Una nuova spettacolare serie sui kaiju
consigliata da Shinji Higuchi (Shin Godzilla)
Dall’autore della serie distopica Colorless, arriva in edizione italiana una nuova storia sci-fi ricca di azione e disegni spettacolari! Imponenti kaiju appaiono al largo della costa della cittadina marittima di Sukuba. Le ragioni della loro presenza sono misteriose: puntano alla distruzione totale o stanno cercando di salvare l’umanità da un pericolo più grande? Il primo volume di Gaea-Tima di Kent sarà in libreria, fumetteria e in tutti gli store online a marchio J-POP Manga a partire dal 15 luglio.
L’improvvisa apparizione di un kaiju scatena un maremoto che devasta la cittadina portuale di Sukuba. L’enorme creatura, però si dissolve subito in mare, trasformandosi in nutrimento per la fauna locale e portando a pesche miracolose. Per Sukuba inizia così un periodo di ricchezza e il mostro viene venerato come “la divinità della fecondità Gaea-Tima”. Anche Miyako Morino, che da bambina ha perso tutto nello tsunami, trova il modo di rifarsi vendendo una statuetta che ritrae la creatura e che diventa una hit tra i turisti. Dieci anni dopo l’evento, però, ecco che nella ormai tranquilla cittadina torna a farsi vedere un kaiju…
Kent è da sempre grande fan delle storie sui kaiju e Gaea-Tima è un suo personale omaggio al genere. Anche il design delle creature si ispira ai primi film cult che hanno portato su schermo questi mostri colossali… Non è quindi un caso che la serie sia tra le letture consigliate da Shinji Higuchi, il celebre regista e storyboard artist che ha lavorato a Shin Godzilla, Attack on Titan, Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time!
A questo linkè possibile leggere la preview del primo volume della serie.
L’arte dei Tarocchi incontra il genio intramontabile del manga giapponese, unendo l’estetica dell’arte tarologica occidentale con la potenza narrativa e visiva dell’universo di Tezuka. Lo Scarabeo, casa editrice torinese da sempre attenta alla qualità artistica e simbolica dei suoi mazzi, è infatti orgogliosa di annunciare una straordinaria collaborazione con Tezuka Productions per la creazione di un mazzo diTarocchi ispirato alle opere più iconiche di Osamu Tezuka: il “Dio dei Manga”.
Considerato da molti l’equivalente giapponese di Walt Disney per innovazione tecnica, visione artistica e impatto culturale, Tezuka ha dato vita a personaggi e storie indimenticabili come Astro Boy, Kimba – il leone bianco, Black Jack, La Principessa Zaffiro, La Fenice, Buddha, Dororoe molti altri. Capolavori senza tempo reinterpretati con cura per integrarsi nei 78 archetipi dei tarocchi tradizionali tramite illustrazioni inedite. Oltre alle carte, il cofanetto “Tezuka Tarot” presenta anche un libro per accompagnare gli appassionati nella lettura degli arcani: un testo scritto da Tomomi Imaizumi, membro di Tezuka Productions, lo studio di animazione fondato dallo stesso Tezuka nel 1968 per creare gli adattamenti animati di molte delle sue storie e che oggi custodisce l’eredità creativa del leggendario fumettista e illustratore giapponese.
Una fusione tra Oriente e Occidente
“Questo mazzo rappresenta molto più di una semplice collaborazione editoriale,” dichiara Sophia Pignatiello, editrice de Lo Scarabeo. “È un ponte tra culture e linguaggi, tra due forme d’arte capaci di parlare all’anima: quella dei Tarocchi e quella del Manga. Siamo onorati di poter rendere omaggio a Tezuka attraverso un progetto così ambizioso e sentito.”
In libreria da luglio, il mazzo sarà pubblicato in edizione multilingue per raggiungere appassionati e collezionisti in tutto il mondo.
Un omaggio a una leggenda
Osamu Tezuka (Osaka, 1928 – 1989) è considerato il padre del manga moderno. Visionario, umanista, innovatore, Tezuka ha rivoluzionato la narrazione grafica giapponese dopo la Seconda Guerra Mondiale, creando personaggi iconici che hanno segnato intere generazioni. Pur laureandosi in medicina, ha dedicato la sua vita al fumetto e all’animazione, lasciando un’eredità artistica che ancora oggi ispira autori, registi e illustratori di tutto il mondo.
Lo Scarabeo, edizioni d’Arte
La casa editrice di Torino nasce nel 1987 unendo la competenza collezionistica, l’amore per l’illustrazione e il gusto per l’immagine dei fondatori Mario Pignatiello e Pietro Alligo, a cui oggi si affianca la giovane editrice: Sophia Pignatiello. In trentacinque anni di attività, la casa editrice è diventata leader mondiale nel campo dei Tarocchi, proponendo mazzi straordinari e innovativi, firmati da alcuni tra i più grandi artisti di questo secolo (Corrado Roi, Paolo Eleuteri Serpieri, Milo Manara, Guido Crepax, Ferenc Pinter, Sergio Toppi e molti altri) e integrando la propria eccellenza grafica con una sempre attenta ricerca storica e simbolica. Ai grandi maestri della grafica si sono aggiunti di volta in volta straordinari talenti delle nuove generazioni come Fabio Listrani e Loputyn. Tra i mazzi di Tarocchi più iconici ci sono i Golden Art Nouveau, i preferiti dalla celebrata attrice Anya Taylor, protagonista della serie tv “Regina di Scacchi”, il libro “Alice in Wonderland” illustrato dal grande Paolo Barbieri e il mazzo “Symbolic Soul Tarot” dell’artista visuale piemontese Elisa Seitzinger.
Nel mondo delle Carte da Gioco, Lo Scarabeo si presenta con mazzi da collezione di qualità museale, integrando le illustrazioni di fantasia con le riproduzioni filologiche di carte antiche, insolite e rare. Il marchio “Lo Scarabeo” è riconosciuto in tutto il mondo nel settore dei Tarocchi, della divinazione e della New Age e negli Stati Uniti è noto grazie alla partnership con Llewellyn, il più grande editore New Age del mondo. La particolare cura dell’immagine è protagonista anche della saggistica dell’editore, soprattutto nel settore del fumetto, dei libri di favole e nelle edizioni monografiche sui grandi illustratori e fumettisti italiani. È proprio l’amore per l’illustrazione, il disegno e la “letteratura disegnata” che ha contrassegnato l’evoluzione de Lo Scarabeo: un avvincente percorso che muove dalle allegorie dei Tarocchi in tantissime edizioni di assoluto prestigio per arrivare ai più celebrati protagonisti del fumetto popolare e d’autore e ai suggestivi volumi illustrati. Informazioni e catalogo su: www.loscarabeo.com
Correva l’anno 2000. Eravamo all’alba di un nuovo millennio, tra il timore del Millennium Bug e il fermento per un futuro tutto da scrivere. Ma in Giappone, sotto le luci al neon delle sale giochi e tra scaffali pieni zeppi di capolavori videoludici, c’era un nome che echeggiava ovunque: Final Fantasy. Dopo l’enigmatico e divisivo ottavo capitolo, che aveva portato la saga verso atmosfere più mature e tecnologiche, Square – all’epoca ancora priva della fusione con Enix – compì una scelta controcorrente, un vero e proprio colpo di teatro. Il 7 luglio del 2000 arrivò Final Fantasy IX, un capitolo che nessuno si aspettava, ma che molti avrebbero imparato ad amare profondamente. Oggi, venticinque anni dopo, Final Fantasy IX è più vivo che mai. Non solo nei nostri ricordi, ma anche in una community attivissima che continua a celebrarlo, a reinterpretarlo, a sperare in un remake che – chi lo sa – potrebbe essere dietro l’angolo. Ma cos’ha reso questo gioco così speciale da meritarsi un posto d’onore nel cuore di milioni di fan? Scopriamolo insieme, ripercorrendo le atmosfere, le emozioni e le magie di un’avventura che ha saputo farci ridere, piangere, riflettere… e soprattutto vivere.
Un inaspettato ritorno alle origini: quando il fantasy era ancora pura meraviglia
Nel momento in cui la saga sembrava ormai saldamente ancorata a scenari futuristici e trame sempre più complesse, Final Fantasy IX compì una virata decisa verso il passato. Addio megalopoli cibernetiche e armi nucleari, benvenuti regni medievali, foreste incantate, draghi e magie antiche. Gaia, il mondo in cui si svolge l’avventura, è un omaggio vivente all’epic fantasy, un mosaico di terre magiche e città sospese tra steampunk e fiaba classica.
E se da un lato la direzione artistica – curata da Toshiyuki Itahana e Shukou Murase – ci regala ambientazioni da libro delle favole, dall’altro la trama, scritta dal trio Sakaguchi-Kitagawa-Nojima, ci sorprende con una profondità inaspettata. Il protagonista, Gidan Tribal, è tutto tranne che l’eroe tormentato a cui ci aveva abituati Cloud o Squall: è un ladro dal cuore d’oro, impulsivo, affettuoso, spesso buffo ma mai banale. La sua missione? Rapire la principessa Garnet. Ma come in ogni grande storia che si rispetti, niente va secondo i piani.
Personaggi memorabili per un viaggio indimenticabile
Quello che davvero distingue Final Fantasy IX dagli altri capitoli della saga è il suo cast corale. Ogni personaggio ha una voce unica, un passato denso di emozioni, un arco narrativo che evolve in modo coerente e coinvolgente. Vivi Ornitier, il piccolo mago nero, è forse il simbolo stesso del gioco. Con i suoi occhi luminosi e il suo cappello sproporzionato, sembra uscito da una fiaba per bambini, ma dietro al suo aspetto tenero si nasconde una delle riflessioni più profonde mai affrontate in un videogioco: cosa significa vivere? Cosa significa morire? E che valore ha la nostra esistenza, anche se destinata a finire?
Accanto a Vivi troviamo personaggi altrettanto straordinari: Steiner, il cavaliere impacciato ma fedele; Freija, l’amazzone tragica alla ricerca dell’amore perduto; Eiko, l’ultima dei suoi, testarda e vulnerabile; Amarant, il guerriero solitario dal cuore incatenato. E poi lei, Garnet – o Daga, come preferisce farsi chiamare – una principessa in fuga, che attraversa il dolore della perdita e la scoperta della libertà. È difficile non affezionarsi a ciascuno di loro. E, cosa ancora più rara, è difficile dimenticarli.
Gaia: un mondo costruito con amore e meraviglia
Visitare Gaia è come sfogliare un libro illustrato dove ogni pagina è un’opera d’arte. Alexandria, con i suoi castelli e i teatri; Lindblum, una città industriale sospesa tra torri meccaniche e tradizioni secolari; Burmesia e Cleyra, regni gemelli di pioggia e sabbia; il misterioso Continente Esterno, le lande innevate, i templi perduti. Ogni luogo racconta una storia, ogni villaggio ha le sue leggende, ogni scorcio è pensato per stupire.
E non dimentichiamo Tera, il mondo parallelo che ci proietta verso una dimensione onirica e decadente, e infine il Luogo dei Ricordi, dove realtà, sogno e memoria si fondono in un’esperienza quasi metafisica. Final Fantasy IX riesce là dove molti RPG falliscono: farci sentire parte di un mondo vivo, che respira, che cambia insieme a noi.
Un gameplay classico con il cuore nuovo
Dal punto di vista del gameplay, Final Fantasy IX sceglie la via della semplicità senza rinunciare alla profondità. Il sistema di combattimento a turni torna in tutto il suo splendore, arricchito da un’interfaccia elegante e da meccaniche ben rodate. Il sistema delle abilità, legato all’equipaggiamento, aggiunge un elemento strategico interessante: più usi un’arma o un’armatura, più interiorizzi le sue abilità. Una scelta che premia chi esplora, sperimenta e non ha paura di cambiare.
Innovativa anche l’introduzione degli Active Time Events (ATE), che permettono di assistere a scene opzionali in cui altri personaggi vivono eventi paralleli. Non solo un modo per arricchire la lore, ma anche uno strumento narrativo potente, che crea empatia e senso di comunità. E poi c’è il Tetra Master, il minigioco di carte che – pur non raggiungendo la popolarità del Triple Triad di FFVIII – ha saputo appassionare moltissimi fan con il suo sistema di regole criptiche e collezionismo sfrenato.
La sinfonia d’addio di Nobuo Uematsu
Se c’è un elemento che eleva Final Fantasy IX a opera d’arte, è senza dubbio la colonna sonora. Nobuo Uematsu, storico compositore della saga, firma qui la sua ultima OST completa per un capitolo principale. E lo fa regalando al mondo una delle più belle partiture mai scritte per un videogioco.
Ogni brano è una pennellata d’emozione: dalla malinconia dolce di “Vamo’ alla Flamenco” alla maestosità di “You’re Not Alone”, fino alla struggente “Melodies of Life”, che ancora oggi riesce a far venire i brividi a chiunque l’abbia ascoltata durante i titoli di coda. Uematsu ha dichiarato che con Final Fantasy IX voleva trasmettere un messaggio semplice, ma potente: Vivere! – con il punto esclamativo. E c’è riuscito.
Una leggenda che continua a brillare
Nel tempo, Final Fantasy IX ha saputo scrollarsi di dosso l’etichetta di “fratello minore” rispetto al settimo e ottavo capitolo. Con quasi dieci milioni di copie vendute, un Metacritic da urlo e una fanbase agguerrita, è diventato uno dei titoli più amati dell’intera saga. Un successo costruito nel tempo, con pazienza, con amore. E oggi, più che mai, il gioco continua a vivere grazie a iniziative della community.
La più celebre è sicuramente Moguri Mod, una mod fan-made sviluppata da “snouz” che trasforma la versione PC in un’edizione definitiva. Sfondi ridisegnati grazie all’intelligenza artificiale, migliorie audio, menù ripuliti e una fluidità che rende giustizia all’esperienza originale. Una vera dichiarazione d’amore che ha riportato Final Fantasy IX sotto i riflettori anche per le nuove generazioni.
Remake in vista? Il sogno che potrebbe diventare realtà
E ora veniamo alla domanda che tutti si pongono: Final Fantasy IX avrà mai un remake? Le voci si fanno sempre più insistenti. Secondo l’insider NateTheHate, Square Enix starebbe lavorando a un rifacimento completo, previsto addirittura prima della conclusione della trilogia remake di FFVII. Si parla del 2026, anno in cui potremmo – forse – tornare a volare tra le navi di Lindblum con grafica moderna e doppiaggio integrale.
Ma c’è un ostacolo non da poco: la vastità del contenuto originale. Naoki Yoshida ha lasciato intendere che un remake completo potrebbe richiedere un formato episodico, una scelta che divide i fan. Alcuni sarebbero pronti a tutto pur di tornare a Gaia, altri temono che si possa perdere l’unità narrativa che rende Final Fantasy IX così speciale. Square Enix, per ora, tace. Ma a volte il silenzio è più eloquente di mille annunci.
Un’eredità eterna. Un invito a sognare, ancora
In un panorama videoludico sempre più frenetico, realistico e cinico, Final Fantasy IX resta un baluardo di poesia, fantasia e umanità. È l’ultima grande fiaba della saga classica, un racconto che ci accompagna da un quarto di secolo senza perdere un briciolo della sua magia. Non è invecchiato: è cresciuto insieme a noi. Come i ricordi migliori, quelli che custodiamo in fondo al cuore, tra le note di una canzone e le lacrime di un finale indimenticabile.
E ora che il gioco compie 25 anni, non resta che tornare a Gaia. Che sia con un vecchio salvataggio su PS1, con la versione rimasterizzata o, chissà, con un remake futuro, l’importante è non dimenticare mai il messaggio che Final Fantasy IX ci ha lasciato: vivere! Con il punto esclamativo.
E tu? Hai giocato Final Fantasy IX quando uscì? O l’hai scoperto più tardi? Hai un ricordo speciale legato a Vivi, Gidan, Garnet o alla tua prima partita a Tetra Master? Raccontacelo nei commenti qui sotto o condividi l’articolo sui tuoi social: riviviamo insieme la magia di questo capolavoro senza tempo.
Viviamo davvero in tempi straordinari, in cui la realtà sembra divertirsi a battere la fantasia a colpi di colpi di scena degni della miglior fanfiction. Se qualche anno fa qualcuno vi avesse raccontato che un Papa, durante un’udienza pubblica in Vaticano, avrebbe firmato una carta Pokémon con una penna a sfera mezza scarica, probabilmente avreste scrollato le spalle pensando a un meme surreale, magari confezionato da qualche buontempone su Reddit. E invece no. È successo davvero. È il 2025, e Papa Leone XIV ha appena scritto, in blu e in punta di penna, una delle pagine più inaspettate della storia della cultura pop. O meglio: della cultura Popplio.
La genesi di questa vicenda sembra uscita da un episodio di “What If…?” targato Nintendo e Vaticano. Tutto è partito da un’assonanza, un gioco di parole che solo la comunità nerd poteva trasformare in mitologia virale. “Pope Leo”, ovvero Papa Leone in inglese, suona maledettamente simile a “Popplio”, il tenerissimo Pokémon d’acqua della settima generazione, introdotto in Pokémon Sole e Luna. Un caso fonetico perfetto, uno di quei momenti in cui l’universo nerd si sente autorizzato a leggere i segni del destino nei dettagli più strambi.
E infatti, appena eletto Leone XIV, Internet ha fatto ciò che sa fare meglio: meme. Meme a valanga. Pope Leo che lancia idropulsar. Pope Leo in stile Pokémon Trainer. Pope Leo con Popplio sulla spalla al posto della mitra. La fantasia collettiva ha cominciato a galoppare e, come spesso accade nel nostro mondo nerd, l’ironia ha cominciato a confondersi con la realtà. Fino a che… puff! Ecco che un gesto reale – in tutti i sensi – trasforma la leggenda digitale in un episodio storico.
Durante una delle tradizionali udienze papali in Vaticano, un fan (che molti hanno già iniziato a chiamare “il Discepolo del Popplio”) ha deciso di compiere l’impensabile. Con una faccia tosta degna di un protagonista di JoJo’s Bizarre Adventure, si è presentato davanti a Sua Santità con una carta Pokémon raffigurante proprio Popplio. Ma non si è limitato a mostrargliela: gliel’ha porse, inginocchiandosi con tutta la devozione possibile, e gli ha chiesto di firmarla.
A questo punto, arriva la parte che nessuno – nemmeno nei meme più spinti – avrebbe potuto immaginare. Papa Leone XIV, divertito e incuriosito, ha preso in mano una penna a sfera mezza scarica e ha accettato la sfida. Non ha mollato al primo tentativo: l’ha agitata, l’ha premuta, come un mago che cerca di rievocare il potere perduto di un artefatto sacro. Testimoni raccontano che l’ha fatto con la pazienza di un nonno, la grazia di un maestro Jedi e lo spirito di un vero fan. E infine, il miracolo: la firma papale, in blu, si è impressa sulla superficie lucida della carta Popplio. Un nuovo tipo di benedizione era nato.
Il mondo non poteva restare indifferente. Nel giro di poche ore, le immagini dell’evento hanno invaso Instagram, Threads e X (l’ex Twitter), accompagnate da reazioni estasiate, increduli commenti e un’ondata di creatività social. Il primo a diffondere il video è stato l’utente “King Theo”, che ha raccontato come l’idea fosse nata quasi per scherzo, tra amici. “Non pensavamo davvero che lo avrebbe fatto”, ha confessato. E invece eccoci qui, nel 2025, a vivere un’epoca in cui il leader della Chiesa Cattolica firma carte Pokémon, e tutto ci sembra perfettamente sensato.
Naturalmente Reddit non si è lasciato sfuggire l’occasione. Nella sezione r/interestingasfuck, tra teorie, fan art e frecciatine nerd, un utente ha commentato: “OP ha portato una penna con l’inchiostro secco e Sua Santità ha usato il potere del Signore per riliquefare la penna e permettere la firma della carta.” Un altro, con l’acutezza di chi conosce il valore del collezionismo, ha sentenziato: “Davvero un fan incompetente. Aveva una sola occasione nella vita per farsi firmare una carta di Arceus e ha scelto Popplio. Miserabile.” Ma, battute a parte, tutti concordano su un punto: quella carta è già leggenda.
E proprio parlando di collezionismo, è interessante notare come l’evento abbia stravolto completamente le regole del valore percepito. Popplio, nella scala delle carte Pokémon, è una creatura comune. Nulla a che vedere con i mostriciattoli leggendari o con gli inarrivabili Charizard prima edizione. Ma nel mondo del collezionismo, come ben sappiamo, il contesto può essere più potente della rarità stessa. E qui il contesto è, letteralmente, storico: una carta firmata dal Papa. Non da un doppiatore, non da un illustratore ufficiale, non da un campione mondiale di TCG. Ma dal successore di Pietro.
Se mai questa carta dovesse essere certificata da esperti del settore, potrebbe diventare il Santo Graal dei collezionisti. Un oggetto capace di unire due mondi all’apparenza inconciliabili: la fede e il fandom. E in effetti sui social si parla già di “nuova reliquia papale”, di “carta più sacra del mondo”. Che tutto sia cominciato per scherzo poco importa: oggi quella carta incarna qualcosa di più grande, è diventata un simbolo, una narrazione collettiva, un piccolo mito geek del nostro tempo.
Ovviamente, non sono mancate le polemiche. Alcuni ambienti più conservatori hanno storto il naso. Qualcuno ha parlato di spettacolarizzazione, altri di discredito del ruolo papale. Ma il mondo nerd è un luogo dove sacro e profano si tengono per mano senza paura. Dove Dio può convivere con Pikachu, e dove la mitologia moderna è fatta anche di joystick, cosplay e carte collezionabili. Per molti, il gesto di Papa Leone XIV non è stato altro che un atto spontaneo e gentile, un modo tenero e potente per avvicinarsi a una generazione sempre più distante dalle forme tradizionali di spiritualità. Quel gesto, quella firma, ha detto molto più di mille encicliche: ha parlato il linguaggio dei meme, del gioco, del cuore.
In definitiva, questa storia ha creato un cortocircuito meraviglioso tra due mondi: il sacro e il nerd. Una carta Popplio è diventata oggetto di culto. Il Papa è diventato, per un momento, parte integrante del Pokédex globale. E tutto grazie a un’assonanza, a una penna mezza scarica e a un fan con il coraggio di osare. Il risultato? Un momento magico che probabilmente verrà ricordato nei decenni a venire come una delle cose più assurde, divertenti e simbolicamente potenti accadute in questo pazzo, meraviglioso 2025.
E ora la domanda sorge spontanea: qual è il prossimo passo? Vedremo una benedizione papale su un Game Boy Color trasparente? Una Messa celebrata in cosplay durante il Lucca Comics? Il Papa che partecipa a un torneo ufficiale di Pokémon TCG? Chi può dirlo. In fondo, se Popplio è diventato una reliquia, tutto può succedere.
E voi? Cosa ne pensate di questa incredibile fusione tra sacro e nerd? Avete già pensato quale carta vi fareste firmare se vi trovaste davanti al Papa con il mazzo in mano? Ditelo nei commenti, fate girare questa storia epica sui vostri social e, soprattutto, non smettete mai di credere nei miracoli… e nei meme.
Lo confesso senza vergogna e con un sorriso largo quanto l’intero pianeta Keron: quando ho visto il teaser del nuovo film di Keroro Gunso, rilasciato da Bandai Namco Filmworks, sono stata travolta da una sensazione che solo chi è cresciuto a pane, anime e modellini di Gundam può davvero capire. Una scossa emotiva in pieno petto, un piccolo viaggio nel tempo verso pomeriggi passati davanti alla TV, risate incontenibili e quell’irrinunciabile senso di compagnia che solo certi personaggi sanno regalare. E Keroro, il sergente alieno più improbabile dell’animazione giapponese, è uno di quei personaggi lì. Quelli che restano nel cuore, sempre.
Ma andiamo con ordine, perché la notizia è di quelle che fanno battere forte il cuore a ogni appassionato di anime: Keroro Gunso tornerà al cinema con un nuovo film d’animazione previsto per l’estate del 2026. E non si tratta di un’operazione nostalgia qualunque, una di quelle iniziative buttate lì per vendere due gadget e solleticare i cuori nostalgici di trentenni e quarantenni. No. Questo nuovo Keroro Movie si preannuncia come una vera celebrazione, un evento animato costruito con cura, passione e soprattutto rispetto per un franchise che ha segnato un’epoca.
E a dirlo non sono solo le parole, ma i nomi dietro al progetto. Alla regia troviamo Fumitoshi Oizaki, già character designer nella serie originale e regista apprezzato per titoli come Romeo X Juliet, Etotama e Akuma Kun. La sceneggiatura e supervisione generale sono affidate a Yūichi Fukuda, un vero maestro della commedia nonsense che ha saputo trasformare in cult live-action imprevedibili come Gintama, Saint Young Men e il folle HK/Hentai Kamen. Al character design, infine, c’è Satoshi Koike, che abbiamo amato in Soul Eater Not! e Princess Connect! Re:Dive 2. Una triade di creativi che, già sulla carta, promette di far scintille mescolando humour, cuore e follia in dosi perfettamente calibrate.
Ma perché questo ritorno è così speciale? Perché Keroro Gunso non è stato solo un anime. È stato un punto di riferimento culturale, un fenomeno pop, un concentrato di nonsense e profondità camuffata dietro gag assurde e personaggi caricaturali. La trama – per chi non avesse mai avuto il piacere – è semplice quanto geniale: un gruppo di alieni parte in missione per conquistare la Terra, ma finisce col rimanere bloccato in una famiglia giapponese, trasformando l’invasione in una quotidianità surreale e irresistibile. Al centro di tutto c’è lui, il sergente Keroro, pigro, infantile, maniaco dei modellini e assolutamente inadatto al comando. Ma è proprio in questa sua incapacità che risiede il suo fascino: Keroro è il classico antieroe che finisce per conquistarti, proprio perché è un disastro su due zampe… pardon, su due zampe anfibie.
Intorno a lui ruota il mitico Plotone Keroro, una squadra di alieni fuori di testa, ognuno con un carattere esagerato e irresistibile. Tamama, apparentemente tenero, nasconde una gelosia esplosiva; Giroro, il militare tutto d’un pezzo, si scioglie appena vede Natsumi; Kururu, il genio malvagio dal ghigno inquietante, costruisce invenzioni che sfidano la logica; e infine Dororo, il ninja dimenticato da tutti, tenero, profondo, malinconico eppure sempre pronto a dare il massimo. Insieme, sono una squadra disfunzionale, una sorta di famiglia alternativa che ci ha insegnato a ridere di noi stessi, delle nostre debolezze e del mondo che ci circonda.
Quando Keroro Gunso è arrivato in Italia nel 2006, trasmesso da Italia 1, fu una rivelazione. In un’epoca in cui gli anime del pomeriggio erano un mix variegato di generi e qualità, Keroro spiccava per il suo ritmo indiavolato, il doppiaggio sopra le righe e quell’umorismo che sembrava scritto apposta per noi nerd in crescita. Le prime due stagioni passarono in chiaro, mentre la terza finì su Hiro e la quarta, purtroppo, rimase monca. Un peccato, perché in Giappone la serie ha collezionato 358 episodi e ben cinque film animati, mantenendo sempre vivo il suo spirito giocoso e anticonformista.
Anche se l’anime si è concluso nel 2011, il manga originale di Keroro Gunso, firmato da Mine Yoshizaki, continua imperterrito sulle pagine di Shōnen Ace. E grazie a Star Comics possiamo godercelo anche in Italia, riscoprendo la genialità narrativa di una serie che, tra un’esplosione e una risata, non ha mai smesso di essere attuale. È questa continuità, questa capacità di reinventarsi rimanendo fedele a se stessa, che rende Keroro un capolavoro atipico e senza tempo.
Ma torniamo al film del 2026, perché le sorprese non finiscono qui. A rendere il tutto ancora più emozionante è la conferma del ritorno del cast originale di doppiatori. Sentire di nuovo Kumiko Watanabe nei panni di Keroro sarà come incontrare un vecchio amico dopo anni. Quelle inflessioni, quelle urla grottesche e quei momenti di puro delirio vocale sono parte integrante del DNA della serie. Insieme a lei torneranno Etsuko Kozakura (Tamama), Jouji Nakata (Giroro), Takehito Koyasu (Kururu) e Takeshi Kusao (Dororo). Una reunion che sa tanto di “homecoming”, una carezza nostalgica che ci riporta dritti al cuore degli anni Duemila.
Anche la colonna sonora non delude. L’iconica opening KERO! to MARCH, vera e propria marcia trionfale dell’anima nerd, tornerà in una nuova versione dal titolo Mata Kaettekita KERO! to MARCH, reinterpretata da ano e Soshina. Il solo titolo mi ha fatto venire i brividi: è come se la serie ci stesse urlando “Siamo tornati, e siamo più carichi che mai!” Impossibile non immaginarsi già a cantarla in karaoke, con gli amici di una vita, magari indossando un elmetto alla Keroro e una t-shirt con il logo della Keron Army.
A proposito di loghi, una vera chicca è il simbolo ufficiale per il 20° anniversario, che strizza l’occhio al celebre logo per il trentennale di Gundam. Un omaggio intelligente e ironico, che unisce passato e presente, celebrando le passioni nerd che scorrono nel sangue di Keroro stesso. Un piccolo dettaglio che però dice tutto dello spirito del progetto: giocoso, autoironico, ma anche profondamente rispettoso del suo stesso mito.
E per avvicinare anche le nuove generazioni a questa follia aliena, è stata scelta una testimonial d’eccezione: la cantante Ano, nominata ambasciatrice ufficiale del progetto. Una scelta strategica e affettuosa, che guarda al futuro mantenendo saldo il legame con il passato. Perché Keroro Gunso, sotto quella superficie colorata e sopra le righe, ha sempre parlato di qualcosa di profondo: amicizia, accettazione, fallimento, crescita. E lo ha fatto con una leggerezza che solo i grandi sanno padroneggiare.
Ecco perché questo film non è solo una nuova uscita da calendario. È un vero evento. Un’occasione per riscoprire una parte di noi stessi, per ridere ancora una volta con quella rana spaziale così assurda eppure così umana. È un modo per ricordare che si può essere nerd, goffi, disfunzionali e comunque amati. Che si può fallire e far ridere, e che in fondo, come Keroro insegna, l’importante è non smettere mai di giocare.
E voi? Avete già tirato fuori i vecchi DVD, le action figure o la collezione di manga? Qual è il vostro episodio preferito, la gag che non dimenticherete mai, il personaggio che più vi rappresenta? Scrivetemelo, raccontatemelo, condividete questo articolo sui vostri social e fatelo sapere al mondo: il sergente Keroro è tornato. E questa volta, non ci sono scuse per non arruolarsi nel Plotone più pazzo della galassia!
Prepariamoci: l’universo oscuro e affascinante di Solo Leveling sta per spalancare di nuovo i suoi portali. E questa volta non lo farà con un semplice sequel o uno spin-off prevedibile. No, stavolta Netmarble – il gigante coreano del gaming mobile già noto per le sue incursioni nel mondo dei tie-in videoludici – ha deciso di sorprenderci con qualcosa che ha il potenziale per diventare il titolo cult per i fan della saga e per tutti gli appassionati di action RPG: sto parlando di Solo Leveling: KARMA.
Se sei tra coloro che hanno divorato le pagine del manhwa, esplorato ogni dettaglio della light novel o seguito con il fiato sospeso l’adattamento anime che ha incendiato i social, sappi che questa nuova incarnazione videoludica promette di portare il mito di Sung Jinwoo su un nuovo livello. Un livello più oscuro, più frenetico, più misterioso. E, soprattutto, narrativamente inedito.
Un nuovo titolo, una nuova storia, un Jinwoo che (forse) non conosciamo
La prima cosa da chiarire è che Solo Leveling: KARMAnon è un clone del già popolare Solo Leveling: Arise. Chi pensava a una semplice operazione commerciale per capitalizzare sull’hype della serie, dovrà ricredersi. Netmarble ha deciso di premere il pulsante del “New Game+” non solo a livello di gameplay, ma anche – e forse soprattutto – a livello narrativo. Perché KARMA ci porta in un angolo oscuro e inesplorato della mitologia di Solo Leveling: un intervallo temporale di 27 anni mai raccontato prima né nella novel né nel manhwa.
E qui, ammettiamolo, l’hype comincia a farsi incontrollabile.
Ventisette anni. Una porzione di storia rimasta nell’ombra, nascosta tra le pieghe del tempo e della guerra. Un’epoca che il Jinwoo che conosciamo ha vissuto, affrontato, forse sofferto… ma che noi non abbiamo mai visto. Chi era l’Ombra Suprema in quegli anni di silenzio? Quali nemici ha combattuto mentre il mondo lo credeva scomparso? È stato davvero un eroe? O è diventato qualcosa di più… o di peggio?
Il teaser ufficiale del gioco – lanciato come una vera chiamata alle armi per tutti i fan – non lascia spazio a dubbi: Solo Leveling: KARMA non sarà solo un hack’n’slash spettacolare, sarà una rivelazione narrativa.
Uno stile di gioco che cambia le regole (e riflette l’essenza di Jinwoo)
Parliamo di gameplay. Solo Leveling: KARMA si presenta come un action RPG isometrico con forti elementi roguelite, in un mix che richiama titoli come Hades o Dead Cells, ma con il fascino visivo e la profondità dark-fantasy tipici dell’universo creato da Chugong. Se in Arise il focus era su una narrazione cinematografica in terza persona, qui ci troviamo davanti a una struttura più cruda, più strategica, dove ogni run conta, ogni morte insegna, e ogni potenziamento è il frutto del sangue versato nei dungeon.
E a pensarci bene, è una scelta perfettamente coerente con la natura di Sung Jinwoo. Il suo potere, la sua maledizione, è sempre stato quello di “livellare”, crescere combattendo, morendo, imparando. In un contesto roguelite, questo concetto esplode in tutto il suo potenziale: ogni partita sarà una nuova incarnazione del percorso evolutivo del protagonista. E se davvero KARMA saprà intrecciare meccaniche e narrazione con la stessa maestria di giochi come Returnal o Slay the Spire, allora prepariamoci a qualcosa di grande.
Il fascino dell’ignoto: Jinwoo e il mistero dei 27 anni perduti
Come fan, non posso che lasciarmi affascinare dall’idea di esplorare quel “buco nero” di lore che è stato finora ignorato dalla continuity ufficiale. Perché il potenziale di quei 27 anni è immenso. Potremmo scoprire nuovi personaggi, affrontare nuovi Re, vedere un Jinwoo diverso – forse più oscuro, più solitario, più… umano? E se il gioco deciderà davvero di includere un sistema di scelte morali e finali multipli, come molti ipotizzano, allora non sarà solo una questione di gameplay, ma di identità. Chi diventeremo giocando KARMA? E che tipo di Ombra Suprema forgeremo?
Il franchise di Solo Leveling non si ferma più
Non possiamo ignorare che il franchise di Solo Leveling sta vivendo un momento d’oro. Dopo l’incredibile successo dell’anime – con milioni di visualizzazioni, meme, reaction e fanart ovunque – e l’arrivo di titoli come Arise e Arise Overdrive, è chiaro che l’universo narrativo creato da Chugong è diventato qualcosa di più di una semplice serie: è una mitologia moderna.
E Solo Leveling: KARMA sembra intenzionato a consolidare questo status, offrendoci un’esperienza che non è solo videoludica, ma profondamente emozionale. Il fatto che il gioco sia previsto per PC, iOS e Android è un chiaro segnale della volontà di Netmarble di coinvolgere tutta la community globale, senza barriere.
Il sito ufficiale è già online, il trailer sta facendo il giro del mondo, e le teorie dei fan impazzano. Torneranno le Ombre più amate? Vedremo Beru, Igris, Tusk in nuove versioni? Il gameplay avrà elementi cooperativi o sarà un’esperienza solitaria come la guerra interiore di Jinwoo? Ancora non lo sappiamo. Ma il mistero, si sa, è parte del fascino.
Un nuovo capitolo, una nuova Ombra da esplorare
Alla fine dei conti, Solo Leveling: KARMA è più di un semplice gioco. È una nuova occasione per entrare in uno dei mondi più iconici e affascinanti del fantasy contemporaneo. È un viaggio nelle profondità di un personaggio che ha fatto della crescita, della sofferenza e della determinazione la propria essenza. È un dono per tutti noi che abbiamo amato Jinwoo, non solo come eroe, ma come simbolo del potere che nasce dal fallimento.
E tu? Sei pronto a scoprire cosa si cela dietro quei 27 anni di silenzio? Quale verità ti aspetti di trovare nei dungeon di KARMA? Sei più attirato dall’estetica cruda e isometrica di questo titolo o preferivi il taglio cinematografico di Arise? Personalmente, non vedo l’ora di calarmi ancora una volta nei panni del Cacciatore più potente (e tormentato) del mondo, e vedere dove ci porterà questa nuova discesa nell’oscurità.
Scrivimi cosa ne pensi qui sotto nei commenti oppure condividi l’articolo sui tuoi social, nel tuo gruppo Discord o con il party della tua gilda: l’Ombra Suprema è pronta a tornare… e non sarà sola.
C’è una cosa che ogni vero appassionato di anime impara presto: quando Shoji Kawamori mette lo zampino in un progetto, bisogna drizzare le orecchie. E quando si scopre che sta per arrivare un suo nuovo film anime sci-fi completamente originale, beh… allora il cuore comincia a battere un po’ più forte. Segnatevi questa data sul calendario, possibilmente con un pennarello indelebile fluo: gennaio 2026. È il mese in cui debutterà “Meikyu no Shiori”, conosciuto anche con il titolo internazionale “Labyrinth”, il primo film anime originale diretto da Kawamori – un evento storico, considerando che parliamo del genio dietro pietre miliari come Macross, Aquarion e The Vision of Escaflowne.
Ma cos’ha di tanto speciale questo Labyrinth? Preparatevi, perché la risposta è: praticamente tutto. A partire dal concept stesso, che sembra uscito da un sogno febbrile, o meglio, da un incubo digitale dei nostri giorni. Al centro della vicenda troviamo Shiori Maezawa, una studentessa liceale che, dopo un giorno apparentemente come tanti, si ritrova scaraventata in una Yokohama parallela, spettrale e deserta, a causa… di una crepa sullo schermo del suo smartphone. Sì, avete letto bene: una semplice rottura del telefono apre le porte a un mondo alternativo in cui ogni strada è un enigma e ogni notifica può rivelarsi una trappola.
Il colpo di scena arriva quando Shiori scopre che qualcuno – o qualcosa – sta usando i suoi account social per pubblicare foto inquietanti, scattate in luoghi in cui lei non è mai stata. La situazione degenera rapidamente: un suo doppelgänger digitale prende piede online, raccogliendo like e attenzioni, mentre lei è prigioniera in una realtà deformata, intrappolata in quello che sembra un labirinto creato dal suo stesso smartphone. Per ritrovare sé stessa – e magari anche uscire viva – Shiori dovrà affrontare la sua versione distorta, un riflesso nato dall’intreccio perverso tra identità, tecnologia e social media.
Il trailer ufficiale del film ci dà un assaggio visivo e sonoro di quello che ci aspetta: atmosfere sovrannaturali, una narrazione al confine tra il pop e l’horror psicologico, e una regia che promette tanto cuore quanto spettacolo. Le ambientazioni sono oniriche e disorientanti, un mix tra distopia urbana e inquietudine esistenziale, dove il quotidiano si trasforma in incubo, e la tecnologia – che dovrebbe connetterci – si fa strumento di alienazione.
A livello produttivo, Labyrinth è un progetto di tutto rispetto. Viene realizzato dallo studio SANZIGEN, che molti conoscono per il franchise musicale BanG Dream!, ma che in questa occasione si cimenta con un’opera più cupa e complessa. Il character design è affidato alla bravissima Risa Ebata, già nota per il suo lavoro su Macross Frontier e AKB0048, mentre la sceneggiatura porta la firma di Taichi Hashimoto, che ha già dimostrato il suo talento con LISTENERS e Gate Keepers 21. Il film è prodotto da un quartetto di nomi importanti del settore: Slow Curve, Vector Vision, GAGA Corporation e Fuji TV, tutti coinvolti nello sviluppo del concept originale.
Shoji Kawamori, in una delle sue rare dichiarazioni ufficiali, ha spiegato che l’idea di base del film nasce da una riflessione profonda: gli smartphone sono come un altro “sé”, un alter ego digitale che raccoglie e conserva ogni tipo di informazione personale. Ed è proprio da questa consapevolezza che nasce la tensione narrativa di Labyrinth: cosa succede quando questo “sé digitale” comincia ad avere una vita propria, slegata da noi, e magari… più interessante della nostra?
Se tutto questo vi fa pensare a Black Mirror, Ghost in the Shell o perfino a Serial Experiments Lain, non siete fuori strada. Ma il tocco di Kawamori è inconfondibile: qui la tecnologia non è solo uno strumento di distruzione, ma anche di riflessione, identità e (forse) redenzione. Non dimentichiamo che stiamo parlando di uno dei più grandi mecha designer e visionari narratori della storia dell’animazione giapponese, un artista che ha saputo mescolare filosofia, musica, fantascienza e sentimento come pochi altri nel settore.
Per chi ha avuto la fortuna di incontrarlo al Lucca Comics & Games 2024, sarà ancora più emozionante vedere Kawamori alle prese con un progetto così personale e innovativo. Dopo aver rivoluzionato l’universo dei robottoni con Macross, e averci regalato sogni animati con Escaflowne e Aquarion, ora punta tutto su una storia originale, una sorta di thriller esistenziale contemporaneo che mescola horror leggero, critica ai social media, e l’ansia modernissima di perdere il controllo della propria immagine pubblica.
Insomma, Meikyu no Shiori promette di essere uno dei film anime più intriganti e chiacchierati del 2026. E non soltanto per la presenza di Kawamori dietro la macchina da presa, ma perché tocca nervi scoperti della nostra società contemporanea, trasformandoli in una storia ricca di mistero, azione e pathos. Con una protagonista giovane e determinata, un’ambientazione disturbante e una regia affidata a uno dei nomi più grandi del panorama anime, Labyrinth si preannuncia come una di quelle opere destinate a lasciare il segno.
Se amate le storie in cui il confine tra realtà e fantasia si sfuma fino a scomparire, se vi affascina l’idea di lottare contro il proprio “io digitale”, e se non vedete l’ora di scoprire dove può portarci un semplice display rotto… allora preparatevi: gennaio 2026 sarà un mese da segnare col fuoco nel calendario nerd.
E voi cosa ne pensate di questo nuovo viaggio visionario firmato Shoji Kawamori? Avete già visto il trailer? Vi è mai capitato di sentirvi “osservati” dai vostri stessi social? Raccontatecelo nei commenti e condividete questo articolo con i vostri amici: magari anche loro sono intrappolati in un labirinto digitale senza nemmeno saperlo…
Nel calendario giapponese, quando il cielo estivo si veste di luci e desideri, prende vita una delle festività più affascinanti e romantiche della cultura nipponica: Tanabata, la “Settima Notte”. Celebrata tradizionalmente il 7 luglio — anche se la data può variare in base al calendario lunisolare — Tanabata è molto più di una semplice ricorrenza: è un incontro annuale tra due stelle, una leggenda d’amore che ha attraversato secoli, continenti e galassie, fino a trovare posto anche tra gli scaffali dei manga, le puntate degli anime e persino nei nostri videogiochi preferiti.
La leggenda di Orihime e Hikoboshi: quando le stelle si amano
La storia che ha dato origine a Tanabata sembra uscita da un’antica fiaba spaziale, degna delle migliori trame fantasy con un tocco di romanticismo struggente. Orihime, principessa e tessitrice celeste, figlia del potente dio del cielo Tentei, passava le sue giornate a tessere abiti preziosi per le divinità. Ma il suo cuore, cucito tra i fili del dovere, era vuoto di amore.
Commosso dalla sua solitudine, il padre decise di unirla in matrimonio con Hikoboshi, un giovane mandriano delle stelle, devoto e laborioso. Il loro amore fu immediato, totalizzante… forse troppo. Presi dalla passione, Orihime e Hikoboshi trascurarono i loro compiti celesti. Gli abiti divini rimasero incompiuti, e i buoi sacri vagarono nel cielo senza guida. L’ira di Tentei non tardò a manifestarsi: i due amanti vennero separati, confinati su sponde opposte del Fiume Celeste, ovvero la Via Lattea. Tuttavia, ogni anno, il settimo giorno del settimo mese, uno stormo di gazze pietose forma un ponte con le proprie ali, permettendo ai due di rivedersi per una sola, magica notte.
Una storia struggente, senza tempo, capace di parlare d’amore, sacrificio e speranza. E forse è proprio per questo che Tanabata ha conquistato anche l’immaginario collettivo della cultura pop contemporanea.
Tradizione e magia tra le strade del Giappone
Chi ha la fortuna di trovarsi in Giappone in questo periodo può vivere una delle esperienze più poetiche di sempre. Le città si trasformano in mondi onirici dove luci soffuse, lanterne di carta, yukata colorati e decorazioni simboliche invadono le strade. La più iconica tra tutte è il tanzaku, una piccola striscia di carta colorata su cui si scrivono desideri, sogni e promesse, poi legati con cura ai rami di un albero di bambù. Una vera e propria “posta celeste” per le stelle, affinché i nostri desideri raggiungano il cielo, proprio come accade tra Orihime e Hikoboshi.
Ogni decorazione ha un significato: le fukinagashi, le stelle filanti, richiamano i fili della tela tessuta da Orihime; gli orizuru, origami a forma di gru, simboleggiano salute e longevità; le toami, reti da pesca, portano fortuna nei raccolti. Il bambù, flessibile e resistente, rappresenta la forza e la crescita, ed è il simbolo centrale della festa. In alcune regioni si usa lasciar galleggiare le foglie nel fiume insieme a lanterne, un rito che coniuga purificazione e speranza.
Da Edo a Sendai: un viaggio nel tempo e nello spazio
Tanabata non è nato ieri. Le sue origini risalgono al lontano 755, quando fu importato dalla Cina come trasposizione del festival Qīxī, durante il regno dell’imperatrice Kōken. La leggenda si fuse in Giappone con rituali shintoisti, come la cerimonia della tanabatatsume, una vergine che tesseva vesti per le divinità. Questo intreccio di mitologia e religione diede vita a una tradizione unica, che raggiunse il culmine durante il periodo Edo, soprattutto a Sendai, città che ancora oggi ospita il Tanabata più celebre del Giappone.
Dal 6 all’8 agosto, Sendai si trasforma in un universo di lanterne, tanzaku, stelle filanti e bancarelle traboccanti di dolci e giochi. Le decorazioni raggiungono dimensioni monumentali, vere e proprie installazioni artistiche, tra le più spettacolari di tutto il Sol Levante. La festa è diventata così popolare che ha anche resistito a guerre, crisi economiche e modernizzazione, rinascendo ogni volta più brillante che mai.
Quando Tanabata incontra manga, anime e videogiochi
E qui si entra nel vivo della passione nerd. La leggenda di Tanabata non è rimasta confinata ai libri di storia o alle feste popolari: ha contaminato profondamente la cultura pop giapponese. Gli anime e i manga abbondano di episodi dedicati a questa festa. In La malinconia di Haruhi Suzumiya, ad esempio, il Tanabata diventa lo sfondo di riflessioni filosofiche e viaggi temporali. Kimagure Orange Road, Keroro, Ranma ½, Pretty Star… tutti hanno celebrato questa romantica ricorrenza.
Persino Steins;Gate 0 ci regala momenti in cui la leggenda viene rievocata con toni malinconici, mentre Nana e Kiss Me Licia ci mostrano tanzaku scritti con emozioni vere. In ambito videoludico, la serie Animal Crossing non si è fatta sfuggire l’occasione di omaggiare questa celebrazione con oggetti tematici e decorazioni a tema, permettendo anche ai giocatori occidentali di partecipare, seppur virtualmente, a questa notte speciale.
E se ti sembra poco, persino il vertice del G8 del 2008 è stato influenzato da Tanabata: ai leader mondiali fu chiesto di scrivere i loro desideri per un mondo migliore e appenderli a un ramo di bambù. Un gesto simbolico, potente, poetico.
Tanabata: un rituale cosmico che ci ricorda di sognare
Tanabata non è solo una festa giapponese. È una celebrazione dell’amore che resiste al tempo, dello spirito umano che cerca sempre un ponte, una possibilità, anche quando tutto sembra perduto. È un rito che parla al nostro cuore geek, amante delle storie, dei miti, delle emozioni senza tempo.Guardare la Via Lattea e pensare che due stelle si stiano finalmente incontrando, dopo un anno di attesa, ha qualcosa di profondamente commovente. Ed è bello pensare che, scrivendo un desiderio su un pezzetto di carta e affidandolo al vento, stiamo partecipando anche noi a quel racconto millenario.
Quindi, armati di carta colorata e fantasia, scrivi il tuo desiderio. Appendilo al primo bambù che trovi o anche solo idealmente, nella tua mente nerd. Perché la magia del Tanabata non ha confini, né di spazio né di tempo. E tu? Hai mai celebrato il Tanabata o hai un anime del cuore che ti ha fatto sognare questa festa? Scrivilo nei commenti qui sotto e condividi questo articolo sui tuoi social: magari tra le stelle, Orihime e Hikoboshi leggeranno anche i tuoi desideri!
È finalmente arrivato il momento che tutti stavamo aspettando: Record of Ragnarok III, la terza stagione della serie anime che ha conquistato il cuore di milioni di fan in tutto il mondo, sbarcherà su Netflix a dicembre 2025. E lo farà in grande stile, con nuovi volti dietro le quinte, una nuova visione artistica e – ovviamente – nuovi scontri epici da far tremare l’Olimpo e oltre. Se sei tra quelli che hanno seguito con il fiato sospeso i tredici duelli tra umani e divinità, preparati: la guerra per la sopravvivenza dell’umanità sta per riprendere… e la tensione è alle stelle.
La storia di Record of Ragnarok non ha bisogno di molte presentazioni, ma ripercorrerla è come rispolverare un mito moderno. Nata dalla mente creativa di Takumi Fukui e Shinya Umemura, con i disegni potenti e vibranti di Chika Aji, la serie ha preso vita per la prima volta nel 2017 sulle pagine della rivista Monthly Comic Zenon. In quel manga esplosivo, veniva raccontata una premessa tanto semplice quanto geniale: ogni 1000 anni, gli dei si riuniscono per decidere il destino dell’umanità. E questa volta, la sentenza è chiara: estinzione. Ma ecco che arriva l’opzione Ragnarok – un torneo tra divinità e umani scelti attraverso la storia – tredici duelli uno contro uno, con la posta più alta possibile: la sopravvivenza della razza umana.
La trasposizione animata del manga è iniziata nel 2021, quando Netflix ha distribuito la prima stagione, portando questa colossale guerra mitologica sotto gli occhi del grande pubblico. I combattimenti, la colonna sonora travolgente, il character design carismatico: tutto ha contribuito a creare un prodotto di culto in breve tempo. La seconda stagione, uscita in due parti nel 2023, ha mantenuto alte le aspettative, con scontri sempre più spettacolari e personaggi che, episodio dopo episodio, hanno reso impossibile staccarsi dallo schermo.
Ora, con la terza stagione all’orizzonte, l’hype è alle stelle. E con ragione. Questa nuova ondata di episodi si apre con una tensione narrativa che non potrebbe essere più elettrica: ci troviamo infatti di fronte alla settima battaglia, lo scontro che spezzerà l’equilibrio attuale. Siamo 3 a 3 tra divinità e umani, e questo duello sarà il tie-breaker. I fan più accaniti già speculano su chi saranno i prossimi a scendere nell’arena, e le teorie si moltiplicano come i fulmini di Zeus.
Ma non è solo la trama a far parlare di sé. A cambiare, in questa terza stagione, è anche il cuore creativo della produzione. Alla regia troviamo infatti Koichi Hatsumi, un nome che farà drizzare le antenne a chi ha apprezzato Tokyo Revengers. Hatsumi sostituisce Masao Ōkubo, regista delle prime due stagioni, portando con sé una nuova sensibilità visiva e narrativa. Un cambiamento importante, che potrebbe dare alla serie una rinfrescata stilistica senza snaturarne l’anima. La produzione passa inoltre allo studio Yumeta Company, affiancato da Maru Animation, lasciandosi alle spalle il contributo di Graphinica. Questo nuovo duo promette animazioni più fluide, scene d’azione ancora più esplosive e – si spera – combattimenti capaci di lasciare il segno nella storia dell’animazione giapponese.
Al timone della sceneggiatura sale Yasuyuki Mutō, che porta in dote la sua esperienza in opere come D.Gray-man e Code:Breaker. Il suo arrivo fa ben sperare in dialoghi più intensi, archi narrativi più raffinati e colpi di scena capaci di tenere incollati anche gli spettatori più smaliziati. Non meno importante è il nuovo assetto artistico: il character design sarà curato da Yōko Tanabe e Hisashi Kawashima, due professionisti con un curriculum notevole, pronti a reinventare l’estetica dei personaggi con tratti più espressivi e una cura dei dettagli ancora maggiore.
E mentre tutto cambia, c’è almeno un elemento che resta saldo: Yasuharu Takanashi, il compositore delle stagioni precedenti, torna a firmare la colonna sonora di Record of Ragnarok III. Le sue musiche, epiche e adrenaliniche, sono da sempre un elemento fondamentale della serie, capaci di accompagnare gli scontri come rulli di tamburi in una guerra celeste. La sua presenza è una garanzia: possiamo aspettarci temi ancora più intensi, pronti a scandire ogni momento cruciale con il giusto pathos.
Insomma, Record of Ragnarok III ha tutte le carte in regola per essere la stagione più emozionante, spettacolare e carica di pathos dell’intera saga. Con una narrazione sempre più matura, un comparto tecnico rinnovato e scontri sempre più tesi e coreografici, la serie sembra pronta a superare se stessa e a imporsi come una delle punte di diamante dell’offerta anime su Netflix.
E poi, diciamocelo: quale altro anime riesce a mettere sullo stesso ring un’umanità disperata e divinità arroganti, mescolando mitologia norrena, storia giapponese, filosofia greca e armi da samurai in un’unica, esplosiva cornice narrativa? Record of Ragnarok è un fenomeno unico, e questa terza stagione è pronta a dimostrarlo una volta di più.
Non ci resta che attendere dicembre 2025, segnandoci la data sul calendario con la stessa energia con cui Thor brandisce il suo Mjölnir. L’arena è pronta, gli sfidanti stanno per entrare, e noi, spettatori assetati di emozioni, non vediamo l’ora di assistere alla prossima battaglia per il destino dell’umanità.
E tu? Sei pronto a tifare per gli umani o stai dalla parte degli dei? Raccontacelo nei commenti e condividi questo articolo con la tua Valhalla Crew su Facebook, X o Instagram! La guerra finale sta per iniziare… e nessuno vuole perdersela.
C’è qualcosa di magico, quasi mistico, nel sentire riecheggiare il nome Ghost in the Shell in una sala gremita di appassionati, durante un evento come l’Anime Expo. Un nome che, per chi ama la fantascienza giapponese e il cyberpunk, non è solo un titolo, ma un richiamo, un battito digitale impresso nella memoria collettiva. E quest’anno, proprio durante il panel speciale organizzato da Bandai Namco Filmworks e dedicato alla nuova serie anime prodotta da Science SARU, è arrivata la notizia che molti attendevano con il fiato sospeso: Ghost in the Shell tornerà nel 2026 con una nuova serie anime, un progetto imponente che promette di essere al tempo stesso un omaggio alle radici e una spinta verso il futuro.
Durante il panel, il pubblico ha potuto assistere alla proiezione del secondo teaser ufficiale della serie, una sequenza breve ma densissima, capace di far esplodere la nostalgia e, allo stesso tempo, far salire alle stelle le aspettative. A rendere l’annuncio ancora più speciale è stata la rivelazione del nuovo logo, un’opera dell’artista visionario Hajime Sorayama, celebre per il suo stile iperfuturistico e per aver firmato la copertina di Just Push Play degli Aerosmith. Una scelta estetica che già da sola racconta l’ambizione del progetto: reinterpretare il cyberpunk con occhi nuovi, metallici e sensuali.
Un nuovo capitolo, una nuova visione
Il titolo ufficiale della serie sarà Kōkaku Kidōtai The Ghost in the Shell, e no, non sarà un semplice reboot. Quello che ci aspetta nel 2026 sarà una vera e propria “nuova generazione” per il franchise, un’altra variazione sul tema eterno del confine tra uomo e macchina, tra coscienza e codice. La nuova serie nasce da una collaborazione titanica tra Science SARU, Production I.G., Kodansha e Bandai Namco Filmworks: quattro colossi dell’industria che incarnano il meglio della tradizione e dell’innovazione nell’animazione giapponese. Già solo questo dream team basta a far tremare i polsi a qualunque fan.
Ma le sorprese non finiscono qui. Per la prima volta, la regia sarà affidata a Moko-chan, nome d’arte dietro cui si cela una delle voci emergenti più promettenti del panorama anime. Chi segue da vicino le produzioni recenti potrebbe aver notato la sua firma in Dan Da Dan, The Heike Story e Tatami Time Machine Blues, dove ha lavorato come storyboard artist e animatrice principale. Ora, però, è pronta a fare il grande salto. E non è un caso che sia proprio una regista donna a guidare questo progetto: Ghost in the Shell ha sempre interrogato il concetto di corpo, identità e genere, e l’arrivo di uno sguardo femminile dietro la macchina da presa potrebbe rappresentare una vera rivoluzione narrativa.
Accanto a Moko-chan, troviamo Toh Enjoe alla sceneggiatura e alla series composition. Enjoe è una figura singolare, autore di romanzi e racconti che mescolano scienza, filosofia e speculazione metafisica, già noto per i suoi lavori in L’Impero dei Cadaveri e Godzilla: Punto di Singolarità. La sua penna sarà fondamentale per dare forma a un racconto che, come sempre, non sarà solo azione e tecnologia, ma anche riflessione profonda sull’identità e sulla condizione umana.
Il design dei personaggi sarà invece affidato a Shūhei Handa, nome ben noto a chi ama l’animazione sperimentale: Little Witch Academia, Spriggan, Scott Pilgrim Takes Off… la sua estetica si muove tra delicatezza e potenza, e sarà anche lui a dirigere l’animazione generale. Insomma, il team creativo è un mix esplosivo di talento, esperienza e visione.
Un franchise che non invecchia mai
Per capire l’importanza di questo ritorno, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo. Era il 1989 quando Masamune Shirow pubblicava per la prima volta Kōkaku Kidōtai, un manga che avrebbe cambiato per sempre la fantascienza nipponica. Al centro della narrazione, il Maggiore Motoko Kusanagi, cyborg dall’anima inquieta, agente della Sezione 9 in un mondo dove la distinzione tra umano e artificiale è sempre più sottile.
Poi arrivò il film del 1995 diretto da Mamoru Oshii, un capolavoro che non solo portò Ghost in the Shell alla ribalta mondiale, ma contribuì a definire l’estetica cyberpunk moderna. Senza quel film, opere come Matrix semplicemente non sarebbero esistite. Da lì, il franchise ha preso mille strade: Stand Alone Complex, Arise, SAC_2045, il controverso live-action con Scarlett Johansson… ma ogni versione ha aggiunto un tassello, un’angolazione diversa su quel mondo sospeso tra silicio e spirito.
Masamune Shirow stesso ha voluto commentare il nuovo progetto, sottolineando che si tratta del decimo adattamento anime se consideriamo tutte le versioni precedenti. Ma, vista la nuova composizione dello staff, questo può essere considerato il “primo capitolo di una seconda generazione”. Un messaggio sincero, quasi umile, da parte dell’autore che ha dato vita a un universo ancora oggi più attuale che mai.
Un futuro firmato Science SARU
E poi c’è Science SARU. Lo studio fondato da Masaaki Yuasa ed Eunyoung Choi non ha mai avuto paura di osare. La loro firma è sempre sinonimo di animazione fuori dagli schemi, colori sgargianti, storytelling anticonvenzionale. Titoli come Lu Over the Wall e Keep Your Hands Off Eizouken! hanno ridefinito il modo di intendere l’animazione giapponese. Non stupisce quindi che siano stati scelti per questo nuovo Ghost in the Shell, un mondo dove il caos dell’informazione, l’ambiguità dell’identità e la bellezza del disordine convivono perfettamente.
Dal 2025, peraltro, Science SARU diventerà una sussidiaria ufficiale di Toho, il che lascia intendere che ci saranno nuove sinergie produttive anche per il futuro. Il cyberpunk giapponese, con questo progetto, sembra pronto a inaugurare una nuova era. E forse, tra le spire di questo ritorno, possiamo già scorgere una scintilla di quella rivoluzione estetica e narrativa che solo opere come Ghost in the Shell sono in grado di scatenare.
2026: l’anno in cui torneremo nella Rete
Il countdown è già cominciato. Nel 2026 ci ritroveremo ancora una volta connessi alla rete, immersi nei dilemmi esistenziali del Maggiore Kusanagi e della Sezione 9, in un mondo che ci somiglia sempre di più. Questa nuova incarnazione non sarà un semplice revival nostalgico, ma un racconto contemporaneo e necessario, che ci interroga proprio oggi, nell’era delle intelligenze artificiali, del metaverso, delle identità digitali liquide.
Ghost in the Shell non è solo fantascienza. È una lente attraverso cui guardare il presente, e una mappa per esplorare il futuro. E tu, sei pronto a rientrare nella rete?
Se anche tu, come noi, non vedi l’ora di scoprire cosa ci riserverà questa nuova serie, condividi questo articolo con i tuoi amici nerd, commenta qui sotto con le tue teorie e preparati a esplorare di nuovo il confine tra uomo e macchina. Perché Ghost in the Shell non è mai davvero uscito dal nostro sistema.
C’è un nome che, per chi è cresciuto tra i pomeriggi su Italia 7 e le merendine sgranocchiate davanti alla TV, non è solo un ricordo, ma un tatuaggio sull’anima nerd: Ken il Guerriero. O meglio, Hokuto no Ken, come ci piace chiamarlo quando vogliamo sfoggiare la nostra erudizione da fan duri e puri. Ed è con una certa emozione — mista a una discreta dose di hype — che possiamo finalmente dirlo: Kenshiro sta per tornare. Warner Bros. ha appena sganciato il primo teaser trailer della nuova serie anime di Fist of the North Star, e sembra proprio che il 2026 sarà l’anno della rinascita dell’uomo dalle sette stelle.
Ma attenzione: non si tratta di un semplice revival nostalgico, né di una patinata operazione di marketing. Qui parliamo di un vero e proprio remake, una trasposizione animata che vuole celebrare, omaggiare e allo stesso tempo rinnovare il mito di Kenshiro, mantenendo intatta l’anima dell’opera originale ma rivestendola con tutta la potenza delle moderne tecniche di animazione. E fidatevi, il teaser lo promette forte e chiaro: il mondo post-apocalittico non è mai stato così bello da vedere… e così brutale da vivere.
L’epicità in un teaser: tra esplosioni, pettorali e giustizia
Il trailer diffuso da Warner Bros. è un tuffo a rotta di collo nella memoria, ma anche una dichiarazione d’intenti. Fin dai primi secondi veniamo catapultati in un mondo devastato da una guerra atomica, con paesaggi desolati che sembrano usciti direttamente dalle visioni di Mad Max filtrate da un’estetica manga ipertrofica. Il ritmo è incalzante, le immagini scorrono veloci ma potenti: motociclisti post-nucleari intenti a terrorizzare i sopravvissuti, Shin che fa la sua comparsa con l’iconico sguardo da villain tragico, e poi lui… Kenshiro. Con il suo sguardo di ghiaccio, le vene gonfie sui bicipiti e la celebre scena del vestito che si strappa solo grazie alla pressione dei muscoli. Una poesia in movimento.
Non mancano Bat e Rin (o meglio, Bart e Lynn per noi italiani), in quella che promette di essere una riscrittura fedele ma rispettosa dei personaggi che hanno accompagnato le nostre infanzie. E per i fan più hardcore, ecco i doppiatori giapponesi già annunciati: Kenshiro sarà interpretato da Shunsuke Takeuchi, Bat da Daiki Yamashita, mentre Rin sarà doppiata dalla talentuosa M・A・O. Tre nomi che promettono emozioni forti, su un palcoscenico emotivo già carico di aspettative.
Una leggenda che non invecchia mai
Facciamo un passo indietro, ma con il cuore che corre veloce. Era il 1983 quando Buronson e Tetsuo Hara pubblicavano per la prima volta Hokuto no Ken su Weekly Shōnen Jump. Nessuno allora poteva immaginare che quella storia di pugni micidiali e deserti post-atomici sarebbe diventata una delle pietre miliari della cultura pop giapponese. Eppure accadde. Perché Ken il Guerriero non era solo un manga d’azione: era una tragedia greca, un poema epico disegnato a colpi di tratto spesso e lacrime silenziose. Era il racconto di un uomo che aveva perso tutto e che continuava a combattere, non per vendetta, ma per amore. Perché Kenshiro è un personaggio che unisce la brutalità del mondo in cui vive alla compassione di chi non ha mai smesso di credere nell’umanità.
Quando Toei Animation lo portò in TV nel 1984, il fuoco divampò: l’icona era nata. Da lì una valanga di OAV, film, spin-off, videogiochi, action figure e citazioni in ogni angolo della cultura pop mondiale. E in Italia, come dimenticarlo, divenne leggenda grazie a un doppiaggio teatrale e memorabile, capace di trasformare ogni frase in un aforisma da nerd incallito: “Sei già morto”, ancora oggi, non è solo una minaccia. È un dogma.
Dal passato al futuro: il remake del 2026
Ed eccoci qui, quarant’anni dopo. La saga di Fist of the North Star rinasce nel cuore dell’era Reiwa. Il remake, annunciato nel 2023 durante le celebrazioni del quarantesimo anniversario del manga, si presenta come un’opera curata da uno staff completamente nuovo e spinta dalle più recenti tecnologie di animazione. L’obiettivo è ambizioso: non una semplice copia rimasterizzata, ma una vera e propria rivisitazione artistica che riesca a catturare la potenza visiva e narrativa dell’originale, epurandola però dalle ingenuità tecniche e narrative di un tempo. Chi ha vissuto l’originale sa bene che, per quanto epico, l’anime dell’epoca era spesso afflitto da filler infiniti, animazioni riciclate e lungaggini che oggi, nel mondo dello streaming e del binge watching, sarebbero impensabili.
Il debutto ufficiale della nuova serie è previsto per il 2026, ma già all’Anime Expo 2025 di Los Angeles abbiamo avuto un primo assaggio con la proiezione del teaser e la presentazione del cast durante un panel esclusivo firmato Warner Bros. Non meno importante il lancio del sito ufficiale hokuto-anime.com e del profilo X @hokutonokeninfo, da cui possiamo ammirare la prima key visual: Kenshiro, solitario, pronto a colpire con la forza non solo dei suoi pugni, ma della sua determinazione.
Kenshiro conquista l’Italia: Lucca Comics 2025 sarà epico
E se pensavate che le sorprese fossero finite, tenetevi forte. Tetsuo Hara sarà ospite d’onore al Lucca Comics & Games 2025! Dal 29 ottobre al 2 novembre, la città toscana diventerà la capitale mondiale dell’Hokuto, grazie a un evento senza precedenti organizzato in collaborazione con Panini Comics. Per la prima volta fuori dal Giappone verrà allestita una mostra personale interamente dedicata al maestro Tetsuo Hara, con oltre 100 tavole originali esposte nella suggestiva cornice della Chiesa dei Servi. Una vera mecca per ogni fan, un’occasione imperdibile per respirare l’essenza di un manga che ha scolpito l’immaginario collettivo come pochi altri.
Un’eredità che pulsa ancora
Non è un’esagerazione dire che Fist of the North Star ha influenzato generazioni di autori e opere. Da JoJo’s Bizarre Adventure a Berserk, da Street Fighter fino a Attack on Titan, la figura dell’eroe solitario, tormentato e carismatico che affronta un mondo crudele con il cuore in mano e i pugni serrati, ha sempre fatto eco a Kenshiro. E anche nella cultura videoludica, tra le combo letali e le ambientazioni desolate, riecheggia lo spirito dell’Hokuto.
In Italia, poi, la mitologia di Ken è parte integrante del DNA nerd. Chi non ha mai mimato un colpo segreto pronunciando “Atatatatatatatatataaaaa” nella speranza che il compagno di scuola… esplodesse? Ogni scena, ogni musichetta malinconica, ogni duello all’ultimo respiro è un tassello di una mitologia che non ha mai smesso di parlare al cuore di chi ha saputo ascoltarla.
E ora?
Ora che il countdown è iniziato, non ci resta che prepararci. Il 2026 sarà l’anno di Kenshiro, e il mondo è pronto a riscoprire la via dell’Hokuto. Sarà un trionfo o un disastro? Ancora non possiamo dirlo. Ma una cosa è certa: mai come oggi sentiamo il bisogno di un eroe come lui. Di qualcuno che, in un mondo devastato — reale o simbolico — continui a combattere per la speranza. Per amore. Per giustizia. Con i pugni, sì. Ma anche con il cuore.
E voi, siete pronti a tornare nelle wasteland insieme a Kenshiro? Siete già morti… dalla voglia di vedere questa nuova serie? Diteci la vostra nei commenti qui sotto, e se anche voi avete sentito una lacrimuccia scendere al suono della sigla originale, condividete questo articolo sui vostri social. Il mondo deve sapere: Kenshiro non è mai andato via. Era solo in attesa… del prossimo colpo esplosivo.
Ci sono anime che ti travolgono con l’azione, altri che ti emozionano con le storie d’amore, poi ci sono quelli che ti confondono, ti fanno sentire piccola, smarrita, eppure piena di domande. “Tenshi no Tamago”, per me, è sempre stato questo: non un semplice film d’animazione, ma un’esperienza esistenziale, un’incursione nell’inconscio, un’opera che non guarda allo spettatore per piacergli, ma per turbarlo dolcemente, come un sussurro che rimane nella mente molto dopo la fine. E finalmente, dopo quasi quarant’anni di attesa, arriva anche in Italia grazie a Lucky Red, che ha annunciato una proiezione evento di questa perla nascosta del cinema giapponese durante le Giornate del Cinema di Riccione. Quando ho letto la notizia, lo ammetto, ho provato un brivido. Perché questa non è solo una nuova uscita: è una rivelazione.
Chi conosce Mamoru Oshii probabilmente lo associa subito a “Ghost in the Shell”, il film che ha ridefinito la fantascienza cyberpunk e ha influenzato il cinema mondiale. Ma molto prima di Major Kusanagi e delle riflessioni sull’identità digitale, c’è stato questo piccolo miracolo animato chiamato “Tenshi no Tamago” (o “Angel’s Egg” nella sua traduzione internazionale), concepito nel 1985 da un giovane Oshii in un momento cruciale della sua carriera e della sua vita personale. Non tutti sanno, infatti, che questo film nacque in seguito a una profonda crisi spirituale del regista, che stava attraversando un periodo di forti dubbi religiosi. È forse per questo che l’opera è così rarefatta, così muta, così misteriosamente carica di simbolismi.
“Tenshi no Tamago” è, se vogliamo, l’opposto del cinema narrativo classico. Non c’è una trama nel senso convenzionale del termine. Ci sono una bambina silenziosa che protegge un grande uovo, un ragazzo armato di un fucile a forma di croce, un mondo desolato e cupo, architetture gotiche impossibili, ombre e statue ovunque, e un oceano che circonda tutto, come se la realtà stessa fosse naufragata. Ma in tutto questo silenzio, in tutta questa lentezza, accade qualcosa di magico: lo spettatore viene risucchiato in un sogno a occhi aperti, in un tempo sospeso che non obbedisce alla logica ma alla sensazione.
La prima volta che ho visto questo film mi sono sentita come se stessi leggendo un antico testo sacro, scritto in una lingua che non conoscevo ma che, in fondo, sentivo mia. Ho amato la bambina con il suo volto etereo, quasi trasparente, e la cura con cui proteggeva il suo uovo, senza mai spiegarne il contenuto. L’uovo, ovviamente, è il simbolo attorno a cui ruota tutto il film: può essere la speranza, l’anima, Dio, la memoria, la verità… oppure niente di tutto questo. L’uovo è un mistero, proprio come il film stesso. Quando il ragazzo lo rompe, in una delle scene più strazianti e poetiche che io abbia mai visto, non sai se piangere per la perdita o per la rivelazione.
Yoshitaka Amano, il genio che ha dato volto a tanti personaggi di “Final Fantasy”, qui si supera. Il suo stile visivo è un matrimonio perfetto tra delicatezza e decadenza. Le ambientazioni sembrano quadri che si animano lentamente, con prospettive impossibili e un’architettura che evoca cattedrali gotiche, ma anche castelli dimenticati nei sogni. Ogni dettaglio – una scala che non porta da nessuna parte, una statua pietrificata, un riflesso nell’acqua – contribuisce a creare un senso di eterno ritorno, di loop spirituale, come se i protagonisti fossero anime intrappolate in un limbo senza redenzione.
E poi c’è la colonna sonora di Yoshihiro Kanno. Non si può parlare di “Tenshi no Tamago” senza evocare quei suoni ancestrali, solenni, che ti entrano nella pelle. Non è musica di accompagnamento: è il respiro stesso del film. Le sue quattordici tracce sembrano messe lì non per sottolineare le emozioni, ma per costruirle, generarle da dentro. La musica ti avvolge, ti isola, ti trasporta. E alla fine ti lascia vuota e piena al tempo stesso.
Il film fu un disastro commerciale alla sua uscita. Nessuno lo capì, pochi lo videro, Oshii rimase disoccupato per tre anni. Eppure oggi lo consideriamo un capolavoro. E a ragione. Come disse lui stesso, “Tenshi no Tamago è la mia figlia povera”, mentre “Ghost in the Shell” è la figlia che si è sposata bene. Ma ogni madre ha un amore speciale per la figlia fragile, quella incompresa. Ed è così che io vedo questo film: un gioiello fragile, che per troppo tempo è rimasto chiuso in un cassetto, ma che ora può finalmente brillare anche qui da noi.
La versione che arriverà nei cinema italiani sarà quella rimasterizzata in 4K per il quarantesimo anniversario dell’opera, supervisionata dallo stesso Oshii. È come se il regista ci tendesse la mano, ci dicesse: “Questo è ciò che volevo dirvi allora. Ora siete pronti ad ascoltare?”. Io credo di sì. Credo che oggi, in un mondo che corre troppo in fretta e che ci bombarda di immagini, emozioni, risposte pronte, ci sia più bisogno che mai di un’opera come questa. Un’opera che ci invita a fermarci, a contemplare, a non capire per forza tutto, ma a sentire.
Non aspettatevi un film “facile”. Non aspettatevi nemmeno una storia con un inizio, uno svolgimento e una fine. “Tenshi no Tamago” è una poesia visiva, una preghiera, un enigma esistenziale. È un film da guardare in silenzio, possibilmente da soli, magari in una sala buia dove l’unica luce è quella che emana dallo schermo. E quando uscirete da quella sala, ve lo assicuro, non sarete più gli stessi.
E voi? Avete mai sentito parlare di “Tenshi no Tamago”? Vi incuriosisce questa misteriosa opera di Mamoru Oshii? Fatemi sapere cosa ne pensate, condividete questo articolo e parliamone insieme. Perché certe storie, anche se non si capiscono, vanno comunque raccontate.
Come appassionata di anime da più di quindici anni, raramente ho provato l’emozione che ho sentito quando ho letto la notizia: Gate sta per tornare. Dopo un decennio di attesa, speranze sopite e discussioni tra fan rimasti in sospeso come le trame irrisolte del primo adattamento, arriva finalmente l’annuncio ufficiale: Gate: Tides of Conflict è in produzione. Ed è reale, non un rumor, non un pesce d’aprile tardivo. Lo confermano l’apertura del sito ufficiale, le prime concept art dei personaggi e la valanga di informazioni che ci riporta direttamente nell’universo militare-fantasy creato da Takumi Yanai. Il portale si è riaperto, e questa volta il conflitto promette di essere ancora più profondo.
Il peso di un ritorno
Nel 2015, l’anime Gate conquistò una nicchia appassionata grazie alla sua originale fusione tra fantasy medievale e moderno realismo militare. Non era solo l’ennesimo isekai con protagonisti che diventano OP al primo episodio: era una riflessione sorprendentemente lucida su cosa succederebbe davvero se un portale tra mondi si aprisse nel cuore di una metropoli moderna. Cavalieri, draghi, magie… contro l’artiglieria dell’Esercito di Autodifesa giapponese. Una premessa audace, sì, ma soprattutto ben costruita.
Ed è proprio per questo che, dieci anni dopo, Tides of Conflict non è semplicemente una seconda stagione: è un atto di fiducia nei confronti dei fan che non hanno mai smesso di credere in un seguito. Il suo annuncio durante gli eventi dell’Anime Expo e del Japan Expo 2025 è stato uno dei momenti più inaspettati e potenti dell’anno. Mentre molti franchise si rincorrono nella moda dei sequel, Gate ritorna con l’ambizione di espandere non solo la trama, ma l’intero spettro tematico della serie.
Cosa ci aspetta in Tides of Conflict
Gate 2: Tides of Conflict sarà animato da Studio M2, già noto per la qualità visiva portata in PLUTO. A dirigere il progetto sarà Toru Takahashi, con Tatsuhiko Urahata alla sceneggiatura e Shigeru Fujita, designer di grande esperienza, a plasmare i nuovi volti (e quelli familiari) che popoleranno questo universo. Nonostante i primi bozzetti siano ancora in una fase concettuale, è già palpabile la volontà di dare un’identità più matura e dettagliata alla serie, riflettendo forse il tempo passato – non solo nel mondo reale, ma anche nell’evoluzione del mondo immaginario del Gate.
Secondo le prime indiscrezioni, la nuova stagione adatterà i primi due volumi del sequel delle light novel, concentrandosi in particolare sulle operazioni della Marina giapponese, introducendo nuovi scenari strategici, territori inesplorati e tensioni che si sposteranno dal suolo al mare. La guerra cambia volto, ma resta sempre sul filo del rasoio tra diplomazia e distruzione, tra tecnologia e magia.
Un coinvolgimento diretto dei fan
Un dettaglio affascinante che mi ha colpito profondamente è l’intenzione dello studio di coinvolgere i fan nello sviluppo dell’anime. Tramite il portale Oshi, i fan potranno accedere a contenuti esclusivi e, in qualche modo, diventare “contributori” del progetto. È un approccio moderno, partecipativo, che riflette il modo in cui oggi il fandom può influenzare attivamente il destino delle opere che ama.
Non abbiamo ancora conferme definitive sul ritorno dei doppiatori originali, eppure l’incertezza qui è quasi piacevole: significa che c’è margine per reinventare senza cancellare. Personalmente, spero che almeno alcune delle voci storiche tornino – Itami senza il suo tono disilluso non sarebbe lo stesso – ma accolgo con curiosità l’idea di vedere volti e interpretazioni nuove.
Perché Gate meritava davvero una seconda stagione
C’è un motivo per cui, tra i tanti isekai che affollano ogni stagione anime, Gate è rimasto inciso nella memoria. Non è solo per i draghi che si scontrano con caccia militari o per le battaglie spettacolari. È perché Gate ha sempre cercato di rispondere a una domanda molto più grande: cosa succede quando due civiltà radicalmente diverse si incontrano in modo violento? Non nel senso etereo della convivenza pacifica, ma nello scontro brutale tra diplomazia, cultura, religione, interessi economici e – ovviamente – potere militare.
Il personaggio di Youji Itami è emblematico di questo: un otaku apparentemente disinteressato, che si ritrova eroe per caso, ma che finisce per incarnare un ponte tra due mondi. E quel ponte, oggi più che mai, merita di essere ricostruito e attraversato ancora.
L’attesa e le aspettative
Dieci anni sono un’eternità, soprattutto in un panorama anime che si rinnova a ritmi frenetici. Ogni mese nascono nuovi titoli, nuove ossessioni, nuove delusioni. Ma ci sono storie che resistono al tempo come rovine antiche che conservano un’aura di mistero e grandezza. Gate è una di queste.
Il titolo scelto per questa seconda stagione, Tides of Conflict – “Maree del Conflitto” – evoca perfettamente la nuova direzione della narrazione: il conflitto come corrente inarrestabile, che cambia forma ma mai natura. E ci invita a chiederci: chi saranno ora gli amici, i nemici, gli alleati? Come si evolveranno le relazioni tra i personaggi? E soprattutto, quanto siamo davvero pronti ad affrontare di nuovo le conseguenze dell’apertura di quel portale? Da fan e da spettatrice, non posso che essere emozionata. C’è sempre un rischio nei sequel, ma Gate non è mai stato un prodotto banale. Se saprà mantenere la profondità strategica, la tensione narrativa e la coerenza del mondo costruito, allora questa nuova stagione potrebbe non solo eguagliare la precedente, ma addirittura superarla. Le maree del conflitto stanno per tornare a travolgerci – e io, personalmente, non vedo l’ora di lasciarmi sommergere.
Se c’è una cosa che ogni vero fan del mondo VTuber sogna, è di assistere a un debutto epico, di quelli che ti lasciano a bocca aperta, con gli occhi a cuoricino e la playlist pronta per il loop infinito. E quest’anno, all’Anime Expo 2025 di Los Angeles, uno degli eventi più attesi e affollati del panorama nerd internazionale con circa 400.000 partecipanti all’anno, è accaduto proprio questo: VShojo ha lanciato NOVA, il suo primo gruppo VTuber interamente giapponese, con una mossa che ha lasciato tutti a dir poco senza parole.
Sì, proprio così: il colosso statunitense dell’intrattenimento virtuale, noto per aver rivoluzionato il concetto stesso di VTubing con un approccio libero, audace e creativo, ha scelto il palco globale dell’Anime Expo per annunciare a sorpresa la nascita di un progetto tanto ambizioso quanto scintillante. E quando dico “scintillante”, non lo faccio a caso: il nome del gruppo è NOVA, e già dal primo istante sembra brillare di luce propria.
NOVA è composto da quattro straordinarie VTuber: Akatsuki Hotaru, Hestia Happiness, Okamoto Nagi e Yutori Peke. Dietro questi nomi dal sapore fantasy si celano personaggi unici, ciascuno con una personalità ben definita e un background narrativo inserito in un mondo post-apocalittico parallelo, pieno di mistero e meraviglia. È una lore intrigante, perfettamente in linea con l’estetica affascinante e la costruzione meticolosa dell’universo narrativo che VShojo ha saputo realizzare in collaborazione con creativi di talento.
Il gruppo ha fatto il suo esordio in livestream nel novembre del 2024, iniziando a far parlare di sé nella community VTuber nipponica. Ma la vera consacrazione è arrivata proprio in occasione dell’Anime Expo 2025, quando, con una mossa da maestri del marketing e della spettacolarità, NOVA ha ufficialmente lanciato la propria carriera musicale sotto UNIVOLT, una nuova etichetta fondata in collaborazione con nientemeno che Universal Music. Sì, avete letto bene: stiamo parlando di un’alleanza tra giganti dell’entertainment digitale e della musica globale. E il risultato? Un debutto musicale che fa il botto, anzi, una vera esplosione stellare.
Il primo brano del gruppo si intitola “Starry Connection”, ed è già disponibile sulle principali piattaforme di streaming e su YouTube. Uscito ufficialmente il 5 luglio 2025 alle 13:00 JST, questo pezzo è una bomba di hyper pop giapponese che non solo mette in mostra il talento vocale delle ragazze, ma gioca anche con le loro identità virtuali, inserendone i nomi direttamente nel testo. Una chicca per i fan più attenti!
La canzone è stata scritta da utumiyqcom, noto per la sua partecipazione a Rap Star, e composta da Tokyo Manaka, promettente producer della scena Vocaloid. Il risultato è un mix frenetico, dolce e frizzante che sa catturare lo spirito di NOVA in pochi minuti. A rendere tutto ancora più spettacolare è il video musicale prodotto da Toei Zukun Laboratory, uno studio che ha letteralmente dato vita alla dimensione parallela del gruppo, immergendo lo spettatore in un mondo fantastico dove luci, colori e atmosfere oniriche si fondono in un trip visivo da manuale.
E non è solo una questione di estetica: l’identità di NOVA è costruita su una base narrativa molto forte. Il loro universo è ambientato in un futuro post-apocalittico alternativo, dove le protagoniste viaggiano tra realtà e sogni alla ricerca di connessioni perdute e nuove speranze. Ciascuna delle quattro VTuber porta con sé una storia, una missione, un ruolo ben preciso in questa mitologia digitale: elementi che, già da ora, stanno affascinando il pubblico e aprendo la porta a infinite possibilità per storytelling futuri, merchandise, collaborazioni e – chissà – magari anche un anime.
Anche se si tratta del primo gruppo giapponese ufficiale per VShojo, le ragazze di NOVA hanno già dimostrato di avere tutto quello che serve per conquistare non solo il pubblico giapponese, ma anche quello internazionale. Streammano principalmente in giapponese su YouTube e Twitch, ma il fascino del loro progetto, unito alla potenza del brand VShojo, sta attirando fan da ogni angolo del globo. La loro presenza social è già ben strutturata, con profili attivi su X (ex Twitter), Instagram, TikTok e ovviamente YouTube, dove si possono trovare contenuti esclusivi, dietro le quinte e – speriamo presto – tanti altri video musicali.
Con NOVA, VShojo segna non solo una nuova tappa nella propria evoluzione, ma anche un passo importante per l’intero ecosistema dei VTuber. Questa mossa testimonia l’ambizione di esportare il modello vincente dell’agenzia anche nel mercato giapponese, non più solo come outsider occidentale, ma come protagonista a tutti gli effetti, pronta a giocare secondo le regole del gioco… o a riscriverle del tutto.
Insomma, se amate i VTuber, la musica pop giapponese, le ambientazioni post-apocalittiche e il fascino dell’animazione digitale, dovete assolutamente dare un’occhiata a NOVA. Sono fresche, talentuose, brillanti – e sono qui per restare. E se il loro debutto è già così potente, non oso immaginare cosa ci riserveranno nei prossimi mesi.
Correte ad ascoltare “Starry Connection” su YouTube o sulla vostra piattaforma di streaming preferita tramite questo link, e lasciatevi trasportare nel loro universo alternativo dove ogni nota è una stella e ogni verso una connessione.
Vi è piaciuto questo debutto sorprendente di NOVA? Pensate anche voi che stiano per rivoluzionare la scena VTuber giapponese? Scrivetecelo nei commenti, condividete l’articolo sui social e fate girare la voce: una nuova costellazione ha fatto il suo ingresso nel firmamento VTuber, e si chiama NOVA!
Chiunque si sia anche solo avvicinato al mondo del manga horror conosce il nome di Junji Ito. È impossibile ignorare la sua influenza sulla narrativa del terrore contemporaneo: con il suo tratto ipnotico e disturbante, e una sensibilità narrativa che rasenta l’ossessione per l’incubo, Ito ha trasformato le sue storie in icone pop del macabro. E ora, a sorpresa e dopo un periodo di silenzio piuttosto inquietante, è tornato con un nuovo progetto anime che promette di far scorrere il sangue – letteralmente – sugli schermi di tutto il mondo: Junji Ito Crimson.
L’annuncio, accolto da un misto di entusiasmo e incredulità, è arrivato direttamente dal Japan Expo 2025, la fiera che negli ultimi anni è diventata una delle vetrine internazionali più importanti per le novità nerd e otaku. E il nome di Junji Ito non poteva certo passare inosservato.
Un nuovo adattamento, nuove speranze: ma stavolta sarà diverso?
Parliamoci chiaro: il rapporto tra le opere di Junji Ito e le loro trasposizioni animate è stato finora… complicato. Nonostante il materiale di partenza sia universalmente considerato tra i migliori del genere horror, con titoli come Tomie, Uzumaki e Gyo che hanno lasciato un segno profondo nell’immaginario collettivo, il passaggio dalla pagina allo schermo è spesso inciampato, anzi, a volte è proprio caduto rovinosamente.
Chi ha seguito Junji Ito Collection o Junji Ito Maniac: Japanese Tales of the Macabre sa di cosa sto parlando: animazioni limitate, regie poco ispirate e una resa dell’atmosfera che, pur con buone intenzioni, non è mai riuscita a catturare del tutto quella sensazione claustrofobica e straniante che rende i suoi manga così spaventosi. E non parliamo poi del caso Uzumaki: un primo episodio promettente aveva acceso le speranze, salvo poi essere affossato da tre episodi successivi mal confezionati e narrativamente deboli. Insomma, il fandom era pronto a mettere una croce sopra ogni tentativo di portare Ito in animazione.
Ed è proprio per questo che Junji Ito Crimson arriva con l’effetto di una bomba. Non solo perché dimostra che c’è ancora fiducia nel potere visivo e narrativo dell’autore, ma anche perché cambia le carte in tavola: il nuovo progetto sarà distribuito in streaming da Crunchyroll, piattaforma ormai centrale per la diffusione globale dell’animazione giapponese. Questo significa visibilità, accessibilità e – speriamo – un budget e una cura produttiva adeguati.
Crimson: sangue, mostri e leggende oscure
Il titolo non lascia molto spazio all’immaginazione: Crimson richiama immediatamente il colore del sangue, il rosso vivido delle mutilazioni e delle creature deformi che popolano i racconti di Ito. Si tratterà, infatti, di una serie antologica che raccoglierà storie incentrate sul tema dei “mostri”, una parola che in mano al maestro dell’orrore può significare tutto e il contrario di tutto.
Non ci sono ancora dettagli sul formato definitivo – se sarà una serie episodica, una mini-serie o una raccolta di speciali – né sono stati rivelati i nomi dello studio d’animazione o dello staff creativo. Tuttavia, alcuni dettagli sono già emersi e sono abbastanza da far salire la curiosità: la serie avrà una sigla di apertura intitolata Karasuageha, interpretata dalla leggendaria Yumi Matsutoya, una scelta musicale elegante e inaspettata, che potrebbe dare al progetto una nota emotiva e quasi poetica. Un contrasto intrigante con l’estetica disturbante che ci aspettiamo dalle animazioni.
Un’eredità difficile, ma un’occasione unica
Pensare a Junji Ito Crimson come a un successore spirituale delle precedenti serie animate è forse riduttivo. Certo, la struttura antologica e il focus su episodi separati rimandano chiaramente a Junji Ito Collection e Maniac, ma questo nuovo progetto sembra voler prendere una direzione più audace, spingendo sul lato visivo e concettuale delle storie, senza compromessi.
E forse è anche un modo per riconciliare l’animazione con la visione artistica di Junji Ito. Perché se i manga – anche grazie a splendide edizioni italiane pubblicate da J-Pop, come Brivido e altre storie – continuano a mantenere intatta la loro forza espressiva, il medium animato potrebbe finalmente avere l’opportunità di fare giustizia a quell’universo fatto di spirali maledette, volti deformati, occhi che osservano dall’oscurità e corpi che si contorcono nell’impossibile.
Sì, è vero, il passato ci ha insegnato a diffidare. Ma l’annuncio di Crimson è qualcosa di più di una semplice nuova serie anime: è un ritorno in grande stile. E in un’epoca in cui l’horror visivo fatica spesso a trovare nuove strade senza scadere nel cliché, l’universo di Ito rappresenta una miniera di idee che aspettano solo di essere esplorate con rispetto e creatività.
Prepariamoci all’orrore (quello vero)
Con Junji Ito Crimson, il maestro del terrore torna a far parlare di sé. Non solo tra i fan storici, ma anche tra le nuove generazioni di otaku e appassionati di anime che magari non hanno ancora letto Tomie o Uzumaki, ma sono pronti a lasciarsi conquistare – e traumatizzare – dalle sue visioni.
In attesa di scoprire la data ufficiale d’uscita (che con ogni probabilità sarà nel corso del 2026), possiamo goderci il trailer, già disponibile online, e cominciare a speculare su quali storie verranno adattate. Gyo? Il burattinaio? Forse La città dei cani randagi? Il bello di una serie antologica come questa è proprio l’imprevedibilità.
E voi? Siete pronti a tornare nell’universo disturbante di Junji Ito? Quali storie vorreste vedere animate in Crimson? Fatecelo sapere nei commenti e condividete l’articolo con i vostri amici amanti del brivido: l’orrore è più bello quando si vive insieme… o forse no?