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Lilo & Stitch: il ritorno di ‘ohana’ conquista il box office italiano – ed è solo l’inizio

Chi lo avrebbe detto che un piccolo alieno blu e una bambina hawaiana avrebbero nuovamente conquistato il cuore del pubblico italiano, ventitré anni dopo il loro debutto sul grande schermo? Eppure è successo: Lilo & Stitch, la nuova rivisitazione in live-action del celebre classico d’animazione Disney del 2002, ha fatto il suo trionfale ingresso nei cinema italiani il 21 maggio 2025. E non ci ha messo molto a farsi notare. Dopo solo un giorno di programmazione, il film ha raggiunto la vetta del box office con un incasso da capogiro: 1.256.032 euro e 167.010 spettatori. Numeri da capogiro, che dimostrano quanto questa storia sia ancora profondamente radicata nel cuore degli spettatori di ogni età.

Ma attenzione, non si tratta di un semplice remake. Quello che Disney ha portato sullo schermo è un vero e proprio omaggio rivisitato, una rinascita cinematografica in cui la magia dell’originale si fonde con la potenza della tecnologia moderna, senza però sacrificare l’anima autentica che ha reso la storia di Lilo e Stitch un cult assoluto.

Il live-action diretto da Dean Fleischer Camp – regista già acclamato per l’intimista Marcel the Shell with Shoes On – riesce nel non facile compito di catturare lo spirito dell’originale, portandolo a una nuova profondità emotiva. Non è un caso che proprio Fleischer Camp sia stato scelto per dirigere questo progetto: il suo stile unico, capace di fondere delicatezza narrativa e innovazione visiva, risulta perfetto per reinterpretare una storia che parla di famiglia, di accettazione, di amore incondizionato.

La trama non si allontana molto da quella che ricordiamo. Lilo è ancora quella ragazzina ribelle, solitaria e incredibilmente tenera, che vive con la sorella maggiore Nani dopo la morte dei genitori. In cerca di un amico – o forse solo di un po’ di stabilità in un mondo che la spaventa – adotta Stitch, creatura extraterrestre frutto di un esperimento genetico che si ritrova sulla Terra in fuga dalle autorità galattiche. Ma sotto la sua apparenza buffa e distruttiva, Stitch cela un cuore immenso. Ed è proprio grazie a Lilo che scopre il significato più profondo di una parola che diventerà il fulcro del film: ‘ohana, che in hawaiano significa famiglia, e famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

Questa nuova versione prende quella preziosa eredità e la espande, arricchendola con nuovi personaggi, sfumature emotive e una componente visiva mozzafiato, tra CGI e live-action che si amalgamano senza stonature. La piccola Maia Kealoha, al suo debutto cinematografico, dona una vitalità sorprendente al personaggio di Lilo, mentre Sydney Elizebeth Agudong dà volto e voce a Nani in un’interpretazione carica di intensità. Accanto a loro, attori come Billy Magnussen, Tia Carrere – che torna a prestare la voce a Nani, come nella versione animata – e Zach Galifianakis contribuiscono a rendere il cast sorprendentemente variegato e solido. Da segnalare anche la presenza di Courtney B. Vance e la partecipazione affettuosa di Chris Sanders, storica voce di Stitch, che torna a dare vita al nostro amato alieno combinaguai.

L’anteprima italiana del film, tenutasi al The Sanctuary Milan, ha visto una parata di stelle sfilare per celebrare l’evento. Tra ospiti del mondo dello spettacolo, influencer, cantanti e sportivi – da Mr. Rain a Giusy Ferreri, da Giorgia Palmas a Filippo Magnini, passando per i DinsiemE e Sergio Sylvestre – non è mancato un entusiasmo palpabile, segno che Lilo & Stitch non è solo un film, ma un vero e proprio fenomeno culturale che continua a unire generazioni diverse sotto il segno della nostalgia e della scoperta.

Uno degli elementi più interessanti di questo adattamento è l’introduzione di un nuovo personaggio, interpretato da Kaipo Dudoit, che porta una dimensione romantica inedita nella vita di Nani. Un’aggiunta che non snatura il racconto originale, ma lo arricchisce, donandogli una maggiore stratificazione emotiva e una risonanza ancora più adulta, pur restando perfettamente fruibile anche per i più piccoli.

Non mancano ovviamente le risate, i momenti teneri, le lacrime e quel senso di avventura che ha reso l’originale un capolavoro. Ma il nuovo Lilo & Stitch si propone anche come una riflessione delicata e moderna sull’identità, sull’inclusione, su cosa significhi davvero appartenere a qualcuno, essere parte di un “noi” anche quando tutto sembra dividerci. È una fiaba moderna che non ha paura di mostrare le fragilità dei suoi protagonisti, e anzi le abbraccia, le valorizza, rendendole la forza stessa della narrazione.

A livello visivo, siamo di fronte a un gioiello di CGI: Stitch è assolutamente adorabile, perfetto nel suo mix tra alieno e peluche, e animato con una cura maniacale che ne rispetta l’essenza originale. Gli sfondi hawaiani sono un tripudio di colori e calore, capaci di evocare quella sensazione di estate eterna, di casa lontana ma familiare, che ha sempre contraddistinto il fascino del film.

L’uscita di Lilo & Stitch il 21 maggio 2025 è quindi un momento da segnare sul calendario per tutti noi nerd e geek cresciuti a pane e Disney, ma anche per chi si affaccia per la prima volta a questa tenera e scatenata avventura. È un film che parla di famiglia, ma anche di diversità, accettazione, resilienza. E lo fa con quella dolcezza e quella sincerità che oggi, nel cinema per famiglie, non sono mai abbastanza.

Se vi siete emozionati con l’originale, preparate i fazzoletti. Se non l’avete mai visto, è arrivato il momento perfetto per scoprirlo. E una volta usciti dalla sala, sarà impossibile non ripetere anche voi: ‘ohana significa famiglia. E famiglia significa che nessuno viene abbandonato o dimenticato.

FalComics 2025: quando la cultura pop diventa un viaggio dentro l’anima

C’è un momento, ogni anno, in cui la primavera accende Falconara Marittima con una luce tutta sua. Non è solo il sole che si allunga sulle giornate, ma un’energia palpabile che vibra tra i vicoli della città: è il richiamo di FalComics. E quest’anno, amici della cultura pop, l’edizione 2025 promette di essere non solo la più grande, ma anche la più umana di sempre. Il tema scelto? “Empathy”. E già solo a pronunciarlo si sente un respiro collettivo, come se questo festival stesse per toccarci più a fondo del solito.

A guidarci in questo viaggio emozionale è il manifesto ufficiale dell’evento, una vera e propria opera d’arte firmata dal talento cristallino di Ivan Bigarella. Se il nome vi suona familiare, è perché parliamo di uno dei volti più amati del fumetto italiano, autore di copertine per Topolino e illustratore dal tratto immediatamente riconoscibile. Il manifesto non è solo una locandina: è una dichiarazione d’intenti. È la sintesi visiva di quello che ci aspetta, un ponte tra l’immaginario fantastico e il cuore pulsante delle emozioni umane. Ma Bigarella non si ferma lì. Il 23 maggio inaugurerà anche una mostra personale, “Il mio lavoro, la mia passione” — e già il titolo dice tutto. Sarà un’occasione per entrare nel suo mondo, per capire cosa c’è dietro ogni linea, ogni colore, ogni scelta artistica. Un invito all’empatia, insomma, attraverso lo sguardo di un artista.

Empatia come esperienza collettiva

A FalComics 2025 l’empatia non è solo un tema, ma un filo rosso che attraversa ogni angolo del festival. Lo ha spiegato bene il Direttore Artistico Gianluca Del Carlo, paragonando l’intera manifestazione a un’orchestra: ogni partecipante è uno strumento, ogni momento un accordo che contribuisce all’armonia generale. Un’armonia fatta di incontri, spettacoli, performance, e soprattutto condivisione.

Il festival diventa così uno spazio dove non solo si celebrano i fumetti, i videogiochi, il cosplay e la narrativa fantasy, ma dove ci si riconosce negli altri. Dove i fan diventano comunità. Dove le passioni smettono di essere hobby individuali e si trasformano in una vibrazione collettiva.

La formula del successo? Inclusività e accessibilità

Che FalComics sia diventato un punto fermo nel calendario nerd nazionale non è un caso. L’edizione 2024 ha sfiorato i 235.000 visitatori, un numero che fa girare la testa, ma che soprattutto testimonia quanto questa manifestazione sia diventata un faro per gli appassionati. Il segreto? L’ingresso gratuito. Sì, perché la cultura pop, secondo gli organizzatori e il Comune di Falconara Marittima, dev’essere per tutti. E in un’epoca in cui l’accesso alla cultura spesso è un privilegio, questa scelta ha il sapore di una presa di posizione forte e necessaria.

Lo conferma anche il Sindaco Stefania Signorini, che vede nel festival un “motore di inclusione”, un modo per trasformare Falconara in un crocevia di storie ed emozioni. E non è un caso se ogni anno la città si trasforma, letteralmente, in un gigantesco parco tematico della creatività.

RIOT Games, Giorgio Vanni e le leggende del pop

Anche nel 2025 le collaborazioni d’oro non mancano. Torna RIOT Games, uno dei publisher più influenti nel panorama gaming mondiale, segno tangibile di quanto FalComics sia ormai riconosciuto anche a livello internazionale. E poi, come ignorare lui, il Capitano? Giorgio Vanni, la voce delle nostre sigle preferite, è pronto a salire di nuovo sul palco per farci urlare come se fossimo ancora ragazzini davanti alla TV con in mano un succo di frutta e gli occhi pieni di cartoni giapponesi.

Una città che diventa universo

Dal 23 al 25 maggio, Falconara Marittima non sarà solo una località sulla mappa, ma un luogo dell’anima. Sarà un laboratorio di idee, un’arena per cosplayer, una galleria a cielo aperto per artisti e illustratori, un’arca di Noè per appassionati di tutte le età, provenienze e background. E sarà, soprattutto, un’esperienza.Perché se c’è una cosa che FalComics ci ha insegnato negli anni è che il mondo nerd non è solo un mondo fatto di pixel, tavole disegnate o costumi cuciti a mano. È una lente per guardare meglio dentro noi stessi e negli altri. E quest’anno, con Empathy, questa lente si fa ancora più nitida.

Quindi segnatevi le date, liberate la memoria del telefono per le foto, preparate i costumi e, soprattutto, il cuore. FalComics 2025 non sarà solo una fiera. Sarà un abbraccio collettivo, una dichiarazione d’amore alla cultura pop, ma anche e soprattutto a ciò che ci rende umani: la capacità di sentire, capire, connetterci. E in un mondo che corre veloce, forse è proprio questo il superpotere di cui abbiamo più bisogno.

Here Comes the Flood: Denzel Washington e Robert Pattinson pronti al colpo del secolo nel nuovo thriller Netflix diretto da Fernando Meirelles

Nel panorama già affollato e scintillante delle produzioni originali Netflix, si sta facendo strada un titolo che promette di esplodere come una bomba nei cuori dei cinefili: Here Comes the Flood. Dietro questo titolo dal sapore apocalittico, si cela un heist movie tutt’altro che convenzionale, un thriller ad alta tensione che riunisce tre pesi massimi del cinema contemporaneo — Denzel Washington, Robert Pattinson e Daisy Edgar-Jones — sotto la direzione ispirata di Fernando Meirelles, il regista brasiliano candidato all’Oscar per City of God e I due papi.

Non parliamo del solito film di rapine, con ladri in giacca elegante, casseforti impossibili e piani perfetti da manuale. Here Comes the Flood promette un ribaltamento dei cliché del genere, puntando tutto su intrecci psicologici, giochi di ruolo e ambiguità morale. La storia mette in scena un’insolita triade: una guardia giurata, un’impiegata di banca e un ladro emergente, tutti coinvolti in un letale gioco di truffe e doppi giochi. Un triangolo che si preannuncia esplosivo, dove niente è come sembra e ogni personaggio potrebbe nascondere una verità scomoda, o peggio, un tradimento.

La penna dietro questa danza del caos è quella di Simon Kinberg, autore navigato che ci ha già regalato adrenalina e ironia in film come Mr. & Mrs. Smith e X-Men: Days of Future Past. Qui Kinberg si cimenta in un terreno più intimo e sottile, pur mantenendo quella tensione narrativa che tiene incollati allo schermo. Produrà lui stesso il film assieme ad Audrey Chon, mentre Samson Mucke figurerà come produttore esecutivo. Una squadra affiatata che sembra aver trovato in Netflix la piattaforma perfetta per osare.

E che dire del cast? Denzel Washington, una vera e propria istituzione del cinema mondiale, torna in un ruolo che si preannuncia pieno di sfumature. Attualmente impegnato con Highest to Lowest, il nuovo film di Spike Lee presentato a Cannes, Washington porta sempre con sé un’aura di autorevolezza che fa da bussola morale anche nei racconti più torbidi.

Accanto a lui troviamo Robert Pattinson, che negli ultimi anni ha saputo reinventarsi completamente, lasciandosi alle spalle l’ombra di Twilight per diventare uno degli attori più eclettici della sua generazione. Con The Batman, Tenet e il visionario Mickey 17, Pattinson si è ormai consacrato come volto perfetto per ruoli ambigui e disturbanti. In Here Comes the Flood, possiamo aspettarci da lui un personaggio magnetico e pericoloso, forse addirittura il vero “catalizzatore” dell’intera vicenda.

A completare il triangolo c’è Daisy Edgar-Jones, stella in ascesa lanciata da Normal People, pronta a dimostrare tutta la sua forza interpretativa in un ruolo che potrebbe essere tanto fragile quanto determinante per le sorti del colpo.

Nonostante i dettagli sulla produzione siano ancora riservati, tutto fa pensare che le riprese inizieranno a breve. Gli incastri tra le agende dei protagonisti si stanno finalmente allineando, e l’hype è alle stelle. Soprattutto perché, conoscendo Meirelles, possiamo aspettarci un film che non si limita a far battere il cuore per la suspense, ma che scava in profondità nei personaggi, nel sistema che li circonda e nelle scelte morali che devono affrontare. Un po’ come ha fatto in I due papi, dove ha trasformato un incontro Vaticano-centricamente filosofico in un dramma umano coinvolgente, emozionante e attuale.

Here Comes the Flood si inserisce in un filone di titoli Netflix dedicati ai colpi impossibili e alle identità multiple — pensiamo a Kaleidoscope, Lupin, Triple Frontier — ma sembra voler andare oltre, sfidando le regole del genere. E con un regista che ama costruire tensione con calma e precisione, e attori che sanno dare profondità anche ai silenzi, possiamo attenderci una pellicola che ci farà trattenere il respiro fino all’ultima scena.

Insomma, prepariamoci a essere ingannati, a dubitare di tutti e a rivalutare le nostre simpatie scena dopo scena. Here Comes the Flood non è solo un film: è una promessa di cinema di qualità, di tensione narrativa pura, di intrattenimento adulto e sofisticato.

E voi cosa ne pensate di questo progetto? Siete fan dei film di rapina? Vi entusiasma rivedere Denzel Washington e Robert Pattinson in ruoli così ambigui? Scriveteci nei commenti e, se vi è piaciuto l’articolo, condividetelo con i vostri amici nerd su Facebook, X (Twitter) e Instagram! Che la conversazione abbia inizio…

Final Destination: Bloodlines – Il ritorno della Morte… e del camion più spaventoso della storia del cinema

C’è qualcosa nell’aria. Un sussurro, un brivido lungo la schiena. È la sensazione familiare di quando una saga horror che ci ha segnato ritorna, pronta a sfidare di nuovo il nostro coraggio – o la nostra sanità mentale. Warner Bros. ha appena acceso l’hype più oscuro annunciando la data di uscita ufficiale di Final Destination: Bloodlines, sesto attesissimo capitolo del franchise che, dal 2000 in poi, ha trasformato la “Morte” in un’arte raffinata e crudele. Segnatevi la data: 16 maggio 2025. Quel giorno, il Destino tornerà a esigere il suo tributo… e sarà implacabile. Il film, diretto dalla coppia Zach Lipovsky e Adam B. Stein, promette un viaggio mozzafiato (letteralmente), con l’uscita prevista anche in alcune sale IMAX, in virtù di un accordo recente che conferma quanto la Warner voglia fare sul serio con questa nuova resurrezione cinematografica. E al momento, nessun altro blockbuster si è prenotato quella data: Bloodlines avrà campo libero per spaventarci fino al midollo.

Quando la paura viaggia su ruote: il ritorno del camion assassino

Non si può parlare di Final Destination senza evocare quella scena. Lo sappiamo, lo sai. Il maledetto camion che trasporta tronchi in Final Destination 2. Una scena così devastante che ha impresso nella mente collettiva una fobia concreta: passare accanto a un tir carico di legname sull’autostrada non è più la stessa cosa da allora. È diventato un incubo condiviso, un trauma pop. E indovinate un po’? Warner Bros. ha deciso di cavalcare proprio quel terrore con una mossa di marketing tanto geniale quanto disturbante: un camion sputato fuori dal secondo film, sporco di sangue e sinistro come la morte stessa, sta girando per gli Stati Uniti.

Sì, hai capito bene. C’è un vero camion macchiato di rosso, un tributo horror su ruote, che sta viaggiando tra gli ignari automobilisti americani per promuovere il film. Alcuni fortunati (o sfortunati?) lo hanno già avvistato, e il web si è riempito di video in cui l’ansia diventa virale. Per molti è un colpo di genio. Per altri, come chi scrive, è pura crudeltà. Perché c’è un confine sottile tra nostalgia e tortura psicologica, e Final Destination: Bloodlines sembra aver deciso di oltrepassarlo con gusto.

La Morte cambia prospettiva: cosa ci aspetta in Final Destination: Bloodlines

Ma dietro alla trovata pubblicitaria si nasconde un film che potrebbe davvero rivoluzionare la saga. Jeffrey Reddick, il creatore originale, ha parlato apertamente del desiderio di espandere l’universo narrativo del franchise. Non sarà solo una nuova serie di morti spettacolari (anche se, ne siamo certi, non mancheranno): Bloodlines vuole raccontare qualcosa di diverso. Vuole esplorare la morte dal punto di vista di chi, ogni giorno, ci convive per mestiere.

Parliamo di paramedici, vigili del fuoco, agenti di polizia. Uomini e donne che affrontano il caos e la tragedia in prima linea, che combattono contro il destino armati solo della loro volontà di salvare vite. E se fossero proprio loro, per una volta, a sfidare la Morte nelle sue stesse regole? Craig Perry, storico produttore della serie, ha promesso che Bloodlines sarà un gioco pericoloso tra scelta e conseguenza, tra salvezza e condanna, in cui ogni decisione potrà alterare il sottile equilibrio tra vita e morte.

Il ritorno di volti noti (e amati)

Nel cuore pulsante di questa nuova storia ritroviamo Tony Todd, l’iconico William Bludworth. Se conoscete la saga, sapete che ogni volta che lui compare, il gelo cala nella stanza. Misterioso, enigmatico, forse più vicino alla Morte di quanto lasci intendere, il suo personaggio rappresenta la coscienza nera dell’universo di Final Destination. Insieme a lui troviamo un cast giovane e interessante: Brec Bassinger, Teo Briones, Kaitlyn Santa Juana e Richard Harmon si caleranno nei panni dei nuovi protagonisti. E, siatene certi, qualcuno di loro perderà la testa… in senso molto letterale.

La sceneggiatura è stata affidata a Guy Busick (già al lavoro su Scream), Lori Evans Taylor e Jon Watts, un team che conosce bene le dinamiche del genere e che promette una narrazione più stratificata e meno prevedibile. Le riprese si sono svolte a Vancouver tra luglio e ottobre 2023, con una pausa forzata a causa dello sciopero SAG-AFTRA, e riprese nel marzo 2024 per concludersi in tempo per l’uscita primaverile del 2025.

La Morte non è una condanna. È una possibilità.

In un’intervista recente, Reddick ha rivelato qualcosa di molto personale. Ha raccontato di come sua madre, data per spacciata dai medici, abbia invece superato un’operazione a 87 anni. “La morte non è una condanna definitiva”, ha detto. E questa frase, detta da colui che ha inventato un franchise in cui la Morte è protagonista assoluta, cambia tutto. Ci fa capire che Bloodlines potrebbe non essere solo una serie di trappole letali e incidenti improbabili. Potrebbe essere anche un’ode alla resilienza umana, alla possibilità di sfuggire, almeno per un po’, all’inevitabile.

E forse è proprio questo il fascino eterno di Final Destination. Non è solo paura. È la tensione costante tra ciò che possiamo controllare e ciò che ci sfugge, tra la casualità e il disegno nascosto che sembra guidare ogni cosa. Un concetto potentissimo, soprattutto in un’epoca come la nostra, dove il caos è diventato una componente quotidiana.

Pronti a incontrare di nuovo il Destino?

Final Destination: Bloodlines uscirà il 16 maggio 2025. C’è ancora tempo per prepararsi, per riguardare tutti i capitoli precedenti (anche se magari saltate la scena del camion nel secondo film…), per speculare sulle nuove morti creative e sul mistero che avvolgerà questo nuovo capitolo. La Morte, ancora una volta, ci invita a giocare. E come sempre, le regole sono le sue.

Che ne pensate di questa inquietante trovata pubblicitaria? Vi siete mai trovati dietro a un camion pieno di tronchi e avete subito avuto un flashback? E soprattutto: siete pronti per tornare a sfidare il Destino?

Parliamone insieme nei commenti qui sotto e, se vi è piaciuto questo articolo, condividetelo sui vostri social! Aiutateci a spargere il terrore… con stile nerd, ovviamente. 💀💬

“The Paper”: il ritorno di The Office nel cuore del Midwest americano

Preparate i vostri stapler rossi e lucidate le vostre tazze da caffè aziendali: il mondo surreale di The Office sta per tornare. Ma questa volta, non saremo più a Scranton e la Dunder Mifflin è ormai un ricordo lontano. A oltre dieci anni dalla fine della sitcom che ha ridefinito il concetto di mockumentary, arriva ufficialmente The Paper, il reboot/spin-off che promette di riportarci in quell’assurda e affettuosa routine da ufficio che abbiamo imparato ad amare. Solo che stavolta, la posta in gioco è ancora più alta: salvare un giornale sull’orlo del fallimento. Svelato da Peacock durante l’annuale presentazione agli inserzionisti di NBCUniversal a New York, The Paper si presenta come una nuova serie ambientata nello stesso universo narrativo di The Office. Alla guida del progetto troviamo ancora una volta Greg Daniels, il creatore dell’amatissima versione americana, affiancato dal brillante Michael Koman, già co-creatore del surreale Nathan for You. Un duo creativo che fa ben sperare.

La trama si svolge nei locali ormai semi-abbandonati del Toledo Truth-Teller, uno storico quotidiano locale del Midwest, precisamente in Ohio, che arranca verso l’oblio. Quando la troupe del documentario che aveva seguito Michael Scott e colleghi a Scranton decide di immortalare un nuovo esperimento sociale, il focus si sposta su questo piccolo giornale. Il suo editore, disperatamente in cerca di un rilancio, decide di assumere un gruppo di giornalisti volontari—più che altro dei disadattati in cerca di una causa—senza sapere che saranno osservati 24/7 da una telecamera indiscreta.

Ad arricchire il cast troviamo nomi di grande talento e carisma. Il sempre intenso Domhnall Gleeson (Ex Machina, Star Wars) interpreterà un idealista appena arrivato al giornale, mentre la magnetica Sabrina Impacciatore, reduce dal successo internazionale di The White Lotus, vestirà i panni della caporedattrice, una figura tanto cinica quanto determinata. E non manca un tocco di nostalgia: Oscar Nuñez torna nei panni di Oscar, ora impiegato come contabile per il Truth-Teller, visibilmente scocciato nel rivedere la troupe.

La scelta di ambientare la nuova serie in un giornale è quanto mai significativa. In un’epoca in cui le fake news proliferano, l’editoria tradizionale agonizza e i social dettano l’agenda, mettere sotto la lente dell’umorismo il mondo del giornalismo locale è un’idea brillante e attuale. C’è qualcosa di profondamente romantico e tragico nel tentativo di tenere in vita un quotidiano cartaceo in pieno XXI secolo, ed è proprio in quel groviglio di fallimenti annunciati, ego improbabili e battaglie quotidiane per la fotocopiatrice che The Paper trova la sua linfa.

Oltre ai protagonisti già annunciati, nel cast figurano anche Melvin Gregg (The Blackening), Chelsea Frei, Ramona Young, Gbemisola Ikumelo, Alex Edelman, Tim Key ed Eric Rahill, per un ensemble corale che promette di regalarci nuovi archetipi da amare e citare nei secoli dei secoli. Il tono? In perfetta linea con lo spirito di The Office: un umorismo che rasenta l’assurdo, ma che riesce sempre a trovare la verità nascosta dietro la banalissima quotidianità.

Il debutto è previsto per settembre su Peacock, anche se la data precisa è ancora top secret. La serie, per ora intitolata semplicemente The Paper, potrebbe rappresentare il primo passo verso un universo espanso di The Office, magari con futuri spin-off o crossover. E chissà, forse un giorno rivedremo anche qualche altra vecchia conoscenza affacciarsi alla porta dell’ufficio.

Lisa Katz, presidente di NBCUniversal Entertainment, ha dichiarato che The Office continua a conquistare nuove generazioni di fan grazie allo streaming, e non sorprende: le dinamiche da ufficio sono universali, e il desiderio di vedere personaggi reali, fallibili e goffamente adorabili è più vivo che mai.

Il vero interrogativo, tuttavia, è uno solo: questo reboot sarà all’altezza del suo predecessore? Saprà far ridere e riflettere con la stessa grazia disarmante che ha reso immortali battute come “That’s what she said” o momenti di pura follia come il fuoco simulato di Dwight?

Per scoprirlo, non ci resta che aspettare settembre. Nel frattempo, tenete gli occhi puntati su The Paper e preparatevi a tornare dietro la scrivania più caotica del piccolo schermo.

E voi cosa ne pensate? Siete pronti a lasciarvi coinvolgere da un nuovo ufficio pieno di drammi, assurdità e imbarazzi a telecamera accesa? Avete già nostalgia di Scranton o siete curiosi di esplorare Toledo con occhi nuovi?

Scrivetecelo nei commenti qui sotto, condividete l’articolo sui vostri social con l’hashtag #ThePaper e fate sapere ai vostri colleghi nerd che il mockumentary da ufficio non è affatto morto. Anzi, ha appena riaperto i battenti.

Spider-Noir: Nicolas Cage e la rinascita oscura dell’Uomo Ragno nella serie live-action di Prime Video

Nel vasto universo Marvel, dove i multiversi si intrecciano come le trame di un fumetto dimenticato su uno scaffale polveroso, ogni tanto nasce una leggenda che sfida ogni aspettativa. Spider-Noir non è semplicemente l’ennesima variazione sul tema dell’Uomo Ragno: è un’operazione narrativa e stilistica che affonda le sue radici nel cuore oscuro del cinema noir e che si appresta a diventare una delle serie più intriganti e audaci del panorama televisivo contemporaneo. Prime Video ha finalmente svelato le prime immagini della serie, e tra ombre taglienti e luci soffuse, un nome spicca su tutti: Nicolas Cage, che vestirà i panni (e il trench) del tormentato Spider-Noir.

https://youtu.be/XNgQuRCi2Wo

Un eroe fuori dal tempo: Nicolas Cage è Spider-Noir

Il pubblico lo conosce già. Lo ha sentito parlare con voce roca e malinconica in Spider-Man: Into the Spider-Verse e nel suo seguito Across the Spider-Verse, regalando un’interpretazione vocale che ha saputo trasformare un personaggio di nicchia in un’icona amata e venerata. Ma ora è il momento di fare un passo oltre: Nicolas Cage non sarà più solo la voce, ma il volto e l’anima di Spider-Noir, in carne, ossa e ombre lunghe. Questa volta però non interpreterà Peter Parker, bensì Ben Reilly, investigatore privato invecchiato, disilluso, segnato da un passato di tragedie e verità scomode. Una scelta che si discosta dai fumetti originali, ma che sembra voler conferire maggiore profondità psicologica e drammaturgica a un personaggio che non combatte solo contro i criminali, ma contro i fantasmi che infestano la propria anima.

Una New York da brividi: benvenuti nel 1933

Spider-Noir ci porta indietro nel tempo, in una New York plumbea degli anni ’30, teatro ideale per un eroe decadente che si muove tra vicoli bui, pioggia incessante e jazz malinconico. È la città della Grande Depressione, dove la giustizia è corrotta, la verità nascosta e l’eroismo assume i contorni di una vendetta personale. In questo scenario dominato dalla disillusione, il nostro Uomo Ragno non è un adolescente alle prese con la scuola, ma un uomo rotto che cerca risposte tra colpi di pistola e tradimenti. Le immagini trapelate dal set confermano un’estetica che sa di Sin City e The Maltese Falcon, con Cage avvolto da un trench nero, cappello fedora in testa e occhi bianchi luminosi che bucano il buio. La serie, stando a quanto annunciato, sarà disponibile sia in versione a colori che in bianco e nero, per offrire un’esperienza visiva doppia e fedelissima allo spirito noir. Un regalo per i cinefili, un tributo alla pellicola graffiata di un tempo che fu.

Non il solito Spider-Man: tra misteri, pistole e anime spezzate

La trama, avvolta in un alone di segretezza, si preannuncia intensa e stratificata. Non ci sarà spazio per supercattivi urlanti o duelli acrobatici sopra i grattacieli. Qui, la storia si gioca tutta nelle sfumature del grigio morale. Ben Reilly, segnato dalla morte dello zio Ben, si troverà invischiato in un misterioso omicidio: quello di Edward Addison, uomo d’affari apparentemente rispettabile. Da qui si snoderà una spirale di eventi che coinvolgerà politici corrotti, boss mafiosi come Silvermane, e una femme fatale enigmatica e pericolosa: Yuri Watanabe.

È una narrazione che guarda più a Raymond Chandler che a Stan Lee, più al dramma umano che alla fantascienza. Un mix che promette di inchiodare lo spettatore episodio dopo episodio, rivelando lentamente i pezzi di un puzzle che ha per cornice una città perduta e per centro un eroe che ha smesso di credere nella redenzione.

Un cast e una produzione da brivido

Attorno a Cage ruota un cast di talento: Karen Rodriguez, Lamorne Morris, Brendan Gleeson, Abraham Popoola, Li Jun Li, Jack Huston, e una schiera di guest star che renderebbero invidioso qualsiasi red carpet, da Lukas Haas a Cary Christopher. Alla regia dei primi due episodi troviamo Harry Bradbeer, noto per Fleabag ed Enola Holmes, mentre Oren Uziel e Steve Lightfoot guidano la narrazione nei panni di showrunner, portando in dote l’esperienza maturata con The Punisher e The Cloverfield Paradox.

La produzione è affidata a Sony Pictures Television, con la distribuzione esclusiva su MGM+ negli Stati Uniti e Prime Video a livello globale. Otto episodi che si preannunciano come un crescendo di tensione e bellezza visiva, e che porteranno nuova linfa vitale all’universo Marvel — sempre più variegato e imprevedibile.

Quando vedremo Spider-Noir?

Le riprese sono attualmente in corso e le prime immagini condivise online fanno già sognare. La serie debutterà nel 2026, anche se una data ufficiale non è ancora stata comunicata. Nel frattempo, il fermento dei fan cresce, alimentato da teaser visivi che promettono una delle esperienze più mature, cupe e affascinanti mai viste in casa Marvel.

Un nuovo archetipo di eroe

Spider-Noir non è solo una nuova incarnazione dell’Uomo Ragno. È un’esplorazione dell’identità, una discesa negli abissi del trauma, un racconto che scava nelle crepe dell’animo umano più che nei muri delle città. È la storia di un uomo che non lancia battute, ma sussurra sentenze; che non vola tra i palazzi, ma cammina nell’ombra. È la storia di un eroe che non vuole esserlo, ma che non può fare a meno di esserlo, nel modo più doloroso e autentico possibile.

Con questa serie, Prime Video e Sony si preparano a ridefinire il concetto stesso di supereroe in TV. Un esperimento audace, destinato a lasciare il segno. Preparatevi a conoscere l’Uomo Ragno che non ha bisogno della luce per brillare. Perché è nell’oscurità che trova la sua vera essenza.

Se anche voi, come noi, non vedete l’ora di scoprire le ombre di questa nuova New York e il volto nascosto dietro la maschera di Spider-Noir, fateci sapere cosa ne pensate! Condividete questo articolo sui vostri social, taggateci e raccontateci: siete pronti a vedere l’Uomo Ragno come non l’avete mai visto prima?

Godzilla x Kong: Supernova – Il nuovo capitolo del MonsterVerse ci invita a segnalare avvistamenti di Titani

Il mondo è cambiato. Non si tratta solo di una frase ad effetto, ma di una constatazione che, nel MonsterVerse, è diventata quasi una legge della natura. Ormai ci siamo abituati all’idea che colossi millenari come Godzilla e Kong possano emergere dalle profondità del nostro pianeta (o dalle sue cavità più misteriose) e camminare tra noi. Ma cosa succede quando questi mostri non sono più confinati a battaglie epiche in città lontane, ma cominciano a essere visti ovunque, magari mentre vai al supermercato o durante una gita nel deserto dell’Arizona? È questo il cuore pulsante del progetto virale che anticipa il prossimo film del franchise: Godzilla x Kong: Supernova.

Un titolo che fa tremare le stelle

Annunciato ufficialmente da Warner Bros. e Legendary Pictures, Godzilla x Kong: Supernova è il nuovo capitolo cinematografico del MonsterVerse, in uscita al cinema il 26 marzo 2027. Un titolo potente, evocativo, che promette di portare la mitologia dei Titani ancora più in alto – forse letteralmente – puntando verso lo spazio o verso nuove dimensioni. Non è un caso che la parola “Supernova” richiami immagini cosmiche, esplosioni stellari e forze ancestrali fuori dalla nostra comprensione.

Se Godzilla e Kong: Il nuovo Impero del 2024 ci aveva portati a esplorare l’interno cavo della Terra e a riscoprire l’eredità dimenticata dei Titani, questa volta sembra che la minaccia – o la meraviglia – possa venire da ancora più lontano. La produzione del film è appena iniziata, quindi la trama è ancora avvolta nel mistero, ma già le suggestioni sono sufficienti per far impazzire qualsiasi fan del genere kaiju.

Il MonsterVerse e la chiamata alla partecipazione

Uno degli aspetti più geniali (e divertenti) di Godzilla x Kong: Supernova è la campagna promozionale integrata nell’universo narrativo del film. In un breve video in stile mockumentary ambientato in una struttura della Monarch – la misteriosa organizzazione che studia i Titani – vediamo un call center dove operatori raccolgono segnalazioni di avvistamenti di creature giganti. Un notiziario sullo sfondo conferma: i Titani stanno comparendo in tutto il mondo.

Ma non è solo finzione: puoi davvero chiamare il numero 240-MONARCH e lasciare il tuo messaggio. Sì, esatto. Legendary Pictures vuole che racconti il tuo incontro “reale” con un Titano. È una mossa perfetta per coinvolgere la community nerd, fan del franchise o semplici curiosi con una buona dose di fantasia. È l’ARG (Alternate Reality Game) che diventa realtà, il marketing virale che diventa parte dell’esperienza narrativa. In altre parole: la Monarch sei tu.

Un nuovo regista, una nuova direzione

Dietro la macchina da presa di Godzilla x Kong: Supernova troviamo Grant Sputore, noto per il film sci-fi I Am Mother, che prende il posto di Adam Wingard, regista dei precedenti due capitoli del franchise. Una scelta interessante, che potrebbe segnare un cambio di tono: meno scazzottate tra mostri (forse), più riflessione sull’equilibrio tra umanità, natura e forze cosmiche?

Alla sceneggiatura c’è Dave Callaham, che ha dimostrato di saper mescolare azione e cuore in film come Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli e Spider-Man: Across the Spider-Verse. Questo ci fa ben sperare per una narrazione coinvolgente, visivamente potente, ma anche capace di esplorare nuovi lati dei suoi iconici protagonisti.

Godzilla o Kong? Chi sarà il protagonista stavolta?

Nel film del 2024, il focus era chiaramente su Kong: esploravamo la sua casa, le sue origini, il suo ruolo nella Hollow Earth. Ma se Supernova è davvero il titolo chiave, non è azzardato pensare che Godzilla sarà al centro della scena. Dopotutto, se si parla di esplosioni cosmiche e forze primordiali, chi meglio del Re dei Mostri può incarnare questo potere assoluto?

Non dimentichiamo, poi, che il MonsterVerse ci ha già abituati a espandere la propria mitologia in modi inaspettati. L’introduzione della Hollow Earth, della razza dei Titanus, e delle connessioni con antiche civiltà ci hanno mostrato quanto vasto possa essere questo universo. Supernova potrebbe essere l’occasione perfetta per osare ancora di più: magari esplorando minacce interplanetarie o rivelando che i Titani sono legati non solo al nostro passato, ma all’evoluzione dell’intero cosmo.

La mappa punta a Sedona: coincidenza? Io non credo.

Nel video teaser, un dettaglio non è sfuggito agli osservatori più attenti: una mappa con coordinate che puntano dritto a Sedona, Arizona. Famosa per i suoi paesaggi rocciosi e per essere considerata una zona di forte energia spirituale (e UFO), Sedona potrebbe giocare un ruolo chiave nella storia. Una base della Monarch? Un portale verso un’altra dimensione? Un nido di Titani in attesa? I fan già ipotizzano teorie e collegamenti con altri film del franchise. E se ci pensiamo bene, ha senso: se i Titani sono connessi alle forze della Terra, non è assurdo che siano anche connessi a fenomeni astronomici o quantistici.

Il countdown è iniziato

Mancano meno di due anni all’uscita di Godzilla x Kong: Supernova, ma l’hype è già alle stelle – e, a giudicare dal titolo, è proprio lì che dobbiamo guardare. L’invito a segnalare avvistamenti di Titani è solo il primo passo di una campagna che, ne siamo certi, diventerà sempre più immersiva.

Nel frattempo, possiamo solo fare ciò che Monarch ci chiede: restare vigili, osservare, raccontare. Perché i Titani sono là fuori. E questa volta, potrebbero non essere più soli.

Il Signore degli Anelli: La Caccia a Gollum – Il ritorno nella Terra di Mezzo è più oscuro che mai

Nel vasto e incantato regno della Terra di Mezzo, dove ogni alito di vento sembra sussurrare storie dimenticate e ogni ombra cela leggende mai raccontate, c’è un nome che risuona come un eco spezzato tra le montagne, un nome fatto di lamenti e ossessioni: Gollum. Ed è proprio lui il cuore pulsante di un nuovo, attesissimo capitolo cinematografico dell’universo tolkeniano. Dopo mesi di attesa, speculazioni e speranze, è arrivata la conferma che molti fan aspettavano con trepidazione mista a timore: Il Signore degli Anelli: La Caccia a Gollum (titolo originale The Hunt for Gollum) è ufficialmente in lavorazione. La data di uscita? Dicembre 2027. E no, non è un caso.

Le feste natalizie sembrano essere il momento prediletto per immergersi nelle atmosfere solenni e magiche della Terra di Mezzo. Dalla trilogia originale fino all’animato The War of the Rohirrim, la tradizione delle uscite natalizie si rinnova ancora una volta, come un richiamo al passato, come una promessa di continuità che abbraccia generazioni di spettatori.

Ma questa volta, qualcosa è diverso. C’è un’oscurità più intima che aleggia, una voglia di esplorare le pieghe più contorte di un’anima tormentata. E non poteva esserci guida migliore per questo viaggio se non Andy Serkis, colui che ha dato corpo e voce all’iconico Gollum. Questa volta, però, non si limiterà a strisciare e contorcersi sullo schermo: Serkis siederà anche dietro la macchina da presa, pronto a dirigere un film che promette di essere tanto visionario quanto dolorosamente umano.

Andy Serkis e il ritorno all’Anello

La scelta di affidare la regia ad Andy Serkis non è solo un gesto simbolico, ma una dichiarazione d’intenti. Chi meglio di lui potrebbe raccontare la metamorfosi di Smeagol in Gollum? Chi, se non il pioniere della performance capture, può portarci nelle profondità abissali di una mente lacerata dal desiderio, dalla colpa e dalla solitudine? Serkis conosce ogni tremolio della voce, ogni spasmo del corpo, ogni sfumatura dello sguardo di Gollum. E ora, da regista, può scavare ancora più a fondo.

Ad accompagnarlo in questa impresa ci sarà l’inossidabile trio che ha già scolpito nella pietra del cinema fantasy la trilogia de Il Signore degli Anelli: Peter Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens. I tre saranno coinvolti come produttori e sceneggiatori, affiancati da Phoebe Gittins e Arty Papageorgiou. Un dream team che promette rispetto per il materiale originale di Tolkien, ma anche il coraggio di spingersi oltre, esplorando nuove dimensioni narrative e visive.

Una storia rimasta nell’ombra, finalmente in primo piano

La Caccia a Gollum ci porterà in un frammento temporale che la trilogia cinematografica aveva solo sfiorato: gli anni che intercorrono tra il compleanno di Bilbo Baggins e la formazione della Compagnia dell’Anello. Un periodo oscuro, silenzioso, in cui Gandalf e Aragorn, mossi dal sospetto e dall’urgenza, danno la caccia a una creatura consumata dall’Anello: Gollum. Una creatura che potrebbe sapere troppo. Una creatura che, suo malgrado, detiene le chiavi del destino della Terra di Mezzo.

Philippa Boyens ha descritto questa nuova avventura come “intensa, oscura e profondamente emozionante”. Ed è facile crederle. La pellicola si prospetta come un viaggio duplice: attraverso terre dimenticate e battaglie fisiche, certo, ma soprattutto all’interno della psiche dilaniata di Smeagol. Un’odissea interiore, una lenta discesa nella follia, nella disperazione e forse, in un briciolo di redenzione.

Una saga che non smette di brillare

Il ritorno nella Terra di Mezzo non è solo un’operazione nostalgia. È una mossa strategica e, allo stesso tempo, un atto d’amore. Warner Bros. Discovery, forte del successo globale dei precedenti film, ha deciso di puntare nuovamente su uno degli universi narrativi più amati di sempre. David Zaslav, CEO dello studio, non ha nascosto l’ambizione dietro questo nuovo corso, definendo il franchise “una delle saghe cinematografiche più iconiche e amate di sempre”.

Secondo le ultime indiscrezioni, la sceneggiatura è quasi pronta e verrà consegnata ufficialmente a maggio. Mike De Luca e Pam Abdy, presidenti della Warner Bros. Pictures, hanno dichiarato che l’obiettivo è quello di offrire una visione più adulta e drammatica della Terra di Mezzo, restando però fedeli al cuore dell’opera tolkieniana.

Il ritorno dei grandi volti? Le voci che infiammano i fan

E poi c’è la domanda che tutti ci stiamo facendo: rivedremo Gandalf, Legolas, Aragorn? Ian McKellen ha lasciato intendere che potrebbe tornare a indossare il cappello a punta del celebre stregone grigio. Orlando Bloom ha dichiarato che sarebbe “pronto a tornare” se chiamato. Viggo Mortensen, invece, ha mantenuto una posizione più cauta, sottolineando quanto la coerenza narrativa sia fondamentale per un suo eventuale ritorno.

E se il tempo e l’età dovessero rappresentare un ostacolo? La tecnologia, come spesso accade nel mondo del cinema, potrebbe offrire una soluzione. Si vocifera che Andy Serkis stia valutando l’uso dell’intelligenza artificiale e della de-aging CGI per riportare in scena i volti storici con la fedeltà visiva necessaria. Un’idea affascinante, ma anche delicata, che richiederà equilibrio tra innovazione e rispetto per gli interpreti originali.

Due parti per una discesa nelle tenebre

Uno degli elementi più intriganti del progetto è la sua struttura narrativa: La Caccia a Gollum sarà diviso in due film. Una scelta ambiziosa, ma coerente con la profondità del materiale da trattare. Non si tratterà solo di un inseguimento spettacolare, ma di una riflessione sulle conseguenze dell’ossessione, sulle crepe dell’animo umano, sulla capacità di resistere al potere assoluto dell’Anello.

Ci saranno nuove terre da esplorare, nuovi personaggi da conoscere, ma soprattutto ci sarà lui: Gollum, l’antieroe per eccellenza. Una figura tragica e universale, capace di incarnare il lato più oscuro di ognuno di noi. Con la sensibilità di Serkis alla regia, possiamo aspettarci un racconto teso, psicologico, quasi teatrale. Un ritorno alla Terra di Mezzo che sarà tutto fuorché una favola.

Una nuova era per la Terra di Mezzo

Manca ancora molto all’uscita nelle sale, ma l’hype è già alle stelle. Dicembre 2027 sembra lontano, ma i prossimi mesi saranno cruciali. La sceneggiatura è in fase di finalizzazione, e non è da escludere che già entro l’anno potremmo avere un teaser, immagini dal set, e magari l’annuncio ufficiale del cast.

Nel frattempo, noi restiamo in attesa. Con gli occhi puntati all’orizzonte, pronti a seguire le orme di Aragorn e Gandalf nella loro caccia, pronti a sussurrare ancora una volta quel nome che riecheggia tra le montagne: “Gollum… Gollum…”.

E voi? Siete pronti a tornare nella Terra di Mezzo? Pensate che questa nuova avventura possa essere all’altezza della trilogia originale? Vi piacerebbe rivedere gli attori storici nei loro ruoli iconici o preferite volti nuovi per raccontare storie ancora inesplorate?

Fatecelo sapere nei commenti qui sotto e condividete l’articolo sui vostri social per far partire il dibattito tra tutti gli appassionati di Tolkien! La caccia è appena cominciata.

Fallout stagione 2: ci siamo! Le riprese sono concluse, il Wasteland ci aspetta di nuovo

Nel deserto radioattivo del Wasteland, le telecamere si sono ufficialmente spente: la seconda stagione di Fallout, l’ambiziosa e sorprendente serie TV di Amazon Prime Video, ha terminato le riprese. A dare l’annuncio non sono stati comunicati ufficiali in tono burocratico, ma un video dal sapore ironico e liberatorio, pubblicato sui canali social della serie, in cui Walton Goggins – alias il misterioso e tormentato Ghoul – si libera finalmente del trucco prostetico che lo ha accompagnato per mesi sul set. “Obiettivo sbloccato!”, recita il post, con un linguaggio che ammicca senza troppi giri di parole alla community videoludica da cui tutto è nato. Ed è proprio da lì che vogliamo partire. Perché Fallout non è solo una serie: è il frutto di un’eredità culturale che affonda le radici in oltre due decenni di videogiochi targati Bethesda, in un’estetica retrofuturista che mescola Guerra Fredda, bunker antiatomici, creature mutanti e satira feroce. E per molti, l’annuncio della serie TV era stato accolto con lo stesso entusiasmo con cui si riceve un Fat Man caricato con una mini testata nucleare: una promessa di caos spettacolare, ma anche di un rischio devastante.

La prima stagione,, però, ha fatto centro. Con 80 milioni di spettatori e una pioggia di recensioni entusiaste, Fallout è riuscita in quello che sembrava un miracolo post-apocalittico: offrire un adattamento fedele e rispettoso del materiale originale, ma al tempo stesso capace di raccontare qualcosa di nuovo, emotivamente potente e perfettamente ritmato per il linguaggio seriale.

Al centro della narrazione troviamo Lucy, interpretata da una sorprendente Ella Purnell. È lei il cuore pulsante della storia, una giovane idealista cresciuta nel sicuro (e inquietantemente ordinato) Vault 32. Ma quando il padre viene rapito da una misteriosa figura nota come Moldaver, la sua vita viene completamente stravolta. Lucy si ritrova catapultata nella crudezza del mondo esterno, dove tra rovine radioattive, fazioni armate fino ai denti e pericoli invisibili, inizia un viaggio che è allo stesso tempo fisico e spirituale. La sua è una discesa – o forse un’ascesa? – nell’incubo del dopobomba, ma anche nella verità di ciò che resta della civiltà umana.

Accanto a lei, una galleria di personaggi memorabili. Spicca su tutti Walton Goggins, il Ghoul, un ex attore trasformato in un mutante immortale dalla guerra nucleare. Cinico, enigmatico, a tratti persino profetico, il suo personaggio è diventato immediatamente iconico. E proprio lui, in una recente intervista, ha raccontato quanto sia affascinato dalla possibilità di esplorare la complessità sociale e psicologica del suo alter ego: “Cosa succede quando visioni radicalmente diverse del mondo si scontrano? Cosa significa essere un profeta in un mondo senza fede?” – domande che sembrano anticipare i temi più profondi della nuova stagione.

E proprio così: la seconda stagione promette di scavare ancora più a fondo nei dilemmi morali e nelle tensioni politiche del mondo di Fallout. Nuove fazioni entreranno in scena, alcune direttamente ispirate agli iconici nemici e alle alleanze del franchise videoludico. Altre, probabilmente, saranno frutto della creatività degli showrunner, che già nella prima stagione hanno saputo muoversi con maestria tra fedeltà e innovazione. Lo scenario resta quello di un’America devastata, in cui il sogno di un nuovo inizio si scontra con l’istinto di sopravvivenza, in cui la nostalgia del passato è un veleno dolce che contamina ogni scelta.

Secondo Jennifer Salke, presidente degli Amazon MGM Studios, i creatori della serie – che lavorano a stretto contatto con Bethesda – hanno già completato gli script e stanno lavorando “a ritmi sostenuti” per consegnare una seconda stagione all’altezza delle aspettative. L’obiettivo è chiaro: non solo replicare il successo, ma superarlo. D’altronde, lo stesso Salke ha sottolineato come Fallout riesca a essere distopica senza cadere nel grigiore depressivo, mantenendo una vena ironica e pungente che è parte integrante del suo DNA.

Non è un dettaglio da poco. La forza di Fallout sta proprio in questo equilibrio instabile ma affascinante tra tragedia e parodia, tra brutalità e speranza, tra fucili al plasma e cartelloni vintage con sorrisi finti. È un mondo che ci dice che tutto è andato perduto, ma che – forse – qualcosa può ancora essere salvato. Un mondo dove un Vault può essere una prigione dorata, e un mutante radioattivo può diventare un eroe.

Anche se Amazon non ha ancora annunciato una data ufficiale di uscita, i pronostici parlano chiaro: l’autunno del 2025 potrebbe essere il momento giusto per tornare nel Wasteland. Fino ad allora, l’hype continua a crescere, alimentato da teaser criptici, indiscrezioni e il crescente successo della saga anche su console e PC. Sì, perché l’impatto della serie ha avuto effetti tangibili anche sul fronte videoludico: le vendite dei titoli Fallout sono esplose dopo la messa in onda della prima stagione, segno che l’universo narrativo creato da Bethesda continua a esercitare un fascino potente su vecchi fan e nuovi arrivati.

Non ci resta che prepararci. Sistemate l’armatura atomica, ricaricate il fucile a impulsi e fate scorta di Stimpak. Il mondo di Fallout sta per riaprire le sue porte radioattive, e qualcosa ci dice che stavolta il viaggio sarà ancora più pericoloso, più folle… e più epico.

E voi, Soprintendenti del Vault e predoni del Mojave, siete pronti a tornare nel deserto nucleare? Avete teorie, speranze o semplicemente voglia di condividere la vostra emozione per il ritorno di Fallout? Scriveteci nei commenti e fate sentire la vostra voce. E se questo articolo vi è piaciuto, condividetelo sui vostri social e diffondete il verbo nel Wasteland digitale!

Hollywood sotto attacco (di dazi): Trump e la crociata contro i film girati all’estero minacciano anche gli anime

Notizia bomba, gente. Di quelle che sembrano uscite dritte dritte da un episodio di Black Mirror scritto da uno sceneggiatore ubriaco di protezionismo e patriottismo esasperato. Donald Trump, ex Presidente degli Stati Uniti e habitué delle polemiche da trending topic, ha sganciato l’ennesima mina mediatica: vuole imporre un dazio del 100% su tutti i film realizzati fuori dai confini americani. Avete letto bene: il doppio del costo per ogni pellicola “straniera” che varca la frontiera a stelle e strisce. Altro che sequel di Independence Day, qui si parla di una guerra commerciale con effetti speciali realissimi.

L’annuncio è arrivato – neanche a dirlo – su Truth Social, la piattaforma di Trump, e ha subito fatto il giro del mondo. Secondo The Donald, l’industria cinematografica americana è in agonia, strangolata dagli incentivi che altri Paesi (tipo Canada, Regno Unito, Ungheria) offrono per attirare produzioni hollywoodiane. Una minaccia alla “sicurezza nazionale” e, udite udite, una forma di “propaganda straniera”. Il suo obiettivo è chiaro e urla slogan come solo lui sa fare: “We want those made in America, again!”. Difficile non sentirci l’eco di quel famoso “Make America Great Again”, ma declinato in salsa cinefila.

Ma attenzione, non è solo l’ennesimo sfogo social per accendere i riflettori. Trump avrebbe già dato mandato al Dipartimento del Commercio e all’Ufficio del Rappresentante per il Commercio di avviare l’iter per questa mega tariffa del 100%. Una mossa che, se attuata, potrebbe rivoluzionare (e forse devastare) il panorama dell’intrattenimento globale. E indovinate un po’? A farne le spese potremmo essere proprio noi, nerd incalliti, spettatori voraci di blockbuster e – soprattutto – amanti degli anime.

Il paradosso è che, fino a poco prima di questa “mazzata”, si parlava di incentivi per sostenere Hollywood. A promuoverli, niente meno che Jon Voight – sì, il papà di Angelina Jolie e uno degli ambasciatori speciali di Trump nel mondo dello spettacolo, insieme a nomi mica da poco come Sylvester Stallone e Mel Gibson. Voight stava dialogando con sindacati e major per proporre agevolazioni fiscali, anche alla luce degli incendi devastanti che hanno colpito Los Angeles. Ma al posto di un salvagente è arrivato un siluro. Alcuni insider sostenevano già che Trump covasse da tempo il desiderio di “blindare” l’industria americana contro le produzioni estere. Beh, ora lo sappiamo con certezza.

Ma veniamo al punto che più ci riguarda: cosa significa tutto questo per noi fan del cinema geek e, soprattutto, per il futuro dell’animazione giapponese?

Pensateci un attimo. Il successo globale di Demon Slayer – Il Treno Mugen, i record di One Piece Film: Red, la potenza emotiva di Godzilla Minus One, e la rinascita delle perle Ghibli in IMAX hanno mostrato quanto l’anime sia ormai un fenomeno internazionale. I cinema americani, che una volta consideravano l’animazione giapponese roba da nicchia, oggi si contendono i diritti per portare in sala questi gioielli. Ma se passasse il piano Trump, ogni film anime verrebbe tassato al 100% all’ingresso negli USA. Risultato? Il doppio del prezzo per portarlo nelle sale. Un incubo per distributori come GKIDS o Crunchyroll, che già operano in un mercato di margini strettissimi.

E non finisce qui. Se i dazi si estendessero anche a home video, Blu-ray o diritti streaming, si rischierebbe un ritorno agli anni ‘90, quando per vedere un film anime dovevi aspettare mesi, pregare che arrivasse sottotitolato e accontentarti di un DVD a tiratura limitata. Una regressione che farebbe male non solo ai fan, ma anche agli studi indipendenti giapponesi come Studio Chizu (Mamoru Hosoda) o Science Saru (Inu-Oh), già in difficoltà nella distribuzione internazionale.

Ma la questione non riguarda solo l’animazione giapponese. A tremare sono anche i colossi hollywoodiani che girano all’estero. Prendiamo Avengers: Doomsday, una delle punte di diamante del futuro Marvel Cinematic Universe, in lavorazione nel Regno Unito. Oppure Dune: Messiah, attesissimo seguito della saga sci-fi, le cui riprese partiranno in Ungheria. E poi L’Odissea di Christopher Nolan, partito dalla Sicilia per poi spostarsi in Marocco. Tutti potenzialmente nel mirino del nuovo protezionismo trumpiano.

Insomma, si rischia di mandare in tilt l’intero ecosistema produttivo globale, basato su location internazionali, incentivi locali e troupe specializzate. Hollywood non è più un luogo fisico, è un’idea globale, un network di talenti e risorse che collabora su scala planetaria. Stroncare questa rete significherebbe aumentare vertiginosamente i costi delle produzioni, e chi pensate che pagherà il conto finale? Esatto: noi spettatori. Biglietti più cari, abbonamenti streaming che lievitano, merchandising alle stelle.

E se pensate che il peggio sia passato, aspettate di sentire la vendetta degli altri Paesi. Perché la vera paura è la ritorsione: e se l’Europa, la Cina o il Giappone decidessero di piazzare a loro volta dazi sui film americani? Il botteghino globale vale miliardi per gli USA (22,6 miliardi di dollari nel solo 2024, secondo la Motion Picture Association). Un contrattacco commerciale potrebbe essere disastroso per le major, che vedrebbero affondare i loro incassi esteri. E la spirale di rincari ci colpirebbe come un pugno di Hulk in piena faccia.

Per fortuna, una voce contraria si è già levata dagli stessi Stati Uniti. Gavin Newsom, Governatore della California (alias la casa madre di Hollywood), ha definito il piano di Trump come una “dichiarazione di guerra” al settore creativo californiano. Non solo sta spingendo per aumentare gli incentivi statali per le produzioni, ma ha anche messo in dubbio la legalità del provvedimento, sostenendo che un Presidente non abbia il potere unilaterale di imporre simili dazi.

La battaglia è solo all’inizio, ma il dado è tratto. Se il piano dovesse andare avanti, potremmo assistere a una trasformazione epocale del mondo dell’intrattenimento, dove vedere un anime al cinema o una nuova serie Marvel su Disney+ potrebbe diventare un lusso.

“Alita: il sogno sospeso” – Un’ode appassionata a un sequel che ancora non c’è

Sono una donna cresciuta a pane e anime, figlia dell’epoca d’oro dell’animazione giapponese e delle sue eroine forti, fragili, imperfette e umanissime. È per questo che quando Alita: Angelo della Battaglia è arrivato al cinema nel 2019, ho provato un tuffo al cuore. Quel film, tratto dal manga Gunnm di Yukito Kishiro – noto in Italia come Alita l’angelo della battaglia – aveva qualcosa di magico: l’intensità tipica delle storie giapponesi unite allo spettacolo visivo hollywoodiano. Eppure, oggi, dopo anni di silenzio e di promesse sussurrate, il destino di Alita resta sospeso, incerto come il cielo plumbeo sopra Iron City.

La storia del film la conosciamo: diretto da Robert Rodriguez, prodotto da due giganti del cinema come James Cameron e Jon Landau, Alita era – e resta – un progetto ambizioso. Non era solo un adattamento di un manga culto degli anni ’90, ma il tentativo audace di costruire un ponte tra due mondi, quello del cinema occidentale e quello della cultura otaku giapponese. Quel ponte ha retto l’urto del giudizio, sia della critica che del pubblico. Il film ha incassato più di quanto inizialmente previsto, ha ottenuto recensioni entusiaste per la qualità degli effetti visivi e, soprattutto, ha acceso un fuoco nei cuori degli appassionati. Un fuoco che, da allora, non si è mai spento.

Durante il San Diego Comic-Con del 2018, i produttori avevano lasciato intendere di voler costruire un intero franchise su Alita. E come biasimarli? Il mondo creato da Kishiro è vasto, oscuro, stratificato. La prima pellicola ne ha appena sfiorato la superficie: ci ha introdotti ad Alita, una cyborg dagli occhi troppo grandi e dal cuore ancora più grande, ma non ci ha raccontato davvero chi sia. Chi era prima del risveglio? Cosa l’ha resa una guerriera tanto letale quanto tenera? E, soprattutto, chi è davvero Nova, l’enigmatico antagonista intravisto solo negli ultimi minuti del film? Tutte domande rimaste in sospeso.

Eppure, a distanza di sette anni, il sequel non si è ancora materializzato. Il motivo? Uno solo, ma potente: James Cameron. Il visionario regista – lo stesso che aveva opzionato i diritti del manga già negli anni ’90 – ha un cuore diviso. L’altra metà, quella dominante, è saldamente ancorata a Pandora, il mondo di Avatar. Cameron ha scelto di dedicarsi anima e corpo alla saga dei Na’vi, e chi conosce il suo perfezionismo sa bene che quando si immerge in un progetto, lo fa fino all’ultima molecola. Per Alita, questo ha significato restare in attesa, nell’ombra di un franchise che, per quanto spettacolare, ha sottratto energie e tempo a tutto il resto.

Nonostante ciò, la speranza non è mai morta. Cameron ha dichiarato più volte il suo desiderio di tornare a raccontare la storia di Alita, magari sfruttando le piattaforme streaming per esplorarla in modo più approfondito. L’idea di una trilogia resta sul tavolo, rafforzata dalle parole di Jon Landau, che aveva confermato l’interesse della Disney dopo il successo di Avatar: La via dell’acqua. Il fatto che il D23 Expo del 2025 non abbia offerto novità concrete ha deluso molti fan, me compresa, ma non è stato un colpo fatale. È come quando, leggendo un manga, una tavola resta bianca per un attimo, prima dell’arrivo di un colpo di scena.

Perché c’è ancora speranza? Perché Alita: Angelo della Battaglia non è stato solo un film. È diventato un fenomeno di culto. C’è una comunità viva, appassionata, creativa, che continua a parlare di lei, a disegnare fanart, a scrivere teorie, a chiederne il ritorno. C’è un amore autentico, pulsante, che vive ben oltre gli algoritmi del marketing. E c’è anche un universo narrativo ancora inesplorato. Il manga originale è ricco di sottotrame, personaggi e riflessioni filosofiche sulla natura dell’identità, sul corpo, sulla memoria. In un’epoca in cui la tecnologia ci sfida ogni giorno a ridefinire cosa significa essere umani, Alita è più attuale che mai.

E poi c’è la tecnologia. I progressi degli ultimi anni, soprattutto nella CGI, permetterebbero di rendere ancora più intensa e credibile la rappresentazione del mondo di Iron City. Rosa Salazar, interprete di Alita, ha espresso più volte il suo desiderio di tornare a indossare i sensori per dare nuovamente vita alla sua eroina. E io, come tanti altri, sogno il momento in cui quegli occhi giganti torneranno a guardare il mondo da uno schermo, pronti a combattere per la verità, l’amore e la libertà.

Nel frattempo, possiamo solo aspettare. Rivedere il film, riscoprire il manga, e ricordarci perché ci siamo innamorati di lei. Alita non è solo una guerriera. È il simbolo di una resistenza silenziosa, quella di chi non si arrende. E forse, un giorno, la vedremo tornare. Non perché il mercato lo richiede, ma perché il suo cuore – e il nostro – non ha mai smesso di battere.

E tu, sei pronta a combattere ancora una volta al suo fianco?

Comix Park 2025: la cultura nerd esplode a Guidonia tra fumetti, cosplay, fantasy e pop

La cultura nerd torna a brillare nel cuore del Lazio con la sesta edizione del Comix Park, dal 9 all’11 maggio, la sesta edizione del festival accenderà di entusiasmo la Pinetina di viale Roma, nella suggestiva cornice di Piazza Caduti di Nassiriya a Guidonia (RM), trasformando questo angolo della provincia romana in un crocevia di universi fantastici, dal Giappone all’Occidente, tra manga, cinema, serie TV e molto altro.

Quello che nel 2018 era un progetto ambizioso partorito dalla mente appassionata di Giuliano Mazzitelli, oggi è un punto fermo nella mappa degli eventi italiani dedicati alla cultura nerd e pop. L’organizzazione, affidata all’Associazione Sorrisi e Cartoni APS di Campolimpido e patrocinata dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Mauro Lombardo, è pronta a offrire un’edizione esplosiva, pensata per intrattenere e affascinare grandi e piccoli, cosplayer navigati e neofiti incuriositi.

Non è un semplice festival. Comix Park è un inno all’immaginazione, un grande abbraccio tra generazioni unite dal linguaggio universale della cultura pop. E questo spirito inclusivo è la vera chiave del suo successo. Tra un torneo di spade laser della Star Wars Academy, una gara di K-pop, una sfida a Magic: The Gathering, e un’esibizione cosplay da lasciare senza fiato, la Pinetina si animerà di colori, suoni, e personaggi provenienti da ogni angolo del multiverso nerd.

A rendere l’esperienza ancora più immersiva saranno le scenografie tematiche che trasformeranno l’area del festival in una sorta di “parco a tema” a cielo aperto. Ogni fan troverà il suo spazio ideale: chi ama i fumetti, potrà perdercisi tra stand ricchi di volumi rari, anteprime e autori emergenti; gli appassionati di videogiochi avranno a disposizione postazioni per il free play e tornei avvincenti; gli amanti del modellismo e dei giochi da tavolo vivranno sfide da manuale, tra dadi, miniature e strategie.

Ma c’è di più. Il Comix Park è anche una piattaforma culturale, un trampolino per giovani talenti dell’illustrazione e della scrittura fumettistica. Ogni edizione ospita artisti indipendenti che possono confrontarsi con un pubblico variegato, vendere le proprie creazioni, farsi conoscere, e magari – perché no – trovare nuove collaborazioni professionali.

Anche l’amministrazione comunale ha colto l’importanza dell’evento come leva per il rilancio turistico e culturale del territorio. Non è un caso che sia stata scelta proprio la Pinetina di Guidonia, uno spazio identitario e simbolico, che durante i tre giorni del festival diventa un palcoscenico a cielo aperto per la fantasia e la creatività.

In attesa del calendario definitivo degli appuntamenti, il fermento è già altissimo. Online le community di appassionati si stanno mobilitando per organizzare la trasferta, i cosplayer stanno lucidando armature e cucendo nuovi abiti, e i fan dei cartoni animati anni ’80 e ’90 contano i giorni per rituffarsi nei ricordi di un’infanzia fatta di robottoni, trasformazioni magiche e sigle che ancora oggi ci fanno battere il cuore.

Insomma, Comix Park 2025 si prepara a essere non solo un evento imperdibile, ma anche un’autentica celebrazione della cultura nerd in tutte le sue sfaccettature. Se siete amanti di Goku, Darth Vader, Pikachu, Batman o Sailor Moon – o anche solo curiosi di scoprire un mondo dove ogni passione ha dignità e ogni fan è protagonista – segnatevi queste date: 9, 10 e 11 maggio. Guidonia vi aspetta, con il suo parco dei sogni pronto a prendere vita.

Sei già pronto per l’evento nerd più atteso del Lazio?

Ritorno al Futuro: la saga che viaggia nel tempo ma non nel reboot – perché Hollywood non avrà mai un nuovo Marty McFly

C’è qualcosa di magico in Ritorno al Futuro che, a distanza di quarant’anni dalla sua uscita, continua a resistere al logorio del tempo, alle mode passeggere e, soprattutto, alla tentazione di Hollywood di riesumare ogni franchise di successo. È una reliquia pop che si conserva intatta nel cuore dei fan di ogni generazione. Marty McFly (Michael J. Fox), Doc Brown (Christopher Lloyd) e la leggendaria DeLorean non sono solo personaggi o oggetti scenici: sono simboli scolpiti nell’immaginario collettivo nerd, come il Millennium Falcon o l’hoverboard rosa.

Eppure, ogni qualche anno, come le maree che tornano a bagnare la costa, ciclicamente torna anche il sogno di un Back to the Future 4. A fine 2023, YouTube è esploso per un trailer che sembrava troppo bello per essere vero. E infatti lo era. Il presunto ritorno della saga, con Tom Holland nei panni di Marty McFly e il redivivo duo Fox-Lloyd in un’avventura temporale del tutto nuova, si è rivelato un sofisticato fake. Un mashup ben costruito, con spezzoni tratti da LEGO Dimensions, See You Yesterday e altri materiali digitali, che però ha riacceso per un istante la fiammella della speranza in milioni di fan.

Ma è una speranza destinata a restare delusa. Bob Gale, co-sceneggiatore della trilogia originale, lo ha ribadito senza mezzi termini durante il Fan Fest Nights agli Universal Studios: “Non ci sarà mai un sequel. Mai un prequel. Mai uno spin-off. È tutto perfetto così com’è.” Una dichiarazione talmente categorica che pare scritta con il fuoco su una targa di plutonio. E non è solo lui a pensarla così. Anche Robert Zemeckis, regista della trilogia, ha sempre difeso il valore dell’opera come compiuta, chiusa, “perfettamente imperfetta” come lui stesso ha detto più volte.

A difendere la sacralità della saga c’è anche un altro nome pesante: Steven Spielberg. Il produttore esecutivo di Back to the Future avrebbe esercitato le stesse pressioni che un tempo impedirono un sequel di E.T., proteggendo la trilogia da qualsiasi tentativo di riavvio o estensione. Spielberg, che non poté impedire a Universal di sfornare sequel su sequel di Lo Squalo, ha invece eretto un muro invalicabile attorno alla DeLorean.

Eppure, nonostante tutto questo, il fascino della saga non ha smesso di espandersi come un’onda nel tempo. A Fan Fest Nights, le file di cosplayer con giubbotti arancioni, hoverboard e chiome da “Doc” sono la prova vivente di quanto Back to the Future sia ancora una forza culturale potente. Un miracolo di resistenza mediatica, soprattutto in un’epoca in cui ogni brand, da Ghostbusters a Matrix, è stato riscritto, rifatto o riportato in vita.

Unico vero spin-off di successo? Il musical di Broadway. E anche lì, la domanda che aleggia è: quanto ci metterà Universal a trasformarlo in un film? La risposta, per ora, è sospesa nel tempo. Ma finché Gale, Zemeckis e Spielberg saranno vigili, la linea temporale resterà intatta.

Eppure, i misteri del tempo non smettono mai di giocare con i cuori nerd. Già nella primavera del 2024, nuove voci hanno cominciato a serpeggiare come fulmini nella notte. Il nome è quello di J.J. Abrams, il regista noto per la sua sensibilità verso i cult generazionali (basti pensare a Super 8, una lettera d’amore a E.T.). Pare che Abrams stia lavorando a un progetto “ispirato” a Back to the Future, e che Timothée Chalamet sia in lizza per il ruolo da protagonista. Warner Bros ha prontamente smentito ogni collegamento ufficiale con il franchise, ma il noto insider Daniel Richtman ha confermato l’esistenza del progetto. Non un reboot diretto, certo, ma qualcosa che potrebbe omaggiarne lo spirito, magari ambientato in un mondo in cui il viaggio nel tempo ha un nuovo sapore – un po’ come Stranger Things ha fatto con gli anni ’80.

Quindi no, non ci sarà un Back to the Future 4. Non ci sarà un giovane Marty col volto di Holland o Chalamet. Ma questo non vuol dire che lo spirito del film sia morto. Anzi, è più vivo che mai. La sua eredità vive nei giochi, nei musical, nei trailer fake che diventano virali, nei fan che ancora oggi si emozionano al suono di “The Power of Love” o al rombo di una DeLorean che raggiunge gli 88 miglia orarie.

Per i veri fan, il futuro di Back to the Future è sempre stato il presente: un ricordo vivo, un viaggio continuo nella nostalgia più pura. E forse, alla fine, è proprio questo il segreto della sua perfezione. Non ha bisogno di andare avanti. Ha già viaggiato abbastanza. E il suo arrivo… è sempre stato previsto.

Hai un ricordo speciale legato a Back to the Future?

Predator: Badlands – Il futuro dei Predator è arrivato, e sarà diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora

È ufficiale: Predator: Badlands è realtà. Il 20th Century Studios ha finalmente rilasciato il primo teaser trailer e il poster del nuovo, attesissimo capitolo del leggendario franchise fantascientifico. A dirigere il film, che arriverà nelle sale italiane il 6 novembre 2025, sarà ancora una volta Dan Trachtenberg, il regista che ha già rilanciato la saga con il sorprendente Prey nel 2022. E questa volta, promette di portarci là dove nessun Predator è mai andato prima.

Siamo di fronte a un’evoluzione epocale della mitologia dei Predator: Badlands non solo ci condurrà su un pianeta remoto in un futuro lontano, ma ribalterà completamente la prospettiva narrativa. Per la prima volta nella storia del franchise, il protagonista non sarà una preda umana in lotta per la sopravvivenza, bensì un giovane Yautja, interpretato da Dimitrius Schuster-Koloamatangi, emarginato dal suo stesso clan e pronto a sfidare il proprio destino.

Un Predator come eroe: il cambiamento che i fan aspettavano?

Dopo anni passati ad ammirare (e temere) questi letali cacciatori, Predator: Badlands ci offre un punto di vista inedito e affascinante: quello del Predator stesso. Non più la minaccia incombente nascosta tra le ombre, ma un protagonista in carne, ossa e mandibole, capace di emozionare, soffrire e combattere per il proprio riscatto. Il teaser trailer, pubblicato il 28 aprile 2025, ha già mandato in visibilio la fanbase globale. Le prime immagini mostrano un pianeta brutale e alieno, dominato da tempeste di sabbia, creature sconosciute e architetture ciclopiche di origine ignota. In questo scenario ostile si muovono Dek, il giovane Yautja in cerca del suo “avversario finale”, e Thia, un’androide della Weyland-Yutani Corporation interpretata dalla talentuosa Elle Fanning.Il loro rapporto, carico di diffidenza ma anche di crescente comprensione, promette di esplorare temi profondi come la fiducia, l’identità e il senso di appartenenza, in un universo in cui ogni legame può essere letale. Thia e Dek formano un duo improbabile, sospeso tra la brutalità primordiale del cacciatore e la freddezza calcolatrice della macchina.

Non è sfuggito agli occhi più attenti un dettaglio fondamentale del teaser: il logo della Weyland-Yutani Corporation brilla negli occhi di Thia. Una scelta tutt’altro che casuale, che ha subito riacceso le speranze dei fan circa un possibile crossover ufficiale tra Predator e Alien.

Se è vero che nel passato il franchise aveva già flirtato con l’idea di unire i due universi (basti pensare ai due film Alien vs. Predator), stavolta l’approccio sembra molto più organico e narrativamente ambizioso. La presenza della Weyland-Yutani, azienda chiave nell’universo di Alien, potrebbe essere il primo tassello di un mosaico più ampio che punta a fondere definitivamente i due immaginari in una nuova saga cinematografica.

A confermare i sospetti sono anche alcune dichiarazioni recenti dei vertici dei 20th Century Studios, che hanno lasciato intendere come il futuro di Predator potrebbe intrecciarsi sempre di più con quello di Alien, preparando il terreno per epici scontri e collaborazioni che faranno la gioia di tutti gli appassionati di fantascienza dura e pura.

Elle Fanning e Dan Trachtenberg: due assi nella manica per rivoluzionare Predator

Scegliere Elle Fanning per un ruolo tanto particolare quanto quello di Thia è stato un colpo da maestro. Attrice capace di passare con disinvoltura dal fantasy (Maleficent) al thriller (The Neon Demon), Fanning si trova ora ad affrontare una sfida inedita: interpretare un personaggio che, pur essendo un androide, dovrà comunicare un’ampia gamma di emozioni e conflitti interiori.

La sua Thia sarà molto più di una semplice “spalla” per Dek: sarà una figura chiave nello sviluppo emotivo e morale della storia, contribuendo a esplorare il sottile confine tra l’umanità artificiale e l’istinto primordiale.

Accanto a lei, la regia di Dan Trachtenberg promette di essere l’altro grande punto di forza del progetto. Dopo aver stupito tutti con 10 Cloverfield Lane e poi con Prey, Trachtenberg ha dimostrato di saper infondere nuova linfa a franchise storici senza tradirne l’anima. In Predator: Badlands, il regista sembra intenzionato a spingersi ancora oltre, combinando l’azione brutale che ci aspettiamo da un film di Predator con una narrazione densa di sottotesti emotivi e filosofici.

Il film sarà prodotto dallo stesso Trachtenberg insieme a John Davis, Marc Toberoff, Ben Rosenblatt e Brent O’Connor, a garanzia di una qualità produttiva altissima.

Un futuro radioso per Predator: la nuova era è appena iniziata

Con Predator: Badlands, il franchise nato nel 1987 sembra pronto a inaugurare una nuova era. Non più solo cacciatori implacabili e inseguimenti mortali, ma storie più complesse, sfaccettate, capaci di parlare anche alle nuove generazioni di spettatori.

Tra le voci che circolano con sempre maggiore insistenza, si parla anche di nuovi progetti ambientati nello stesso universo narrativo, compreso il possibile ritorno di Amber Midthunder nei panni della guerriera Naru, protagonista amatissima di Prey. Un’ulteriore conferma che i Predator hanno ancora moltissimo da dire – e da mostrare.

Segnatevi la data: 6 novembre 2025. Quel giorno, Predator: Badlands ci trascinerà in un’avventura adrenalinica e visionaria, pronta a ridefinire ancora una volta l’identità di uno dei mostri cinematografici più iconici di sempre.

La caccia è aperta. E stavolta, la preda siamo noi.

Guillermo del Toro reinterpreta Frankenstein: il sogno di una vita diventa realtà su Netflix

C’è qualcosa di profondamente emozionante quando un grande artista riesce finalmente a dare vita a un sogno coltivato per decenni. Guillermo del Toro, regista visionario dietro capolavori come La forma dell’acqua e Crimson Peak, è pronto a compiere la sua personale resurrezione cinematografica: Frankenstein. Non un semplice adattamento del celebre romanzo di Mary Shelley del 1818, ma una vera e propria lettera d’amore alla figura tragica della creatura, all’ambizione cieca di Victor Frankenstein e a tutto ciò che il mito rappresenta per l’umanità. Dopo anni di speranze infrante, il progetto sta finalmente per vedere la luce grazie alla collaborazione con Netflix.

La produzione di Frankenstein è stata un viaggio epico in sé: le riprese sono iniziate a gennaio 2024 e si sono concluse a ottobre dello stesso anno. Nove mesi intensi, come una lunga gestazione simbolica per un’opera che promette di essere tra le più personali e intense di tutta la carriera di del Toro. E ora, finalmente, abbiamo il nostro primo sguardo ufficiale: una still che mostra Oscar Isaac nei panni del dottor Frankenstein, mentre tiene una fiala misteriosa tra le mani e sfoggia un look che, senza mezzi termini, è assolutamente magnetico.

Oscar Isaac, attore amatissimo per la sua versatilità in opere come Ex Machina e la trilogia sequel di Star Wars, sembra perfetto per incarnare il tormento e l’ambizione di Victor Frankenstein. Nella prima immagine diffusa da Netflix, la sua interpretazione promette già di essere intensa e sfaccettata, fatta di ombre, misteri e disperazione. Non sappiamo ancora chi stia fronteggiando nella scena o cosa contenga esattamente la fiala che tiene tra le mani, ma ciò che è chiaro è che Guillermo del Toro sta puntando tutto su una messa in scena sontuosa, dettagliatissima, e su un’estetica gotica di rara potenza visiva. Perfino il corsetto che stringe il gilet di Victor Frankenstein racconta già qualcosa del personaggio: la sua rigidità emotiva, la sua ossessione per il controllo, la sua disperata sfida contro i limiti imposti dalla natura.

Non sorprende che del Toro abbia scelto di dedicarsi a Frankenstein: la figura della Creatura lo affascina da sempre. Sin da bambino, quando rimase folgorato dalla performance indimenticabile di Boris Karloff nel film del 1931, il regista messicano ha coltivato un’ossessione per quella che vede non come una storia di mostri, ma come una struggente parabola sull’ambizione, la solitudine e il desiderio inappagabile di superare la morte.

Per Guillermo del Toro, Frankenstein è soprattutto una riflessione sulla condizione umana. Non si limiterà quindi a una trasposizione letterale del romanzo di Mary Shelley: la sua versione mira a scavare in profondità nei temi universali dell’opera, esplorando non solo l’orrore della creazione, ma anche la sete di amore e accettazione della Creatura, troppo spesso relegata al ruolo di semplice mostro nelle versioni cinematografiche precedenti.

Il film seguirà fedelmente le tappe fondamentali della storia: Victor Frankenstein, geniale ma arrogante scienziato, sfida le leggi della natura per creare la vita, salvo poi dover affrontare l’orrore delle conseguenze del suo atto. Tuttavia, grazie alla sensibilità narrativa di del Toro, possiamo aspettarci un ritratto più umano e dolente del mostro, capace di suscitare empatia e commozione.

Accanto a Oscar Isaac troviamo Jacob Elordi, che dopo aver conquistato critica e pubblico in Euphoria, interpreterà la Creatura. Elordi avrà il compito di dare corpo e anima a un mostro che, nelle anticipazioni, viene descritto come fortemente ispirato alle illustrazioni di Bernie Wrightson per la Marvel Comics del 1983: capelli neri, sottili e disordinati, fisico emaciato e occhi carichi di struggente malinconia. Accanto a loro, un cast di straordinario talento: Mia Goth, regina del nuovo cinema horror, avrà un ruolo centrale nella storia, mentre nomi come Lars Mikkelsen, David Bradley, Felix Kammerer, Charles Dance e Christoph Waltz contribuiranno a rendere ancora più ricca e sfaccettata questa epica tragica.Come sempre, del Toro non lascia nulla al caso. La fotografia sarà affidata a Dan Laustsen, già suo collaboratore in opere come La forma dell’acqua e Crimson Peak, assicurando un’atmosfera visiva gotica, inquietante e, al tempo stesso, straordinariamente raffinata. Gli effetti speciali e la scenografia, marchi di fabbrica del regista, avranno il compito di trasportarci in un mondo che sarà al contempo familiare e alieno, crudele e commovente.

Una lunga attesa che promette di essere ampiamente ripagata

Non è stato facile arrivare fin qui. Guillermo del Toro ha inseguito per anni il sogno di realizzare il suo Frankenstein, attraversando fallimenti produttivi, cambi di studio e rinvii su rinvii. Già nel 2007 aveva dichiarato il suo desiderio di girare un adattamento fedele al romanzo di Mary Shelley, ma il progetto è rimasto a lungo in stand-by. Solo grazie all’intervento di Netflix, sempre più decisa a investire in grandi produzioni cinematografiche d’autore, il film ha potuto prendere forma. E ora, finalmente, possiamo iniziare a contare i giorni.Frankenstein farà la sua anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia e arriverà ufficialmente su Netflix nel novembre 2025. Una lunga attesa, certo, ma considerando la cura maniacale che del Toro sta dedicando al progetto, sarà senza dubbio ripagata.

Un nuovo mito per una nuova generazione di spettatori

In definitiva, Frankenstein di Guillermo del Toro non sarà soltanto un film horror. Sarà un’esperienza cinematografica intensa, visivamente sbalorditiva ed emotivamente devastante. Un’opera che si interroga sulle radici della nostra umanità, sulla nostra paura della morte e sul nostro disperato desiderio di sfidare l’inevitabile. Un film destinato a lasciare il segno, tanto negli annali della cultura pop quanto nei cuori degli spettatori.

Preparatevi a vedere Frankenstein come non lo avete mai visto prima: attraverso gli occhi di Guillermo del Toro, il maestro che da sempre sa trovare poesia nell’orrore e bellezza nell’incubo.