C’è qualcosa di disturbante, di profondamente ipnotico, nel momento in cui ti rendi conto che la trama di un film, con il suo crescendo di tensione, i personaggi ambigui e le svolte improvvise, non è finzione ma un adattamento chirurgico di un fatto realmente accaduto. Succede con “A Widow’s Game” (La viuda negra), il thriller firmato Netflix che ha recentemente catturato l’attenzione del pubblico internazionale. Ma al di là della regia serrata, della fotografia soffocante e delle interpretazioni inquietantemente precise, ciò che colpisce davvero è la consapevolezza che il film non è un’opera di fantasia. È un cupo riflesso del delitto di Patraix, uno dei casi giudiziari più scioccanti della recente cronaca nera spagnola.
Quella di Patraix non è una semplice storia di omicidio: è un abisso che si apre nella quotidianità, una spirale di manipolazione, desiderio e controllo, che si insinua tra le crepe di un’apparente normalità. È il racconto, vero, di come l’amore possa trasformarsi in trappola mortale, di come le pulsioni più elementari — il sesso, il potere, il denaro — possano innescare una catena di eventi tanto precisa quanto mostruosa. Ed è per questo che, guardando il film, ti ritrovi quasi a trattenere il respiro: non solo per la tensione, ma per l’angoscia che nasce sapendo che tutto — o quasi — è realmente accaduto.
Valencia, 16 agosto 2017: l’ultimo respiro di Antonio
Era un pomeriggio rovente d’agosto, uno di quelli in cui l’asfalto cuoce sotto i piedi e l’aria è talmente pesante da sembrare liquida. Nel quartiere residenziale di Patraix, a Valencia, un garage si trasforma all’improvviso nella scena di un crimine. Il corpo senza vita di Antonio Navarro Cerdán, 35 anni, ingegnere stimato e marito devoto, viene trovato riverso a terra, bocconi, trafitto da sette coltellate. Non c’è segno di effrazione, nessun oggetto rubato, nulla che possa suggerire una rapina finita male. È un omicidio chirurgico, intimo. Uno di quelli in cui il killer conosce la vittima. Uno di quelli che, fin da subito, puzzano di tradimento.
Gli investigatori non ci mettono molto a concentrarsi su chi gli era più vicino. Il sospetto si annida tra le mura domestiche e prende forma nel volto pallido e composto della vedova: María Jesús Moreno Cantó. Per tutti, semplicemente Maje.
Maje: la doppia vita dell’infermiera di ghiaccio
Nel teatro del crimine moderno, Maje è un personaggio perfetto: infermiera di professione, moglie irreprensibile all’apparenza, donna dotata di una grazia inquietante, quasi letteraria. Nei giorni successivi al delitto si mostra pubblicamente devastata, rilascia interviste, piange con misura. Ma proprio quella misura, quella compostezza chirurgica, inizia presto a fare rumore. Qualcosa non quadra.
Le indagini portano alla luce una realtà ben diversa dalla facciata che Maje aveva meticolosamente costruito. Antonio non era il suo unico amore. La donna aveva intrecciato relazioni extraconiugali con più uomini contemporaneamente, come se ciascuno avesse una funzione specifica nella sua vita. Ma tra tutti, uno spicca per il suo ruolo centrale e tragico nella vicenda: Salvador Rodrigo Lapiedra, collega, amante, e inconsapevole esecutore di un piano che sembra scritto per un romanzo di Patricia Highsmith o per una delle pellicole di Hitchcock.
La telefonata che fa crollare il castello di menzogne
Il caso compie una svolta decisiva nel novembre 2017. Una telefonata, intercettata dagli inquirenti, squarcia il velo dell’ambiguità. Maje e Salvador si parlano con una familiarità troppo intima, con un linguaggio che sa di verità scomode. Non si tratta solo di due amanti che si consolano a vicenda. È qualcosa di più profondo, più contorto: si percepisce una dinamica di potere, una tensione psicologica, un legame tossico.
Salvador, fragile e dominato, crolla. Confessa. Racconta tutto. Dice di aver ucciso Antonio su richiesta di Maje, di essere stato manipolato e spinto all’estremo. Accompagna la polizia in un pozzo di Ribarroja, dove aveva gettato l’arma del delitto. Un coltello acquistato pochi giorni prima in una ferramenta. Oggetto banale, atto finale di un dramma ben più complesso.
Il movente? Una miscela letale di eros, controllo e denaro
Alla base del delitto non c’è solo la gelosia o la passione. C’è un movente gelidamente razionale: Antonio aveva stipulato polizze assicurative per oltre centomila euro. Alla sua morte, Maje avrebbe incassato la somma, oltre a beneficiare di eredità e pensione di reversibilità. E in effetti, non passano che pochi giorni dalla morte del marito prima che lei avvii le pratiche per il risarcimento.
È a questo punto che la figura di Maje assume contorni ancora più oscuri. Una donna in grado di usare l’amore come arma, di condurre una doppia vita senza mai tradire un’emozione fuori posto, di trasformare un uomo innamorato in uno strumento di morte. È la regista spietata di un omicidio premeditato, in cui ogni dettaglio sembra orchestrato con lucidità chirurgica.
Il processo: un dramma gotico in diretta nazionale
Nel 2020, il processo si apre a Valencia con un clamore mediatico senza precedenti. È molto più di un procedimento giudiziario: è uno spettacolo, una tragedia in tre atti, con i protagonisti inchiodati alle loro maschere. La stampa spagnola lo trasforma in un caso di coscienza collettivo: chi è davvero Maje? Vittima di una relazione tossica o mente criminale assetata di potere?
Le intercettazioni, le lettere inviate dal carcere, le testimonianze dei colleghi e degli amici tessono un racconto compatto, disturbante, in cui la manipolazione affettiva diventa un’arma sofisticata. Salvador, in lacrime, racconta di averlo fatto “per amore”. Maje nega, cerca di riscrivere i fatti, ma le prove sono schiaccianti.
Alla fine, la giustizia parla: Maje viene condannata a 22 anni per omicidio premeditato con aggravante di parentela. Salvador, che ha collaborato con gli inquirenti, riceve 17 anni. Ma il sipario, per quanto sembri calato, non è affatto definitivo.
Capitolo secondo: la Vedova Nera partorisce dietro le sbarre
Il delitto di Patraix ha continuato a generare inquietudine anche dopo la condanna. Nel 2023, una notizia scuote nuovamente l’opinione pubblica: Maje è incinta. Rinchiusa nel carcere di Picassent, aveva intrecciato una nuova relazione con un altro detenuto, anche lui condannato per omicidio. La donna viene trasferita a Fontcalent, nel reparto maternità, dove il 13 luglio dà alla luce un bambino sotto stretta sorveglianza. Il dettaglio, già di per sé sorprendente, aggiunge un ulteriore strato alla narrazione noir della sua esistenza.
A Widow’s Game: il cinema si specchia nell’orrore
Il film Netflix A Widow’s Game, diretto da Enrique Baró Ubach, non è un semplice adattamento. È una lente deformante che amplifica l’orrore sottile della storia, restituendone tutta la tensione psicologica. Tristán Ulloa, nei panni dell’investigatore, guida lo spettatore attraverso un labirinto di silenzi, sguardi e intuizioni. Il personaggio di Maje, interpretato con glaciale intensità, non è mai ridotto a stereotipo: è una donna reale, sfuggente, magnetica, il cui fascino risiede proprio nell’ambiguità morale che incarna.
Come nei migliori thriller psicologici, il film alterna flashback inquietanti a ricostruzioni giudiziarie minuziose, creando un crescendo che culmina nell’inevitabile disvelamento. Non c’è catarsi, però. Solo il brivido gelido che si prova quando si riconosce che il male, quello vero, non ha corna né artigli, ma il volto rassicurante della quotidianità.
Un monito che non smette di parlare
Il delitto di Patraix, come i grandi casi neri della cronaca italiana — Garlasco, Avetrana, Cogne — è destinato a rimanere nella memoria collettiva non solo per la sua ferocia, ma per la sua inafferrabilità. Maje è diventata un simbolo controverso, oggetto di analisi, discussione, morbosità. Eppure, ridurre tutto al voyeurismo sarebbe un errore.
Questa è una storia che interroga il nostro rapporto con la verità, con la giustizia, con la maschera che ciascuno di noi indossa ogni giorno. Una storia che ci ricorda che il male, quello vero, non ha bisogno di urlare. A volte sussurra. E quei sussurri, se non li ascoltiamo, diventano urla impossibili da ignorare.
