Immagina di salire su un treno, trovare il tuo posto, posare lo zaino… e accorgerti che sul sedile accanto al tuo, comodamente acciambellato, ti osserva un paffuto micione dagli occhi curiosi. Non sei finito in un manga, né in un sogno: sei sul “Treno dei gatti” in Giappone, una delle iniziative più dolci e stravaganti che il Sol Levante abbia mai messo sui binari per sensibilizzare sul tema del randagismo felino.
Nel settembre 2017, nella prefettura di Gifu, un treno locale che collegava Ikeno a Ogaki si è trasformato per un giorno in un paradiso a quattro zampe: trenta gatti, salvati dalla strada grazie all’impegno di una ONG, hanno preso possesso dei vagoni per incontrare i passeggeri. Ma non immagini vagoni normali: sedute a salotto, cestini da picnic colmi di dolcetti e bentō, coccole senza fine e fusa che hanno fatto sciogliere anche i cuori più freddi. L’obiettivo? Sensibilizzare i giapponesi su un problema che, purtroppo, è stato a lungo sottovalutato: quello degli abbattimenti di massa dei randagi.
Nel solo 2004, in Giappone, venivano soppressi quasi 240.000 gatti. Un numero agghiacciante che, grazie a iniziative come questa, si è ridotto a poco più di 45.000 nel 2016. Non sono ancora numeri da festeggiare, ma la strada è tracciata, e ogni zampa lasciata sul percorso conta. Parte del ricavato dei biglietti (andati esauriti in poche ore, ça va sans dire) è stato destinato proprio alle cure e al salvataggio dei mici randagi.
Ma il Giappone è un paese dove il confine tra realtà e folklore è spesso sfumato. E infatti non possiamo non citare il celebre “Lucky Cat Train” della linea Tokyu Setagaya a Tokyo. Questo treno, che omaggia il Gotokuji, tempio famoso per i Maneki-neko (i gatti portafortuna con la zampina alzata), è una vera delizia per gli occhi: carrozze decorate con disegni di gatti, cinghie a forma di zampette, impronte sul pavimento. È il luogo perfetto per chi ama lasciarsi incantare dai piccoli dettagli e dai simboli di buona sorte.
La Setagaya Line è un’esperienza da fare almeno una volta, non solo per i nerd e gli otaku amanti dei gatti, ma per chiunque voglia assaporare il lato più tenero e pittoresco di Tokyo. Una linea a due carrozze, con stazioni senza personale, che attraversa quartieri storici e chic, fino ad arrivare al Gotokuji e al Santuario Setagaya Hachimangu, con tanto di ring per il sumo. Un mix irresistibile di modernità, tradizione e, ovviamente, felini.
In un Giappone che è patria di cat café, templi dedicati ai gatti e isole abitate quasi esclusivamente da felini (avete mai sentito parlare di Aoshima o Tashirojima?), il “Treno dei gatti” è l’ennesima, meravigliosa conferma di quanto queste creature facciano parte dell’immaginario collettivo. E chissà, magari un giorno, tra una fermata e l’altra, qualcuno troverà proprio lì il compagno di vita che non sapeva di cercare.
E tu? Ti piacerebbe viaggiare su un treno pieno di gatti? Oppure conosci altre iniziative geek, nerd o curiose legate al mondo animale? Raccontamelo nei commenti e condividi questo articolo sui tuoi social: chi lo sa, potresti ispirare un amico a prenotare un viaggio (o a salvare un micio)!
Nel calendario giapponese, quando il cielo estivo si veste di luci e desideri, prende vita una delle festività più affascinanti e romantiche della cultura nipponica: Tanabata, la “Settima Notte”. Celebrata tradizionalmente il 7 luglio — anche se la data può variare in base al calendario lunisolare — Tanabata è molto più di una semplice ricorrenza: è un incontro annuale tra due stelle, una leggenda d’amore che ha attraversato secoli, continenti e galassie, fino a trovare posto anche tra gli scaffali dei manga, le puntate degli anime e persino nei nostri videogiochi preferiti.
La leggenda di Orihime e Hikoboshi: quando le stelle si amano
La storia che ha dato origine a Tanabata sembra uscita da un’antica fiaba spaziale, degna delle migliori trame fantasy con un tocco di romanticismo struggente. Orihime, principessa e tessitrice celeste, figlia del potente dio del cielo Tentei, passava le sue giornate a tessere abiti preziosi per le divinità. Ma il suo cuore, cucito tra i fili del dovere, era vuoto di amore.
Commosso dalla sua solitudine, il padre decise di unirla in matrimonio con Hikoboshi, un giovane mandriano delle stelle, devoto e laborioso. Il loro amore fu immediato, totalizzante… forse troppo. Presi dalla passione, Orihime e Hikoboshi trascurarono i loro compiti celesti. Gli abiti divini rimasero incompiuti, e i buoi sacri vagarono nel cielo senza guida. L’ira di Tentei non tardò a manifestarsi: i due amanti vennero separati, confinati su sponde opposte del Fiume Celeste, ovvero la Via Lattea. Tuttavia, ogni anno, il settimo giorno del settimo mese, uno stormo di gazze pietose forma un ponte con le proprie ali, permettendo ai due di rivedersi per una sola, magica notte.
Una storia struggente, senza tempo, capace di parlare d’amore, sacrificio e speranza. E forse è proprio per questo che Tanabata ha conquistato anche l’immaginario collettivo della cultura pop contemporanea.
Tradizione e magia tra le strade del Giappone
Chi ha la fortuna di trovarsi in Giappone in questo periodo può vivere una delle esperienze più poetiche di sempre. Le città si trasformano in mondi onirici dove luci soffuse, lanterne di carta, yukata colorati e decorazioni simboliche invadono le strade. La più iconica tra tutte è il tanzaku, una piccola striscia di carta colorata su cui si scrivono desideri, sogni e promesse, poi legati con cura ai rami di un albero di bambù. Una vera e propria “posta celeste” per le stelle, affinché i nostri desideri raggiungano il cielo, proprio come accade tra Orihime e Hikoboshi.
Ogni decorazione ha un significato: le fukinagashi, le stelle filanti, richiamano i fili della tela tessuta da Orihime; gli orizuru, origami a forma di gru, simboleggiano salute e longevità; le toami, reti da pesca, portano fortuna nei raccolti. Il bambù, flessibile e resistente, rappresenta la forza e la crescita, ed è il simbolo centrale della festa. In alcune regioni si usa lasciar galleggiare le foglie nel fiume insieme a lanterne, un rito che coniuga purificazione e speranza.
Da Edo a Sendai: un viaggio nel tempo e nello spazio
Tanabata non è nato ieri. Le sue origini risalgono al lontano 755, quando fu importato dalla Cina come trasposizione del festival Qīxī, durante il regno dell’imperatrice Kōken. La leggenda si fuse in Giappone con rituali shintoisti, come la cerimonia della tanabatatsume, una vergine che tesseva vesti per le divinità. Questo intreccio di mitologia e religione diede vita a una tradizione unica, che raggiunse il culmine durante il periodo Edo, soprattutto a Sendai, città che ancora oggi ospita il Tanabata più celebre del Giappone.
Dal 6 all’8 agosto, Sendai si trasforma in un universo di lanterne, tanzaku, stelle filanti e bancarelle traboccanti di dolci e giochi. Le decorazioni raggiungono dimensioni monumentali, vere e proprie installazioni artistiche, tra le più spettacolari di tutto il Sol Levante. La festa è diventata così popolare che ha anche resistito a guerre, crisi economiche e modernizzazione, rinascendo ogni volta più brillante che mai.
Quando Tanabata incontra manga, anime e videogiochi
E qui si entra nel vivo della passione nerd. La leggenda di Tanabata non è rimasta confinata ai libri di storia o alle feste popolari: ha contaminato profondamente la cultura pop giapponese. Gli anime e i manga abbondano di episodi dedicati a questa festa. In La malinconia di Haruhi Suzumiya, ad esempio, il Tanabata diventa lo sfondo di riflessioni filosofiche e viaggi temporali. Kimagure Orange Road, Keroro, Ranma ½, Pretty Star… tutti hanno celebrato questa romantica ricorrenza.
Persino Steins;Gate 0 ci regala momenti in cui la leggenda viene rievocata con toni malinconici, mentre Nana e Kiss Me Licia ci mostrano tanzaku scritti con emozioni vere. In ambito videoludico, la serie Animal Crossing non si è fatta sfuggire l’occasione di omaggiare questa celebrazione con oggetti tematici e decorazioni a tema, permettendo anche ai giocatori occidentali di partecipare, seppur virtualmente, a questa notte speciale.
E se ti sembra poco, persino il vertice del G8 del 2008 è stato influenzato da Tanabata: ai leader mondiali fu chiesto di scrivere i loro desideri per un mondo migliore e appenderli a un ramo di bambù. Un gesto simbolico, potente, poetico.
Tanabata: un rituale cosmico che ci ricorda di sognare
Tanabata non è solo una festa giapponese. È una celebrazione dell’amore che resiste al tempo, dello spirito umano che cerca sempre un ponte, una possibilità, anche quando tutto sembra perduto. È un rito che parla al nostro cuore geek, amante delle storie, dei miti, delle emozioni senza tempo.Guardare la Via Lattea e pensare che due stelle si stiano finalmente incontrando, dopo un anno di attesa, ha qualcosa di profondamente commovente. Ed è bello pensare che, scrivendo un desiderio su un pezzetto di carta e affidandolo al vento, stiamo partecipando anche noi a quel racconto millenario.
Quindi, armati di carta colorata e fantasia, scrivi il tuo desiderio. Appendilo al primo bambù che trovi o anche solo idealmente, nella tua mente nerd. Perché la magia del Tanabata non ha confini, né di spazio né di tempo. E tu? Hai mai celebrato il Tanabata o hai un anime del cuore che ti ha fatto sognare questa festa? Scrivilo nei commenti qui sotto e condividi questo articolo sui tuoi social: magari tra le stelle, Orihime e Hikoboshi leggeranno anche i tuoi desideri!
C’è qualcosa di magico nel solo pronunciare la parola Giappone. Un brivido che parte dalla nuca e corre giù lungo la schiena, come quando Ash cattura il suo primo Pokémon o quando il tema di Neon Genesis Evangelion parte all’improvviso nella playlist. Per noi nerd, otaku, appassionati di manga, anime, videogiochi, cosplay, samurai e gadget tech, il Giappone non è solo un Paese: è un sogno ricorrente, una dimensione alternativa fatta di torii rossi, combinazioni di colori che sembrano uscite da una palette di Studio Ghibli e una cultura tanto affascinante quanto stratificata.
Chi ha sempre sognato di perdersi tra i vicoli illuminati dai neon di Akihabara, di salire le famose scale di Kyoto viste in mille anime, di indossare uno yukata durante un matsuri estivo mentre scoppiano i fuochi d’artificio sullo sfondo… beh, dovrà fare i conti con una piccola grande rivoluzione: si chiama JESTA. Tranquilli, non è il nome di un nuovo mecha della Sunrise — anche se suona dannatamente figo — ma l’acronimo di Japan Electronic System for Travel Authorisation. In pratica, il Giappone sta introducendo una versione nipponica dell’ESTA americano e dell’ETA britannico, e sarà operativa già dal 2028.
Cosa significa tutto questo per noi, sognatori col passaporto sempre pronto e la wishlist di luoghi nerd da visitare lunga quanto una light novel? Significa che non basterà più prenotare un volo per Tokyo o Osaka e presentarsi con il passaporto in mano. Bisognerà ottenere, in anticipo, un’autorizzazione elettronica di viaggio, il JESTA appunto. Una novità che, se da un lato potrebbe sembrare una seccatura burocratica, dall’altro lato si inserisce in un contesto molto più ampio: quello del turismo post-pandemia e del boom di visitatori che il Giappone sta vivendo.
Solo nel 2024, il numero di turisti stranieri ha sfiorato i 37 milioni. Una cifra record che fa brillare gli occhi alle agenzie di viaggio, ma che ha mandato in crisi alcune delle mete più visitate. Kyoto, per esempio, è diventata simbolo dell’overtourism: autobus stipati all’inverosimile, strade storiche invase da comitive rumorose e residenti costretti a modificare le proprie abitudini quotidiane. I templi, un tempo luoghi di silenzio e spiritualità, ora sono il set preferito per TikTok e selfie in kimono presi a noleggio. Persino località meno conosciute come Kanazawa e Miyajima cominciano a risentire di questa presenza massiccia e continua.
Ecco perché il governo giapponese ha deciso di anticipare i tempi: se prima si parlava del 2030, ora il JESTA entrerà in vigore già dal 2028, come ha dichiarato il Ministro della Giustizia Keisuke Suzuki. Ma non temete: non si tratta di un visto tradizionale, bensì di un’autorizzazione preventiva rivolta ai cittadini dei Paesi — come l’Italia — che attualmente possono entrare senza visto per motivi turistici o di affari, per soggiorni fino a 90 giorni.
Il processo sarà tutto sommato semplice: ci si collegherà a un portale online, si compilerà un modulo con i propri dati, lo scopo del viaggio (non preoccupatevi, anche “visitare il Gundam gigante a Odaiba” o “fare un tour delle location di Your Name” saranno risposte assolutamente valide) e l’indirizzo del primo alloggio. Una volta approvati, avremo una sorta di lasciapassare digitale valido per più ingressi e per diversi anni. Una manna dal cielo per chi partecipa regolarmente al Tokyo Game Show, al Comiket o a eventi cosplay di livello internazionale.
Sul fronte costi, nulla è ancora ufficiale, ma si parla di una cifra compresa tra i 15 e i 20 euro. Una spesa contenuta per continuare a esplorare quel Paese che ci fa battere il cuore ogni volta che lo vediamo animato o immortalato in un JRPG. E il vantaggio, va detto, non è solo per noi: grazie al JESTA, il governo potrà migliorare i controlli e prevenire gli ingressi irregolari o i soggiorni oltre il limite consentito, un problema che sta diventando sempre più frequente e che rischia di compromettere il delicato equilibrio tra apertura al mondo e tutela del patrimonio nazionale.
Pensateci: un giorno sarete in coda per salire su una replica del Eva-01 a Fujikyu Highland, e il giorno dopo passeggiate nel Kyoto International Manga Museum guardando originali di One Piece o Slam Dunk. Oppure fate un salto a Nakano Broadway per recuperare l’action figure introvabile di Gundam Wing, prima di tuffarvi nei bagni termali di Beppu. Tutto questo continuerà a essere possibile, ma con un pass in più: quello digitale.
E no, non preoccupatevi: non dovrete trasformarvi in burocrati per ottenerlo. Ma come ogni grande avventura — e noi, di avventure, ne seguiamo ogni giorno, tra shonen e sci-fi — ci sarà da compilare qualche modulo, fare un paio di click e pianificare con un pizzico di anticipo. Anche perché, diciamocelo: cosa c’è di più anime di un eroe che si prepara meticolosamente prima di partire per il suo viaggio? Persino Naruto ha dovuto superare un esame di selezione prima di diventare ninja!
Il consiglio è semplice: se avete in mente un viaggio in Giappone per il 2028 o oltre, iniziate a seguire le comunicazioni ufficiali, date un’occhiata al sito dell’immigrazione giapponese o contattate l’ambasciata per rimanere aggiornati. Il livello successivo del vostro pellegrinaggio nerd richiederà un po’ di organizzazione, ma vi permetterà di continuare a vivere il sogno nipponico in tutta tranquillità.
Dopotutto, come in ogni saga che si rispetti, anche questa ha il suo “checkpoint”.
E tu? Hai già pianificato il tuo prossimo viaggio nerd in Giappone? Sei pronto a ottenere il tuo JESTA e sbloccare una nuova avventura tra torii, ramen bollente e quartieri dove il confine tra realtà e fantasia è più sottile che mai?
Parliamone nei commenti, condividi questo articolo con chi sogna il Giappone almeno quanto te e continua a seguirci su CorriereNerd.it per news, reportage, interviste e guide nerd direttamente dal cuore pulsante del Sol Levante. Il viaggio è appena cominciato, e il Giappone ti aspetta… con un JESTA pronto da scaricare!
Hai mai sognato di camminare per le strade di una metropoli futuristica, circondato da grattacieli, palazzi imperiali e insegne al neon, mentre nel frattempo ti concedi qualche sfizio geek tra manga, K-pop, action figure e videogiochi? Allora prepara lo zaino e il passaporto: oggi ti porto a Seoul, la vibrante capitale della Corea del Sud, una delle mete più affascinanti per ogni viaggiatore nerd che si rispetti.
Seoul, o come la chiamano i coreani 서울특별시 (Seoul Teukbyeolsi, “Città Speciale di Seoul”), non è solo il cuore politico, economico e culturale del Paese. È un gigantesco hub tecnologico, patria di K-dramas, K-pop, e punto d’incontro di culture pop orientali e occidentali. Sì, se ami i videogiochi, gli anime, i manga, i gadget hi-tech e vuoi anche scoprire una storia millenaria, qui ti sentirai come un personaggio di un JRPG che esplora una nuova città piena di quest nascoste.
Seoul, South Korea city skyline nighttime skyline.
Seoul, tra passato imperiale e futuro digitale
Fondata secoli fa con il nome di Hanyang, poi conosciuta come Hanseong, Seoul oggi è la città più popolosa della Corea del Sud, con un’area metropolitana che tocca i 25 milioni di abitanti. Pensate che il suo sviluppo negli ultimi decenni viene definito “miracolo del fiume Han”, per via della rapida crescita economica che l’ha resa uno dei principali centri globali della tecnologia.
Camminando per le sue strade ti accorgi subito di quanto questa città sia cablata e proiettata nel futuro. Connessioni internet super veloci, grattacieli ipertecnologici e la massima attenzione alla sostenibilità ambientale: il governo di Seoul ha infatti adottato numerose politiche per ridurre lo smog e migliorare la qualità delle acque del fiume Han.
Ma la magia di Seoul non sta solo nei suoi server ultraveloci. Il suo fascino è anche storico, tangibile nei meravigliosi palazzi reali, nei templi antichi e nei quartieri tradizionali che resistono tra i palazzi di vetro.
Esplora i palazzi della dinastia Joseon: Gyeongbokgung e Changdeokgung
Una tappa imperdibile per ogni amante della storia e del fantasy è senza dubbio il Gyeongbokgung Palace, costruito nel 1394. Questo è il più grande dei palazzi reali di Seoul, con oltre 300 edifici e 5.000 stanze (anche se molti furono purtroppo distrutti durante le invasioni giapponesi). L’atmosfera qui è unica, soprattutto al tramonto, quando il sole si riflette sul padiglione galleggiante Gyeonghoeru. La vicina Piazza Gwanghwamun, con la statua di Sejong il Grande, completa il quadro di un luogo che sembra uscito direttamente da un anime storico.
Se hai il cuore romantico, non perdere il Changdeokgung e il suo leggendario giardino segreto. Questo angolo di paradiso era il rifugio privato del re e delle donne della corte. In autunno, tra alberi secolari e padiglioni fiabeschi, passeggiare in hanbok — l’abito tradizionale coreano — ti farà sentire come un vero personaggio da drama coreano.
Bukchon Hanok Village: un salto nel tempo
Per un tuffo nella Seoul di 600 anni fa, non c’è niente di meglio del Bukchon Hanok Village. Più di 900 hanok, le antiche case tradizionali coreane, ti aspettano in un dedalo di vicoli suggestivi. Qui la cultura prende vita tra botteghe artigiane, musei e ristoranti tipici. Ed è davvero il posto perfetto per scattare foto da condividere sui social, facendo invidia a tutti i tuoi amici geek.
Bukhansan Mountain: natura, fortezze e avventure
Se ti piace camminare o ami i GDR che alternano città e dungeon naturali, allora devi assolutamente salire sulla Bukhansan Mountain. Situata a nord di Seoul, è visibile praticamente da ogni angolo della città. Le sue pendici ospitano antiche fortificazioni con mura lunghe 8 km e alte 7 metri: una vera e propria roccaforte della dinastia Joseon. E tra una salita e l’altra potresti anche scoprire templi suggestivi e scorci naturali mozzafiato.
Seoul Tower: la torre geek per eccellenza
Simbolo moderno della città è la Seoul Tower, conosciuta anche come Namsan Tower. Alta 236 metri, fu completata nel 1971 e oggi è uno dei luoghi più visitati. Gli appassionati di cultura nerd e pop qui troveranno ristoranti a tema, osservatori panoramici da cui ammirare Seoul illuminata di notte e — ovviamente — tantissimi angoli perfetti per scatti Instagram da vero influencer.
Shopping nerd a Seoul: il vero paradiso geek
E adesso veniamo alla parte più nerd del viaggio: lo shopping!
Seoul offre diverse zone dove fare incetta di gadget, manga, action figure e videogiochi. Gli appassionati di Gunpla non possono perdere il gigantesco Gundam Base all’I’Park Mall. Sempre a Yongsan, il Video Game Alley è un piccolo paradiso per chi cerca console retrò, giochi usati e per veri collezionisti.
Se ami i giochi da tavolo, il negozio Rolling Dice è perfetto per scoprire chicche difficili da trovare altrove. E se sei in vena di esplorazioni alternative, i mercatini del Dongdaemun Stationery and Toys Wholesale Market offrono tesori nascosti a prezzi imbattibili.
Per gli amanti del retro gaming e dei bar a tema, il RetroGameBar di Hongdae è imperdibile: drink, cabinati e una fantastica atmosfera old school ti aspettano per una serata davvero geek. Mentre per l’elettronica e il tech, non perderti il Kukje Electronics Center, una vera mecca per chi vuole scovare pezzi introvabili.
Infine, se cerchi il massimo del mix tra tecnologia e cultura pop, visita Electro Mart negli Starfield malls: un grande magazzino futuristico che sembra uscito da un manga cyberpunk.
Un viaggio da sogno per ogni geek
In definitiva, Seoul è una meta irresistibile per ogni amante della cultura nerd e geek. Tra antichi palazzi che sembrano set da film fantasy, quartieri tradizionali pieni di atmosfera, montagne leggendarie e un’offerta di shopping da fare impallidire anche Akihabara, questa città non smette mai di stupire.
E poi, c’è tutta la scena legata a K-pop, K-drama, street food e un fermento culturale che la rende viva a ogni ora del giorno e della notte.
Se sei ancora indeciso se prenotare il viaggio… beh, come direbbe un personaggio di un visual novel: “Join us!”. Non ti resta che scegliere il tuo party di avventurieri, mettere in valigia la voglia di esplorare e salire sull’aereo. Seoul ti aspetta.
E tu? Ci sei già stato o stai sognando di partire? Raccontacelo nei commenti e condividi l’articolo sui tuoi social preferiti: chissà che non trovi qualche compagno di viaggio nerd per la tua prossima avventura in Corea del Sud!
C’è un giorno, anzi due, in cui il mondo si veste di pizzi, merletti, silhouette romantiche e un’eleganza d’altri tempi. Un giorno in cui la modernità si inchina alla nostalgia, e l’individualismo trova il suo palcoscenico nei parchi cittadini, nei caffè eleganti o nei feed di Instagram. È l’International Lolita Day, la festa più amata dalla comunità internazionale della moda Lolita. Si celebra due volte l’anno — il primo sabato di giugno e quello di dicembre — ed è molto più di un’occasione per sfoggiare abiti sontuosi: è una dichiarazione di stile, di identità e di resistenza estetica.
Nata tra le righe digitali di LiveJournal, e più precisamente nell’iconica comunità EGL (Elegant Gothic Lolita), l’International Lolita Day ha avuto la sua prima edizione ufficiale il 3 dicembre 2005. Da quel momento in poi, è diventata una ricorrenza globale, attesa e celebrata con amore da appassionati di ogni angolo del pianeta. E se vi capita di scorrere l’hashtag #InternationalLolitaDay o #ILD nei prossimi giorni, preparatevi a un tripudio visivo di abiti spettacolari, incontri tra “frilly friends” e tanto, tantissimo romanticismo sartoriale.
L’origine ribelle della moda Lolita
Per comprendere davvero il senso dell’International Lolita Day, dobbiamo fare un salto nel tempo — e nello spazio. Tutto ha inizio nel Giappone degli anni ’80, più precisamente nei quartieri eccentrici di Harajuku, a Tokyo, dove l’estetica Lolita si è formata come reazione culturale al minimalismo asettico e alla standardizzazione sociale. La moda Lolita è un’esplosione barocca in un mondo che predilige il funzionale. È un’ode all’eccesso, ma con grazia. È fiaba, gotico e ribellione che si intrecciano tra le cuciture.
Le radici di questa moda affondano nel cuore dell’epoca Vittoriana e Rococò, con un pizzico di romanticismo gotico preso in prestito dalla letteratura ottocentesca. Pizzi delicati, gonne a campana, corsetti decorati, fiocchi ovunque: tutto concorre a creare un look che sembra uscito da un dipinto o da un romanzo. Ma attenzione: dietro questa apparente delicatezza, c’è una forza inaspettata. Chi veste Lolita, che sia nella variante Sweet, Classic o Gothic, sta comunicando qualcosa di potente: la libertà di scegliere chi essere, come apparire, e come raccontare la propria storia.
Un giorno per sentirsi parte di un mondo alternativo
L’International Lolita Day è molto più che una semplice sfilata personale. È il momento perfetto per incontrarsi, stringere nuove amicizie, celebrare la moda in tutta la sua teatralità e condividere un senso di appartenenza. Per chi vive in città piccole o in paesi dove la cultura Lolita è meno diffusa, questa giornata rappresenta un raro spiraglio di comunità. È il segnale che non si è soli nel voler essere sé stessi, nel voler esprimere la propria identità attraverso tessuti e accessori.
Non esiste un “modo giusto” per festeggiare l’ILD. Alcuni partecipano a tea party in stile vittoriano, sorseggiando Earl Grey tra risate e pizzi. Altri organizzano picnic nei parchi, passeggiate eleganti per il centro città o visitano musei vestiti di tutto punto, trasformando un pomeriggio ordinario in una performance visiva. E poi ci sono le celebrazioni digitali, sempre più popolari: incontri su Discord, live su Instagram, condivisioni di “coordinate” (gli outfit completi) e challenge creative su TikTok e YouTube.
Una festa per tutte e tutti
Uno degli aspetti più belli dell’International Lolita Day è la sua inclusività. Non importa il genere, l’età, la taglia o il background: la moda Lolita è per chiunque desideri esplorare questa estetica con passione e rispetto. Accanto alle Lolita, troviamo anche i Brolita, uomini che abbracciano questo stile con la stessa grazia e determinazione. Perché, alla fine, ciò che conta davvero è l’amore per la bellezza, per il dettaglio e per la libertà espressiva.
In un mondo dove tutto deve essere veloce, pratico, efficiente, la moda Lolita è una forma di resistenza culturale. Indossare un abito ispirato al Settecento per andare a prendere un caffè è un atto dirompente. È come gridare al mondo: “Io sono qui, e sono fatta di storie, sogni e fiocchi di raso”. E l’ILD è il palco perfetto su cui salire per vivere questo sogno ad alta voce.
Il calendario della bellezza
Per chi desidera partecipare alle celebrazioni, ecco le date da segnare con un cuore rosa sul calendario:
ILD Estivo: primo sabato di giugno — quest’anno cade il 7 giugno 2025.
ILD Invernale: primo sabato di dicembre — in arrivo il 6 dicembre 2025.
Due occasioni per vivere la moda Lolita in tutte le sue stagioni: abiti freschi e floreali sotto il sole d’inizio estate, oppure completi eleganti e vellutati mentre la neve cade silenziosa. Due momenti diversi, ma uniti dallo stesso spirito.
La celebrazione di uno stile di vita
Ciò che rende speciale l’International Lolita Day non è solo la bellezza degli abiti, ma il messaggio profondo che li accompagna: un invito a essere sé stessi, a creare legami autentici e a trovare una famiglia tra chi condivide la stessa visione del mondo. È la dimostrazione che la moda può essere molto più che apparenza: può diventare una forma d’arte vivente, una filosofia estetica, un abbraccio tra sconosciuti che parlano la stessa lingua fatta di pizzi e sogni.
Allora, che tu sia una veterana del Gothic Lolita, una novizia attratta dalle atmosfere rococò o semplicemente una curiosa in cerca di ispirazione, l’International Lolita Day è il momento perfetto per entrare in questo universo incantato. Indossa il tuo outfit più bello, scatta una foto, sorridi al mondo e lascia che la tua eleganza parli per te.
Hai già partecipato a un International Lolita Day? O stai pensando di farlo quest’anno? Raccontacelo nei commenti! Condividi questo articolo con le tue amiche (e amici) Lolita sui social e aiutaci a diffondere la magia di questa moda unica e meravigliosa. Perché l’eleganza può essere anche un atto di rivoluzione.
Nel cuore pulsante di Tokyo, nascosto tra i vicoli del distretto di Katsushika, esiste un angolo magico dove la finzione si fonde con la realtà. Un luogo dove il tempo sembra essersi fermato tra un calcio al pallone e un sogno di gloria mondiale: benvenuti a Yotsugi, quartiere natale di Yōichi Takahashi, il leggendario mangaka che ha dato vita a uno dei miti più amati dell’universo anime e manga, Capitan Tsubasa, conosciuto in Italia come Holly e Benji.
Chi è cresciuto negli anni ’80 e ’90 sa benissimo cosa significano quei nomi. Holly e Benji non erano solo due personaggi: erano i nostri eroi, i campioni che ci hanno fatto innamorare del calcio con partite interminabili sotto cieli epici, tra campi lunghi chilometri e parate che sfidavano le leggi della fisica. Ma a Yotsugi, quel sogno non è mai finito. È diventato parte integrante del paesaggio urbano, trasformandosi in un tributo permanente a un’opera che ha segnato intere generazioni di fan.
Appena si scende alla stazione di Yotsugi, gestita dalla Keisei Dentetsu, si viene immediatamente avvolti dall’atmosfera unica di questo piccolo tempio nerd. Non si tratta di una semplice fermata ferroviaria, ma di un vero e proprio santuario dedicato a Capitan Tsubasa. Le pareti, i soffitti, le scalinate: ogni angolo è decorato con immagini iconiche tratte dal manga e dall’anime, con i volti familiari di Tsubasa Ozora, Genzo Wakabayashi, Kojiro Hyuga e tutti gli altri protagonisti che abbiamo amato.
A rendere l’esperienza ancora più suggestiva c’è la melodia che accoglie ogni treno in arrivo: si tratta della sigla originale giapponese Moete Hero, quella che, per i fan più accaniti, è un inno alla passione e all’amicizia. E non è finita qui: nel cuore della stazione c’è anche una straordinaria opera d’arte, la cosiddetta “ticket art” raffigurante proprio Holly, composta da oltre 110.000 biglietti ferroviari usati. Un tributo commovente, creato con dedizione e ingegno, che rende omaggio alla forza del collettivo e alla bellezza delle piccole cose.
Uscendo dalla stazione, l’avventura continua con un percorso turistico tematico che guida i visitatori tra ben nove statue sparse per il quartiere, ognuna dedicata a un personaggio diverso della serie. Si tratta di un vero e proprio tour immersivo, pensato per i fan ma capace di affascinare anche i semplici curiosi. Grazie a una mappa interattiva con QR code, è possibile scoprire tutte le location delle statue, approfondire la storia dei personaggi e farsi un selfie in compagnia dei propri campioni preferiti. Il tutto condito da un’atmosfera nostalgica che profuma di infanzia e sogni a occhi aperti.
Proprio accanto alla stazione c’è anche un Family Mart a tema, perfetto per fare una pausa golosa tra una tappa e l’altra del tour. Ma il vero paradiso per i collezionisti è lo store ufficiale dedicato alla serie, dove si possono trovare gadget esclusivi, edizioni limitate, articoli autografati da Takahashi stesso e persino maglie da calcio ispirate alle divise delle squadre della serie.
Un dettaglio che rende ancora più speciale questo luogo è la sua inaugurazione avvenuta nel 2019 con un ospite d’eccezione: Andrés Iniesta. L’ex campione del Barcellona, all’epoca in forza al Vissel Kobe, è da sempre un grande fan di Capitan Tsubasa e ha voluto rendere omaggio a Takahashi partecipando alla cerimonia ufficiale. Un simbolo perfetto dell’impatto che questa serie ha avuto anche nel mondo reale, ispirando generazioni di calciatori in carne e ossa.
Un’ultima chicca, che farà sorridere i nostalgici italiani: sapevate che i nomi Holly e Benji non sono quelli originali? In Giappone, infatti, il titolo corretto è Capitan Tsubasa, ma quando la serie arrivò in Italia negli anni ’80, Fininvest decise di modificare i nomi per renderli più commerciali e appetibili al pubblico nostrano. Un’operazione che oggi potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma che all’epoca contribuì a scolpire questi personaggi nell’immaginario collettivo.
Visitare Yotsugi oggi significa fare un salto nel passato, ma anche rendersi conto di quanto profondamente l’arte del fumetto possa radicarsi nella cultura popolare, influenzando sport, musica, turismo e costume. È un omaggio sentito, vibrante, autentico, che dimostra come un manga possa trasformarsi in leggenda.
Se sei un fan degli anime, se hai mai tirato un calcio gridando “Tiro della Tigre!” o “Parata Felina!”, se hai nel cuore le sfide epiche tra Muppet e New Team, allora Yotsugi è la tua Mecca. Un luogo dove la nostalgia diventa celebrazione, e dove ogni angolo racconta una storia fatta di passione, sudore e sogni che corrono più veloci del vento.
E tu, sei mai stato a Yotsugi? Hai sognato di visitare la stazione dedicata a Holly e Benji? Raccontacelo nei commenti qui sotto e condividi l’articolo sui tuoi social per far scoprire questo angolo nerd di Tokyo anche ai tuoi amici! ⚽✨
Irusu, verbo giapponese che significa letteralmente “rimanere in casa”, assume un significato ben più profondo e sfumato nel contesto culturale nipponico. Si tratta di una pratica sociale che consiste nel fingere di non essere in casa quando qualcuno bussa alla porta, evitando così qualsiasi tipo di interazione indesiderata.
Le radici di Irusu:
Le radici di Irusu affondano nella storia e nella cultura giapponese, dove il senso di comunità e la coesione sociale sono valori profondamente radicati. Per evitare di disturbare la quiete domestica o di creare situazioni di disagio, i giapponesi hanno sviluppato questa consuetudine come forma di rispetto reciproco e di discrezione.
Quando si pratica Irusu?
Irusu viene praticato in diverse situazioni, tra cui:
Quando si è impegnati in attività che richiedono concentrazione o privacy, come studiare, lavorare o semplicemente godersi un momento di relax.
Quando si desidera evitare di socializzare, per motivi di stanchezza, introversione o semplicemente per il bisogno di stare da soli.
Quando si teme di ricevere visite indesiderate, come venditori porta a porta o persone con cui non si desidera avere a che fare.
Come si pratica Irusu?
Esistono diversi modi per praticare Irusu, tra cui:
Ignorare il campanello della porta o il citofono.
Spegnere le luci o abbassare le tende per dare l’impressione che la casa sia vuota.
Mettere un cartello fuori dalla porta che indica che non si è in casa.
Dire a un familiare o un vicino di fingere di non essere in casa se qualcuno bussa.
Irusu: tra praticità e cortesia
Irusu è spesso visto come una mancanza di cortesia nelle culture occidentali, dove l’apertura e l’ospitalità sono valori molto apprezzati. Tuttavia, nel contesto giapponese, Irusu rappresenta un modo per rispettare la privacy e la tranquillità sia di chi pratica questa usanza che di chi bussa alla porta.
Irusu e la società moderna:
Nella società giapponese moderna, l’utilizzo di Irusu sta diminuendo, soprattutto nelle grandi città dove i ritmi di vita sono più frenetici e la privacy è un bene sempre più raro. Tuttavia, questa pratica rimane ancora diffusa in molte famiglie e comunità, e rappresenta un aspetto interessante e peculiare della cultura giapponese.
Cari lettori di CorriereNerd.it, oggi vi parlo di una notizia che farà drizzare le orecchie a chiunque abbia sognato almeno una volta di capire cosa dicono i personaggi del proprio anime preferito senza sottotitoli, o magari di cantare a squarciagola le canzoni K-pop cogliendone ogni parola, o ancora di immergersi nella lingua degli imperatori cinesi o dei poeti portoghesi. La notizia è fresca di giornata: Duolingo, la piattaforma di apprendimento linguistico gamificata più amata al mondo, ha finalmente aperto le porte a quattro nuove lingue per gli utenti italiani. Da oggi, se avete l’app impostata in italiano, potrete iniziare il vostro viaggio alla scoperta del giapponese, del coreano, del mandarino e del portoghese.
Sì, avete capito bene. Quattro delle lingue più affascinanti, complesse e culturalmente dense del pianeta diventano ora accessibili a tutti, direttamente dallo smartphone, che voi siate team Android o devoti alla mela morsicata. Una vera e propria espansione nerd del sapere, una sorta di DLC educativo che spalanca nuovi mondi a chi, come noi, ama viaggiare con la mente – e magari anche fisicamente – senza barriere linguistiche.
La novità è stata annunciata il 22 maggio 2025 a Milano e si inserisce in una strategia globale di Duolingo che, nel corso di quest’anno, sta vivendo una crescita a dir poco epica. Basti pensare che l’azienda ha appena rilasciato 148 nuovi corsi linguistici, raddoppiando la sua offerta in un solo anno. Un ritmo incredibile se si considera che ci erano voluti 12 anni per sviluppare i primi 100 corsi. Il merito? Una sinergia tra innovazione, investimenti mirati e – ovviamente – intelligenza artificiale, che ormai permea ogni angolo del nostro universo nerd, dalla scrittura alla traduzione, fino all’apprendimento.
Ma torniamo alle nuove lingue. I corsi disponibili per noi italiani coprono i livelli base (QCER A1-A2), quindi sono perfetti se siete completamente alle prime armi e volete iniziare a capire i fondamentali. Non mancano però gli strumenti più avanzati per migliorare e approfondire. Le Storie vi aiuteranno a potenziare la comprensione scritta attraverso mini racconti interattivi, mentre DuoRadio vi farà immergere nell’ascolto attivo della lingua, una funzione che per molti studenti è una manna dal cielo. E la cosa bella è che i contenuti di livello più avanzato arriveranno nel corso del 2025, quindi il percorso di apprendimento continuerà a crescere con voi.
Secondo Marta Bonzanini, Country Marketing Manager per l’Italia di Duolingo, questa apertura è una risposta concreta alle richieste degli utenti italiani, sempre più assetati di conoscenza e desiderosi di confrontarsi con idiomi nuovi e stimolanti. E in effetti, basta guardarsi intorno per capire quanto il fascino del Giappone, la cultura pop coreana, la potenza del mondo sinofono e la musicalità del portoghese siano diventati parte integrante dei nostri interessi quotidiani. Dai manga agli anime, dai drama alle arti marziali, dalla tecnologia al design, le lingue orientali – e non solo – sono il ponte che ci collega a universi paralleli che amiamo esplorare.
Duolingo oggi si presenta quindi non solo come un’app educativa, ma come un vero e proprio alleato nella crescita personale e culturale. Un compagno di viaggio per nerd e geek, ma anche per chi vuole semplicemente abbattere confini e abbuffarsi di cultura. La missione di rendere l’istruzione di qualità accessibile a tutti, ovunque nel mondo, si fa concreta attraverso interfacce intuitive, lezioni brevi e coinvolgenti, e un approccio ludico che rende l’apprendimento più vicino a un gioco che a una lezione frontale.
Insomma, se sognate di guardare un episodio di Demon Slayer capendo ogni sillaba pronunciata da Tanjiro, o se volete chattare su Discord con fan coreani del vostro idol preferito, o magari studiare i testi delle ballate di Amália Rodrigues per comprendere la saudade lusitana… non avete più scuse. Duolingo vi aspetta, in tasca, pronto a trasformare ogni minuto libero in un passo verso un nuovo mondo.
E ora tocca a voi: avete già scelto quale lingua iniziare? Qual è il vostro sogno nerd legato a una di queste culture? Raccontatecelo nei commenti e condividete questo articolo con i vostri amici – magari c’è qualcuno che aspetta solo un piccolo incoraggiamento per iniziare il proprio percorso da poliglotta digitale!
C’è un termine che risuona dolcemente tra le pagine della letteratura giapponese, un termine che porta con sé il fascino delle corti imperiali, il sussurro della poesia e la potenza immaginifica del racconto epico: monogatari. Da appassionata di cultura giapponese e divoratrice di manga, anime e testi classici, ogni volta che incontro questa parola sento come se si spalancasse un portale verso un tempo in cui narrare era un atto quasi sacro, un’arte che fondeva voce e poesia.
Il monogatari, che in giapponese significa letteralmente “racconto”, è molto più di una semplice storia. È un genere letterario che affonda le radici nella tradizione orale del Giappone antico, ma che si è evoluto nei secoli diventando qualcosa di unico e profondamente radicato nella cultura nipponica. Si tratta di lunghe narrazioni in prosa, spesso paragonate alle epopee occidentali, ma con un’anima tutta loro: fluida, poetica, e spesso intrisa di malinconia.
Pensiamo ad esempio al Genji monogatari, il capolavoro assoluto di Murasaki Shikibu, una donna straordinaria che visse nell’epoca Heian e che ci ha regalato una delle prime opere narrative della storia mondiale. La sua opera è un viaggio intimo nella psicologia dei personaggi, un ritratto dell’aristocrazia giapponese, e un esempio perfetto di come il monogatari riesca a fondere finzione e poesia con eleganza disarmante. Un altro pilastro è il Heike monogatari, che racconta in modo epico – ma sempre con uno sguardo velato di tristezza – le guerre tra i clan Taira e Minamoto.
All’interno di questo genere, si distinguono due principali filoni. Da un lato c’è il tsukuri monogatari, ovvero il “racconto di finzione”, in cui la narrazione è la protagonista assoluta. Dall’altro troviamo lo uta monogatari, letteralmente “racconto poetico”, dove la storia ruota attorno a componimenti poetici (spesso waka) che fungono da motore emotivo e da filo conduttore per la vicenda. È come se la narrazione fosse un giardino e le poesie, i suoi fiori più preziosi.
Il periodo d’oro del monogatari si colloca tra il IX e il XV secolo, in particolare nel X e nell’XI, quando la cultura di corte fioriva e le dame e i nobili amavano dedicarsi alla scrittura e alla lettura di queste storie raffinate. Secondo una raccolta del XIII secolo, il Fūyō Wakashū, esistevano all’epoca quasi duecento monogatari. Oggi ne sono sopravvissuti circa quaranta, reliquie preziose di un’epoca che continua a parlarci con voce poetica.
E se pensate che il termine “monogatari” sia qualcosa di relegato al passato, pensateci bene: in Giappone, questa parola ha continuato a vivere, a trasformarsi e a reinventarsi. Oggi la troviamo nei titoli di opere contemporanee – pensiamo alla celebre serie di light novel di Nisio Isin, appunto intitolata Monogatari – e persino nei titoli di traduzioni di capolavori stranieri: Il Signore degli Anelli diventa Yubiwa monogatari e Il Racconto di due città diventa Nito monogatari. Un’eredità linguistica e culturale che non ha mai smesso di vibrare.
Personalmente, ogni volta che leggo o sento la parola “monogatari”, mi sento trasportata in una Kyoto antica, tra tende di seta e profumi di incenso, dove le parole erano carezze dell’anima e le storie, incantesimi. Il monogatari non è solo un genere: è un modo di pensare, di sentire e di vivere la narrazione. Un invito a guardare il mondo con occhi più lenti, più profondi, più poetici.
E per chi, come me, ama scoprire le radici delle emozioni che anime e manga riescono a trasmetterci ancora oggi, il monogatari è una chiave preziosa per entrare nel cuore della cultura giapponese. Una porta che vale la pena aprire, ogni volta che si cerca una storia capace di toccarci davvero.
Il 12 maggio 2025 si celebra il Vesak, una delle festività più importanti del buddhismo, che ricorda eventi cruciali nella vita di Siddhartha Gautama, il Buddha. Questo giorno speciale, che coincide con il plenilunio di maggio, è dedicato alla memoria di tre momenti fondamentali: la nascita, l’illuminazione e la morte (parinirvāṇa) del Buddha. Il Vesak è una celebrazione di grande significato spirituale, che si svolge ogni anno in numerosi paesi, come la Thailandia, la Corea del Sud, la Cina e la Malaysia, ma anche in Italia, dove acquista una dimensione particolare nel 2025, segnando il quarantesimo anniversario della fondazione dell’Unione Buddhista Italiana (UBI).
La festività è da sempre un’opportunità di profonda riflessione, di ritorno alle radici del cammino buddhista e di rinnovata consapevolezza degli insegnamenti di Buddha. Ogni gesto, parola e pensiero è l’occasione per coltivare consapevolezza, saggezza e compassione, i principi cardine della pratica buddhista. Il Vesak, in effetti, non è solo un giorno di festa, ma un momento di rinnovamento spirituale che invita tutti, praticanti e non, ad avvicinarsi al Dharma, il “cammino della verità”, e a riflettere su come queste antiche dottrine possano ancora influenzare la nostra vita quotidiana. La cura, infatti, è il tema scelto per il Vesak 2025, un concetto che risuona particolarmente forte in un’epoca segnata da gravi crisi sociali, ambientali e politiche. “La Cura” non riguarda solo la salute e il benessere degli esseri viventi, ma si estende anche all’ambiente, alle parole, ai pensieri, alle relazioni e alle istituzioni. È un invito a praticare la cura come responsabilità collettiva e come atto spirituale, che è il fondamento di una società più giusta e armoniosa.
In Italia, il Vesak è celebrato grazie a un accordo tra l’Unione Buddhista Italiana e il Governo italiano, che ha deciso di dedicare l’ultima domenica di maggio a questa importante ricorrenza. Ogni anno, fino al 2012, le manifestazioni più significative si sono svolte in diverse città italiane: da Napoli a Padova, da Roma a Verona, per citarne alcune. La scelta di un luogo diverso per ogni edizione sottolinea l’importanza della diversità e della diffusione del buddhismo nel contesto italiano, ma anche l’unità tra le diverse tradizioni buddhiste presenti nel nostro paese. Nel 2014, per esempio, in occasione di questa festività, papa Francesco inviò un messaggio dal titolo “Buddisti e Cristiani alla ricerca della fraternità”, in cui si sottolineava come la fraternità sia un valore essenziale per costruire una società giusta e pacifica. Questo incontro tra buddhismo e cristianesimo è stato un segno di dialogo e apertura, temi che rimangono centrali nella celebrazione del Vesak.
Quest’anno, il quarantesimo anniversario dell’UBI assume un significato ancora più profondo, poiché celebra non solo la storia di questa organizzazione, ma anche il cammino di integrazione del buddhismo nel tessuto sociale e culturale italiano. L’UBI, fondata nel 1985, ha giocato un ruolo fondamentale nel creare uno spazio di incontro e di dialogo tra le diverse scuole di pensiero buddhiste, e ha contribuito in modo significativo a una maggiore consapevolezza spirituale e a un impegno civico e sociale più attento alle esigenze dei più vulnerabili. In questi quarant’anni, l’Unione Buddhista Italiana è riuscita a radicare il buddhismo nel contesto italiano, non solo come una religione, ma come una filosofia di vita che invita al rispetto, alla compassione e alla consapevolezza.
In un momento così speciale, il Vesak 2025 rappresenta un’opportunità non solo per riflettere sull’eredità di Buddha, ma anche per rinnovare l’impegno a una società più solidale, inclusiva e rispettosa dell’ambiente. La scelta del tema “La Cura” ci invita a guardare alle nostre azioni quotidiane con maggiore attenzione, consapevolezza e responsabilità. In un mondo in cui l’individualismo sembra dominare, il Vesak diventa quindi un’occasione per riscoprire la bellezza di una vita condivisa, in cui la cura reciproca e l’attenzione alle esigenze degli altri siano al centro di ogni scelta. Non si tratta solo di una festività religiosa, ma di un cammino collettivo che riguarda tutti, buddhisti e non, giovani e anziani, praticanti e curiosi.
Il Vesak 2025 sarà un evento che abbraccerà tutti coloro che vorranno parteciparvi, con la speranza che, attraverso il Dharma, si possano rafforzare i legami di comunità e si possa contribuire a un mondo più giusto e pacifico. In fondo, la bellezza del buddhismo sta proprio in questa apertura: ogni persona è invitata a far parte di questo cammino, a portare il proprio contributo, a riscoprire se stessa e gli altri attraverso la lente della consapevolezza e della compassione.
Negli anni ’80, il Giappone visse un boom di curiosità e audacia, con l’emergere di una subcultura che mischiava l’irriverenza con un pizzico di provocazione: il No-Pan Kissa (No-Panties Cafe), Questo fenomeno, che ha visto la nascita di bar e caffè dal concetto decisamente fuori dagli schemi, ha attirato l’attenzione per la sua originalità e per il mix di leggerezza e trasgressione che offriva a un pubblico curioso. Il cuore dell’esperienza No-Pan Kissa era semplice ma audace: le cameriere servivano ai tavoli indossando minigonne cortissime e, come suggerisce il nome, senza biancheria intima, il tutto su pavimenti a specchio che creavano una sorta di spettacolo nascosto per chi si trovava nei punti giusti.
La prima apertura di un No-Pan Kissa avvenne a Osaka nel 1980, ma in pochi anni, il fenomeno si diffuse rapidamente anche a Tokyo e in altre città giapponesi, raggiungendo il picco di circa 200 locali sparsi tra Osaka e la capitale. Immaginate l’ambientazione: un normale caffè giapponese, con arredamenti sobri e un’atmosfera rilassata, ma con un tocco che non passava inosservato. La differenza stava nel fatto che le cameriere, pur non essendo coinvolte in attività sessuali, indossavano minigonne, ma senza biancheria intima, offrendo una sorta di voyeurismo legale che stuzzicava la fantasia di chi si trovava a fare una pausa caffè. Alcuni di questi locali, poi, avevano anche pavimenti a specchio che, per chi se ne accorgeva, aggiungevano un altro livello di “intrigo” alla scena.
La peculiarità di questi locali, però, non risiedeva solo nell’atmosfera sensuale e provocante, ma anche nel fatto che riuscivano a rimanere all’interno dei limiti della legge. Durante quegli anni, l’industria del sesso in Giappone era in pieno fermento, con una serie di escamotage creativi che permettevano a luoghi come i No-Pan Kissa di esistere senza violare le normative sulla prostituzione. In altre parole, questi locali offrivano un’esperienza che, pur essendo carica di sessualità implicita, non si traduceva in un atto sessuale vero e proprio, ma in un gioco di sguardi e suggestioni, creando una forma di intrattenimento trasgressivo che si muoveva nell’ombra della legalità.
Oltre alla curiosità e all’ironia che suscitavano, questi caffè divennero anche un’opportunità di guadagno per molte donne. I compensi erano alti, con le cameriere che potevano guadagnare diverse migliaia di yen l’ora, semplicemente aderendo a questa “uniforme” speciale e senza dover affrontare le implicazioni più pesanti di un lavoro nel settore del sesso tradizionale. Questo, infatti, rese i No-Pan Kissa un’alternativa più sicura e meno stigmatizzata rispetto ad altri luoghi più esplicitamente legati al commercio sessuale.
Tuttavia, come per molte mode e tendenze, anche i No-Pan Kissa iniziarono a declinare con l’arrivo di nuove leggi, come la New Amusement Business Control and Improvement Act del 1985, che limitò ulteriormente la libertà di questi locali e li costrinse, di fatto, a sparire lentamente dalla scena. La chiusura di questi locali, però, non segnò la fine del fenomeno del voyeurismo soft in Giappone, che continuò ad evolversi sotto altre forme, come i fashion health, che prevedevano massaggi e altri servizi sensuali, ma senza mai arrivare a un coinvolgimento sessuale diretto.
Oggi, il No-Pan Kissa è un ricordo di un’epoca passata, un curioso capitolo della cultura giapponese che ha saputo mescolare audacia, leggerezza e un pizzico di trasgressione in modo affascinante. Se questi caffè sono ormai estinti, rimangono nella memoria di chi li ha vissuti, ma anche nella leggenda di un Giappone che, pur con la sua facciata impeccabile, non ha mai avuto paura di esplorare la linea sottile tra la cultura popolare e la sensualità più spinta. Se oggi non è più possibile vivere questa esperienza, il No-Pan Kissa rimane uno degli esempi più curiosi di come il Giappone abbia giocato con le sue regole sociali e culturali, spingendo sempre un passo oltre il confine tra il proibito e l’accettato.
Nel vasto e variegato universo del tuning auto, pochi nomi riescono a suscitare reazioni così forti e immediate come Liberty Walk. Che li ami o li odi, l’impatto di questo tuner giapponese sul mondo delle auto customizzate è innegabile e ha ridefinito un intero stile: quello del widebody estremo.
Direttamente dal Giappone, questo atelier di customizzazione guidato dal carismatico Kato Wataru ha trasformato auto di lusso e supercar da sogno in vere e proprie bestie da strada aggressive e inconfondibili. Ma cos’è esattamente Liberty Walk e perché è diventato un fenomeno globale?
Chi è Liberty Walk? La Storia Dietro il Fenomeno
Fondata da Wataru Kato nella prefettura di Aichi, in Giappone, Liberty Walk (spesso abbreviato in LB-Works) non è nata subito come l’icona del tuning che conosciamo oggi. Inizialmente, nei primi anni ’90, era un semplice rivenditore di auto usate. La passione di Kato per le auto e la sua visione unica lo hanno spinto presto verso la personalizzazione, iniziando con lavori su auto giapponesi e poi espandendosi verso supercar europee.
La svolta è arrivata con l’introduzione del loro stile widebody distintivo, che è rapidamente diventato il loro biglietto da visita a livello mondiale, lanciandoli nell’Olimpo dei tuner più audaci e influenti.
Lo Stile Inconfondibile: Parafanghi, Rivetti e Assetti Rasoterra
Il tratto distintivo di Liberty Walk è inconfondibile e non lascia spazio a interpretazioni. Il loro stile è aggressivo, volutamente rozzo (in senso buono!) e con un’attitudine “noncurante” che sfida le convenzioni:
I Kit Widebody: L’elemento centrale sono i passaruota allargati in modo esagerato. Non sono integrati fluidamente nella carrozzeria, ma spesso applicati esternamente.
I Rivetti a Vista: Questo è forse il dettaglio più iconico e controverso. I pannelli allargati vengono fissati alla carrozzeria originale (spesso tagliata senza pietà!) con rivetti ben visibili, un richiamo al motorsport e a uno stile quasi artigianale.
Assetti Estremi (Shakotan): Le auto Liberty Walk sono notoriamente bassissime, spesso con sospensioni pneumatiche per poterle alzare all’occorrenza, ma concepite per stare “rasoterra”. Questo stile si rifà al concetto giapponese di Shakotan (auto ribassata) e all’estetica esagerata delle auto Bosozoku, le cui modifiche erano pensate per farsi notare.
Spoiler Esagerati e Dettagli Aggressivi: A completare il look ci pensano alettoni posteriori massicci, diffusori imponenti e dettagli aerodinamici che conferiscono un aspetto da auto da corsa pronte a scendere in pista (o, più realisticamente, a sfilare in strada e ai raduni).
Questo mix crea un look che non passa inosservato, volutamente “too much” per alcuni, ma venerato come arte per altri.
Non Solo Estetica: LB-Works, LB-Performance e Altro
Sebbene i kit widebody siano il loro prodotto più famoso (soprattutto quelli sotto il brand LB-Works), Liberty Walk offre una gamma più ampia di personalizzazioni:
LB-Performance: Kit meno estremi rispetto agli LB-Works, per chi cerca un look aggressivo ma leggermente più discreto.
LB-Super Silhouette: Ispirato alle auto da corsa degli anni ’70 e ’80, con carrozzerie quasi completamente ridisegnate e aerodinamica estrema.
LB-Nation: Kit pensati per auto più “comuni” o molto diffuse nel mondo del tuning.
Scarichi Performanti: Sistemi di scarico che esaltano il sound dei motori (spesso V8, V10, V12!).
Cerchi Dedicati: Collaborazioni con brand di cerchi per creare design che si abbinano perfettamente ai loro kit widebody.
Sospensioni: Soluzioni per ottenere l’assetto desiderato, spesso pneumatiche.
Merchandise Originale: Abbigliamento, modellini e accessori per i fan del brand.
La lista di auto su cui hanno messo mano è sbalorditiva e include modelli iconici come Lamborghini (Aventador, Huracan, Murcielago), Ferrari (458, 488), McLaren, Nissan GT-R (un cavallo di battaglia!), BMW, Audi, Ford Mustang e persino mini car come la Suzuki Jimny!
La Filosofia “Imagine That!”: Osare Senza Paura
La filosofia dietro ogni creazione Liberty Walk si riassume nel motto di Kato: “Imagine That!” (Immagina un po’!). È un invito a osare, a non porsi limiti, a trasformare le visioni più folli in realtà. Kato Wataru è un personaggio estroso, un grande comunicatore e un appassionato genuino, e la sua personalità si riflette perfettamente nel brand: audace, irriverente e con una grande voglia di divertirsi e stupire. Non si prendono troppo sul serio, ma prendono molto sul serio la loro passione per le auto.
Impatto Globale e Controversie
Lo stile Liberty Walk ha generato un vero e proprio movimento nel mondo del tuning, ispirando imitazioni (più o meno riuscite) e polarizzando le opinioni. Molti puristi rabbrividiscono all’idea di tagliare i parafanghi originali di una supercar milionaria. Eppure, proprio questa audacia e questo approccio senza compromessi hanno creato una fanbase enorme e fedele in tutto il mondo.
Eventi come il SEMA Show di Las Vegas o il Tokyo Auto Salon sono diventati palcoscenici d’elezione per presentare le loro ultime, folli creazioni, generando sempre un’enorme attenzione mediatica. Hanno dimostrato che nel tuning c’è ancora spazio per la creatività estrema e la rottura degli schemi.
Vuoi un Pezzo di Stile Giapponese?
Se sognate di trasformare la vostra auto con il look inconfondibile di Kato-san, sappiate che i kit widebody Liberty Walk e gli altri prodotti sono disponibili globalmente tramite una rete di distributori ufficiali. Spesso realizzati in FRP (vetroresina) o fibra di carbonio, richiedono un’installazione professionale data la natura invasiva delle modifiche.
In sintesi, Liberty Walk è molto più di un semplice preparatore; è un vero e proprio fenomeno culturale che incarna l’essenza del tuning giapponese più audace e spettacolare. Con il loro stile unico, la filosofia “Imagine That!” e la capacità di trasformare auto già straordinarie in opere d’arte (o mostri, dipende dai gusti!) su ruote, Liberty Walk continuerà sicuramente a far parlare di sé e a spingere i confini della customizzazione automobilistica per gli anni a venire.
Con l’arrivo della primavera, Roma si lascia sedurre da un rito di contemplazione antichissimo, che viene da lontano, dal Paese del Sol Levante. Il 12 e 13 aprile 2025, tra i sentieri profumati e le serre silenziose del Museo Orto Botanico della Sapienza Università di Roma, è andato in scena l’Hanami all’Orto Botanico: un evento capace di trasformare il cuore verde di Trastevere in un piccolo Giappone in fiore. Passeggiare sotto i ciliegi adornati da migliaia di petali rosa pallido è stato come entrare in un mondo sospeso, fatto di poesia e silenzio, dove ogni respiro si trasforma in un gesto di gratitudine verso la natura. Non solo una festa per gli occhi, ma una celebrazione dell’impermanenza, quell’idea tanto cara alla filosofia giapponese secondo cui nulla è eterno, e proprio per questo ogni attimo è prezioso. Hanami in giapponese significa letteralmente “guardare i fiori” – hana (花), fiore, e mi (見), vedere – ma in realtà vuol dire molto di più: significa fermarsi, osservare, sentire. È uno stato d’animo, un invito a rallentare, a lasciarsi attraversare dalla bellezza prima che scompaia.
Il giardino si sviluppa su due livelli collegati tra loro da una cascata e piccoli torrenti che formano due laghetti, uno inferiore e uno superiore.
Possiamo definire il giardino giapponese come uno spazio in continuità con l’ambiente circostante. Uno stilema compositivo, un modo tutto particolare di comporre/scrivere lo spazio del giardino. Il riconoscimento della progettazione dei giardini come forma artistica, è avvenuto in Giappone tra la fine XI sec. e la seconda metà del XII, periodo nel quale i principi estetici sono stati codificati in un trattato, il Sakuteiki (Annotazioni sulla composizione dei giardini). Il Sakuteiki rappresenta quindi una precoce consacrazione del giardino come forma d’Arte.
FILA DI GENTE PER VEDERE LA FIORITURA DEI CILIEGI
Cos’è il rituale dell’hanami? Il rituale dell’Hanami è una cerimonia originaria del Giappone che celebra la bellezza fugace dei fiori di ciliegio. Si tratta semplicemente della pratica comune di ammirare i fiori di ciliegio. Le 60 specie vegetali presenti – tra cui Acer palmatum, Acer buergerianum, Magnolia stellata, Cerasus serrulata, Kerria japonica, Dhalia imperialis, Camelia japonica – sono emblematiche del giardino giapponese.
Si vede parte del fontanone del Gianicolo.
Un piccolo laghetto con una lanterna giapponese immersa nel verde e nei fiori. Si trova in cima all’orto botanico.
Oltre ad avere una valenza filosofica, poetica ed artistica, richiamano lo scorrere delle stagioni, in particolare in primavera la fioritura dei ciliegi viene celebrata dall’Hanami. Nella loro disposizione c’è il preciso intento di conferire naturalezza alla mano dell’uomo, l’Autore cerca di riflettere lo stato d’animo di chi osserva, accompagnandolo alla riscoperta del rapporto intimo tra uomo e natura.
Energia e vibrazioni, tra eleganza, potenza dei movimenti, sincronie, improvvisazioni.
Esibizione di Taiko No Koe, la voce del tamburo. Il Taiko No Koe all’Orto Botanico
Spettatori curiosi osservano i tamburi dopo l’esibizione
Ma il fine settimana di Hanami all’Orto Botanico non si è limitato alla semplice osservazione della natura: ha offerto un vero e proprio viaggio sensoriale attraverso la cultura nipponica. Tra le fronde dei sakura si sono alternate attività tradizionali e artistiche, performance, laboratori e incontri, capaci di coinvolgere pubblico di ogni età.
Energia e vibrazioni, tra eleganza, potenza dei movimenti, sincronie, improvvisazioni.
Questo il “manifesto” del concerto-spettacolo di percussioni giapponesi del Gruppo Taiko, primo gruppo italiano di tamburi giapponesi. Ne fanno parte, Catia Castagna attrice e percussionista, Marilena Bisceglia percussionista e aikidoka e Daniela Anzellotti. Eleganza e potenza dei movimenti, precisione nell’esecuzione con spazi dedicati a piccole e “giocose” improvvisazioni ma senza la pretesa di “essere giapponesi”. Questa è una tecnica “contaminata” dalle precedenti esperienze artistiche delle due percussioniste.
I manga all’Orto Botanico
Non è mancato lo spazio dedicato agli appassionati di manga: il fumettista Federico Pace ha condotto un talk imperdibile, spiegando come nascono i personaggi e le storie ispirate alla narrativa grafica nipponica. Federico Pace ha studiato fumetto e manga alla Scuola Internazionale di Comics con Midori Yamane e vive e lavora a Roma. Ha pubblicato diversi manga in Italia, in particolare per Tora edizioni, ma è noto tra i giovani lettori del fumetto giapponese, anche per illustrazioni e autoproduzioni. Con il suo sguardo e la giovana voce, interpreta e traduce i grandi temi della nostra società. Un’occasione preziosa per chi sogna di disegnare emozioni con lo stile giapponese, e per chi vuole capire meglio come questa forma d’arte racconti il nostro tempo.
Laboratorio di origami – l’arte giapponese del piegare la carta. L’origami all’Orto Botanico
Chi desiderava mettersi alla prova ha potuto partecipare al laboratorio di origami dell’Associazione Kanyukai, scoprendo come da un semplice foglio di carta possa nascere una gru, un fiore, una poesia visiva. L’origami è molto più che una tecnica: è una filosofia, una forma di meditazione attiva, capace di unire rigore e leggerezza. L’ Associazione Kanyukai – fondata nel 2003 a Osaka, in Giappone e promotrice dal 2021 della cultura giapponese in Italia – ti aspetta per insegnarti questa antica pratica, originariamente nata per la decorazione di templi e santuari. La parola origami deriva da “ori”, piega, e “kami”, a carta. L’origami è l’affascinante pratica giapponese di trasformare la carta in forme intricate che spesso raffigurano vari oggetti, come fiori o uccelli. Oltre alla sua arte, il fascino dell’origami risiede nella sua filosofia estetica unica. Celebrando il minimalismo nell’arte, riflesso nel termine shibumi (渋味), l’arte dell’origami trasforma il modesto in bello. Il washi, fragile ma temporaneo, rispecchia la vita e gli artisti dell’origami si sforzano di catturarla in forme tangibili, orientandosi verso oggetti naturali piuttosto che inanimati. Ispirandosi alla ricca tradizione estetica giapponese, realizzano straordinari origami, dinamici e realistici al tempo stesso: una vera e propria espressione artistica di alto livello.
Vuoi imparare a giocare con il kendama?
Un altro momento molto apprezzato è stato l’incontro con Davide Leonardi, campione di kendama freestyle, che ha coinvolto grandi e piccini nell’arte di questo antico gioco di abilità. Si potrebbero pensare che il kendama sia stato inventato in Giappone, ma in realtà non è così. Sebbene esistano teorie diverse, ci sono documenti che indicano che il kendama sia nato in Francia nel sedicesimo secolo.Questo gioco era chiamato bilboquet. Bil significa “palla” e boquet significa “piccolo albero” ad indicare un gioco con una piccola palla di legno.
Dal 1945 al 1955 circa, dopo la fine della seconda guerra mondiale, i kendama cominciarono ad essere venduti nei negozi di dolciumi insieme ad altri giocattoli popolari, come menko , bidama e beigoma.Nel 1975, l’autore per bambini Issei Fujiwara fondò la Japan Kendama Association, che standardizzò il kendama per l’uso competitivo e creò regole standardizzate allo scopo di consentire a un maggior numero di persone di giocare insieme allo stesso modo. Con un set di regole e specifiche per l’attrezzatura in atto, il kendama ha iniziato a crescere in popolarità come sport competitivo. Oggi la parola kendama è conosciuta in tutto il mondo e le competizioni si svolgono anche negli gli Stati Uniti e in Europa.
Lo shodō all’Orto Botanico.
Vuoi sapere come si scrive il tuo nome in giapponese? o una parola che evoca un sentimento, un’emozione? Le Maestre calligrafe dell’Associazione Tondo Rosso – scuola di lingua e cultura giapponese a Roma e online da più di 15 anni – ti mostreranno la scrittura shodō. Il termine shodō 書道 significa “via della scrittura”, dove 書sho indica “la scrittura” e il carattere 道 dō è tradotto come “via, percorso”. Sottolinea la pratica di un’arte che richiede un impegno costante e che assume le caratteristiche di un “percorso”. Tale via conduce il praticante, tramite un perfezionamento tecnico, soprattutto ad un affinamento interiore. L’artista crea un’opera d’arte con un pennello di bambù, inchiostro e carta, dove egli trasferisce armonia e bellezza. Quindi, non si tratta solo di bella calligrafia, ma anche di tracciare dei tratti traferendo in essi la forza dell’artista e del suo spirito.
Il termine giapponese è spesso tradotto come “il modo della scrittura artistica o della bella scrittura” o come “l’arte della calligrafia tradizionale giapponese”. Ma è molto più di questo. La pratica dello Shodo non è la semplice pratica dello scrivere qualcosa a mano in modo elegante e raffinato affinchè ogni parola sia unica e piacevole alla vista. Racchiude una profonda esplorazione dell’espressione artistica radicata nella cultura giapponese. È una vera e propria arte.
Incontro con Kenta Suzuki
A illuminare ulteriormente questa edizione dell’Hanami è stato il carisma di Kenta Suzuki, divulgatore giapponese amatissimo in Italia, che ha saputo raccontare con ironia e profondità le mille sfumature della cultura del suo Paese. Sapevi che l’Hanami dal periodo Edo (1603-1869) rappresentava un evento dove tutti, dai samurai ai contadini, dai mercanti ai feudatari, potevano godersi insieme un bel picnic? Qual è il motivo per cui le persone, in Giappone, si inchinano così frequentemente? E perché nessuno si soffia il naso in metropolitana? Dove e quando nasce la secolare arte del tatuaggio? E quella dei manga? Nonostante la conoscenza sempre più approfondita e dettagliata che abbiamo della cultura nipponica, sono ancora moltissime le peculiarità del popolo giapponese che molti di noi ignorano. Una distanza che Kenta Suzuki, giapponese di nascita e italiano – anzi, romano – d’adozione, misura ogni giorno cercando di rispondere alle infinite domande che gli vengono sottoposte attraverso i suoi seguitissimi canali social.
HANAMI: “LA BELLEZZA FUGACE DELLA VITA”.
“LA CONTEMPLAZIONE DEI FIORI DI CILIEGIO” – “EMOZIONE MALINCONICA PERSISTENTE”
Folla di gente segue la lezione del simpatico e social Kenta Suzuki
Curiosità e interrogativi che Kenta ha deciso di soddisfare mettendo assieme una vera e propria enciclopedia illustrata delle unicità e delle stramberie che rendono i giapponesi uno dei popoli più eccentrici e affascinanti del pianeta.Kenta Suzuki con una media di 10 milioni di visualizzazioni al mese tra TikTok e Instagram, è oggi il più grande influencer giapponese in Italia. Ma non si ferma ai social: organizza eventi di cultura giapponese, degustazioni di sake, cene tradizionali e tour autentici nel paese del sol levante
Le Bambole Kokeshi
Le Kokeshi (こけし?, kokeshi) sono un tipo di bambola tradizionale giapponese, originarie della regione di Tōhoku. Realizzate manualmente in legno, hanno un busto semplice cilindrico e una larga testa sferica, con poche linee stilizzate a definire i caratteri del viso. Una caratteristica delle bambole Kokeshi è la mancanza di braccia e gambe.All’inizio del Novecento divennero talmente famose, che in Russia furono prese a modello dall’inventore della prima matrioska. Oltre a ornare le case giapponesi, sono ritenute di buon auspicio contro la cattiva sorte e considerate un raffinato oggetto da collezione da regalare a persone molto speciali.
Hanami all’orto botanico è stata una esperienza davvero diversa e intensa. Una festa giapponese dedicata alla contemplazione della fioritura di ciliegi sakura, simbolo della caducità della vita e del suo grande valore.
Sayonara da Roberto Di Vito
PS Se avete tempo di vedere 2 Brevi Videoclip girati all’istituto di cultura giapponese.
Mostra di bambole giapponesi. Riprese, montaggio e musica originale di Roberto Di Vito – “The dolls of the Japan – Shapes of Prayer, Embodiments of Love 日本の人形 – 祈りの形 – 愛の実施
Nel vasto universo della cultura giapponese, esistono pratiche che riescono a fondere sensualità, tradizione e arte visiva in una forma di espressione tanto affascinante quanto controversa. Una di queste è senza dubbio lo shibari (縛り), noto anche come kinbaku (緊縛), letteralmente “legatura stretta”. Ma non si tratta soltanto di bondage nel senso occidentale del termine: lo shibari è un rituale estetico, una coreografia fatta di corde, pelle, respiro e silenzi carichi di tensione emotiva. E sì, ha trovato il suo spazio anche nell’universo nerd, tra manga, anime e curiosità da veri intenditori.
Le radici storiche dello shibari: da arte marziale a scultura vivente
Lo shibari ha origini antiche e affonda le sue radici nello hojōjutsu, una tecnica di immobilizzazione dei prigionieri utilizzata dai samurai e dalle forze di polizia giapponesi già dal XV secolo. In un Giappone dove il metallo era raro e prezioso, le corde – fatte di canapa o juta – diventavano strumenti indispensabili per mantenere l’ordine. Ma non si trattava solo di legare: c’erano regole precise, pose codificate, e un’estetica che rifletteva il rispetto (o il disprezzo) per il prigioniero. Ancora oggi, curiosamente, alcuni reparti della polizia giapponese portano con sé fasci di corda nei propri furgoni, una traccia tangibile di un retaggio che sembra non voler svanire.
Col passare dei secoli, e con l’arrivo del periodo Edo (1600-1868), il legame tra corde e immaginario erotico iniziò a farsi più stretto. Le seme-e, xilografie appartenenti alla tradizione degli ukiyo-e, rappresentavano scene di costrizione erotica. Fu però nel XX secolo, con l’artista Seiu Ito, che nacque il kinbaku moderno. Le sue opere, ispirate al teatro kabuki e intrise di una sensualità teatrale e crudele, gettarono le basi per l’evoluzione artistica dello shibari. Negli anni Cinquanta, riviste come Kitan Club e Yomikiri Romance cominciarono a pubblicare fotografie esplicite in cui il corpo legato diventava un’opera d’arte. E così, la legatura erotica divenne sempre più popolare, portando con sé un bagaglio estetico potente e controverso.
Shibari nei manga e negli anime: un’arte tra eros e simbolismo
Il mondo degli anime e manga, si sa, ha affrontato quasi ogni aspetto della cultura giapponese, e lo shibari non fa eccezione. Anche se il tema è spesso relegato a opere per adulti o comunque mature, esistono rappresentazioni che trattano la legatura con rispetto, ironia o anche in chiave simbolica.
Uno dei manga più iconici è sicuramente “Nana to Kaoru” di Ryuta Amazume. In questa commedia romantico-erotica, due adolescenti esplorano il mondo del bondage in modo graduale e consensuale. Le “sessioni di respiro” diventano il pretesto per scoprire sé stessi e la propria identità attraverso la pratica dello shibari. Non c’è solo erotismo, ma anche introspezione, rispetto reciproco e una forte attenzione all’estetica e al contatto emotivo tra i personaggi.
Un’altra opera che merita una menzione è “Shin Yami no Koe – Kaidan” di Junji Ito. Qui lo shibari non è trattato con intento erotico, ma piuttosto disturbante. In una delle sue storie brevi compare una scena di legatura artistica trasformata in una prigione mentale, un’illusione di controllo che sfocia nell’orrore. D’altronde, chi conosce Ito sa bene quanto l’arte possa diventare inquietante.
C’è poi “Pet”, anime tratto dal manga di Ranjō Miyake. Sebbene non ci siano scene di shibari in senso stretto, l’uso delle corde come metafora di manipolazione mentale e psicologica è fortissimo. I personaggi si “legano” letteralmente ai ricordi altrui, creando un’estetica visiva che ricorda le trame intricate delle corde.
Per chi è più aperto ai contenuti espliciti, esiste l’hentai storico “La Blue Girl” (Injuu Gakuen), dove il bondage è presente in modo molto spinto e fantasioso. Attenzione, però: qui lo shibari è solo un elemento decorativo e spesso esagerato, che poco ha a che fare con la pratica reale.
Un titolo più raffinato è invece “Fruits of Passion”, tratto da un film ispirato a L’Impero dei sensi. Questo manga si avvicina al mondo dello shibari con un tocco artistico e sensuale, destinato a lettori adulti e consapevoli.
E non possiamo dimenticare il curioso caso di “Monster Musume no Iru Nichijou”, dove il personaggio Rachnera, una donna-ragno, lega regolarmente altri protagonisti con le sue ragnatele. Sebbene sia un’opera comica ed ecchi, l’allusione allo shibari è chiara, anche se ironica.
Lo shibari come scultura vivente e meditazione
Oggi, lo shibari è praticato anche al di fuori del contesto sessuale. Alcuni artisti lo utilizzano come forma di scultura vivente, in performance pubbliche o fotografiche che esaltano il corpo umano come tela dinamica. Altri ancora lo praticano per rilassamento, sfruttando la sensazione avvolgente delle corde per entrare in uno stato meditativo. In questi contesti, la fiducia reciproca tra chi lega e chi viene legato è totale, e l’obiettivo non è l’erotismo, ma la connessione profonda.
Lo shibari non è solo una pratica erotica: è storia, arte, disciplina, teatro, introspezione e sì… anche cultura pop. E il fatto che sia riuscito a entrare in manga, anime e persino in ambientazioni fantasy la dice lunga sul suo fascino visivo e simbolico. La corda diventa strumento di narrazione, segno grafico, elemento di tensione e talvolta persino comicità. Se sei arrivato fin qui, forse sei pronto per scoprire quanto può essere profondo il mondo dello shibari… oltre ogni cliché. E ora la parola passa a te, lettore nerd e curioso: hai mai notato scene di shibari nei tuoi anime preferiti? Conosci altri manga dove la legatura diventa arte o racconto? Condividi l’articolo, commenta con le tue scoperte o tagga un amico che ha bisogno di saperne di più su questa intrigante disciplina giapponese!
L’11 aprile è una data da segnare sul calendario per tutti gli amanti della cucina giapponese, poiché si celebra il National Takoyaki Day. Questo delizioso street food, simbolo di Osaka, rappresenta una fusione unica tra la tradizione culinaria giapponese e la cultura del fast food. Scopriamo insieme la storia, la preparazione e il fascino che circonda queste polpette di polpo.
La Storia del Takoyaki
Il Takoyaki è stato inventato nel 1935 da Tomekichi Endo, un venditore ambulante di Osaka. Ispirato dai ravioli di Akashiyaki, serviti in brodo, Endo desiderava proporre qualcosa di nuovo e innovativo. Il termine “Takoyaki” deriva da “tako”, che significa polpo, e “yaki”, che indica la cottura alla griglia o alla piastra. Da quel momento, questo piatto è diventato uno dei preferiti non solo a Osaka, ma in tutto il Giappone.
Osaka è conosciuta come “la cucina della nazione”, un titolo che rispecchia la sua ricca tradizione gastronomica e il suo spirito innovativo. Dotonbori, il cuore pulsante della città, è il luogo ideale per vivere l’esperienza del Takoyaki. Qui, i venditori preparano queste delizie a vista d’occhio, versando la pastella su piastre di ghisa speciali, aggiungendo pezzi di polpo fresco e rigirando le polpette con abilità.
La Preparazione del Takoyaki
La preparazione del Takoyaki richiede maestria e attrezzature specifiche. La piastra in ghisa, caratterizzata da conchette a semi-sfera, è fondamentale. Dopo aver unto leggermente la piastra, si versa il composto a base di farina di frumento e brodo dashi. Il segreto del sapore autentico risiede nel brodo, preparato con alga kombu e tonnetto essiccato, che conferisce un aroma unico e inconfondibile.
Una volta cotta da un lato, la pastella deve essere rigirata velocemente utilizzando due bacchette, in modo da formare una crosticina dorata esterna e mantenere l’interno morbido e cremoso. Questo contrasto di consistenze è ciò che rende il Takoyaki così irresistibile. I venditori di Dotonbori sono famosi per la loro velocità e abilità, creando un’atmosfera vivace e coinvolgente che incanta i passanti.
Ingredienti e Varianti
La ricetta tradizionale del Takoyaki prevede l’uso di una miscela di farina di frumento, brodo dashi, katakuriko (amido vegetale), mirin e un pizzico di zucchero. Il polpo fresco è l’ingrediente principale, ma ci sono molte varianti regionali e personali. Alcuni ristoratori sperimentano con ingredienti alternativi, come pollo o gamberi, per offrire un’interpretazione moderna di questo classico piatto.
Ogni porzione di Takoyaki è solitamente completata con una salsa speciale, maionese giapponese, alghe nori tritate e scaglie di bonito, creando un’esperienza gustativa ricca e appagante. È questo insieme di sapori e consistenze che ha reso il Takoyaki un piatto iconico, apprezzato non solo in Giappone, ma anche all’estero.
Con l’aumento del turismo gastronomico e la crescente popolarità della cucina giapponese in tutto il mondo, il Takoyaki ha il potenziale per diventare una vera e propria sensazione culinaria internazionale. Le tecniche tradizionali e la cultura del “cibo da strada” di Osaka si uniscono per offrire un’esperienza culinaria unica, capace di attrarre una nuova generazione di amanti del cibo. Mentre ci avviciniamo alll’Expo mondiale di Osaka, ci si aspetta che il Takoyaki continui a guadagnare visibilità e riconoscimento. I ristoratori e i venditori stanno già preparandosi per accogliere turisti da ogni parte del globo, pronti a far assaporare il gusto autentico di questa delizia.
Il Takoyaki non è solo un cibo; è un simbolo di un’intera cultura gastronomica, capace di unire tradizione e innovazione. Con ogni morso, si può assaporare non solo il polpo e la pastella, ma anche la storia e la passione che hanno reso questo piatto un tesoro culinario. Per celebrare il National Takoyaki Day, perché non provare a cercare un ristorante giapponese vicino a te e immergerti in questa straordinaria esperienza gastronomica?