C’è un luogo, nel cuore del sud-ovest della penisola iberica, che continua a vibrare nei racconti dei poeti, nelle cronache degli antichi, nei sussurri dei venti andalusi e perfino nei sogni degli archeologi più audaci. Un luogo che ha attraversato millenni avvolto da un’aura di fascino irresistibile: Tartesso. Una parola che suona come un incantesimo antico, un’eco dimenticata di un regno perduto che ha saputo mescolare leggende, miti, storia e misteri in un mosaico affascinante e ancora incompleto. Ma Tartesso è esistita davvero? E se sì, che cos’era: una città, un impero, un popolo, o forse un mito divenuto leggenda?
Secondo le fonti antiche, Tartesso fu una civiltà fiorente nel sud-ovest della penisola iberica tra il XII e il VI secolo a.C., in un’epoca in cui i Greci solcavano il Mediterraneo e i Fenici costruivano rotte commerciali che avrebbero cambiato per sempre la storia del mondo. Di Tartesso si raccontava che fosse un regno ricco oltre ogni immaginazione, colmo d’oro, d’argento e di stagno, che commerciava con popoli lontani e che possedeva una cultura avanzata, forse la prima civiltà storicamente documentabile della Spagna preromana. Eppure, nonostante il suo presunto splendore, Tartesso scomparve nel nulla, come inghiottita dal tempo o, secondo alcuni, dal mare. Molti la identificarono con Tarsis, la leggendaria terra citata nella Bibbia, che commerciava metalli con Tiro. Altri ancora la associarono a miti greci come il Giardino delle Esperidi, le Isole dei Beati o addirittura Atlantide. Una cosa è certa: Tartesso, o qualunque fosse la sua vera forma, ha lasciato un’impronta indelebile nella memoria culturale dell’umanità.
Il risveglio della pietra: una lastra che potrebbe riscrivere la storia
Nel 2023, nel sito archeologico di Casas del Turuñuelo, in Estremadura, una scoperta ha riacceso l’interesse mondiale: una lastra di pietra lunga appena 20 centimetri, incisa con simboli di un alfabeto sconosciuto, è stata portata alla luce. Si tratta del terzo esempio conosciuto di “alfabeto paleo-ispanico meridionale”, un sistema di scrittura arcaico che potrebbe finalmente aprire uno spiraglio nella lingua dimenticata dei Tartessi.
Joan Ferrer i Jané, dell’Università di Barcellona, ha identificato chiaramente i segni come tartessici. Le 21 lettere superstiti, disposte in sequenza, potrebbero essere il primo vero tentativo di decifrare il codice linguistico di una civiltà che per ora ci parla solo attraverso le cronache altrui. Ferrer ipotizza che in origine la lastra contenesse fino a 32 simboli, alcuni persi a causa della rottura della pietra. Ma è un inizio. Un frammento che, come una chiave nascosta nel fango, potrebbe aprire le porte di un mondo perduto.
I miti si intrecciano con la storia
A dare carne e anima alla leggenda tartessica ci sono racconti mitologici tramandati per secoli. Il re Gerione, tricefalo e invincibile, proprietario di una mandria di buoi così ben nutriti che rischiavano di affogare nel proprio sangue, fu sconfitto da Ercole nell’ambito delle sue dodici fatiche. La battaglia ebbe luogo proprio nel cuore di Tartesso, in un paesaggio che molti associano alle terre presso l’attuale Cadice. Il mito si fonde con la geografia: Gerione potrebbe simboleggiare le tre foci del Guadalquivir, il fiume identificato dagli antichi con Tartessos.
C’è poi la figura del mitico re Argantonio, che secondo Erodoto visse centoventi anni e regnò per ottanta. Un sovrano pacifico e saggio che accolse i Focei in fuga dai Persiani, offrendo loro rifugio e denaro per costruire mura di difesa nella loro patria. Troppo saggio, troppo perfetto per essere vero? Forse, ma queste storie sono tutto ciò che ci resta della sua leggenda.
Tartesso è Atlantide?
La domanda aleggia da sempre: e se Tartesso fosse davvero Atlantide, il continente sommerso descritto da Platone nei dialoghi di Timeo e Crizia? Geograficamente, l’ipotesi è plausibile. Atlantide si trovava oltre le Colonne d’Ercole, oggi identificate con lo Stretto di Gibilterra. Tartesso, secondo le fonti antiche, si trovava nel delta del Guadalquivir, appena oltre quello stesso confine simbolico del mondo antico. Platone descrive Atlantide come una potenza navale avanzata, ricca di metalli, con una capitale divisa in cerchi concentrici. Molti ricercatori hanno visto in queste parole un’eco delle città tartessiche e delle loro strutture idrauliche complesse.
La genealogia mitologica si complica ancora di più quando scopriamo che il mitico re Gerione, oltre a essere legato a Tartesso, è inserito nella stessa stirpe divina da cui discenderebbe Atlante, il re di Atlantide. Coincidenza narrativa o testimonianza di una memoria culturale condivisa? Il fascino di Tartesso sta anche in questo: è un crocevia tra mitologia e archeologia, tra fede e scienza, tra desiderio e scoperta.
I Fenici e la fine del sogno
Nella storia di Tartesso, i Fenici sono una presenza ambivalente. Da un lato furono maestri di commercio e tecnologia, che portarono innovazione e nuove vie di scambio; dall’altro, sono visti come gli artefici della caduta della civiltà tartessica. Fondarono Gadir, oggi Cadice, intorno al 1100 a.C., e nel tempo assorbirono il controllo delle rotte commerciali e delle miniere della regione.
La presenza fenicia è testimoniata dai numerosi reperti ritrovati nei tesori tartessici: gioielli, oggetti religiosi e manufatti in metallo, alcuni dei quali recano il simbolo della dea madre Tanit. La cultura tartessica, inizialmente autonoma, venne progressivamente inglobata da quella fenicia, fino a scomparire attorno al 500 a.C., forse schiacciata dalla crescente potenza di Cartagine o dagli eventi naturali.
Archeologia e mito: un binomio ancora vivo
Gli scavi archeologici nel sud della Spagna, da El Carambolo a Cancho Roano, fino all’attuale Casas del Turuñuelo, stanno riportando in vita il mondo tartessico. Oggetti d’arte raffinati, costruzioni complesse e sistemi urbanistici avanzati raccontano la storia di un popolo colto, spirituale e organizzato. Gli studi dell’archeologo tedesco Adolf Schulten, seppur oggi riconsiderati con maggiore spirito critico, hanno avuto il merito di accendere i riflettori su questo mistero iberico.
La teoria più affascinante è forse quella che collega Tartesso ai Liguri e ai Popoli del Mare: un’antica stirpe migrante, padrona dei metalli e delle rotte navali, che avrebbe costruito una rete commerciale complessa e ben nascosta, protetta da racconti mitologici terrificanti per scoraggiare l’intrusione.
Un’eredità viva, un sogno senza fine
Tartesso non è solo un nome antico su vecchie mappe o una citazione scolorita nei testi di Erodoto. È un sogno che continua a pulsare nelle vene della cultura iberica e nell’immaginario collettivo dell’Occidente. È una Atlantide di terraferma, un Eden industriale nascosto tra le pieghe della storia. La lastra con l’alfabeto ritrovato, i miti di Ercole, i re leggendari come Argantonio e Habis, la connessione con il mondo ligure e la preistoria mediterranea: ogni elemento ci dice che Tartesso, reale o immaginaria che fosse, ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra identità culturale.
Oggi, mentre gli archeologi scavano centimetro dopo centimetro sotto il sole cocente dell’Andalusia, e gli studiosi sfogliano con attenzione tomi antichi alla ricerca di un segno, una parola, una traccia, Tartesso continua a vivere. Vive nei racconti, nelle mappe, nelle pietre incise e nei sogni di chi ancora crede che la verità possa nascondersi sotto la polvere del tempo.
E voi, amici lettori di CorriereNerd.it, cosa ne pensate? Tartesso era davvero la prima Atlantide? Un impero dimenticato o solo una favola antica? Condividete con noi le vostre teorie, sogni e suggestioni nei commenti o sui vostri social. Chissà, magari insieme riusciremo a risolvere questo mistero lungo tremila anni.