C’è una regola non scritta che ogni appassionato di thriller psicologici conosce bene: più un ambiente appare immacolato, elegante, rassicurante, più è probabile che al suo interno si nasconda qualcosa di marcio. Paul Feig, regista dallo stile cangiante come un cubo di Rubik impazzito, afferra questa verità narrativa e la trasforma nell’ossatura del suo nuovo film, Una di famiglia – The Housemaid, adattamento dell’omonimo bestseller globale firmato da Freida McFadden. Per Feig, che ha già dimostrato di sapersi muovere tra commedia, azione e fantasy gotico, questo ritorno al thriller domestico rappresenta un salto dimensionale verso un’oscurità affilata, fatta di silenzi taglienti e verità taciute.
A interpretare il ruolo centrale di questo gioco di specchi troviamo Sydney Sweeney, ormai diventata una delle muse assolute dell’Hollywood contemporanea: vulnerabile e feroce, luminosa e inquieta, capace di incarnare Millie Calloway come se fosse un glitch umano in un sistema troppo perfetto. Al suo fianco, come un’eco distorta in uno specchio rotto, c’è Amanda Seyfried, magnetica e perturbante nei panni della signora Nina Winchester, una donna che sembra uscita da una rivista di lifestyle patinato, ma che nasconde un sovraccarico emotivo pronto a esplodere.
Il film, distribuito da 01 Distribution in Italia, arriverà nelle sale l’8 gennaio 2026, fresco dell’uscita americana prevista per il 19 dicembre 2025. È il tipo di storia calibrata per insinuarsi nelle festività come una decorazione natalizia difettosa che continua a lampeggiare anche quando non dovrebbe: accattivante, elegante, ma soprattutto disturbante.
Quando il sogno diventa incubo: la nuova vita di Millie Calloway
Il trailer, accompagnato dalle note ingannevolmente leggere di “Please Please Please” di Sabrina Carpenter, si apre come una di quelle pubblicità di case perfette che scorrono sui social. Millie cerca un nuovo inizio, un reset sentimentale, emotivo e professionale. La casa dei Winchester sembra offrirglielo su un piatto d’argento. Una famiglia ricca, un lavoro sicuro, un ambiente di prestigio. Una promessa di stabilità.
Eppure l’aria già vibra di inquietudine, come se le pareti stesse fossero consapevoli di qualcosa che lo spettatore ancora ignora. La villa è splendida, ma la fotografia la dipinge con colori freddi che ricordano più un acquario che un luogo abitato. Ciò che appare perfetto è, ancora una volta, solo facciata.
Nina Winchester entra in scena con quella dualità emotiva che solo certe interpretazioni memorabili sanno offrire. Un secondo prima urla, il successivo scoppia a piangere, poi si ricompone in un sorriso sereno. Feig costruisce su di lei una tensione crescente che richiama i maestri del genere: il controllo psicologico di Polanski, la minaccia domestica di Hitchcock, la paranoia scintillante di Fincher.
E Millie, come ogni protagonista di un thriller psicologico moderno, non è affatto una figura passiva. La vediamo reagire, scrutare, cercare di capire se la realtà che la circonda sia autentica o un elaborato inganno architettato per intrappolarla.
Dietro le quinte della famiglia Winchester
Una di famiglia non vive solo del duello tra Sweeney e Seyfried, per quanto magnetico esso sia. L’universo Winchester è un microcosmo inquietante in cui ogni figura sembra nascondere un retroscena scomodo. Brandon Sklenar veste i panni del marito Andrew con una calma che inquieta più degli scoppi d’ira della moglie, Michele Morrone interpreta un giardiniere dalla sensualità opaca e pericolosa, mentre Elizabeth Perkins dona alla matriarca Evelyn un’aura da guardiana di segreti indicibili.
La casa non è semplicemente un set: è un personaggio, un labirinto di corridoi che inghiotte le certezze e sputa fuori dubbi corrosivi. Porte che si chiudono dall’esterno, cure mediche sospette, accuse sussurrate riguardo a un misterioso “incidente” occorso alla figlia. Tutto questo alimenta la sensazione che Millie sia finita in un videogioco psicologico dove ogni scelta può scatenare un finale diverso, tutti terrificanti.
Feig non si limita a raccontare la tensione: la coreografa. La macchina da presa scivola tra gli ambienti come un fantasma, i suoni diventano indizi, le pause si trasformano in improvvisi salti nel buio. Merito anche della colonna sonora di Theodore Shapiro, che ricama sulle scene un tessuto musicale teso come una corda di violino.
Un thriller che punta a diventare saga
Il materiale di partenza non è un semplice romanzo autoconclusivo. La saga di Freida McFadden conta più capitoli e Lionsgate sembra avere un piano molto più ambizioso di una singola pellicola. Tra case di produzione, team creativo e cast, l’idea di costruire un nuovo franchise denso di manipolazioni, segreti e rivelazioni è già nell’aria da mesi.
Se il primo film dovesse replicare l’impatto del libro, potremmo trovarci di fronte a una nuova serie di thriller psicologici capaci di occupare lo spazio che, negli anni, è stato di titoli come Gone Girl o The Hand That Rocks the Cradle.
La tagline che accompagna il marketing — “un sexy, seducente gioco di segreti e potere” — è costruita per accendere l’interesse e alimentare il fandom prima ancora dell’uscita nelle sale. E finora la strategia sembra funzionare: il pubblico già discute sui social dell’alchimia tra Sweeney e Seyfried, della fotografia, delle possibili deviazioni dal romanzo. La macchina dell’hype si è messa in moto.
Potere, controllo e una guerra silenziosa tra donne
Al cuore del film, però, non c’è solo il mistero. C’è la relazione – disturbante, imprevedibile, quasi morbosa – tra Millie e Nina. Una guerra psichica combattuta a colpi di parole, sguardi e improvvisi scarti emotivi. Feig sembra affascinato dal modo in cui due donne, entrambe fragili e forti a loro modo, possano annientarsi psicologicamente senza mai sfiorarsi.
Ogni frase di Nina sembra avere una doppia verità. Ogni scelta di Millie sembra portarla più vicina a un punto di non ritorno. È un gioco al massacro raffinatissimo, costruito non sull’orrore visivo, ma sulla tensione emotiva. Quella che ti si attacca alla pelle e non va più via.
Non stupisce quindi che il trailer si chiuda con una Sydney Sweeney insanguinata che urla una frase destinata a diventare meme istantaneo: “Ho bisogno di un f-king sandwich.”
È la dichiarazione di ribellione di una donna che ha smesso di subire e ha iniziato a combattere. Ma il film suggerisce che, forse, nella guerra interna alla casa Winchester non esistono veri vincitori.
Una storia che ci osserva dagli angoli bui della perfezione
Una di famiglia – The Housemaid sembra destinato a essere uno di quei thriller che non finiscono con i titoli di coda, ma rimangono appiccicati addosso allo spettatore come una macchia invisibile. Un film che gioca con le nostre paure più intime, ricordandoci che le case perfette sono spesso gusci fragili pronti a spezzarsi, e che dietro ogni sorriso può nascondersi un abisso.
Quando lo vedremo nelle sale italiane a gennaio 2026, non sarà soltanto una proiezione: sarà un’esperienza. Una di quelle che ti fanno dubitare di ciò che pensi di sapere sulle persone che ti circondano.
E allora, lettori di CorriereNerd.it, siete pronti a entrare nella casa dei Winchester?
O preferite restare fuori, al freddo, dove tutto è meno pericolosamente perfetto?
