di uno dei più grandi capolavori della letteratura: la “Divina Commedia”. L’idea di creare un giorno in onore di Dante è stata proposta nel 2017 dal giornalista e scrittore Paolo Di Stefano in un editoriale apparso sul “Corriere della Sera”, in cui lamentava l’assenza di una giornata a livello nazionale dedicata a Dante, a differenza di quanto accade per altri grandi autori. La proposta ha suscitato un ampio consenso tra intellettuali, studiosi e istituzioni culturali, che hanno sostenuto con entusiasmo l’iniziativa.

La proposta di Di Stefano è stata raccolta da Francesco Sabatini, linguista e accademico, con il quale, nel 2019, ha trovato finalmente una concreta realizzazione. Durante un incontro a Milano, presso la Fondazione Corriere della Sera, è stato deciso ufficialmente di chiamare questa giornata “Dantedì”, in omaggio al poeta fiorentino. La data scelta, il 25 marzo, non è casuale, poiché segna l’inizio del viaggio ultraterreno di Dante, che nella sua “Divina Commedia” narra il suo cammino attraverso l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Secondo la tradizione, infatti, il 25 marzo 1300 è il giorno in cui Dante si smarrisce nella “selva oscura” e incontra Virgilio, che lo guiderà nel suo percorso di redenzione e conoscenza.

Nel gennaio del 2020, il ministro della Cultura Dario Franceschini, su proposta di intellettuali e accademici, ha portato avanti l’istituzione ufficiale del Dantedì.

Il Consiglio dei Ministri ha approvato la direttiva, sancendo così la nascita di questa giornata che, ogni anno, celebra Dante e la sua straordinaria eredità culturale. Oggi, ogni 25 marzo, il Dantedì viene celebrato con numerose iniziative in tutta Italia, con il coinvolgimento di istituzioni come l’Accademia della Crusca, la Società Dante Alighieri e la Società Dantesca, ma soprattutto con la partecipazione di scuole e università, che promuovono letture e riflessioni sul “Sommo Poeta”. È un’occasione per unire il Paese intorno alla figura di Dante, per riscoprire i suoi versi e per riflettere sul loro valore senza tempo, che continua a essere attuale e fondamentale per la cultura italiana.

La giornata si inserisce anche in un momento storico delicato per l’Italia, segnato da sfide sociali ed economiche.

Celebrando Dante, il Paese si unisce simbolicamente in un atto di condivisione culturale, riscoprendo le radici della propria lingua e identità. Non si tratta solo di una celebrazione della “Divina Commedia”, ma di un invito a riscoprire il legame con il nostro patrimonio culturale e letterario, che rappresenta una ricchezza inestimabile per le generazioni future.

Il Dantedì, con la sua nascita nel 2020, è diventato così un appuntamento fisso nel calendario delle celebrazioni italiane, un’occasione non solo per i professionisti del settore culturale, ma anche per ogni cittadino, giovane o adulto, di immergersi nell’universo dantesco.

Questo giorno rappresenta la possibilità di celebrare una delle voci più autorevoli della nostra storia, ricordandoci che Dante Alighieri non è solo il poeta che ha scritto la “Divina Commedia”, ma è anche l’autore che ha contribuito a formare l’identità culturale dell’Italia, un autore che continua a parlarci, a sfidarci e a ispirarci con la sua straordinaria visione dell’uomo e dell’universo. Questa giornata non è soltanto una celebrazione formale di Dante Alighieri, ma una riflessione profonda sul valore della cultura, della lingua e della letteratura italiana. Ogni anno, questa giornata offre un’opportunità per tornare alle origini della nostra tradizione letteraria, riscoprendo la potenza e la bellezza dei versi di Dante, che, a distanza di secoli, continuano a brillare come un faro di sapere, di bellezza e di umanità.

Nel “nostro piccolo”, vogliamo ricordare Dante Alighieri e la sua “discesa agli inferi” con la creazione più significativa che abbiamo realizzato per lui: l’attrazione “Inferno” (Darkmare) a Cinecittà World.

Il Carnevale di Viareggio: Tradizione, Arte e Satira in una Festa Senza Tempo

Il Carnevale di Viareggio è uno degli eventi più iconici d’Italia, e non solo per la sua bellezza e il suo fascino, ma anche per la sua profonda connessione con la storia e la cultura di un’intera città. Ogni anno, milioni di persone da tutto il mondo si ritrovano lungo la costa toscana per ammirare i maestosi carri allegorici che, con le loro dimensioni straordinarie e i dettagli affascinanti, diventano i veri protagonisti di questa festa, unendo tradizione, innovazione e un pizzico di follia. La sua storia, che affonda le radici nel lontano 1873, è un viaggio che racconta non solo l’evoluzione di una manifestazione, ma anche quella di un’intera comunità.

Il Carnevale di Viareggio nasce dall’incontro tra l’elite cittadina e la gente comune. Se nei primi anni della sua esistenza, la manifestazione era limitata a sontuosi veglioni nelle case più eleganti, presto la festa si aprì alle strade della città, trasformandosi in un evento popolare. Fu nel 1883 che il Carnevale fece il suo primo grande passo verso la sua forma moderna: i carri fioriti vennero sostituiti dai primi carri allegorici, segno evidente che il Carnevale non era più un affare riservato solo ai ceti agiati, ma un vero e proprio momento di espressione collettiva. Era solo l’inizio di una trasformazione che avrebbe portato Viareggio a diventare il centro di una delle feste più importanti del panorama italiano.

L’innovazione non tardò ad arrivare, e nel 1925 il materiale che avrebbe reso il Carnevale di Viareggio famoso in tutto il mondo fece il suo ingresso: la cartapesta. Questo materiale permise agli artigiani locali di dar vita a creazioni artistiche straordinarie, che combinavano la tradizione della città con una forte componente di originalità. Non fu solo la materia prima a cambiare, ma anche l’immagine del Carnevale: nel 1931 nacque infatti Burlamacco, la maschera simbolo della manifestazione, disegnata da Uberto Bonetti. Con Burlamacco, il Carnevale di Viareggio ottenne un volto ufficiale che sarebbe diventato un’icona della tradizione popolare.

Ma la storia del Carnevale di Viareggio non è fatta solo di innovazioni artistiche e simboliche. È anche una storia di resilienza e di capacità di riprendersi dalle difficoltà. Uno degli episodi più drammatici fu il tragico incendio del 1960 che distrusse gli hangar della città, ma, nonostante la grande perdita, la città di Viareggio si rialzò con determinazione e, nel giro di poco tempo, riuscì a ricostruire le strutture necessarie per dare nuova vita alla festa. Un altro momento significativo fu l’introduzione della sfilata notturna, che nel 1967 conferì al Carnevale un’atmosfera ancora più suggestiva, arricchita dai fuochi d’artificio che segnavano la conclusione di ogni edizione.

La crescita del Carnevale di Viareggio non è stata solo legata ai carri allegorici, ma anche alla diversificazione degli eventi che accompagnano la festa. Il Torneo di Viareggio, conosciuto anche come “Coppa Carnevale”, rappresenta una delle manifestazioni sportive più importanti a livello internazionale, dove giovani talenti del calcio si sfidano, spesso destinati a diventare i campioni di domani. L’integrazione di eventi musicali, culturali e artistici ha contribuito a fare del Carnevale di Viareggio un evento di respiro globale, capace di coinvolgere e affascinare non solo gli italiani, ma anche i turisti che ogni anno accorrono in massa per assistere alla sfilata dei carri.

Oggi, il Carnevale di Viareggio è più di una semplice festa: è un’istituzione che racconta la storia e la cultura di una comunità capace di rinnovarsi, di affrontare le sfide con un sorriso e di celebrare la propria identità. La cartapesta, la musica coinvolgente, l’ironia delle maschere, i colori vivaci e i fuochi d’artificio sono solo alcuni degli elementi che rendono unica questa manifestazione. Un’occasione per riscoprire le radici di una tradizione che non smette mai di sorprendere, di emozionare e di affermare, anno dopo anno, la sua centralità nel cuore di chi la vive. Il Carnevale di Viareggio è, e continuerà ad essere, la festa che celebra non solo la follia e il divertimento, ma anche la capacità di una comunità di crescere, cambiare e, soprattutto, restare fedele a sé stessa.

Goldrake compie 50 anni! Ecco come si festeggia in Italia

Il 5 ottobre 1975 faceva il suo debutto in Giappone “UFO Robot Goldrake”, cartone animato basato sull’omonimo manga del fumettista Go Nagai. Per l’occasione La serie originale restaurata, composta da 74 episodi, torna a essere trasmessa sulle reti Rai, regalando un’occasione unica alle nuove generazioni per scoprire le avventure del leggendario robot e ai fan di lunga data per rivedere i propri eroi d’infanzia. Questo atteso ritorno non è solo un tuffo nel passato, ma anche un’opportunità per le nuove generazioni di scoprire un’icona che ha segnato l’immaginario collettivo di milioni di spettatori.

Un capolavoro senza tempo

Arrivato in Italia quasi cinquanta anni fa nel 1978, Goldrake (noto come UFO Robot Grendizer in Giappone e conosciuto anche come Atlas Ufo Robot) è stato il primo anime a essere trasmesso in televisione nel nostro Paese. Con i suoi temi innovativi, i personaggi memorabili e le epiche battaglie spaziali, la serie ha rivoluzionato il modo in cui i cartoni animati venivano percepiti, trasformandosi rapidamente in un fenomeno culturale. Ora, grazie a un meticoloso lavoro di restauro, gli episodi originali tornano in alta definizione, pronti a incantare vecchi e nuovi fan.

Era il 4 aprile 1978, quando il Secondo Canale Rai, alle 18:45, trasmetteva la prima puntata di un cartone animato che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare e fruire la televisione in Italia. Seppur non fosse il primo anime mai trasmesso nel nostro paese, Goldrake si è rivelato il capostipite di un’onda che avrebbe travolto generazioni di spettatori, facendo entrare con prepotenza l’animazione giapponese nelle case di milioni di italiani.

Sfatiamo un mito: una delle leggende più comuni su Atlas Ufo Robot è che il nome italiano derivi da un fraintendimento linguistico. Si racconta che, importato dalla Francia, i funzionari Rai, non conoscendo il francese, avrebbero erroneamente preso “Atlas” come parte del titolo. Tuttavia, questa versione è falsa come riporta Massimo Nicora nel saggio C’era una volta Goldrake. La Rai degli anni ’70, guidata da esperti dirigenti che parlavano francese, importò Goldrake grazie a Nicoletta Artom, con l’approvazione di professionisti come Paola De Benedetti e Massimo Fichera. Il nome “Atlas” fu scelto deliberatamente da Annibale Roccasecca per il suo impatto emotivo, diventando il titolo ufficiale della serie.

Quel primo incontro con Goldrake non fu solo un episodio di intrattenimento, ma un segno di rottura. La serie, infatti, si distaccava nettamente dai tradizionali cartoni animati occidentali fino ad allora popolari nel nostro paese. Il confronto con le storie di Heidi o Vicky il Vichingo, tanto per fare un esempio, è immediato: design più morbidi, trame meno incisive e una sensibilità che, pur trattando temi universali, si rifaceva a un immaginario molto più vicino alla cultura europea. Invece, Ufo Robot Goldrake portava con sé una forte carica di novità. Da un lato, c’era l’estetica forte dei robottoni, dall’altro, l’influenza della fantascienza, che già in quel periodo stava dilagando nelle sale cinematografiche con film come Guerre Stellari (uscito in Italia sei mesi prima). Così, l’eroico pilota Duke Fleed, che combatteva dal suo gigantesco robot Goldrake contro le forze nemiche di Vega, conquistò immediatamente il cuore del pubblico italiano, che fu travolto dall’intensità di quelle battaglie, dalla drammaticità delle storie e dalla lotta tra il bene e il male.

La storia di Goldrake non era solo una semplice avventura di robot. Raccontava le vicende di Duke Fleed, principe del pianeta Fleed, distrutto dal malvagio Re Vega. Fuggito sulla Terra, Duke assume il nome di Actarus e viene accolto dal dottor Procton, che lo nasconde agli occhi del mondo, mentre lo prepara alla lotta contro le forze di Vega. A fianco di Actarus c’è il giovane Koji Kabuto e altri personaggi che contribuiranno a formare un’alleanza decisiva per la difesa del nostro pianeta. La trama, seppur ripetitiva nelle sue linee generali, giocava su un equilibrio di emozioni, sacrifici e trionfi, un cocktail che, in un modo o nell’altro, catturò l’immaginario dei più giovani.

Nonostante l’apparente semplicità delle trame, con uno schema narrativo che si ripeteva puntata dopo puntata, Goldrake ha lasciato un segno indelebile, tanto che a distanza di anni molti fan ancora urlano “Alabarda spaziale!” con una nostalgia che travalica il tempo. La formula della serie, nonostante la sua apparente prevedibilità, aveva una potenza visiva e narrativa che, forse, si comprende solo col senno di poi. Le battaglie tra Goldrake e i mostri meccanici inviati da Vega erano sì ripetitive, ma l’emozione e il coinvolgimento generato da quei duelli era ineguagliabile per l’epoca. A ciò si aggiungeva il mistero che circondava la figura di Actarus, costantemente in bilico tra la sua identità segreta e il suo ruolo di difensore della Terra.

Goldrake non solo ha portato sul piccolo schermo un tipo di narrazione innovativa, ma ha anche creato un legame duraturo tra il pubblico italiano e l’animazione giapponese, aprendo la strada a una lunga serie di successi che hanno fatto la storia della televisione e dei cartoni animati nel nostro paese. Tuttavia, non è solo il successo della serie a essere degno di nota: la sua trasmissione ha avuto anche un impatto commerciale straordinario.

La magia della sigla di Vince Tempera

Impossibile parlare di Goldrake senza menzionare la sua celebre sigla italiana Atlas Ufo Robot, composta da Vince Tempera e scritta dal compianto Luigi Albertelli. Questo brano leggendario, con il suo inconfondibile “Si trasforma in un razzo missile”, è diventato un simbolo per un’intera generazione, con vendite che superarono le settecentomila copie per il primo singolo e oltre un milione per il secondo. In un’intervista, Tempera ha ricordato l’audacia di quei giorni: “Usavamo strumenti elettronici pionieristici per l’epoca, ispirandoci alla disco music americana. Nessuno ci dava limiti, e questo ci ha permesso di innovare.” Le loro melodie hanno raggiunto le classifiche italiane nel 1978, vendendo milioni di copie e diventando un simbolo di quel decennio. “È incredibile pensare che queste canzoni siano ancora così amate dopo quasi mezzo secolo,” ha aggiunto Tempera, sottolineando come il loro successo non sia solo nostalgia, ma il segno di un’arte capace di parlare a ogni generazione.

Dal 24 gennaio, i nostalgici degli anni ’70 possono mettere le mani su questa gemma. La riedizione presenta le sigle originali con un audio completamente rimasterizzato, in grado di far rivivere le emozioni di quegli anni gloriosi. Incluso nel vinile, un poster che richiama fedelmente l’estetica originale del 1978, un vero pezzo da collezione per appassionati e neofiti. Secondo Renato Tanchis di Warner Music Italia, l’obiettivo di questa iniziativa è semplice quanto potente: “Rendere omaggio a una serie che ha profondamente influenzato l’immaginario collettivo e alle sue musiche intramontabili.”

Ma cosa rappresenta, oggi, Goldrake per i fan che lo hanno vissuto da bambini e per le nuove generazioni che si approcciano a questa serie ormai leggendaria?

Per i fan di ieri, Goldrake è un pezzo di storia, un ricordo che si è scolpito nel tempo e che ha fatto da apripista a tutto un genere che, oggi, è tra i più amati e seguiti al mondo. Goldrake non è solo un cartone animato: è un simbolo di speranza, sogni e innovazione. Per molti, ha rappresentato la possibilità di guardare al futuro con immaginazione e determinazione. Come ha affermato Tempera, “Quei bambini che sognavano con Ufo Robot oggi potrebbero essere ingegneri alla NASA.” La serie ha insegnato a generazioni di spettatori che l’eroismo può essere trovato anche nei contesti più disparati, che la lotta contro il male non è mai semplice e che il sacrificio è una parte inevitabile della vita. Ma Goldrake non è solo questo: è anche un simbolo della nascita di un amore per l’animazione giapponese che, nel nostro paese, sarebbe diventato sempre più forte con il passare degli anni.

Per le nuove generazioni, Goldrake rappresenta forse un tuffo nel passato, un viaggio nostalgico in un’epoca in cui la televisione offriva esperienze che oggi potrebbero sembrare lontane, ma che continuano ad affascinare per la loro unicità e il loro impatto culturale. Eppure, nonostante il passare del tempo e l’evoluzione dei gusti, la figura di Goldrake rimane saldamente ancorata nel cuore di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, anche solo tramite le sue immagini e la sua mitica sigla.

Dove vedere Goldrake?

Oltre alla serie originale, Rai sta trasmettendo anche Goldrake U, un sequel che esplora nuove avventure del celebre robot. Tuttavia, nonostante il successo iniziale, la nuova produzione ha ricevuto pareri contrastanti: alcuni fan lamentano la mancanza delle battaglie epiche che caratterizzavano la serie classica, mentre altri apprezzano l’approfondimento dei personaggi.Gli episodi restaurati di Goldrake saranno trasmessi su Rai 2 ogni venerdì sera, con la possibilità di rivederli anche su RaiPlay. Un appuntamento imperdibile per chiunque voglia riscoprire l’epopea di Actarus, Alcor e Venusia, e per chi è pronto a lasciarsi affascinare dalle battaglie contro le forze di Vega.

Goldrake U su Rai 2: Il Ritorno del Mito in un Reboot Straordinario

Il 6 gennaio 2025, Rai 2 ha trasmesso in prima serata le prime quattro puntate di Goldrake U, il tanto atteso reboot della leggendaria serie “Atlas UFO Robot”. Per chi, come me, è cresciuto con il mito di Goldrake, l’emozione di vedere questo simbolo d’infanzia tornare in vita è stata immensa. Ma con questa emozione è arrivata anche una grande domanda: Goldrake U è riuscito a rinnovare la magia dell’originale mantenendosi al passo con i tempi?

Un Ritorno Carico di Aspettative

La serie originale, trasmessa per la prima volta in Italia nel 1978, non è stata solo un successo televisivo: ha segnato una rivoluzione culturale. Goldrake è stato il primo anime a entrare nel cuore degli italiani, aprendo la strada a un’ondata di animazione giapponese che avrebbe cambiato per sempre il panorama dell’intrattenimento. L’iconico Duke Fleed, con il suo Goldrake, è diventato il simbolo di un’epoca fatta di sogni intergalattici, lotte per la giustizia e valori universali.

Con Goldrake U, la Toei Animation e un team di talentuosi creativi guidati da Mitsuo Fukuda (Mobile Suit Gundam Seed) hanno voluto riportare quella magia sullo schermo, rivisitando una storia che ha segnato generazioni. La supervisione di Go Nagai, creatore della serie originale, prometteva di garantire fedeltà al materiale originale, pur introducendo elementi di modernit

La serie originale, trasmessa per la prima volta in Italia nel 1978, non è stata solo un successo televisivo: ha segnato una rivoluzione culturale. Goldrake è stato il primo anime a entrare nel cuore degli italiani, aprendo la strada a un’ondata di animazione giapponese che avrebbe cambiato per sempre il panorama dell’intrattenimento. L’iconico Duke Fleed, con il suo Goldrake, è diventato il simbolo di un’epoca fatta di sogni intergalattici, lotte per la giustizia e valori universali.

Con Goldrake U, la Toei Animation e un team di talentuosi creativi guidati da Mitsuo Fukuda (Mobile Suit Gundam Seed) hanno voluto riportare quella magia sullo schermo, rivisitando una storia che ha segnato generazioni. La supervisione di Go Nagai, creatore della serie originale, prometteva di garantire fedeltà al materiale originale, pur introducendo elementi di modernità.

Tra Continuità e Novità

Goldrake U riprende le vicende di Duke Fleed, un giovane principe alieno in fuga dal suo pianeta natale, distrutto dalle forze di Vega. Rifugiatosi sulla Terra, Duke cerca di costruirsi una nuova vita sotto la falsa identità di Daisuke, fino a quando il suo passato non ritorna a tormentarlo. La trama del reboot introduce nuovi dettagli, approfondendo il trauma del protagonista e il suo percorso di guarigione, rendendolo un personaggio più sfaccettato e umano rispetto all’originale.

Tuttavia, questa scelta narrativa ha suscitato pareri contrastanti. Per i fan storici, il focus sulla psicologia dei personaggi è un interessante approfondimento, ma rischia di rallentare il ritmo. Gli spettatori più giovani, invece, potrebbero trovare la trama poco coinvolgente rispetto alle aspettative di azione e spettacolarità.

Il Compartimento Tecnico: Luci e Ombre

Sul piano visivo, Goldrake U è un mix di eccellenze e compromessi. La mano di Yoshiyuki Sadamoto (Neon Genesis Evangelion) si nota nei dettagli dei personaggi, che sono più espressivi e moderni. Tuttavia, alcune sequenze animate sembrano non raggiungere gli standard elevati di qualità che ci si aspetterebbe da una produzione di questo calibro.

Il design dei mecha è tra i punti più alti del reboot: Goldrake appare imponente e affascinante, con aggiornamenti tecnologici che lo rendono al contempo fedele all’originale e adatto ai tempi moderni. Le battaglie, però, pur visivamente spettacolari, mancano della carica emotiva che caratterizzava l’anime degli anni ‘70.

Un plauso particolare va alla colonna sonora, curata da Kōhei Tanaka. Le musiche sono un perfetto mix di nostalgia e modernità, con sigle cantate da GLAY e BAND MAID che donano energia e pathos alla serie.

Una Narrazione Che Vacilla

Uno degli aspetti più critici di Goldrake U è la difficoltà nel bilanciare tradizione e innovazione. Mentre alcuni episodi brillano per la loro capacità di emozionare, altri sembrano indecisi sulla direzione da prendere. Il tentativo di collegare vecchi e nuovi misteri, come il legame tra Goldrake e Mazinger Z, risulta in alcuni punti forzato e poco organico. Questa discontinuità narrativa potrebbe allontanare sia i fan storici che i nuovi spettatori.

Goldrake U vive di nostalgia, ma è proprio questa nostalgia che rischia di soffocarlo. Per chi ha amato l’originale, i continui rimandi sono un piacevole richiamo al passato, ma per le nuove generazioni potrebbero risultare poco significativi. La serie sembra voler essere tutto: un omaggio ai fan storici, un prodotto moderno per i giovani e una rivisitazione artistica. Ma in questo sforzo di accontentare tutti, finisce per perdere una propria identità.

Goldrake U è un progetto ambizioso che non riesce del tutto a mantenere le sue promesse. È una serie che punta in alto, ma che fatica a trovare il giusto equilibrio tra rispetto per l’originale e necessità di innovazione.

Come appassionata di anime e fan di Goldrake, non posso negare che rivedere Duke Fleed e il suo robot sullo schermo sia stato emozionante. Ma al di là della nostalgia, mi sono trovata a desiderare una narrazione più coraggiosa, che osasse davvero reinventare il mito senza restare imprigionata nel passato. Goldrake U è un buon punto di partenza per chi vuole avvicinarsi alla saga, ma per i fan di lunga data rimane un’opera che, pur con i suoi pregi, non riesce a brillare come l’originale. Detto questo, non posso fare a meno di continuare a seguirlo, sperando che gli episodi successivi riescano a sorprendere e a regalare momenti indimenticabili.

Il fiuto di Sherlock Holmes compie quarant’anni

Ho sempre pensato che Sherlock Holmes dovesse avera un fiuto di un segugio. E così è stato, almeno nell’adattamento animato realizzato a partire dai racconti e romanzi di Arthur Conan Doyle. L’anime televisivo “Il fiuto di Sherlock Holmes” ci ha regalato un mondo in cui tutti i personaggi avevano sembianze canine antropomorfe, con il celebre detective trasformato in un segugio dal fiuto infallibile.

Nato esattamente quarant’anni fa da una co-produzione tra la RAI italiana e la Tokyo Movie Shinsha giapponese, sotto la supervisione di Hayao Miyazaki, il cartone animato ha avuto un inizio burrascoso a causa di problemi legati ai diritti sul personaggio di Sherlock Holmes detenuti dagli eredi di Doyle. Solo dopo alcune vicissitudini, la serie ha potuto vedere la luce e debuttare in televisione proprio il 26 novembre 1984, diventando popolare in Giappone e in altri paesi.

In Italia, però, la serie è stata accolta con meno entusiasmo. La programmazione televisiva era frammentata, con episodi divisi in parti da cinque minuti ciascuna, rendendo difficoltoso seguire le vicende del detective segugio e del suo fedele compagno Watson. Solo negli anni successivi la Rai ha trasmesso integralmente la serie, ma l’interesse del pubblico è rimasto tiepido.

Nonostante le difficoltà incontrate durante la produzione, “Il fiuto di Sherlock Holmes” è riuscito a conquistare il cuore di molti appassionati. I dettagli curati, i personaggi espressivi e gli sfondi ricchi hanno reso l’anime coinvolgente e suggestivo. La serie si ispirava ai racconti di Conan Doyle, reinterpretandoli in chiave canina per aggiungere un tocco di umorismo e originalità alle vicende investigative.

Dopo 26 episodi, la serie è stata interrotta, lasciando i fan con il desiderio di scoprire nuove avventure del detective segugio. Le ragioni di questa decisione non sono mai state chiarite, ma si può ipotizzare che fattori come i costi elevati di produzione e le difficoltà logistiche abbiano giocato un ruolo importante.

Nonostante tutto, “Il fiuto di Sherlock Holmes” resta un’anime indimenticabile, che ha lasciato il segno in tutto il mondo. La sigla italiana, eseguita dalla band “Complotto” e dai “Piccoli cantori di Milano”, ha accompagnato i telespettatori all’inizio e alla fine di ogni episodio, diventando un simbolo per chi ha amato le avventure del detective segugio. Un classico che continuerà a essere ricordato anche negli anni a venire.”

70 anni di Televisione, 100 anni di Radio: la mostra al MAXXI

Il Museo MAXXI di Roma ospita la mostra “70 anni di Televisione, 100 anni di Radio”, aprendo le porte alla storia della radio e della tv. Dal 10 ottobre al 3 dicembre 2024 sarà infatti possibile visitarla nello spazio extra MAXXI e ad ingresso gratuito.

La memoria di un Paese è una parte fondante della sua stessa identità e la Rai da 100 anni costituisce, custodisce, sviluppa, gran parte di questa memoria. Rappresentare la storia della radio e della tv italiane vuol dire raccontare l’autobiografia di una nazione, e questa mostra vuole essere un viaggio nella “memoria collettiva” condivisa da gran parte della popolazione italiana.

La mostra a cura di Alessandro Nicosia con la collaborazione trasversale di diverse strutture della Rai – fra cui Direzione Teche, Direzione Produzione TV, Museo della Radio e della Televisione, Centro Ricerche e Innovazione Tecnologica, Canone Beni Artistici e Accordi Istituzionali, Direzione Comunicazione – è organizzata e prodotta da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare sotto il patrocinio del Ministero della Cultura.

Dal 1924 ad oggi la comunicazione radiotelevisiva ha giocato un ruolo chiave nella creazione dell’identità nazionale e nell’evoluzione culturale del Paese.

La Radio prima, la Televisione poi, sono entrate nelle case di tutti gli italiani portando con sé intrattenimento, cultura, informazione, sport e divulgazione scientifica, modellando e riflettendo i principali cambiamenti sociali degli ultimi cento anni.

La mostra rappresenta un vero e proprio excursus storico in cui vengono ripercorsi gli avvenimenti più rilevanti del nostro Paese ed il modo in cui sono stati raccontati agli italiani.

Ogni decennio sarà raccontato tramite un filmato che ne ripercorrerà i momenti storici più rivelanti.

La magia della mostra si apre con un’area sorprendente, piena di ricordi ed emozioni, in cui la storia della tv e della radio diventa interattiva, grazie alle installazioni del Museo della Radio e della Televisione Rai: due consolle multimediali attiveranno alcune radio e tv d’epoca, attraverso le quali si potranno ascoltare e visionare, a scelta, contenuti relativi ai momenti salienti dei primi 40 anni di storia del Paese, come il primo, storico annuncio radiofonico del 6 ottobre 1924.

Il percorso espositivo si sviluppa fra materiali audiovisivi, cartacei, fotografici, apparecchiature d’epoca, costumi, sale interattive ed allestimenti di set, unitamente ad opere d’arte di assoluto rilievo appartenenti alla collezione Rai.

La Rai nel tempo ha saputo adattare mezzi e linguaggi al progresso tecnologico e sociale del Paese, pertanto lo sguardo non è solo rivolto al glorioso passato della Rai, l’esposizione rende protagonisti anche argomenti attuali: l’Intelligenza artificiale applicata al tema dell’ideazione e della produzione di prodotti audiovisivi. Approfondimenti utili per aumentare la consapevolezza e senso critico su tematiche e tecnologie emergenti che crescono e si diffondono a grande velocità.

Con il supporto del Centro Ricerche, Innovazione Tecnologica e Sperimentazione RAI, un’area della mostra sarà dedicata ad illustrare i progetti internazionali dedicati all’intelligenza artificiale, e grazie alle tecnologie del Centro Ricerche, il pubblico si potrà cimentare in una divertente play ground che unisce scenari virtuali 3D e tecniche di realtà aumentata.

Durante l’inaugurazione della mostra, sarà esposta anche la storica Fiat 1500 della Rai, anno 1966, che ha seguito per radio e tv il Giro d’Italia, sino agli anni Settanta. La vettura è “tornata in servizio”, grazie al Protocollo d’Intesa firmato da Rai con ASI – Automotoclub Storico Italiano che ha riconosciuto alla Fiat 1500 la Targa Oro n. 12610.

L’esposizione proietta gli spettatori in un viaggio che si sviluppa, di decennio in decennio, fra il passato, il presente e il futuro del Servizio Pubblico Radio Televisivo, offrendo un percorso esperienziale unico, che lega le storie e la Storia in un unico emozionante racconto multisensoriale e multimediale.

I primi 100 anni della radio in Italia: una storia di innovazione e rivoluzione

Il 6 ottobre del 1924 segna una data storica per l’Italia: per la prima volta, alle 21 di quel lunedì sera, dalle onde radio si propagava la voce di un mondo nuovo, il mondo della comunicazione di massa. Da uno studio situato in piazza del Popolo a Roma, fu trasmesso un concerto di musica classica, un evento che durò appena un’ora e mezza, ma che rappresentava l’inizio di una rivoluzione. Quell’esordio, che si pensava fosse stato annunciato dalla voce di Maria Luisa Boncompagni, fu poi svelato nel 1997 dagli archivi Rai di Firenze: le parole che risuonarono quella sera erano della violinista Ines Viviani Donarelli, che pronunciò il primo storico annuncio radiofonico del paese. Quella trasmissione non solo introdusse la radio nel cuore della vita italiana, ma pose le basi per un cambiamento epocale.

Le origini della radio: la visione di Marconi e l’inizio di una rivoluzione

Sebbene la prima trasmissione radiofonica italiana risalga al 1924, le radici della radio affondano nel genio di Guglielmo Marconi. Nel 1895, Marconi, con una serie di esperimenti che avrebbero cambiato per sempre il corso della comunicazione, riuscì a inviare segnali senza fili a lunga distanza, aprendo la strada a un mondo in cui la voce poteva viaggiare oltre i confini fisici, attraverso l’etere.

L’invenzione di Marconi trovò applicazione commerciale negli anni ’20, un periodo in cui le trasmissioni radiofoniche iniziarono a diventare realtà in molte nazioni. Negli Stati Uniti, stazioni come la KDKA di Pittsburgh trasmettevano notizie e musica già dal 1920, anticipando quello che in breve tempo sarebbe divenuto un fenomeno globale. Anche in Italia, la magia della radio cominciava a prendere forma, ma il vero impatto della radio si sarebbe manifestato negli anni a venire.

La radio nel XX secolo: tra intrattenimento e informazione

Durante il XX secolo, la radio consolidò il suo ruolo di protagonista nella vita sociale e culturale degli italiani. Negli anni ’30 e ’40, era comune vedere famiglie riunite attorno alla radio, che fungeva non solo da fonte di informazione ma anche da intrattenimento. Gli italiani ascoltavano le notizie, i programmi di varietà, i radiodrammi e, soprattutto, la musica. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la radio divenne uno strumento indispensabile: le trasmissioni fornivano aggiornamenti in tempo reale sui movimenti bellici, diventando anche un potente mezzo di propaganda.

Gli anni ’50 e ’60 segnarono un’evoluzione importante con l’introduzione della modulazione di frequenza (FM), che offriva una qualità audio superiore rispetto all’AM. Questo miglioramento tecnologico, unito alla nascita delle radio a transistor, rese la radio ancora più accessibile e portatile. La radio stava diventando un compagno di vita quotidiana, un mezzo che, con la sua versatilità, si adattava a ogni contesto, dalla casa al lavoro, fino alle auto.

La rivoluzione digitale: la nascita delle web radio

Con l’arrivo di Internet negli anni ’90, la radio conobbe una nuova fase evolutiva. Le web radio cambiarono radicalmente il modo di fruire i contenuti audio. Ora gli ascoltatori potevano sintonizzarsi su stazioni provenienti da qualsiasi parte del mondo, ampliando enormemente la varietà di programmi disponibili. La prima web radio italiana, Radio Cybernet, vide la luce nel 1997, segnando un nuovo capitolo nella storia della radiofonia.

Le web radio portarono con sé vantaggi significativi: la possibilità di trasmettere senza confini geografici e a costi inferiori rispetto alle tradizionali emittenti. Inoltre, il formato digitale permise di creare esperienze sempre più personalizzate, consentendo agli ascoltatori di interagire attraverso piattaforme digitali e community. L’avvento dello streaming “on demand” rivoluzionò ulteriormente il settore, permettendo di ascoltare contenuti in qualsiasi momento.

Oggi, le web radio e i servizi di streaming convivono con la radio tradizionale, offrendo una vasta gamma di possibilità per chi cerca contenuti audio su misura. Nonostante la concorrenza con altri mezzi di comunicazione come la televisione e i social media, la radio ha mantenuto il suo fascino unico, continuando a essere uno strumento amato e utilizzato da milioni di persone.

I podcast: il futuro dell’audio

Se la radio ha saputo reinventarsi con l’avvento di Internet, i podcast hanno aperto una nuova frontiera nel mondo dell’audio. A differenza delle trasmissioni radiofoniche, i podcast offrono una flessibilità senza pari: possono essere ascoltati ovunque e in qualsiasi momento. Questo formato ha dato vita a una straordinaria varietà di contenuti, che spaziano dai programmi di intrattenimento a quelli educativi, dalle interviste ai racconti personali.

L’Italia non è rimasta indietro in questa trasformazione. Molte emittenti radiofoniche tradizionali hanno iniziato a offrire contenuti in formato podcast, permettendo al pubblico di riascoltare trasmissioni o scoprire nuove serie audio. L’era del digitale ha quindi ampliato le possibilità, senza però sostituire il calore e la vicinanza che la radio ha saputo costruire nei cuori degli italiani in cent’anni di storia.

100 anni di radio, un viaggio tra storia e innovazione

La radio in Italia ha vissuto una lunga e affascinante evoluzione, partendo da quella storica prima trasmissione del 1924 fino all’era digitale. In questi 100 anni, la radio ha saputo adattarsi ai cambiamenti tecnologici e sociali, mantenendo intatta la sua capacità di comunicare, informare e intrattenere. Dai concerti di musica classica trasmessi in diretta dalle piazze di Roma, ai moderni podcast che ci accompagnano ovunque andiamo, la radio rimane un simbolo di continuità e innovazione, capace di connettere generazioni e attraversare epoche diverse.

Mentre celebriamo questo importante anniversario, possiamo solo immaginare cosa riservi il futuro per questo straordinario mezzo di comunicazione. Una cosa è certa: la radio continuerà a far parte della nostra vita, con la sua voce inconfondibile che ci racconta storie, ci informa e ci fa compagnia, proprio come fa da ormai cento anni.

Un murales per Piero Angela: Torino rende omaggio al grande divulgatore scientifico

La città di Torino ha voluto rendere omaggio a uno dei suoi figli più illustri, Piero Angela, con un maestoso murale che adorna la facciata del Centro di Produzione Tv Rai di Torino.

L’opera, realizzata dall’artista Francesco Persichella, in arte “Piskv”, è un tributo alla figura di Piero Angela, un divulgatore scientifico che ha saputo rendere la scienza affascinante e accessibile a tutti. Il murale, un vero e proprio capolavoro di street art, ritrae Piero Angela che saluta, che accoglie con gentilezza e saggezza tutti noi.

Un’opera che parla al cuore

Il murale di Piero Angela non è solo un’opera d’arte, ma un vero e proprio simbolo. Rappresenta l’eredità lasciata da uno dei più grandi comunicatori scientifici italiani, che ha dedicato la sua vita a diffondere la cultura scientifica e a stimolare la curiosità delle nuove generazioni. L’opera è un invito a tutti a seguire l’esempio di Piero Angela e a coltivare la passione per la conoscenza.

Il legame tra Piero Angela e Torino

La scelta di realizzare il murale proprio sulla facciata del Centro di Produzione Tv Rai di Torino non è casuale. È qui, infatti, che Piero Angela ha lavorato per molti anni, realizzando alcune delle sue trasmissioni più famose. Torino, quindi, è la città che ha visto nascere e crescere una delle figure più importanti della cultura italiana.

Un’iniziativa che fa discutere

L’inaugurazione del murale ha suscitato grande entusiasmo tra i cittadini e gli appassionati di Piero Angela. Sui social media si moltiplicano i commenti positivi e le condivisioni. Ma non mancano anche le voci critiche, che sottolineano l’importanza di investire in progetti più concreti per la promozione della cultura scientifica.

Conclusioni

Il murale dedicato a Piero Angela è un’iniziativa lodevole che testimonia l’affetto e la stima che i torinesi nutrono per il grande divulgatore scientifico. L’opera d’arte, oltre a essere un omaggio alla sua figura, è anche un invito a tutti a seguire il suo esempio e a continuare a diffondere la cultura scientifica.

Addio a Luca Giurato: Il Giornalista e Conduttore che diventò un meme del Web

L’11 settembre 2024 si è spento improvvisamente Luca Giurato, all’età di 84 anni, colpito da un infarto fulminante. L’Italia piange la scomparsa di uno dei volti più iconici del giornalismo televisivo, conosciuto non solo per la sua lunga carriera alla Rai, ma anche per le sue indimenticabili gaffe, che lo hanno trasformato in una figura leggendaria del piccolo schermo e un fenomeno virale sui social media.

Eravamo a Santa Marinella, per goderci l’ultimo scorcio d’estate…”, ha dichiarato in lacrime Daniela Vergara, la seconda moglie di Giurato, anche lei giornalista Rai. Il destino ha voluto che quel periodo di riposo si trasformasse nell’ultimo capitolo della vita di un uomo che, con la sua disarmante genuinità e ironia, è riuscito a lasciare un segno indelebile nella storia della televisione italiana.

Luca Giurato: Una Vita tra Giornalismo e Televisione

Nato a Roma il 23 dicembre 1940, Luca Giurato iniziò la sua carriera come giornalista per il quotidiano “La Stampa”, dimostrando fin da subito una grande passione per l’informazione e la comunicazione. Tuttavia, fu nel passaggio alla televisione che il suo volto divenne familiare al grande pubblico, prima dietro le quinte come vicedirettore del Tg1 e poi come conduttore di programmi amati dagli italiani, come “Unomattina” e “Domenica In”.

Durante gli anni ’90 e i primi 2000, Giurato divenne una presenza costante nei salotti degli italiani, apprezzato per il suo stile colloquiale e diretto, che riusciva a creare un legame empatico con il pubblico. Ma se la sua carriera fu contrassegnata da successi professionali, furono i suoi tanti, e spesso esilaranti, errori in diretta a farlo entrare nell’immaginario collettivo nazionale come una sorta di “antieroe” del giornalismo televisivo.

Le Gaffe che lo Resero Immortale

Per molti, il nome di Luca Giurato è sinonimo di gaffe memorabili. Chiunque abbia seguito i suoi programmi ricorderà i suoi strafalcioni linguistici e i lapsus che, in un’epoca pre-social, furono amplificati dai programmi satirici come “Striscia la Notizia” e “Mai Dire Gol” della Gialappa’s Band. La sua capacità di prendersi poco sul serio e di affrontare con leggerezza questi episodi trasformò quelle che per molti sarebbero state imbarazzanti sviste in momenti di grande comicità.

Gaffe come il celebre “Buongiollo al pubblico maschile” divennero emblemi di una televisione genuina e spontanea, lontana dall’artificiosità e dal controllo maniacale del mezzo televisivo moderno. Giurato, con la sua semplicità e la sua autoironia, riuscì a trasformare i suoi errori in punti di forza, tanto da renderli parte del suo personaggio pubblico.

Un’Icona del Web: Dai Meme alla Viralità

Se in televisione Giurato fu un simbolo di genuinità, con l’avvento dei social media le sue gaffe trovarono nuova vita. I suoi lapsus furono trasformati in meme, video virali e parodie che conquistarono il cuore di una nuova generazione di utenti. Gli episodi più iconici vennero condivisi migliaia di volte, portando il nome di Luca Giurato ben oltre i confini della televisione tradizionale e facendo di lui un’autentica star del web.

Il web, che ha spesso una memoria breve, sembra invece aver consacrato Giurato come una figura intramontabile, dimostrando come la sua spontaneità e i suoi strafalcioni continuassero a divertire, anche molti anni dopo la loro prima messa in onda. Le piattaforme social, come Twitter e Facebook, divennero il terreno fertile per la diffusione di quei momenti, mantenendo vivo il suo ricordo anche tra le nuove generazioni.

Luca Giurato: Un Esempio di Spontaneità e Umanità

Nonostante l’incredibile notorietà raggiunta, Giurato ha sempre mantenuto un profilo personale riservato. Nella sua vita privata, oltre al matrimonio con Daniela Vergara, con cui ha condiviso gli ultimi anni di vita, Giurato era noto per essere una persona schiva, lontano dai riflettori quando non era impegnato professionalmente.

Eppure, proprio questa sua umanità e la sua capacità di mettersi a nudo davanti al pubblico, senza filtri, lo resero uno dei conduttori più amati d’Italia. Le sue gaffe non erano semplici errori, ma la testimonianza di un uomo autentico, lontano dalle costruzioni patinate della televisione moderna, che non aveva paura di mostrarsi per quello che era.

Un’Eredità Scolpita nella Cultura Pop

La scomparsa di Luca Giurato lascia un vuoto profondo nel panorama televisivo e culturale italiano. Il suo lascito non è solo legato ai programmi che ha condotto o ai ruoli istituzionali che ha ricoperto, ma a quell’incredibile capacità di far ridere, di far sorridere e di affrontare con ironia anche i momenti più critici della diretta televisiva. Il suo ricordo continuerà a vivere, non solo nelle teche Rai, ma anche negli angoli più nascosti del web, dove i suoi meme e le sue gaffe saranno per sempre parte della cultura pop.

Giurato ci ha insegnato che l’errore non è solo umano, ma può essere anche fonte di divertimento e leggerezza, se affrontato con il giusto spirito. E forse, questo è il più grande insegnamento che ci ha lasciato: prendersi meno sul serio, perché alla fine, anche di fronte all’imprevisto,c’è sempre spazio per un sorriso.

L’ultima punta di Noos – L’avventura della conoscenza

Questa sera, 5 settembre 2024, Rai 1 trasmetterà l’ultima puntata della prima stagione di Noos – L’avventura della conoscenza, il programma di divulgazione scientifica condotto da Alberto Angela. Lanciato il 29 giugno 2023 con grandissime aspettative, Noos si è presentato come il naturale successore di Superquark, ereditando l’ambizioso compito di portare avanti la tradizione di eccellenza nella divulgazione scientifica inaugurata dal compianto Piero Angela, padre di Alberto.

Il programma ha subito catturato l’attenzione per la sua capacità di unire scienza, cultura e intrattenimento, esplorando con curiosità temi che spaziano dalla biologia alla paleontologia, dalla tecnologia alle neuroscienze. Eppure, nonostante la qualità e il valore dei contenuti, Noos si è trovato ad affrontare un contesto televisivo particolarmente difficile. L’estate italiana, periodo storicamente sfavorevole ai programmi culturali, ha visto il trionfo di programmi di intrattenimento leggero, come il seguitissimo Temptation Island, che ha dominato gli ascolti con share che hanno toccato il 30%. Questo scenario competitivo ha influito sugli ascolti di Noos, che ha registrato un progressivo calo, arrivando a un 11,5% di share, con meno di un milione e mezzo di spettatori.

Nonostante le difficoltà, Alberto Angela ha mantenuto viva la sua passione per la divulgazione scientifica. Attraverso i suoi profili social, ha annunciato il ritorno del programma per tre puntate aggiuntive, in onda il 22 e 29 agosto e, appunto, il 5 settembre. La scelta di riproporre Noos a fine estate è stata strategica, volta a evitare la concorrenza estiva e a dare una nuova opportunità al pubblico di apprezzare il valore della scienza e della cultura.

Questa ultima puntata si prospetta carica di temi affascinanti. Si inizierà con una ricostruzione dettagliata del percorso medico di un grande traumatizzato, seguendo il paziente dai primi soccorsi fino al trauma center di Cesena, uno dei più avanzati d’Italia. Si proseguirà con una riflessione su una delle sfide più urgenti del nostro tempo: il cambiamento climatico. Quali scenari si profilano per l’Italia e quali strategie si stanno adottando per adattarsi a un mondo sempre più caldo? Non mancheranno discussioni su tecnologie all’avanguardia, come l’impianto di microchip nel cervello umano, una frontiera che potrebbe migliorare la vita di persone con gravi disabilità, ma che solleva anche quesiti etici e sociali.

L’Appia Antica, di recente riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, sarà un altro dei temi centrali, un viaggio attraverso una strada che ha segnato la storia dell’antica Roma. E ancora, si esploreranno i segreti del permafrost, lo strato di terreno ghiacciato che, sciogliendosi a causa del riscaldamento globale, sta riportando alla luce preziosi resti di specie estinte, aprendo nuove prospettive per la paleontologia.

Non mancheranno ospiti d’eccezione. La nutrizionista Elisabetta Bernardi condividerà come l’alimentazione degli atleti possa essere un modello di salute, mentre Samantha Cristoforetti offrirà una visione entusiasmante sul futuro dell’esplorazione spaziale, tra Luna e Marte. Paola Cortellesi tornerà a dare voce ai personaggi di animazione che raccontano la storia delle lettere del nostro alfabeto, mentre Carlo Lucarelli indagherà uno dei più misteriosi cold case d’Europa, quello della “donna di Isdal” in Norvegia.

Tra gli altri ospiti, ci sarà il filosofo della scienza Telmo Pievani, che ripercorrerà le grandi estinzioni della storia umana, e Massimo Polidoro, psicologo e co-fondatore del CICAP, che analizzerà l’emozione del disgusto, svelando come possa essere manipolata. La puntata si concluderà con le spettacolari immagini della serie Serengeti della BBC, raccontando la commovente storia di una mamma ghepardo e dei suoi cuccioli.

In questa ultima puntata, Alberto Angela dovrà affrontare una sfida non solo culturale, ma anche televisiva. In contemporanea su Canale 5, infatti, andrà in onda il concerto di Annalisa, registrato all’Arena di Verona lo scorso maggio, un evento musicale attesissimo con numerosi ospiti e una scaletta ricca di successi. La competizione con un evento così popolare rappresenta una sfida ardua per il programma di Angela, ma Noos ha già dimostrato di essere un baluardo di qualità, anche di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili.

Con Noos – L’avventura della conoscenza, Alberto Angela ha confermato il suo impegno a portare la scienza e la cultura nelle case degli italiani, mantenendo viva l’eredità del padre Piero. La sua dedizione è un chiaro segnale che, nonostante le difficoltà del panorama televisivo contemporaneo, c’è ancora spazio per programmi che sanno nutrire la mente e arricchire lo spirito. Noos è, in fondo, un faro di conoscenza in un mare di intrattenimento effimero, un programma che ci ricorda quanto sia importante continuare a esplorare, scoprire e conoscere il mondo che ci circonda.

Questa ultima puntata rappresenta una chiusura temporanea, ma anche una speranza per il futuro della divulgazione scientifica in televisione.

Lunga vita ad Alan Ford, la storica serie non finirà!

Alan Ford, un personaggio nato dalla fervida immaginazione di Max Bunker e dalla matita geniale di Magnus, rappresenta un’icona indelebile del fumetto italiano, capace di attraversare decenni e di lasciare un segno profondo nel panorama culturale. La sua storia, iniziata nel 1969, è quella di una serie che ha saputo mescolare con maestria umorismo, satira e grottesco, regalando ai lettori un prodotto che sfugge a qualsiasi facile categorizzazione.

Il fumetto si distingue fin dai suoi esordi per la capacità di rompere gli schemi narrativi tradizionali, proponendo un mix di generi che spazia dallo spionaggio all’horror, dalla denuncia sociale al più puro nonsense. In un periodo in cui il fumetto tendeva a rimanere confinato all’interno di specifici generi, Alan Ford emerge come un’opera innovativa e provocatoria, capace di stravolgere le convenzioni e di ridefinire il concetto stesso di fumetto. La trama ruota attorno alle avventure del Gruppo T.N.T., una banda di agenti segreti sgangherati e improbabili, guidati da un misterioso anziano conosciuto come Numero Uno, il cui passato è avvolto nel mistero.

Il gruppo è composto da personaggi che sono rapidamente diventati iconici: Alan Ford, l’eroe improvvisato, rappresenta la figura dell’antieroe per eccellenza, lontano dagli stereotipi del macho invincibile. Bob Rock, la caricatura vivente dello stesso Magnus, con il suo aspetto grottesco e il carattere cinico, è uno dei personaggi più amati dai lettori. Cico, l’uomo dalla mente semplice, rappresenta l’ingenuità e la bontà d’animo, mentre Jefferson Long, afroamericano dal cuore d’oro, sfida gli stereotipi razziali del tempo. E poi c’è Joe Dalton, il cowboy dalla pistola facile, che incarna tutti i cliché del genere western, ma con una vena di umorismo nero che lo rende unico.

L’umorismo di Alan Ford è una satira spietata della società, che non risparmia nessuno. Politici corrotti, burocrati ottusi, capitalisti senza scrupoli: tutti vengono presi di mira dalla penna affilata di Max Bunker, che usa il fumetto come strumento di denuncia sociale. La serie non si limita a far ridere, ma spinge i lettori a riflettere sulle contraddizioni e le ipocrisie della società contemporanea.

Il successo di Alan Ford non si limita al solo mondo del fumetto. Nel 1972, la serie raggiunge anche il piccolo schermo, grazie al programma televisivo SuperGulp!, trasmesso dalla Rai. Questo programma, che proponeva i fumetti in una forma originale, con immagini statiche e nuvolette lette da doppiatori, contribuisce a diffondere ulteriormente la popolarità di Alan Ford, rendendolo un fenomeno di costume.

La longevità della serie è un altro dei suoi tratti distintivi. Nonostante un inizio non proprio entusiasmante, Alan Ford riesce a conquistare un pubblico sempre più vasto, superando la soglia dei 600 numeri pubblicati. Questo traguardo rappresenta un record nel panorama del fumetto italiano, e testimonia l’affetto e la fedeltà dei lettori verso un personaggio che, con le sue avventure surreali e il suo umorismo tagliente, ha saputo parlare a generazioni diverse.

Nel corso degli anni, la serie ha visto l’avvicendarsi di diversi autori e disegnatori, ma il contributo di Magnus rimane insuperato. La sua matita ha saputo dare vita a un mondo popolato da personaggi grotteschi e affascinanti, in cui l’assurdo e il quotidiano si mescolano in un equilibrio perfetto. Magnus ha lavorato su Alan Ford fino al numero 75, lasciando un’impronta indelebile nella serie.

L’annuncio della chiusura di Alan Ford, previsto per il 2024 con il numero 660, ha scosso il mondo del fumetto. Max Bunker aveva dichiarato che era giunto il momento di mettere la parola fine a un’avventura durata oltre mezzo secolo, per dedicarsi a nuovi progetti. Tra questi, il creatore aveva annunciato la nascita di una nuova serie, Petra, ambientata in un futuro distopico e con una protagonista femminile. Tuttavia, l’annuncio della chiusura si è rivelato un falso allarme: Alan Ford ha continuato la sua corsa, superando il numero 660 e confermandosi come una delle serie più longeve e amate del panorama fumettistico.

L’ultima sorpresa di Alan Ford è stata proprio questa: il fumetto che sembrava destinato a concludersi, ha trovato una nuova linfa vitale, smentendo le voci di chiusura e continuando a deliziare i lettori con nuove avventure. Max Bunker, in un editoriale recente, ha spiegato che l’intervista in cui annunciava la chiusura non doveva essere presa sul serio, confermando così che Alan Ford ha ancora molto da dire.

Alan Ford non è solo un fumetto, ma un pezzo di storia del costume italiano. Con il suo umorismo surreale e la sua satira pungente, ha saputo conquistare il cuore di milioni di lettori e ha lasciato un segno indelebile nel panorama culturale del nostro paese. La sua storia è quella di un fumetto che ha saputo reinventarsi, attraversando epoche e generazioni, senza mai perdere il suo fascino. E mentre il mondo continua a cambiare, Alan Ford rimane una certezza, un’icona del fumetto che, nonostante tutto, non chiuderà mai.

La campagna “Fermati. Pensaci un minuto” contro le dipendenze

La campagna di sensibilizzazione “Fermati. Pensaci un minuto” è un’iniziativa cruciale lanciata dalla Rai in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, volta a mettere in luce i pericoli e le conseguenze legate all’uso di sostanze stupefacenti. Attraverso nove brevi video animati, ognuno focalizzato su una specifica sostanza tra cui cocaina, eroina, cannabis, MDMA, allucinogeni, nuove sostanze psicoattive, tabacco, alcol e fentanyl, la campagna mira a educare e informare il pubblico, in particolare i giovani, sui rischi spesso sottovalutati e sugli effetti potenzialmente devastanti che queste droghe possono avere sulla vita di un individuo.

https://youtu.be/ottWKQavP8A

Ogni “pillola” informativa, della durata di un minuto, è progettata per catturare l’attenzione e stimolare una riflessione critica sull’uso di queste sostanze. Il messaggio chiave è che, nonostante la familiarità apparente o la percezione di controllo che si potrebbe avere verso queste droghe, i rischi associati sono numerosi e gli esiti dell’abuso possono essere imprevisti e irreversibili.

La disponibilità dei video su RaiPlay non solo facilita l’accesso a queste informazioni vitali ma incoraggia anche la condivisione tra amici e familiari, amplificando il potenziale impatto della campagna. Il motto “Ci sono scelte che possono cambiarti la vita. Pensaci un minuto!” sottolinea l’importanza delle decisioni consapevoli e la responsabilità personale nel prevenire le dipendenze.

Questa iniziativa, con la sua creatività e il suo approccio diretto, è un esempio dell’impegno della Rai e del governo italiano nel promuovere la salute pubblica e nel combattere le dipendenze. La direzione Comunicazione della Rai, che ha scritto, ideato e illustrato la campagna, ha dimostrato un notevole talento nel trasmettere un messaggio così potente in un formato così accessibile e coinvolgente.

Guglielmo Marconi: la radio, ieri ed oggi

Oggi omaggiamo il genio di Guglielmo Marconi, nato esattamente centocinquant’anni fa, il 25 aprile 1874 a  Palazzo Marescalchi in Bologna, che ha rivoluzionato il mondo delle comunicazioni e dell’elettronica. Considerato il “Genio delle onde”, Marconi ha contribuito in modo significativo allo sviluppo della radio e di altri strumenti tecnologici che sono diventati parte integrante della nostra vita quotidiana, come il cellulare.
Marconi non ha solo brillato nel campo scientifico, ma è stato anche un uomo di cultura e letteratura, facendo amicizia con personaggi illustri come Pirandello, Puccini e D’Annunzio. Con un’innata capacità di guardare al futuro con chiarezza e determinazione, ha anticipato le trasformazioni che avrebbero rivoluzionato il mondo delle telecomunicazioni.
Ricordiamo inoltre che cento anni fa, in Italia, nasceva l’Unione Radiofonica Italiana (URI), con sede a Roma, aprendo le porte alla trasmissione radiofonica che avrebbe cambiato il modo di comunicare e di diffondere informazioni. La prima trasmissione radiofonica avvenuta il 6 ottobre di quell’anno era ancora rudimentale, ma rappresentava il primo passo verso un nuovo modo di comunicare, con programmi musicali, bollettini meteorologici e notizie di attualità.

La radio, ieri ed oggi

La prima trasmissione viene datata al 24 Dicembre 1906 per opera di Reginal Fessenden, ma la nascita della prima stazione radio con trasmissioni dedicate al “pubblico” si colloca nel 1919, per opera di un ingegnere della Westinghouse, Frank Conrad, che iniziò una serie di trasmissioni dal suo garage di Pittsburg.  Il 2 Novembre del 1920 la KDKA trasmise in diretta il secondo turno delle elezioni presidenziali statunitense e sebbene si calcola che gli apparecchi sintonizzati fossero tra i 500 e i 1000, all’avvenimento fu data una grande risonanza tale da far scattare la corsa alla costruzione di nuove stazioni e la progettazione e la vendita di nuovi apparati riceventi.
Di gran lunga diversa la situazione in Italia; mentre in America si era scatenata la corsa alla radiodiffusione, in territorio italiano si discuteva ancora sull’opportunità di varare la radiodiffusione a uso civile poiché considerata uno strumento di uso esclusivamente militare. Finalmente nel 1924 si completò la prima stazione trasmittente da parte dell’URI (Unione Radiofonica Italiana), una società costruita da Marconi, dopo la “Radiofono”; sei anni dopo furono terminate anche le emittenti di Milano e Napoli. Si  comprese l’importanza del nuovo media e furono costituiti nuovi enti e stazioni  a Roma, Genova, Firenze, Napoli, Palermo, Trieste e Torino.
L’unico grosso problema era il costo della radio: il prezzo medio di una radio era attorno alle 2.000 lire e il reddito annuo medio era ancora al di sotto delle 3.000 lire. Si capisce allora come la radio in Italia fosse un bene estremamente costoso alla portata della sola alta borghesia. Nel 1937 si incominciarono a produrre apparecchi di ottima qualità al di sotto delle 1.000 lire e questo comportò un aumento del numero degli utenti radiofonici. Durante la seconda guerra mondiale la radio assunse un enorme potenziale propagandistico.

 

Tipologie di radio. Negli anni la radio ha cambiato volto, ha studiato nuovi metodi comunicatici, si è diversificata. Della radio del 1906, oggi, resta tanto ma ripartite nelle tante tipologie moderne di radio. L’innovazione, oggi, è il Podcast: una serie di file audio digitali che possono essere scaricati o riprodotti in streaming su dispositivi come computer, smartphone o lettori MP3. I podcast possono coprire una vasta gamma di argomenti e possono essere episodici o a tema unico. Gli ascoltatori possono sottoscrivere un podcast per ricevere automaticamente gli episodi più recenti ogni volta che vengono pubblicati.
La radio è sempre stata vista come volano delle libertà, strumento di emancipazione dei popoli, voce autorevole di innovazione e tradizione, ha conosciuto momenti di crisi, incontrato ostacoli e scogli irti, sfidato i nuovi media, ma è stata l’unica a riuscire a tenersi al riparo dalle polemiche dei programmi televisivi, l’unica a non immolarsi alla logica dell’audience. Oggi, attraverso il ruolo delle web radio,la nostra vecchietta, se saprà sfruttare, come credo, a pieno le potenzialità di internet, sarà più arzilla che mai.