Intervista a Maurizio Merluzzo per Garfield: Una missione gustosa

Garfield: Una missione gustosa il film di animazione, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures ,diretto da Mark Dindal e tratto dai personaggi creati da Jim Davis. Maurizio Merluzzo è la voce italiana del protagonista che nella sua versione originale è doppiato da Chris Pratt.  In attesa del film, scritto da David Reynolds (Alla ricerca di Nemo e Le Follie dell’Imperatore), che arriverà al cinema dal 1° maggio.

L’intervista a Maurizio Merluzzo, la voce italiana di Garfield

Ti rivedi in Garfield?

Mi piacerebbe tantissimo essere Garfield, è il sogno della mia vita:  lui dorme, mangia… dorme di nuovo, guarda un po’ di televisione e mangia di nuovo. Chi non vorrebbe essere un gatto?!?

Secondo te perchè Garfield è un personaggio intramontabile?

Garfield è intramontabile perché è nella vita di tutti noi, in tutte le generazioni. Bambini e ragazzi, quando lo vedranno al cinema, vivranno la stessa esperienza che ho vissuto io quando l’ho visto alla loro età. Grazie ai fumetti e all’animazione, Garfield è diventato parte dell’infanzia di tutti noi.

Qual è il ricordo che conserverai di questo film?

Mi sono divertito durante l’intera fase di doppiaggio del film, c’è una comicità molto tagliente, a volte anche un po’ cinica. Mi ha fatto molto ridere ed è stato facile immedesimarsi in Garfield. Quello che ricorderò di più di questa esperienza è che ho doppiato un personaggio che ho amato nella mia infanzia: non a tutti capita, sono stato molto fortunato!

Ma qual è la trama di Garfield: Una missione gustosa?

Il film inizia con un piccolo cucciolo di Garfield che viene abbandonato in un vicolo da quello che si scoprirà essere Vic, suo padre! Quando si incontrano, Garfield ha dell’astio nei suoi confronti perché pensa che lui l’abbia realmente abbandonato, ma poi… non voglio spoilerare nulla! Tuttavia, vi posso assicurare che si tratta di un film divertentissimo e godibilissimo, da vedere al cinema.

Perché è un film che va visto al cinema e chi dovrebbe vederlo?

Penso che dovrebbero vederlo tutti, grandi e piccini e soprattutto le famiglie perché è un film che racconta dei legami come quello tra Garfield e suo padre, dell’avventura che vivono insieme e di come cresce il loro rapporto. Proprio per questo il film va visto al cinema perché la sala cinematografica è condivisione, e condivisione di un’esperienza bella. Poi la qualità delle animazioni è altissima. Praticamente mentre guardavo il film starnutivo per quanto mi sembrava vero il pelo di Garfield. Giuro!

Nella tua esperienza di doppiatore, quali sono gli aspetti che hai amato di più nel lavorare su questo personaggio?

Doppiare Garfield è stato un onore oltre che un grande prova perchè in cuffia avevo la voce originale americana, che è di Chris Pratt, quindi è stato un po’ come se avessi doppiato lui. Ed è proprio questo uno degli aspetti che amo del mio mestiere: quello di confrontarmi con grandi e diversi attori, con tantissime sfumature diverse. Quindi poter doppiare Chris Pratt che a sua volta doppia Garfield ha fatto sì che si creasse una sinergia che mi ha dato davvero molta soddisfazione.

Come hai reagito quando hai ricevuto la notizia di esser la voce di Garfield?

Ero molto contento perché pochi giorni prima mi era capitato di vedere il trailer in lingua originale (ndr, inglese) e il mio primo pensiero era stato “quanto sarebbe divertente doppiare Garfield”. Poi, quando sono stato chiamato a fare il provino proprio per interpretarlo, potete immaginare la mia felicità.

Ti sei preparato in qualche modo particolare per questa performance?

Ho mangiato lasagne, ho dormito ore ed ore, ho guardato tanta televisione, poi ho di nuovo dormito. E infine ho ricominciato di nuovo tutto il giro… sono diventato un vero e proprio gatto (ndr, scherza)

Nel 2004 e nel 2006, la voce di Garfield è stata prestata da Fiorello. Ti ricordi il suo doppiaggio? Hai mantenuto qualche aspetto, anche tecnico, del suo lavoro?

Sì, ho visto il film doppiato da Fiorello quando uscì e lo ricordo con molto piacere. Però non mi sono ispirato a nessun doppiatore precedente perché quando si lavora a un film, solitamente, si fa riferimento al doppiaggio che stiamo andando a coprire, quindi alla versione e alla voce originale, in questo caso Chris Pratt. Tutto questo è stato possibile anche grazie al direttore del doppiaggio Marco Guadagno con cui abbiamo fatto un lavoro che ci ha permesso di “sentire” bene questo film e restituire in italiano le stesse emozioni della versione originale.

Il personaggio nasce su strisce a fumetti e divenne celebre negli anni ‘80/’90 con una serie animata. Hai avuto modo di leggerne le sue origini o vederle?

Sì, leggevo le strisce sui fumetti di mio fratello maggiore, quindi conosco e adoro Garfield fin da quando ero bambino.

A te piacciono i gatti?

Ti dirò di più, mi piacciono talmente tanto che li invidio: vorrei essere un gatto perché non fanno altro che mangiare e dormire ed è una vita a cui ho sempre aspirato, la mia massima aspirazione è mangiare e dormire (ride, ndr). Ma è solo un sogno e di conseguenza nella vita mi ritrovo a fare il contrario.

Che rapporto hai con il fumetto e l’animazione?

Sono un grande fan del fumetto internazionale e italiano, ma anche di tutta l’animazione internazionale, sia americana che giapponese. Lavorandoci a stretto contatto sono ovviamente molto coinvolto.

E quali sono quindi i personaggi a cui sei maggiormente legato?

Io ho un mio modo per esprimere il mio affetto nei confronti dei personaggi a cui sono particolarmente legato e che ho doppiato: me li tatuo addosso. Ho una sfilza di tatuaggi di personaggi sulla mia gamba sinistra e adesso devo trovare assolutamente lo spazio per Garfield perché se lo merita.

Quali sono i tre doppiatori che consideri i tuoi maestri? C’è un aspetto che “ruberesti” a ognuno di loro?

Per me ci siano più di tre grandi voci, ma ne nominerò solo tre: la prima è quella di Ferruccio Amendola che considero l’anno zero del doppiaggio, per me c’è un prima e un dopo Ferruccio: da lui è nato un doppiaggio più vero, più naturale, “sporco”, parlato: un doppiaggio più realistico. Poi Tonino Accolla, una delle più grandi voci che abbiamo avuto in Italia. Basti pensare alla diversità dei personaggi che ha doppiato nel mondo dell’animazione o alle molteplici voci degli attori che ha interpretato, la genialità nell’inventare frasi celebri o risate tipiche e riconoscibili che tutti ricordano. Infine, Gigi Proietti, perché oltre ad essere un grandissimo doppiatore è stato un immenso attore e mattatore per il teatro, la televisione e il cinema. Con il suo modo di rapportarsi con il pubblico, la sua comicità, era un istrione, un maestro, c’è sempre tanto da imparare da lui.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Fuori dal mondo del doppiaggio ho tantissimi progetti perché il canale YouTube continua a produrre contenuti (anche sul doppiaggio). Abbiamo spesso, come ospiti, colleghi doppiatori, ma anche musicisti, personaggi della televisione, della comicità e tanti altri. Quindi, continuo a produrre sia per YouTube che per i miei canali Social. Nel doppiaggio, invece, come ben noto, non posso dire nulla perché tutti i progetti sono protetti da mistero… o da accordi di riservatezza. Posso dire solo che sono davvero tanti e li scoprirete presto!

Un’ultima domanda, molto nota: “Lei che belva si sente?

Sicuramente un Garfield!

Muore l’inventore del Karaoke, l’hobby canoro giapponese che ha conquistato il mondo

Shigeichi Negishi, l’inventore del karaoke, è scomparso all’età di 100 anni. La sua creazione, la “Sparko Box”, fu la prima ad automatizzare il canto, rivoluzionando il modo in cui le persone si divertono con la musica. Nonostante non abbia mai brevettato la sua invenzione, il suo impatto è innegabile.

La “Sparko Box” di Negishi, commercializzata nel 1967, è riconosciuta come la prima macchina per karaoke dall’All-Japan Karaoke Industrialist Association. Questa invenzione ha aperto la strada a un nuovo tipo di intrattenimento che ha superato rapidamente i confini del Giappone per diventare un fenomeno globale.

Il karaoke ha guadagnato popolarità in Giappone negli anni ’70, per poi diffondersi negli Stati Uniti e in altri paesi, diventando una parte integrante della cultura pop attraverso la sua incorporazione in programmi televisivi, film e musica. In particolare, il programma televisivo “Karaoke” condotto da Fiorello in Italia ha contribuito a lanciare la moda del karaoke nel paese, diventando un fenomeno di costume e un punto di riferimento nella cultura pop italiana.

Il karaoke non è solo un passatempo, ma un mezzo che permette alle persone di esprimersi e connettersi attraverso la musica.

Con l’avvento della tecnologia digitale, il karaoke continua a evolversi, offrendo un’ampia libreria di canzoni e la possibilità di cantare insieme a persone di tutto il mondo. La sua presenza è così radicata nella cultura pop che è difficile immaginare un mondo senza la gioia e l’unità che il karaoke può portare…

Il ballo del qua qua: la canzone che ha fatto ballare generazioni

Se c’è una canzone che ha segnato l’infanzia di molti italiani, quella è sicuramente il ballo del qua qua, il brano cantato da Romina Power nel 1982 e diventato un successo planetario tanto che recentemente è diventato un vero e proprio meme grazie alla sua discussa “interpretazione” di John Travolta al Festival di Sanremo 2024. Ma cosa si nasconde dietro questa simpatica canzoncina per bambini? E perché è ancora così amata dai millennial, la generazione nata tra gli anni ’80 e ’90?

Romina Power  -  Il ballo del qua qua  (1981)

Le origini del ballo del qua qua

Il ballo del qua qua non è una canzone originale italiana, ma la traduzione di un pezzo strumentale svizzero, Der Ententanz (“Il ballo dell’anatra”), composto dallo svizzero Werner Thomas nel 1957. Il brano, che riproduce il verso e i movimenti di una papera, divenne popolare in Europa negli anni ’70, quando il produttore belga Louis Van Rymenant ne commissionò un testo in francese, Le danse des canards, interpretato da J.J. Lionel.

La versione italiana, riarrangiata da T. Rendall e Lorenzo Raggi e cantata da Romina Power, venne pubblicata nel 1981 e compare nell’album di Al Bano & Romina Power Felicità, uscito in Italia nel 1982. Il singolo, accompagnato da una coreografia semplice e divertente, scalò le classifiche e vendette oltre un milione di copie, diventando il sesto più venduto dell’anno. Il brano fu anche tradotto in altre lingue, come l’inglese (The Chicken Dance), lo spagnolo (El baile de los pajaritos) e il tedesco (Vogeltanz).

Il significato del ballo del qua qua

Il testo della canzone racconta la storia di una paperella che decide di lasciarsi andare a una danza liberatoria, nella quale si butta con coraggio, e alla quale in breve tempo partecipano anche i suoi genitori. Il ritornello è dominato dall’onomatopea del verso della papera, “qua qua qua”, e invita a prendere sotto braccio la felicità, basta aver coraggio e andare all’arrembaggio. Il messaggio è quindi di allegria, spensieratezza e voglia di divertirsi, senza preoccuparsi del giudizio altrui.

John Travolta che balla il ballo del Qua qua con Amadeus e Fiorello #fiorello

La canzone, oltre a essere un tormentone per i bambini, è diventata anche un simbolo di ironia e autoironia per i più grandi, che la usano spesso per sdrammatizzare situazioni imbarazzanti o ridicole. Un esempio è appunto la discutibile gag di Sanremo 2024, in cui John Travolta, ospite del festival, si è prestato a ballare il qua qua con Amadeus e Fiorello, scatenando le reazioni divertite e incredule del pubblico e del web.

L’importanza del ballo del qua qua per i millennial

Il ballo del qua qua è una canzone che ha accompagnato l’infanzia e l’adolescenza di molti millennial, la generazione nata tra gli anni ’80 e ’90, che hanno vissuto i cambiamenti sociali, tecnologici e culturali degli ultimi decenni. Per loro, il brano rappresenta un ricordo nostalgico e affettivo, legato ai momenti di festa, di gioco e di condivisione con gli amici e la famiglia. Il ballo del qua qua è anche una canzone che esprime i valori e le aspirazioni dei millennial, come la ricerca della felicità, la libertà di espressione, la creatività e l’apertura al mondo.

Il ballo del qua qua, quindi, non è solo una canzone per bambini, ma un fenomeno culturale che ha attraversato generazioni e continenti, diventando un’icona della musica popolare italiana e internazionale. Il suo successo dimostra che, a volte, basta una melodia orecchiabile, un testo semplice e una coreografia divertente per creare un capolavoro senza tempo.

Sanremo 2024: Travolta e il “Ballo del Qua Qua”, quando il trash diventa virale

Tutto ha avuto inizio con un’improvvisata, un divertente siparietto che ha visto l’attore americano John Travolta e il dinamico duo di Fiorello e Amadeus cimentarsi nel celebre “Ballo del Qua Qua”. Inizialmente sembrava un momento di pura gioia e leggerezza, ma ben presto le reazioni negative sui social media sono arrivate, trasformando la situazione in un vero e proprio disastro mediatico.

Le critiche feroci e immediate hanno travolto Travolta, definendo il ballo di Tony Manero “imbarazzante” e “goffo”, arrivando addirittura ad etichettarlo come un affronto all’umanità. L’indignazione sul web è stata inarrestabile.

Profondamente ferito, l’attore ha deciso di prendere una posizione drastica, rifiutando di dare il suo consenso per l’utilizzo del video della sua esibizione. Le conseguenze sono state apocalittiche: il video del “Ballo del Qua Qua” è scomparso dalla circolazione. Raiplay e RaiNews hanno cancellato la clip dai loro siti web, come se non fosse mai esistita. Fortunatamente, c’è ancora una piccola speranza per gli amanti di questo momento imbarazzante. Il video rimane, per ora, visibile nella replica integrale della puntata su Raiplay. Tuttavia, per quanto tempo resterà accessibile è ancora incerto… menomale che su Youtube le talpe sono davvero dure a morire.

https://youtu.be/bcAvns689Go

Nonostante tutte le critiche e le conseguenze negative, il “Ballo del Qua Qua” di John Travolta passerà alla storia come un meme immortale. Questo episodio di partecipazione dell’attore americano al festival di Sanremo verrà ricordato come uno degli eventi più imbarazzanti nella storia dei festival. Un incidente che però pare impossibile considerare come frutto di pura improvvisazione ma sicuramente è figlio di una scaletta ben studiata e condivisa con l’attore e con il suo staff: un momento di “discutibile avanspettacolo” che coinvolge ballerini in costume, diritti di utilizzo di un brano musicale, la convocazione di uno staff tecnico e, ovviamente, include un contratto blindato tra la Rai e l’agenzia che cura gli interessi di Travolta! Nello show business dopotutto nulla è lasciato al caso è ogni cosa che avviene in TV è formalizzata e contrattualizzata, che si tratti di un claquer o di una star di Hollywood!

Si è appreso dai media che nel contratto di Travolta era presente una non ben precisata indicazione secondo cui “avrebbe ballato”… Ma è chiaro che quel generico riferimento non è sufficiente, in questi casi, proprio per evitare situazioni “fuori controllo” è doveroso includere negli accordi ogni singolo momento dell’atto performativo, sembra improbabile anzi impossibile che lo staff dell’attore fosse all’oscuro di quanto sarebbbe accaduto!

La “performance” che lasciato basita l’Italia intera è in realtà uno dei cliché più consolidati nel mondo dello spettacolo: prendere una persona famosa per le sue abilità in una determinata arte e metterla a fare quella stessa cosa nella sua forma più elementare per suscitare ilarità come quando Gassman declamava il menu di un ristorante come se fosse una poesia lirica. Format come i Muppet Show devono la loro fama proprio a questo genere di show.

La vera questione qui è che Travolta, star conosciuta proprio per le sue dote iconiche nel ballo,  sembrava quasi irriconoscibile durante il “Ballo del Qua Qua”. In realtà l’imbarazzo che ha mostrato è un segno delle sue grandi doti attoriali (oltre che di ballerino).

In conclusione, l’esibizione di John Travolta al festival di Sanremo ha scatenato discussioni, indignazione e risate nel pubblico. Una cosa però è certa: nostante sia una burla studiata a tavolino, questa performance ha dato vita a un meme destinato a rimanere eternamente impresso nella memoria collettiva.

I fumetti di Fiorello: un esperimento editoriale tra marketing e intuizione

Fiorello, uno dei volti più noti dello spettacolo italiano, ha avuto anche una breve parentesi nel mondo del fumetto con la rivista I fumetti di Fiorello, pubblicata nel 1995.

Un’idea nata dal successo:

La rivista era un’estensione del successo di Fiorello, all’epoca reduce dal boom di Karaoke e in procinto di partecipare al Festival di Sanremo. L’obiettivo era di sfruttare la sua popolarità per creare un prodotto crossmediale che coinvolgesse anche i lettori.

Un mix di stili e contenuti:

La rivista presentava due tipi di fumetti: uno caricaturale di Carlo Peroni e uno realistico di Andrea Da Rold. Le storie spaziavano dalla fantascienza al quotidiano, con incursioni nel mondo della musica e dello spettacolo. C’erano anche rubriche, servizi, giochi e test, con un target di riferimento non sempre ben definito.

Un esperimento di breve durata:

I fumetti di Fiorello durò solo quattro numeri, nonostante le buone vendite. Le ragioni della chiusura sono da ricercarsi in una mancanza di coesione editoriale e in un’immagine di Fiorello in fase di transizione.

Un’intuizione anticipatrice:

Pur essendo un esperimento imperfetto, la rivista rappresenta un’intuizione interessante. Anticipa di molti anni la tendenza dei fumetti con protagonisti influencer e personaggi famosi.

Sanremo: Non solo musica, ma un viaggio nella cultura pop italiana

Dalle melodie nostalgiche ai tormentoni virali, il Festival di Sanremo rappresenta un’icona senza tempo della cultura pop italiana. Un palcoscenico che ha visto nascere leggende musicali, lanciato mode e acceso dibattiti accesi, accompagnando l’evoluzione del costume italiano per oltre 70 anni.

Un tuffo nella storia:

  • 1951: Il debutto timido al Casinò di Sanremo, con Nilla Pizzi che conquista la prima vittoria con “Grazie dei fiori”.
  • Anni ’60: L’exploit di icone come Domenico Modugno, Mina e Adriano Celentano, che portano la musica italiana al grande pubblico.
  • Anni ’70 e ’80: Sanremo si apre a nuove sonorità, con la disco music e il rock a conquistare il palco. Nascono le prime rivalità e i tormentoni indimenticabili.
  • Anni ’90: Il Festival si confronta con la concorrenza di nuove televisioni e generi musicali, ma rimane un punto di riferimento per la musica italiana.
  • 2000: L’era moderna, con l’introduzione di nuove regole e la ricerca di un pubblico più giovane. Esperimenti con generi diversi e la partecipazione di artisti internazionali.
  • 2020-presente: L’avvento di Amadeus come direttore artistico segna una rinascita del Festival, con un mix di tradizione e innovazione che conquista la Generazione Z.

Perché Sanremo è ancora importante?

  • Un termometro della cultura pop: Sanremo non è solo musica, ma un riflesso delle tendenze, dei gusti e delle emozioni del pubblico italiano.
  • Un trampolino di lancio: Il Festival ha lanciato la carriera di artisti leggendari, come Andrea Bocelli, Laura Pausini e Måneskin.
  • Un evento social: Sanremo è un fenomeno di costume, con meme, commenti e discussioni che infiammano i social media.
  • Un momento di unità nazionale: Nonostante le diverse opinioni, il Festival rappresenta un momento di condivisione e unione per il popolo italiano.

Amadeus e la rinascita del Festival:

  • Dal 2020: Amadeus ha rivitalizzato Sanremo con un approccio innovativo, pur mantenendone l’essenza.
  • Ospiti: Influencer, youtuber e volti noti del web hanno avvicinato il Festival ad un pubblico giovane.
  • Generi musicali: La diversificazione dei generi ha ampliato il bacino d’utenza, includendo artisti indie, trap e pop.
  • Social media: Il Festival ha sfruttato al meglio i social media per coinvolgere il pubblico giovane e creare un’onda di viralità.

Sanremo non è solo un festival musicale, ma un viaggio nella memoria collettiva e un’occasione per guardare al futuro della musica italiana. Un evento che, tra tradizione e innovazione, continua ad emozionare e unire generazioni diverse.

Luigi Proietti detto Gigi al cinema dal 3 al 9 marzo

Dopo l’anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma, arriverà in esclusiva al cinema per una settimana di celebrazione, dal 3 al 9 marzo, Luigi Proietti detto Gigi, il documentario evento di Edoardo Leo dedicato a uno dei più importanti uomini di spettacolo italiani, prodotto da Italian International Film e Alea Film con Rai Cinema in associazione con Politeama e in collaborazione con Lexus e distribuito da Nexo Digital.

Il racconto di Edoardo Leo si snoda attraverso lo sguardo di chi ha conosciuto Proietti sin dagli inizi della sua carriera – gli amici, la famiglia, i colleghi – e alterna materiali inediti, repertori introvabili e cavalli di battaglia indimenticabili. In questo modo la vita di Proietti viene ripercorsa sin dagli esordi, mostrando successi e battute d’arresto, fino al raggiungimento del mito.

Un viaggio emozionante per scoprire chi era davvero Luigi Proietti, grazie a ricerche, backstage e la sua ultima, intensa, intervista.

All’interno del film trovano spazio anche le testimonianze preziose e dettagliate di alcune delle persone che più lo hanno avuto vicino: Renzo Arbore, Lello Arzilli, Paola Cortellesi, Fiorello, Alessandro Fioroni, Alessandro Gassmann, Marco Giallini, Loretta Goggi, Tommaso Le Pera, Nicola Piovani, Anna Maria Proietti, Carlotta Proietti, Susanna Proietti, Mario Vicari.

LUIGI PROIETTI DETTO GIGI al cinema dal 3 al 9 marzo

Nato da un’idea di Edoardo Leo, il documentario è prodotto da Fulvio, Federica e Paola Lucisano con Paola Ferrari e Edoardo Leo. Luigi Proietti detto Gigi è distribuito al cinema da Nexo Digital con i media partner Il MessaggeroRadio Capital e MYmovies.it.

Postalmarket: ritorna in edicola l’icona pop (e sexy) della generazione Xennial

Ritorna in edicola Postalmarket, non un semplice catalogo di moda ma un’icona della Pop Culture che ha “cresciuto” diverse generazione di italiani portando il concetto dei “grandi magazzini” nelle case degli italiani, molto prima di Amazon e di Ebay, Lo storico catalogo italiano, ora diventato un magazine di trend e d’ispirazione per lo shopping Made in Italy , torna in edicola! Secondo il mitico showman Fiorello si può riassumete la sua esperienza di lettura “da bambino” di questo catalogo.
Era un oggetto mitico, uno di famiglia. Era il pozzo dei desideri, dove immergersi per sessioni di shopping a costo zero, spesso, perché già solo sfogliarlo ti dava soddisfazione. E sì, univa un po’ tutta l’Italia, perché al di là del ceto sociale e possibilità economiche i sogni di un bel vestito o di un oggetto per la casa erano gli stessi. Insomma, sognare non costava nulla”.
Come non condividere questo pensiero di Fiorello? Si perchè da bambini, noi poveri “Xennial” nati a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, non aspettavamo altro che l’arrivo di Postalmarket (e del suo competitor vestro) per entrare in un “negozio di giocattoli” cartaceo, scoprire i nuovi pupazzi e giochi, cominciare a redigere la nostra letterina a Babbo Natale che, invece della slitta, uscava proprio questi “martketplace analogici” come mezzo per arrivare nelle cassetta delle lettere dei nostri genitori.
Poi, siamo obiettivi, arrivò l’adolescenza è l’interessa verso la rivista/catalogo cambiò drasticamente! In un tempo lontano quando Pornub era solo un’utopia e nel quale solo pochi coraggiosi compagni di classe ardivano recarsi in edicola o in videoteca alla ricera ci materiale “vietato ai minori”, noi poveri ragazzotto aspettavamo con piacere Postalmakert perché era l’unica rivista, ammessa in casa, in cui si poteva “intravedere” (con molto fantasia) corpi di bellissime modelle in intimo: primo sogno erotico se non si considera ovvviamente il cartone animato “L’incantevole Creamy“. Postalmarket dunque è stato un vettore del nostro gusto del proibito perchè aveva l’ardire di mostrare (suo malgrado) particolari anatomici e figure femminili anche se, ovviamente, in pose pudiche e molto castigate… a noi, in quei tempi lontani, bastava così.
Poi diventammo “Nerd”, orgogliosi esserlo, i giocattoli e le donnine passarono in secondo piano rispetto ai videogiochi (certo che eravamo strani!). Postalmarket rappresentò per noi una “chiave di volta”: uno strumento utilissimo per condividere con i nostri genitori le meraviglie della tecnologia di quel periodo in modo semplice ed efficace direttamente grazie alle foto e alle descrizione “molto creative” dei redattori della rivista!
Di acqua ne e passata sotto i ponti e parlare di queste cose ora, tra la galassia di piattaforme e di ecommerce moderni sembra davvero molto assurdo, a tratti boomer.
Comunque dopo anni di oblio, Postalmarket è tornato a far parlare di se, rinascendo dalle sue ceneri nell’estate 2021 con l’apertura del marketplace Postalmarket.it. Il magazine è la vetrina editoriale di un marketplace che registra numeri importanti con 50 mila prodotti disponibili all’acquisto. Non solo moda dunque, ma anche beauty, food&beverage, casa, intimo, tempo libero, arte ed esperienze turistiche. Ampio spazio viene riservato alle aziende impegnate sul fronte della sostenibilità, sia etica che ambientale. La prima edizione del nuovo catalogo cartaceo uscita in centomila copie ad ottobre 2021 (in copertina Diletta Leotta) è andata sold out in pochi giorni.
Exit mobile version