Parlare di J.R.R. Tolkien oggi è un po’ come raccontare un mito contemporaneo. Un nome che risuona come un’eco profonda tra le montagne nebbiose della letteratura fantastica, un faro per intere generazioni di lettori, studiosi e creatori di mondi immaginari. Eppure, nel saggio Tolkien. Mito, epica, tradizione, pubblicato da Il Cerchio nella collana “Fantasia”, Nicolò Dal Grande ci invita a posare lo sguardo non tanto sull’epicità delle battaglie del Signore degli Anelli, né sull’oscuro fascino del Silmarillion, quanto sull’uomo dietro l’opera. Un uomo “semplice”, come scrive lo stesso autore nell’introduzione, legato alle piccole cose, ai gesti quotidiani, alle consuetudini tramandate. Eppure, un uomo capace di evocare mondi immensi.
Questo saggio – agile nella forma ma ricco di riflessioni e rimandi profondi – si presenta come un omaggio. Ma non è un’agiografia né un’enciclopedia scolastica: è un sentiero letterario percorso da chi, come Dal Grande, ha deciso di affrontare Tolkien non solo come autore, ma come testimone di una visione del mondo. Una visione che affonda le sue radici nel mito, fiorisce nell’epica e si ramifica nella tradizione. E proprio questi tre pilastri – mito, epica e tradizione – sono il cuore pulsante dell’intero saggio.
Il libro si apre come una conversazione con il lettore, come se Dal Grande ci stesse parlando in un pomeriggio d’autunno, magari davanti a una tazza di tè fumante (magari uno dei tanti del Professor Tolkien). L’immagine che guida la narrazione è quella dell’albero dorato, un simbolo amatissimo da Tolkien stesso, che richiama l’albero di Valinor, Telperion e Laurelin, emblemi della bellezza primigenia e del tempo che scorre. E proprio come un albero che cresce lentamente, le opere tolkieniane – dai racconti giovanili fino ai capolavori maturi – sono il risultato di una lenta sedimentazione, di un intreccio tra vita vissuta e immaginazione, tra studio accademico e visione spirituale.
Nicolò Dal Grande, con la sua solida formazione storica (laureato in Storia Moderna e Contemporanea, con un diploma in Dialogo Interreligioso e Relazioni Internazionali), non si limita a una lettura estetica o filologica delle opere di Tolkien. Le affronta piuttosto con lo sguardo di chi sa che dietro ogni narrazione mitica si nasconde una necessità umana di senso. Tolkien non scriveva solo per intrattenere, ma per tramandare, per custodire una memoria collettiva fatta di archetipi, simboli e racconti che parlano all’anima.
Il “mito”, per Tolkien, non è finzione, ma verità più profonda della realtà stessa. È una forma di conoscenza arcaica che affonda nei racconti antichi, nei canti epici del Nord, nei cicli arturiani, nelle leggende cristiane. E Dal Grande ci guida in questo labirinto di rimandi e influenze, mostrando come Tolkien non abbia inventato ex novo un universo, ma l’abbia pazientemente ricostruito come un archeologo della narrazione, riportando alla luce ciò che era stato dimenticato.
L’“epica”, poi, non è solo la forma del racconto, ma l’anima di una civiltà. I racconti di Tolkien, con i loro eroi imperfetti, le battaglie combattute non per gloria ma per dovere, rispecchiano un’etica cavalleresca che pare oggi lontana ma che ancora riesce a commuovere. C’è qualcosa di antico, eppure eternamente attuale, in Frodo che cammina verso il Monte Fato, in Aragorn che accetta il proprio destino, in Sam che non abbandona l’amico. Dal Grande sottolinea come questa epica, benché intessuta di magia e meraviglia, sia profondamente umana: fatta di sacrificio, di amicizia, di fede nel bene.
Infine, la “tradizione”. Non quella intesa come rigido conservatorismo, ma come trasmissione viva, dialogo tra generazioni. Tolkien era un filologo, un amante delle lingue morte e dei testi medievali, ma soprattutto era convinto che le storie potessero ancora insegnare. Il suo universo letterario non è un mondo chiuso, ma un ponte tra passato e presente. E in un’epoca che sembra aver perso le proprie radici, la lezione di Tolkien – ci dice Dal Grande – è quanto mai urgente: riscoprire il valore della memoria, della parola, della narrazione come strumenti per comprendere il mondo.
Il libro Tolkien. Mito, epica, tradizione è dunque un piccolo tesoro per chi ama la Terra di Mezzo, certo, ma anche per chi vuole approfondire le ragioni profonde del successo – e della necessità – della letteratura fantastica. È un invito a rallentare, a osservare la crescita silenziosa di un albero dorato, a tornare a credere nella forza dei racconti che ci formano.
E per noi appassionati di fantasy, di mondi alternativi, di leggende perdute e di battaglie epiche, questo saggio è come un canto elfico al tramonto: un momento di riflessione che ci ricorda perché, in fondo, non abbiamo mai smesso di amare Tolkien.
Se anche tu senti ancora la nostalgia di Lórien, se ti emozioni leggendo i versi di Beren e Lúthien, o se semplicemente vuoi capire perché Tolkien non è solo uno scrittore ma un vero e proprio custode di senso, allora questo libro è un passaggio obbligato.
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Incastonato tra le fronde di Villa Ada a Roma, sorge un luogo che sembra uscito direttamente dalle pagine di un romanzo fantasy: il Forte Antenne. È qui, tra mura cariche di storia e atmosfere sospese nel tempo, che il 25 maggio 2025 prenderà vita un evento imperdibile per chi ama immergersi nelle profondità della narrazione epica e simbolica di uno dei più grandi autori del Novecento: J.R.R. Tolkien. L’appuntamento, parte della “Festa della Lettura” patrocinata da importanti enti culturali come il Comune di Roma, il Museo Nazionale Etrusco, Sapienza Università di Roma e le Biblioteche di Roma, si intitola “Tolkien e il Potere”, e promette un’esperienza non solo culturale, ma emotiva, quasi spirituale. A guidare il pubblico in questa esplorazione sarà Sergio Maria Ortolani, profondo conoscitore dell’opera tolkieniana, che accompagnerà il racconto con una suggestiva video illustrazione commentata dal vivo.
Ma perché parlare ancora di Tolkien? Perché, in un’epoca dominata dalla tecnologia e dai social media, le sue parole continuano a vibrare nelle coscienze di milioni di lettori in tutto il mondo?
La risposta, forse, risiede proprio nel tema centrale dell’evento: il potere. Tolkien non ha solo inventato mondi. Ha riflettuto, con una profondità quasi profetica, sul significato del potere, sul suo fascino oscuro, sulle sue seduzioni e sulle sue conseguenze distruttive. Da Morgoth a Sauron, il male nei suoi scritti non è mai banale, ma radicato nella volontà di dominio, nella perdita di sé nel desiderio di controllo assoluto. Eppure, accanto a questi oscuri signori, brillano le figure di coloro che scelgono la via dell’umiltà, del sacrificio, della resistenza morale. Frodo, Sam, Gandalf, ma anche personaggi ambigui come Boromir e Gollum, ci raccontano di un’umanità complessa, combattuta, straordinariamente vera.
In questo senso, Tolkien è più attuale che mai. In un mondo in cui il potere si maschera spesso da progresso, in cui le guerre si combattono anche con algoritmi e influencer, la sua visione si erge come una critica lucida e potente. Non è un caso che, dopo la Bibbia e il Libretto Rosso di Mao, le opere più lette degli ultimi 50 anni siano proprio Il Signore degli Anelli e Harry Potter – e non è un caso che la saga di Hogwarts sia, a detta di molti, una diretta discendente dell’universo tolkieniano, per temi, struttura narrativa e simbologia.
Ma Tolkien, come sottolinea Ortolani, è stato anche altro: un pacifista convinto, che ha vissuto l’orrore delle trincee della Prima Guerra Mondiale e ne ha fatto linfa per raccontare la distruzione del Bene attraverso l’industrializzazione e la brutalità. È stato un ambientalista ante litteram, capace di cantare l’amore per la natura con una forza lirica che oggi commuove chiunque abbia a cuore la sorte del nostro pianeta. Ed è stato anche un anticonformista incompreso, spesso frainteso o, peggio ancora, messo da parte da certa intellighenzia per il suo stile, per il suo mondo apparentemente “fuori moda”, ma in realtà più vivo e necessario che mai.
Il 25 maggio, dunque, non sarà soltanto un’occasione per riscoprire un autore, ma per riflettere sul nostro tempo, sulle nostre scelte, sulla nostra idea di potere e responsabilità. Dalle 18:00 in poi, le porte del Forte Antenne si apriranno gratuitamente per accogliere chiunque voglia lasciarsi trasportare in questa esplorazione del mito e della verità nascosta tra le righe.
L’ingresso è libero, ma è necessaria la prenotazione al link ufficiale dell’evento. E per chi ama partecipare in stile… “venite come siete”: non c’è un dress code, ma chi si sentisse ispirato a omaggiare la Terra di Mezzo con un tocco da elfo, hobbit o stregone… beh, sarà certamente in buona compagnia.
Allora, siete pronti a varcare i cancelli del Forte come se steste entrando a Minas Tirith o nei saloni di Rivendell?
Non lasciatevi sfuggire questa serata straordinaria: “Tolkien e il Potere” vi aspetta. E se l’esperienza vi colpirà – com’è probabile – non dimenticate di commentare qui sotto, raccontandoci la vostra visione del potere nella narrativa fantasy, o magari il vostro personaggio preferito dell’universo tolkieniano.
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Chiunque abbia mai sfogliato le pagine del Silmarillion o marciato con cuore gonfio di speranza lungo i sentieri ombrosi di Mordor, conosce J.R.R. Tolkien come il padre indiscusso dell’high fantasy moderno. Per noi che abbiamo imparato a pronunciare Mellon davanti a porte invisibili, il Professore è una figura mitica, uno scultore di mondi e lingue, uno storico di popoli mai esistiti eppure più vivi di molti reali. Ma cosa accade quando il creatore della Terra di Mezzo ci sorprende, ancora una volta, con un’opera che si discosta, apparentemente, da tutto ciò che conosciamo di lui?
Nell’autunno del 2025, ci attende un evento editoriale che scuoterà la comunità tolkieniana come l’arrivo di un Grigio Pellegrino al crepuscolo: I Frammenti di Bovadium. Un testo inedito, un racconto satirico partorito alla fine degli anni Cinquanta e custodito come un Silmaril nelle sale della Bodleian Library. Un racconto che non parla di elfi o draghi, ma di traffico, caos urbano e demoni… su quattro ruote.
Sì, avete capito bene. In questo breve romanzo — il cui titolo originale, The End of Bovadium, risuona come un oscuro presagio — Tolkien ci trasporta in una versione grottesca e parodica della sua amata Oxford, rinominata per l’occasione “Bovadium”. E lì, tra le sue strade soffocate da veicoli demoniaci detti Motores, prende forma un incubo moderno, figlio non di Sauron ma della modernizzazione incontrollata. Al centro del disastro, il “Demone di Vaccipratum”, allegoria affilata del magnate Lord Nuffield e della sua fabbrica di motori a Cowley, incarnazione industriale di un progresso cieco.
Il Professore, che per decenni ci ha abituati a epiche lotte tra luce e tenebra, ora ci offre una nuova prospettiva: quella di un uomo stanco della realtà, che osserva il suo mondo con sarcasmo e inquietudine. Il risultato è una satira spietata, un grido mascherato da gioco linguistico, in cui ogni ingorgo stradale è una piccola apocalisse e ogni parcheggio introvabile un oscuro sortilegio.
A rendere Bovadium ancora più affascinante è il suo stile: una mescolanza quasi alchemica di latino, nonsense e personaggi assurdi, come il Dottor Gums, Rotzopny e il misterioso Śarevelk. È un testo che respira umorismo colto, sfidando il lettore con enigmi linguistici e invenzioni narrative. Non stupisce che Tolkien stesso, con la consueta umiltà e autoironia, abbia dichiarato nel 1968 che non avrebbe mai pubblicato l’opera, ritenendola “di intralcio” rispetto ai suoi lavori principali. Eppure, la proposta c’era stata: nel 1960 alla rivista Time and Tide, e sei anni dopo a Rayner Unwin, il leggendario editore che portò alla luce Lo Hobbit.
E così, Bovadium è rimasto nascosto. Dormiva, come Smaug sotto Erebor, nella cartella A62 dei manoscritti Tolkien conservati a Oxford. Ma gli studiosi sapevano. Humphrey Carpenter lo citava nella biografia ufficiale, accostandolo al surreale Mr Bliss. Un’opera minore, forse, ma non meno rilevante. Anzi: oggi più che mai, mentre viviamo in città invase da motori ruggenti e cieli anneriti da smog, il Professore ci parla con voce profetica e amara.
L’edizione che verrà alla luce nell’ottobre 2025 è curata da Christopher Tolkien — che, come uno scriba di Gondolin, ha dedicato la vita a ricostruire l’opera paterna — e sarà accompagnata da un saggio critico firmato da Richard Ovenden OBE, bibliotecario della Bodleian Library e raffinato studioso tolkieniano. Le illustrazioni? Firmate dallo stesso Tolkien, inedite come antichi disegni elfi, mentre la copertina sarà opera di Emily Langford, ispirata a un’immagine originale dell’autore.
Nessuna edizione deluxe, per ora — e questa mancanza potrebbe divenire la reliquia più desiderata da noi collezionisti nerd — ma l’opera sarà disponibile in formato ebook, rendendo Bovadium accessibile anche a chi, come me, si trova più spesso in viaggio che tra scaffali polverosi.
E allora, cosa ci insegna questo Tolkien inedito e disilluso? Che il fantasy non è fuga, ma riflesso. Che dietro ogni drago si nasconde un dubbio contemporaneo. E che persino colui che ci ha insegnato a credere nei Valar e nei palantíri, era capace di guardare fuori dalla finestra e vedere, semplicemente, il mondo che cambiava — e di riderne.
Io non vedo l’ora di leggere I Frammenti di Bovadium. Non per cercarvi elfi o spade incantate, ma per ascoltare la voce di un uomo che, tra i clangori del traffico e le assurdità della vita moderna, non ha mai smesso di essere un narratore. E voi? Avete mai pensato a Tolkien come a un satirico, un ironista, un critico sociale?
Parliamone. Commentate qui sotto, raccontatemi cosa pensate di questo nuovo volto del Professore. E se l’articolo vi ha colpiti, condividetelo sui vostri social, nei gruppi di lettura, tra i corridoi digitali della Terra di Mezzo. Perché, ricordate: ogni buon viandante condivide le sue storie. Anche se parlano di parcheggi.
Ogni anno, il 25 marzo, il mondo celebra il Tolkien Reading Day, una giornata dedicata alla lettura e alla riscoperta delle opere del leggendario autore britannico J.R.R. Tolkien. La scelta della data non è casuale: essa coincide con la caduta di Sauron nella Guerra dell’Anello e con il passaggio dalla Terza alla Quarta Era della Terra di Mezzo. Questa celebrazione, istituita nel 2003 dalla Tolkien Society, è un omaggio a uno degli scrittori più influenti del ventesimo secolo, il cui immaginario epico ha permeato la cultura popolare e continua a ispirare lettori di ogni età.
John Ronald Reuel Tolkien, nato il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, nello Stato Libero dell’Orange, è oggi considerato il padre della letteratura fantasy moderna. Il suo impatto sulla narrativa e sul mondo dell’intrattenimento è incalcolabile, con un’eredità che si estende dalle pagine dei suoi romanzi fino alle trasposizioni cinematografiche di Peter Jackson, le quali hanno introdotto le sue storie a un pubblico ancora più vasto e variegato.
Prima di diventare un rinomato professore di Oxford, Tolkien fu un giovane filologo e linguista appassionato, che trovò nella mitologia e nelle lingue antiche una fonte inesauribile di ispirazione. La sua esperienza nella Prima Guerra Mondiale, dove combatté nelle trincee della Somme, lasciò in lui un segno indelebile, portandolo a riflettere sulla brutalità dei conflitti e sull’importanza di valori come l’amicizia, il sacrificio e la speranza. Questi temi diventeranno centrali nella sua produzione letteraria, influenzando in particolare la Saga dell’Anello.
Il viaggio letterario di Tolkien iniziò ufficialmente nel 1936 con la pubblicazione de Lo Hobbit, un’opera che, sebbene concepita inizialmente come un racconto per bambini, gettò le fondamenta di un universo narrativo straordinariamente complesso e stratificato. L’accoglienza entusiasta del libro spinse l’autore a espandere la sua visione, dando vita a quello che sarebbe diventato il suo capolavoro assoluto: Il Signore degli Anelli. Scritto tra il 1937 e il 1949 e pubblicato in tre volumi tra il 1954 e il 1955, il romanzo rappresenta un monumento letterario senza tempo, un’epopea che fonde mitologia, linguistica e filosofia in un intreccio narrativo epico e avvincente.
L’impatto culturale di Il Signore degli Anelli è testimoniato dai numerosi riconoscimenti ricevuti: dall’International Fantasy Award al Prometheus Hall of Fame Award, fino a essere votato dai lettori di Amazon come “Libro del Millennio” nel 1999 e proclamato “Romanzo più amato della Gran Bretagna” dalla BBC nel 2003. La trilogia cinematografica diretta da Peter Jackson ha ulteriormente amplificato il suo successo, portando sul grande schermo un cast straordinario – con attori come Elijah Wood, Ian McKellen, Viggo Mortensen e Orlando Bloom – e conquistando ben 17 Premi Oscar, inclusa la statuetta per il miglior film.
Ma l’universo narrativo di Tolkien non si esaurisce con la Saga dell’Anello. Opere come Il Silmarillion, I Figli di Húrin, Racconti Incompiuti e Beren e Lúthien approfondiscono la mitologia della Terra di Mezzo, aggiungendo ulteriore spessore alla sua immensa creazione letteraria. Accanto ai romanzi, Tolkien ha lasciato anche importanti saggi, come Albero e Foglia e On Fairy-Stories, che esplorano il ruolo della fiaba e del mito nella cultura umana.
La sua influenza ha travalicato i confini della letteratura, arrivando a contaminare il cinema, la musica e persino la filosofia. I Beatles, grandi ammiratori delle sue opere, proposero a Stanley Kubrick una trasposizione cinematografica de Il Signore degli Anelli in cui avrebbero dovuto interpretare i protagonisti principali, un progetto che, sebbene mai realizzato, testimonia il fascino esercitato dal mondo tolkieniano anche su artisti di altri ambiti.
Dopo la sua morte, avvenuta il 2 settembre 1973, il figlio Christopher Tolkien ha dedicato la sua vita a preservare e divulgare l’eredità del padre, curando e pubblicando numerose opere inedite che hanno ulteriormente arricchito il vasto affresco della Terra di Mezzo.
Il Signore degli Anelli e l’intera produzione tolkieniana continuano a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per la letteratura fantasy e per l’immaginario collettivo. Le sue storie non sono semplici racconti di eroi e battaglie, ma riflessioni profonde sulla natura dell’umanità, sulla lotta tra bene e male e sul valore della speranza in un mondo segnato dalle tenebre. Leggere Tolkien significa intraprendere un viaggio senza tempo, un’avventura che, come la Compagnia dell’Anello, ci porta a scoprire non solo terre lontane e meravigliose, ma anche qualcosa di più profondo su noi stessi.
Nella grande sinfonia della creazione, dove il destino degli uomini e degli elfi si intreccia alle ombre di antichi terrori e alla luce di eroi immortali, vi sono nomi e figure che, pur essendo ormai sepolti sotto il velo del tempo, risuonano ancora nei canti degli aedi più eruditi. E tra queste leggende dimenticate, nella Festa Nazionale del Gatto, ci rivolgiamo a una creatura singolare, forgiata nelle primissime trame della mitologia di Arda: Tevildo, il Principe dei Gatti, oscuro signore di una progenie feroce e astuta, il cui nome echeggiava nei primordi della Prima Era come uno degli araldi del male.
Nei giorni antichi, quando il mondo era ancora giovane e il potere di Morgoth si estendeva come un’ombra strisciante da Angband sino ai confini estremi della terra, vi erano molte creature sotto il suo dominio. E tra esse, prima che il crudele Sauron emergesse a compiere le sue tetre macchinazioni, vi fu un altro signore, il cui regno era fatto di silenzio e oscurità, di artigli che squarciavano la notte e di occhi fiammeggianti nella tenebra. Costui era Tevildo, il primo e più potente dei gatti, colui che regnava su un’orda di fiere dalle zampe furtive e dai denti aguzzi come pugnali.
Il suo nome, Tevildo, giunge dalle antiche lingue elfiche, laddove il Quenya gli attribuisce il titolo di “Principe dei Gatti” e nelle lingue più arcaiche, come il Gnomico, veniva evocato con appellativi quali Bridhon Miaugion, Tifil Miaugion e Vardo Meoita, tutti riecheggianti la sua sovranità sul popolo felino. Ma chi era realmente questa enigmatica creatura, il cui ricordo svanì nelle nebbie del tempo, soppiantato da malvagità ancor più terribili?
Si narra che Tevildo fosse un essere di potere e malignità singolari. Il suo corpo era avvolto da una pelliccia nera come la notte senza stelle, così fitta e scura da sembrare un frammento di tenebra vivente. I suoi occhi, due fessure ardenti, brillavano di riflessi vermigli e verdi, mentre le sue lunghe vibrisse grigie erano affilate come lame d’acciaio. Nessun suono si udiva quando camminava, eppure il suo respiro risuonava come il brontolio dei tamburi di guerra, e le sue fusa si propagavano nell’aria come un sussurro inquietante, simile al vento tra le rovine di un regno caduto.
La sua dimora si ergeva in un luogo oscuro e nascosto, una fortezza segreta celata nelle ombre di Angband, dove i suoi servitori, gatti malvagi e famelici, si aggiravano come spettri, servendo il loro principe con zelo crudele. Pochi osavano avvicinarsi ai suoi domini, e nessuna creatura osava sfidarlo – fatta eccezione per un solo avversario: Huan, il grande mastino di Valinor, il cui destino sarebbe stato intrecciato con quello di Lúthien, la più bella tra le figlie degli elfi.
“Tevildo sedeva dinanzi a tutti ed era un gatto potente e nero come il carbone e d’aspetto terribile. Aveva occhi a mandorla, allungati e molto stretti, dai quali uscivano luccichii rossi e verdi, e le sue grandi vibrisse grigie erano forti e affilate come aghi”
Beren e Lúthien, “Il racconto di Tinùviel”
E così il nome di Tevildo si lega indissolubilmente a uno dei racconti più antichi della Terra di Mezzo: la leggenda di Beren e Lúthien, i cui destini furono posti sotto la luce e l’ombra di grandi potenze. Nei tempi in cui Beren, uomo tra i più nobili del suo tempo, si avventurò nelle terre proibite nel tentativo di conquistare il cuore della figlia di Thingol, egli venne infine catturato dagli Orchi di Morgoth. Fu portato innanzi a Tevildo, il quale, compiacendosi della sua prigionia, lo condannò a servire nelle cucine della sua oscura roccaforte, riducendolo a un misero schiavo tra i vapori e il fetore delle sue sale.
Ma l’amore di Lúthien era una fiamma che non si spegneva. Con l’astuzia e la determinazione di coloro che sfidano il destino, ella si presentò dinanzi al Principe dei Gatti, fingendo di essere una fuggitiva in cerca di rifugio. Con parole dolci come il miele e false come l’inganno, ella lo persuase a lasciarsi avvicinare, mentre nell’ombra Huan attendeva il momento propizio. E quando infine la trappola scattò, la battaglia fu breve ma feroce. Huan, possente e indomito, si scagliò contro Tevildo, i suoi denti affondarono nel nero manto del nemico e i suoi artigli squarciarono le carni del Principe dei Gatti. Ferito e umiliato, Tevildo fuggì, rifugiandosi sui rami più alti di un albero maledetto, dove tremò per la prima volta in vita sua.
Alla fine, sapendo che la sconfitta era inevitabile, Tevildo cedette. Con riluttanza, egli consegnò a Lúthien il suo collare d’oro, un gioiello dal potere arcano che era fonte della sua forza. E con esso, rivelò la formula per spezzare l’incantesimo che proteggeva la sua dimora. Così Beren fu liberato, e il dominio del Principe dei Gatti si infranse per sempre. Umiliato e spogliato della sua gloria, Tevildo scomparve dalle cronache, e mai più si udì il suo nome nelle terre di Arda.
Ma il suo ricordo non perì del tutto. Poiché quando Tolkien rielaborò i suoi scritti, affinando la sua mitologia e rendendo più solido il tessuto narrativo del Silmarillion, il ruolo di Tevildo venne infine rimpiazzato da Sauron, la cui figura oscura avrebbe retto il vessillo del male per epoche a venire. Eppure, in quegli angoli dimenticati dei Racconti Perduti, ove risuonano ancora gli echi delle storie primigenie, il Principe dei Gatti continua a camminare, con passi silenziosi e occhi fiammeggianti, tra le ombre della leggenda.
Recentemente, Arianna Meloni, sorella della Premier Giorgia Meloni, ha fatto un curioso paragone tra il ruolo della presidente del Consiglio e il personaggio di Frodo Baggins, il protagonista de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. In un discorso rivolto al suo partito, Arianna ha descritto Giorgia come portatrice di un compito arduo e gravoso, un “Anello” che, seppur pesante, deve essere distrutto. Questa analogia tra la figura politica e quella del piccolo hobbit incaricato di distruggere l’Anello del Potere non è solo un omaggio letterario, ma un invito a riflettere sul ruolo del gruppo politico nel sostenere una leadership in un momento di difficoltà. La “Compagnia dell’Anello” di Tolkien, che combatte contro forze oscure con l’obiettivo di salvare il mondo, diventa il simbolo di una comunità che deve sorreggere la propria guida senza mai “indossare l’Anello”, ossia senza farsi sopraffare dal potere e dai suoi pesi. Un concetto interessante, ma che va oltre la semplice metafora: l’interpretazione politica della saga di Tolkien è infatti un tema complesso e affascinante, capace di sollevare domande sulle letture che vengono fatte dell’opera e sulle implicazioni ideologiche che ne derivano.
J.R.R. Tolkien, autore britannico celebre per le sue opere epiche come Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, ha lasciato un’impronta indelebile non solo nella letteratura fantasy, ma anche in vari ambiti culturali, politici e sociali. La sua vasta eredità ha attratto, nel corso dei decenni, l’attenzione di numerosi lettori e pensatori di orientamento diverso. In particolare, in Italia, l’opera di Tolkien è stata adottata dalla destra politica, che ha visto nei suoi valori e nei suoi personaggi una fonte di ispirazione per la propria visione del mondo. Ma perché Il Signore degli Anelli è diventato un simbolo per questa parte della politica italiana? E in che modo il legame tra Tolkien e la destra si è sviluppato nel tempo?
Il collegamento tra Tolkien e la destra italiana ha radici profonde, risalenti agli anni Settanta, quando la trilogia fu tradotta per la prima volta in italiano.
In quel periodo, l’introduzione al testo da parte del filosofo e saggista Elemire Zolla, figura vicina alla Nuova Destra, giocò un ruolo cruciale nel delineare l’opera di Tolkien come una difesa dei valori tradizionali contro il progresso tecnologico e il materialismo dilagante. Zolla interpretò l’opera di Tolkien come una difesa dei valori tradizionali, della gerarchia, dell’ordine, della fedeltà, della purezza, della bellezza, della spiritualità e della natura, minacciati dal progresso tecnologico, dal materialismo, dal relativismo, dalla corruzione e dalla degenerazione. Zolla vide in Tolkien un autore reazionario, conservatore, aristocratico, anti-moderno e anti-democratico, che esprimeva una visione del mondo fondata sul mito, sull’eroismo, sul sacro e sul destino. Zolla, inoltre, collegò la saga tolkeniana alla storia italiana, identificando nella Contea, la pacifica e rurale terra degli hobbit, una metafora dell’Italia pre-unitaria, caratterizzata da una ricca varietà di culture, lingue e tradizioni locali, e in Sauron, il malvagio signore oscuro che vuole conquistare la Terra di Mezzo con il suo esercito di orchi, una rappresentazione del Risorgimento, del centralismo, del capitalismo, del comunismo e dell’americanismo, che avrebbero distrutto l’identità e la diversità del paese. Zolla, infine, elogiò la figura di Aragorn, l’erede al trono di Gondor, come il simbolo del sovrano legittimo, capace di restaurare l’ordine e la giustizia, e di Frodo, il piccolo hobbit incaricato di distruggere l’Anello del Potere, come il modello del fedele servitore, disposto a sacrificarsi per una causa superiore.
L’introduzione di Zolla ebbe un grande impatto sui lettori italiani, soprattutto su quelli di destra, che si riconobbero nei valori e nei personaggi descritti da Tolkien, e che ne fecero una fonte di ispirazione per la loro visione politica e culturale. In particolare, i giovani militanti del Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito erede del fascismo, si appassionarono alla saga tolkeniana, e ne adottarono i simboli e i nomi nelle loro manifestazioni, nelle loro canzoni, nelle loro fanzine e nei loro raduni. Tra questi, i più famosi furono i Campi Hobbit, organizzati tra il 1977 e il 1984 da alcuni esponenti della destra radicale, tra cui Giorgio Freda, Franco Freda e Pino Rauti, che si svolgevano in luoghi isolati e suggestivi, come le montagne, i boschi o le spiagge, e che avevano lo scopo di formare una nuova generazione di militanti, basata sui principi di lealtà, coraggio, disciplina, onore e fede. I partecipanti ai Campi Hobbit si vestivano con abiti medievali, si esercitavano con le armi, si cimentavano in prove di sopravvivenza, ascoltavano lezioni di storia, filosofia e politica, e si divertivano a recitare le scene de Il Signore degli Anelli, identificandosi con i personaggi della saga. Tra i frequentatori dei Campi Hobbit, ci fu anche una giovane Giorgia Meloni, che all’epoca era una militante del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI, e che si faceva chiamare Khy-ri, un nome tratto dal Silmarillion, il libro in cui Tolkien racconta le origini della Terra di Mezzo.
Tuttavia, è importante sottolineare che Il Signore degli Anelli non è un testo facilmente riducibile a una sola interpretazione politica.
I temi presenti nelle opere di Tolkien, pur essendo particolarmente apprezzati dai lettori di destra, non si limitano ovviamente a quella visione. Sebbene i valori di tradizione, gerarchia e ordine che emergono nei suoi scritti abbiano ispirato un’intera fascia di lettori di destra, ci sono anche molti altri aspetti dell’opera che attraggono persone con visioni politiche diverse. Per esempio, Tolkien affronta temi come la critica al potere, alla violenza e alla corruzione, che possono essere letti in chiave pacifista e umanista, con una forte denuncia del male e della manipolazione. Altri aspetti che emergono includono la solidarietà, la tolleranza, la diversità, e la speranza per un mondo migliore, temi che si riflettono in una visione pluralista e democratica. Inoltre, l’opera di Tolkien celebra la libertà, la responsabilità, e la possibilità di miglioramento, rivelando un’inclinazione ottimista e progressista. Non manca poi una componente estetica e spirituale, che si riflette nell’apprezzamento della bellezza, dell’arte, della musica, e in una visione trascendentale che riconosce la presenza di una forza superiore. In definitiva, l’opera di Tolkien non può essere confinata in un’interpretazione politica univoca: è un’opera universale, che riesce a parlare a persone di diverse sensibilità, offrendo una visione complessa e affascinante del mondo.
La visione politica di Tolkien
Tolkien era uno scrittore che non amava molto la politica, e che non voleva che la sua opera fosse interpretata in chiave allegorica o ideologica. Tolkien, infatti, era un cattolico convinto, un conservatore moderato, un sostenitore della monarchia costituzionale, un oppositore del totalitarismo, un critico del capitalismo e del comunismo, un amante della natura e della tradizione. Tolkien, sopratutto, era un professore di linguistica e di letteratura, un esperto di mitologia e di storia, un creatore di mondi e di lingue, un poeta e un narratore. Tolkien, infine, era un uomo che aveva vissuto la prima guerra mondiale, la seconda guerra mondiale, la guerra fredda, e che aveva assistito ai grandi cambiamenti sociali e culturali del Novecento. Per citare un anedotto, nel 1938, l’autore era in trattative con la casa editrice berlinese Rütten & Loening per una versione tedesca de Lo Hobbit, ma il progetto saltò quando la casa editrice chiese una prova della sua “ascendenza ariana” in conformità con le leggi di Goebbels, che limitavano la partecipazione degli ebrei alla cultura tedesca. Tolkien rispose fermamente, rifiutando di fornire la documentazione richiesta, considerandola un’impertinenza e un’idea assurda. In una lettera a Stanley Unwin, il suo editore britannico, Tolkien spiegava che non considerava l’assenza di sangue ebraico come qualcosa di onorevole, e che avrebbe rifiutato di rispondere a domande del genere. Due anni dopo, Tolkien esprimeva ancora il suo disprezzo per i nazisti, definendo Hitler “un ignorante”. La traduzione in tedesco di Lo Hobbit non avvenne fino al 1957.
Tutti questi aspetti della sua personalità e della sua esperienza si riflettono nella sua opera, che è ricca di sfumature, di contrasti, di ambiguità, di simboli, di messaggi. L’analogia fatta da Arianna Meloni tra Giorgia Meloni e Frodo non è solo un curioso richiamo letterario, ma anche un’indicazione di come i temi tolkeniani continuano a risuonare nella politica contemporanea. Ma al di là di questa lettura, la saga di Tolkien rimane un’opera universale, capace di ispirare chiunque, a seconda del punto di vista, degli interessi, delle sensibilità dei lettori. La sua opera, infine, è universale, capace di parlare a tutti i cuori e a tutte le menti, e di offrire una visione del mondo ricca, profonda, complessa e affascinante.
Il 15 gennaio 2025, il tanto atteso libro La Caduta di Númenor di J.R.R. Tolkien arriverà finalmente in libreria, portando con sé una cronaca avvincente e misteriosa della Seconda Era della Terra di Mezzo, un’epoca oscura che ha sempre suscitato il fascino dei lettori più appassionati delle opere di Tolkien. Edito da Bompiani, questo volume curato da Brian Sibley si propone di dare una nuova luce agli eventi che hanno segnato la storia di Númenor e della Terra di Mezzo, ampliando e unificando racconti già noti, ma mai raccolti in un unico tomo.
Il volume si inserisce nel solco della “Conta degli Anni” presente nelle appendici de Il Signore degli Anelli, seguendo la cronologia precisa degli avvenimenti che hanno portato alla drammatica caduta di Númenor, la leggendaria isola dei Re. Per anni, gli appassionati della Terra di Mezzo hanno potuto solo intravedere questi eventi attraverso le pagine del Signore degli Anelli, dove la Seconda Era è trattata solo come un’ombra lontana, accennando a fatti come la creazione degli Anelli del Potere, l’ascesa di Sauron e la costruzione della temibile Barad-dûr. La vera portata della Seconda Era è stata rivelata solo grazie al lavoro di Christopher Tolkien, che ha pubblicato Il Silmarillion e altri testi postumi del padre, gettando nuova luce su quest’epoca misteriosa.
Il volume, che si avvale della traduzione di Stefano Giorgianni, unisce in modo coerente e accessibile gli scritti di J.R.R. Tolkien, attingendo da opere come Il Silmarillion, I Racconti incompiuti e la vasta Storia della Terra di Mezzo. Brian Sibley, l’editore, ha curato con attenzione il materiale, includendo un’introduzione e commenti che aiutano il lettore a comprendere la successione degli eventi e la loro rilevanza. L’opera si concentra principalmente sulla fondazione e la rovina di Númenor, un episodio cruciale per la storia della Terra di Mezzo, ma non mancano approfondimenti su altri momenti significativi, come la forgiatura degli Anelli del Potere e la celebre Ultima Alleanza contro Sauron, che segnò la fine della Seconda Era.
In aggiunta alla ricchezza del testo, il volume è impreziosito da dieci nuove illustrazioni a colori di Alan Lee, uno degli artisti più amati nell’universo di Tolkien, che ha già contribuito con il suo stile unico alla visualizzazione di opere come Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Le immagini accompagnano i lettori in un viaggio visivo attraverso le rovine di Númenor, le battaglie epiche e le straordinarie ambientazioni della Terra di Mezzo, contribuendo a rendere ancora più coinvolgente l’esperienza di lettura.
La Caduta di Númenor non è solo un libro per gli appassionati di lunga data delle opere di Tolkien, ma anche per chi desidera scoprire una parte fondamentale della storia della Terra di Mezzo, spesso trascurata ma vitale per comprendere gli eventi narrati ne Il Signore degli Anelli e ne Il Silmarillion. Con un approccio sistematico alla cronologia degli eventi, Sibley ha saputo raccogliere i frammenti di storia sparsi nei vari testi di Tolkien e dar loro una forma compiuta, creando così un’opera di grande valore storico e letterario.
L’opera si inserisce, infatti, nel filone delle pubblicazioni postume di Tolkien, che continuano a svelare nuovi aspetti della sua vasta mitologia. Per gli appassionati di fantasy e per i collezionisti delle opere del professore di Oxford, questa nuova pubblicazione è un evento imperdibile. Con la sua attenzione ai dettagli e il rispetto per la tradizione, La Caduta di Númenor promette di arricchire l’universo di Arda con nuove sfumature e approfondimenti, rendendo giustizia a una delle sue epoche più affascinanti e drammatiche.
John Ronald Reuel Tolkien, uno degli autori più influenti nella storia della letteratura moderna, ha segnato un’intera epoca con la sua opera letteraria che ha dato vita a un immaginario unico e inconfondibile. Nato il 3 gennaio 1892 a Bloemfontein, nel Sudafrica, Tolkien è conosciuto soprattutto per due capolavori che continuano a segnare profondamente la cultura popolare: “Lo Hobbit” e “Il Signore degli Anelli“. Questi romanzi non solo hanno creato un mondo fantastico che ha affascinato milioni di lettori in tutto il mondo, ma sono diventati anche oggetti di culto grazie alle trasposizioni cinematografiche dirette da Peter Jackson e alla recente serie televisiva “Gli Anelli del Potere” prodotta da Amazon Prime Video. Grazie a queste opere, il suo universo narrativo ha raggiunto nuove generazioni, alimentando l’interesse per le sue storie e per la sua creazione letteraria.
Il percorso di Tolkien verso la fama è iniziato molto prima che le sue opere più celebri vedessero la luce. Studioso di filologia inglese e appassionato di linguistica, Tolkien si arruolò come volontario nella Prima Guerra Mondiale, dove fu testimone degli orrori della trincea. Le esperienze traumatiche vissute durante il conflitto lo segnarono profondamente, portandolo a una visione della vita che ripudiava la violenza e le guerre, concentrando la sua attenzione sull’amore per sua moglie Edith, sull’insegnamento e sulla creazione di mondi fantastici. Il periodo trascorso come professore a Oxford fu cruciale per la sua carriera letteraria, permettendogli di scrivere e sviluppare l’intero nucleo narrativo che sarebbe sfociato nella celebre Saga dell’Anello.
Il suo primo romanzo, Lo Hobbit, fu pubblicato nel 1937 e subito accolto con entusiasmo, consolidando la sua reputazione come autore di fantasia. Questo libro, che racconta le avventure del piccolo hobbit Bilbo Baggins, fu solo l’inizio di un epico ciclo di romanzi. Tolkien, infatti, iniziò a lavorare alla sua opera più ambiziosa, Il Signore degli Anelli, che sarebbe stato scritto a più riprese tra il 1937 e il 1949. La trilogia, pubblicata tra il 1954 e il 1955, è diventata una delle opere più importanti della letteratura fantasy, vincendo premi prestigiosi come l’International Fantasy Award e il Prometheus Hall of Fame Award. Nel 1999, Amazon la dichiarò il libro preferito del millennio, mentre nel 2003 la BBC lo nominò il romanzo più amato della Gran Bretagna di tutti i tempi, grazie anche al suo enorme impatto culturale.
L’adattamento cinematografico della trilogia da parte di Peter Jackson, realizzato dalla New Line Cinema, ha ulteriormente consolidato la popolarità di Tolkien. La trilogia, con un cast stellare che includeva Elijah Wood, Viggo Mortensen, Ian McKellen, Liv Tyler, Sean Astin e Orlando Bloom, ha incassato quasi 6 miliardi di dollari in tutto il mondo, vincendo ben 17 premi Oscar, incluso quello per il miglior film. Questi film non solo hanno introdotto le opere di Tolkien a una nuova generazione di spettatori, ma hanno anche dato nuova vita ai suoi personaggi e al suo mondo, trasportando La Terra di Mezzo nelle sale cinematografiche di tutto il mondo.
Oltre ai suoi romanzi più celebri, Tolkien scrisse anche numerosi saggi sulla fiaba e i miti celtici, tra cui Tree and Leaf (1955), On Fairy-Stories (1938), e Leaf by Niggle (1939). Non mancano racconti brevi come The Adventures of Tom Bombadil (1962) e The Homecoming of Beorthnoth Beorhthelm’s Son (1975), che approfondiscono ulteriormente la sua visione del mondo e della narrativa. La sua opera ha influenzato innumerevoli scrittori e registi, ma la sua morte, avvenuta il 2 settembre 1973 a Bournemouth, nel Hampshire, ha segnato la fine di un’era.
Oggi, il 3 gennaio, giorno del suo compleanno, i fan di Tolkien di tutto il mondo celebrano la sua memoria con il Tolkien Birthday Toast, una tradizione iniziata dalla Tolkien Society. Ogni anno, alle 21:00 ora locale, i fan alzano un bicchiere in suo onore, pronunciando le parole “Il professore!” prima di bere un sorso della loro bevanda preferita, che può essere anche non alcolica. Questo semplice ma significativo gesto è un tributo all’autore che ha donato al mondo una delle opere letterarie più amate di tutti i tempi.
La figura di J.R.R. Tolkien non è solo quella di un autore di romanzi fantasy, ma anche di un professore, un linguista e un uomo che ha vissuto e respirato la sua passione per la letteratura. Grazie alle sue opere, il suo immaginario ha ispirato non solo generazioni di lettori, ma anche artisti, registi e creatori di ogni tipo. La sua eredità continua a vivere, non solo nei libri, ma anche nei cuori dei suoi fan che ogni anno, nel giorno del suo compleanno, celebrano il suo spirito immortale.
La teoria della Terra piatta, sebbene priva di fondamento scientifico, ha resistito nei secoli come un’idea che sfida la nostra comprensione comune della scienza e del cosmo. Le sue origini risalgono a tempi antichi, quando la percezione del mondo era fortemente influenzata dalle limitate conoscenze astronomiche e geografiche. Con il passare dei secoli, però, nonostante le innumerevoli prove scientifiche a supporto della sfericità della Terra, la teoria della Terra piatta ha avuto un’evoluzione curiosa, continuando a suscitare interesse in alcuni gruppi e a essere alimentata dalle moderne teorie complottistiche.
Le Origini dell’Idea della Terra Piatta
Fin dall’antichità, molte culture hanno concepito la Terra come un oggetto piatto. In Egitto, ad esempio, il mito del Sole che percorre il cielo sopra un mondo piatto veniva rappresentato attraverso affreschi che mostravano la “barca del Sole” attraversare il firmamento, un concetto che persisteva anche in alcune versioni della cosmologia indo-iranica, dove si immaginava un grande monte Meru al centro della Terra, intorno al quale ruotavano il Sole, la Luna, e le stelle. Sebbene questi modelli fossero legati a visioni mitologiche e religiose, la persistenza dell’idea di un cielo a cupola solida trasparente è stata diffusa anche da alcuni pensatori anticlericali dell’Ottocento.
L’Evoluzione della Teoria: Dalla Tradizione alla Modernità
Contrariamente alla percezione popolare che durante il Medioevo la Terra fosse considerata piatta, gli studiosi medievali erano ben consapevoli della sua sfericità. Infatti, figure di spicco come Giovanni di Sacrobosco nel XIII secolo, con il suo trattato De Sphaera, erano già pronti a svelare la forma sferica del nostro pianeta. Aristotele stesso aveva fornito prove evidenti della sfericità della Terra, osservando, ad esempio, le costellazioni che cambiavano man mano che ci si spostava verso sud e l’ombra circolare della Terra durante le eclissi lunari.
Tuttavia, la teoria della Terra piatta non è stata dimenticata. Nel XIX secolo, un movimento noto come Flat Earth Society ha rianimato l’idea della Terra piatta grazie agli scritti di Samuel Birley Rowbotham, che, attraverso esperimenti empirici, cercò di “provare” che la Terra fosse davvero piatta. Nonostante l’assenza di prove scientifiche concrete, il movimento è riuscito a radicare nuove convinzioni tra coloro che, per vari motivi, erano scettici della scienza tradizionale.
Il Ritorno del Mito nei Tempi Moderni
Oggi, la teoria della Terra piatta è tornata alla ribalta grazie a Internet e ai social network. I sostenitori di questa teoria, spesso propensi ad abbracciare altre teorie complottistiche, sostengono che le evidenze a favore della sfericità della Terra siano parte di un complotto globale. Secondo queste teorie moderne, la Terra sarebbe un disco piatto con il Polo Nord al centro, circondato da un enorme muro di ghiaccio che impedisce l’accesso all’Antartide. Alcuni di questi gruppi suggeriscono persino che le mappe tradizionali e le immagini satellitari siano manipolate per nascondere la verità.
Nonostante le prove evidenti e la comprensione scientifica ormai consolidata, il terrapiattismo trova fertile terreno in un contesto di crescente sfiducia nelle istituzioni scientifiche e politiche. Questa crescente ondata di scetticismo è alimentata anche da una forte tendenza a cercare risposte alternative e più semplicistiche ai problemi globali, fenomeno che ha trovato una grande cassa di risonanza grazie alla diffusione delle teorie complottiste sui social media.
La Terra Piatta Nella Cultura Popolare
Nel corso della storia, la Terra piatta è stata anche protagonista di numerosi riferimenti culturali, dalla letteratura alla cinematografia. Nel 1723, ad esempio, Ludvig Holberg scrisse la commedia Erasmus Montanus, dove il protagonista si scontra con i paesani che, convinti che la Terra fosse piatta, lo ostacolano nel suo desiderio di sposarsi. Più recentemente, nel mondo della fantascienza, scrittori come J.R.R. Tolkien e Terry Pratchett hanno usato il concetto di un mondo piatto come ambientazione per le loro storie. In Discworld, Pratchett crea un intero universo piatto che poggia sulle spalle di elefanti giganti, un’immagine surreale che, seppur fantasiosa, rivisitava l’antica concezione della Terra piatta con un tocco di umorismo.
Altri esempi in letteratura e cinema includono opere come The Village that Voted the Earth was Flat di Rudyard Kipling e il celebre The Truman Show, dove il mondo artificiale di Seahaven è rappresentato come una superficie piatta coperta da una cupola. Anche i videogiochi come Minecraft e Golden Sun attingono a questo immaginario, creando mondi piatti e quadrati che ricordano la visione antica della Terra.
La Controversa Realtà della Terra Sferica
Nonostante la persistenza della teoria della Terra piatta, le prove scientifiche che dimostrano la sfericità del nostro pianeta sono incontrovertibili. Le osservazioni astronomiche, la misurazione della curvatura terrestre, le immagini satellitari e la navigazione aerea e marittima forniscono evidenze incontrovertibili che la Terra è una sfera. Inoltre, l’ombra circolare proiettata dalla Terra sulla Luna durante le eclissi, la curvatura visibile all’orizzonte, e la navigazione aerea che segue rotte curve, sono tutti segni che indicano inequivocabilmente che la Terra è rotonda.
Il persistere della teoria della Terra piatta è un fenomeno affascinante che rispecchia non solo la resistenza della mente umana a cambiare le proprie convinzioni, ma anche la crescente sfiducia nelle scienze tradizionali e nelle autorità. Nonostante la scienza continui a fornire prove schiaccianti della forma sferica della Terra, l’idea di un mondo piatto trova ancora sostenitori tra coloro che sono attratti dalle teorie complottistiche e dalle risposte facili. In fondo, la Terra piatta è più di un semplice mito: è una metafora della nostra continua ricerca di risposte, anche quando la realtà ci sembra difficile da comprendere.
Quando si parla di grandi civiltà perdute, uno dei primi nomi che viene in mente è sicuramente Atlantide, descritta dal filosofo greco Platone come un’isola potente e avanzata che scomparve misteriosamente nel nulla. Ma c’è un’altra civiltà che risuona con lo stesso fascino e la stessa tragedia: Númenor, la mitica isola del mondo di Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Sebbene appartengano a contesti completamente diversi — uno alla mitologia greca e l’altro alla Terra di Mezzo — la somiglianza tra Atlantide e Númenor è sorprendente. Entrambe rappresentano civiltà raffinate, ricche di potenza e cultura, destinate però a una fine catastrofica a causa della loro stessa superbia.
Le Origini e la Grandezza
Númenor, nell’universo di Tolkien, è un’isola situata tra le terre di Middle-earth e le regioni selvagge dell’oceano. Fondato alla fine della Guerra dei Gioielli, quando i Valar decisero di ricompensare il popolo degli Edain, tra i quali c’era Elros, il primo re di Númenor, l’isola diventò un faro di cultura e di potere. Grazie ai doni dei Valar, i Númenoreani godevano di una vita incredibilmente lunga, superiori agli altri uomini sia in intelligenza che in forza fisica. La loro civiltà si sviluppò con una tecnologia e un’arte navigatoria avanzatissime, tanto da dominare gli altri popoli di Middle-earth.
D’altra parte, Atlantide, come descritta da Platone, era una potenza marittima con una cultura raffinatissima e una ricchezza senza pari. Situata oltre le Colonne d’Ercole, Atlantide era descritta come un luogo ideale, un modello di civiltà, simile a Númenor, con una società avanzata in tutti i campi: dalla scienza all’arte, dalla tecnologia alla politica. Entrambe le civiltà si distinguono per la loro capacità di navigare e per il dominio che esercitano sulle terre circostanti, elevandosi come faro di cultura e civiltà nel loro tempo.
La Decadenza e l’Arrogante Superbia
Purtroppo, come tutte le grandi civiltà che brillano troppo a lungo, tanto Númenor quanto Atlantide sono destinate a decadere. La parabola discendente di queste società è segnata dalla stessa superbia: entrambe si credono invincibili e superiori a qualsiasi altro popolo o divinità.
Númenor inizia la sua discesa verso la rovina quando, con il passare dei secoli, la paura della morte cresce tra i suoi abitanti. Nonostante i Valar avessero dato loro una vita lunghissima, i Númenoreani iniziano a desiderare l’immortalità, un desiderio che li allontana dai Valar e li fa dubitare della bontà del “Bando” che proibiva loro di andare a Valinor, la dimora degli dèi. Questa crescente sete di potere li porta a conquistare territori e a schiavizzare i popoli vicini. L’isola, un tempo paradiso, diventa un regno che, pur di sfuggire alla morte, si avvia verso la distruzione.
Allo stesso modo, Atlantide, nella tradizione di Platone, cade a causa della sua arroganza. Il popolo atlantideo si allontana dagli ideali che avevano reso la loro civiltà grande, diventando avido e corrotto. La loro tentazione di conquistare il mondo li porta a sfidare gli dèi, finendo con la punizione divina che distrugge la loro terra.
La Fine Catastrofica
La fine di entrambe le civiltà è drammatica e simile. In Il Silmarillion, Tolkien racconta che la rovina di Númenor arriva quando il re Ar-Pharazôn, spinto dalla sua paura della morte e dalla manipolazione di Sauron, decide di invadere Valinor. Nonostante i segnali di avvertimento lanciati dai Valar, il re persiste nella sua follia, e la sua flotta salpa verso le terre degli dèi. Quando giungono a destinazione, Eru Ilúvatar, il Dio supremo, punisce la superbia dei Númenoreani facendo sprofondare l’intera isola, inghiottita da un cataclisma che distrugge ogni cosa.
La fine di Atlantide, pur se descritta in modo meno dettagliato, è altrettanto tragica. Secondo Platone, quando gli Atlantidei tentano di espandere il loro dominio verso l’Europa e l’Africa, gli dèi decidono di punirli. La terra viene inghiottita dal mare in un solo giorno e una notte, un’immagine che ricalca perfettamente la fine della mitica Númenor.
Númenor e Atlantide: Un Mito Universale
Le somiglianze tra queste due civiltà, separati da secoli e mondi diversi, sono incredibilmente affascinanti. Entrambe simboleggiano il tema del sogno di potere e la sua tragica fine, un tema universale che affiora in molte storie mitologiche. Tolkien, da grande esperto di mitologia, ha probabilmente tratto ispirazione da queste leggende classiche per costruire la sua civiltà di Númenor. Anche se la sua isola non è la stessa di quella descritta da Platone, l’eco di Atlantide risuona chiaramente nelle storie di Il Silmarillion.
Númenor, come Atlantide, è il simbolo di una civiltà che ha raggiunto l’apice del potere solo per precipitare nella decadenza e nell’autodistruzione. Entrambe ci ricordano che la grandezza non è solo una questione di ricchezza e potenza, ma anche di umiltà e rispetto per le forze superiori. Númenor e Atlantide sono dunque due facce della stessa medaglia, miti che esplorano la natura umana e il desiderio insaziabile di potere. La loro caduta ci insegna che, anche le civiltà più magnifiche, costruite su basi solide di cultura e conoscenza, possono essere distrutte dalla propria arroganza. E come tutte le storie più belle, queste leggende ci rimangono come moniti, invitandoci a riflettere sulla fragilità del nostro mondo e sulla tempesta che si scatena quando ci dimentichiamo di chi siamo veramente.
Nell’epico finale de “Il Signore degli Anelli“, Frodo Baggins e Gandalf intraprendono un viaggio di grande significato che segna la conclusione della Terza Era della Terra di Mezzo. Dopo la celebrazione dell’incoronazione di Aragorn e il suo matrimonio con Arwen a Minas Tirith, gli hobbit, in un atto di ritorno alle origini, si dirigono verso la Contea, ma Frodo e Bilbo Baggins si allontanano dal cammino comune. Insieme a loro, Gandalf e gli ultimi elfi, tra cui Elrond, Celeborn e Galadriel, partono per Valinor, un regno beato situato nel continente di Aman, un luogo simile a un paradiso terrestre. Questa scelta non è solo un viaggio fisico, ma simboleggia la fine di un’era e l’inizio di una nuova fase nel vasto universo creato da J.R.R. Tolkien.
Valinor è descritto come un regno di Arda, un territorio non solo ricco di bellezze naturali ma anche popolato dai Valar, esseri potenti che custodiscono e proteggono il mondo. Valinor è geograficamente caratterizzato dalla presenza dell’isola di Tol Eressëa, circondata dall’oceano Ekkaia e dal grande mare Belegaer. Questo continente è protetto dai Pelóri e accoglie l’isola di Tol Eressëa, dove gli elfi trovano riparo e prosperità. Le città che sorgono in Valinor, come Valmar, Tirion e Alqualondë, sono testimonianza di un’arte e di una cultura elevata, frutto della pace garantita dai Valar.
La creazione di Valinor risale a un tempo lontano, quando i Valar, dopo la distruzione della loro prima dimora al lago di Almaren da parte di Melkor, si trasferirono ad Aman. Qui edificarono una catena montuosa chiamata Pelóri, che si erge come una formidabile barriera contro le forze oscure, e illuminarono il loro regno con la luce dei due alberi, Laurelin e Telperion. Questi alberi rappresentano la vita e la bellezza, elementi fondamentali della narrativa tolkieniana.
Tuttavia, il destino di Valinor non è immune dai conflitti. La liberazione di Melkor dopo tre ere di prigionia porta a una serie di eventi catastrofici, culminanti nella distruzione dei due alberi. Questo atto scatenò una reazione a catena che costrinse molti elfi, in particolare i Noldor, a lasciare Valinor e a trasferirsi nella Terra di Mezzo, portando con sé la maledizione del fratricidio. Tale tradimento nei confronti dei Teleri, perpetrato in Alqualondë, segna l’inizio di un lungo esilio per i Noldor, che viene punito dai Valar con l’irraggiungibilità di Aman.
Nonostante la tristezza e il dolore, Valinor rimane un rifugio per coloro che cercano pace e guarigione. Frodo e gli altri hobbit, pur essendo mortali, ricevono un permesso speciale dai Valar per accedervi grazie al loro ruolo cruciale nella distruzione dell’Anello. Questo viaggio verso Valinor non è solo una fuga dalle fatiche della Terra di Mezzo, ma rappresenta anche una sorta di ricompensa per i loro sacrifici. Frodo, Bilbo e Samvise Gamgee, insieme al nano Gimli e all’elfo Legolas, si uniscono in questo pellegrinaggio verso una vita di tranquillità e serenità, lontano dalla corruzione e dalla violenza che hanno segnato la loro esistenza. Questo epilogo non è solo la fine di una saga, ma l’inizio di un’era di speranza, che continua a risuonare nel cuore dei lettori e degli appassionati del mondo di Tolkien.
La partenza di Frodo e Gandalf verso Valinor rappresenta non solo la conclusione delle loro avventure ma anche un messaggio di speranza e di rinnovamento. Con questo viaggio, Tolkien ci invita a riflettere sul significato del sacrificio e della redenzione, sugli effetti duraturi delle nostre azioni e sull’importanza della pace e della bellezza, che sono sempre accessibili a coloro che hanno il coraggio di cercarle.
Dopo il trionfo ottenuto a Roma e Napoli, la straordinaria mostra “Tolkien. Uomo, Professore, Autore” giunge a Torino, dove resterà dal 19 ottobre 2024 fino al 16 febbraio 2025. Organizzata nella maestosa cornice della Reggia di Venaria, questa esposizione unica nel suo genere non solo celebra J.R.R. Tolkien come autore di alcuni dei capolavori più amati della letteratura mondiale, ma ne esplora anche le molteplici dimensioni: l’uomo, il professore e l’autore.
Il cinquantesimo anniversario della morte di Tolkien, avvenuta il 2 settembre 1973, è l’occasione perfetta per rivisitare l’opera e la vita di colui che ha dato vita a mondi immaginari ineguagliabili, come la Terra di Mezzo. Le pagine de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli hanno trasportato generazioni di lettori in un universo mitologico complesso, dove gli eroi, le avventure e i linguaggi inventati si intrecciano con i temi della speranza, del sacrificio e dell’amicizia.
La mostra, promossa dal Ministero della Cultura in collaborazione con l’Università di Oxford, è stata curata da Oronzo Cilli, con la co-curatela e l’organizzazione di Alessandro Nicosia. Si tratta della più grande retrospettiva mai allestita in Italia su Tolkien, che ha ricevuto il plauso internazionale per la qualità dei materiali esposti e l’accuratezza del percorso biografico e letterario proposto.
Un Viaggio Nella Vita e Nella Mente di Tolkien
“Uomo, Professore, Autore” non si limita a celebrare Tolkien come maestro della narrativa fantasy, ma ne rivela i lati meno noti, a partire dal suo lavoro accademico come professore di filologia a Oxford. La sua passione per le lingue antiche e l’ampia conoscenza della mitologia nordica e anglosassone hanno alimentato l’universo linguistico e culturale che ha creato per la Terra di Mezzo. L’esposizione si articola in tre sezioni principali che esplorano le varie sfaccettature della vita di Tolkien:
L’Uomo: La prima sezione della mostra è dedicata al lato umano dello scrittore. Attraverso fotografie inedite, lettere autografe e oggetti personali, il pubblico può entrare nel mondo privato di Tolkien, scoprendo l’importanza della sua famiglia, le esperienze della Prima Guerra Mondiale che segnarono profondamente il suo immaginario, e i luoghi che più amava, come l’Italia, in particolare Venezia e Assisi.
Il Professore: Tolkien non era solo un romanziere, ma anche un eminente filologo e linguista. Questa sezione racconta il suo impegno come accademico a Oxford, dove, ancora giovanissimo, ottenne una delle cattedre più prestigiose. Vengono esposti alcuni dei suoi studi più importanti, che continuano a influenzare la ricerca sulla letteratura anglosassone e medioevale.
L’Autore: Il cuore della mostra è naturalmente dedicato alla sua produzione letteraria. Manoscritti, bozze, illustrazioni e mappe dettagliate conducono i visitatori attraverso il processo creativo di Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli, mostrando come Tolkien abbia sviluppato e arricchito nel corso degli anni i personaggi e le storie che popolano la Terra di Mezzo. Di particolare interesse è la ricostruzione del suo studio privato a Oxford, dove gran parte di queste opere furono scritte.
Tra Libri e Cinema: L’Eredità di Tolkien
La mostra offre anche uno spazio dedicato alla vasta eredità culturale lasciata da Tolkien. La sezione conclusiva esplora l’impatto del suo lavoro non solo nella letteratura, ma anche nelle arti visive, nella musica e nei fumetti. Si possono ammirare prime edizioni rare dei suoi libri, come Il Silmarillion e Le avventure di Tom Bombadil, oltre a una collezione di circa 900 edizioni de Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli provenienti da 51 Paesi diversi.
Ma Tolkien non è solo uno scrittore: è un’icona culturale che ha ispirato intere generazioni di cineasti e artisti. Non mancano riferimenti agli adattamenti cinematografici che hanno reso celebre il suo lavoro a livello globale. La trilogia di Il Signore degli Anelli diretta da Peter Jackson, che ha conquistato 17 premi Oscar, viene celebrata con materiali inediti e memorabilia che faranno la gioia di ogni appassionato. Un omaggio viene reso anche ai primi tentativi di trasporre le opere di Tolkien sul grande schermo, come il film d’animazione di Ralph Bakshi.
Il Rapporto Speciale di Tolkien con l’Italia
Una delle sorprese più affascinanti della mostra è la scoperta del profondo legame che Tolkien nutriva per l’Italia. In una lettera scrisse: “Sono innamorato dell’italiano, e mi sento alquanto sperduto senza la possibilità di provarlo a parlare”. Il suo viaggio a Venezia e Assisi nel 1955 viene rievocato con immagini e documenti che testimoniano il fascino che il nostro Paese esercitava su di lui. La sua corrispondenza con intellettuali italiani e il ruolo della traduzione italiana delle sue opere, curata da editori come Astrolabio-Ubaldini e Bompiani, aggiungono un ulteriore livello di connessione tra Tolkien e l’Italia.
Un Appuntamento Imperdibile
La Reggia di Venaria, con la sua architettura barocca e la sua atmosfera incantata, rappresenta la location perfetta per accogliere questa mostra dedicata a uno degli autori più amati di sempre. “Tolkien. Uomo, Professore, Autore” è un’occasione unica per immergersi nell’universo creativo di un genio senza tempo e per riscoprire il valore della fantasia come mezzo per comprendere la realtà.
Dal 19 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, non perdete l’opportunità di entrare nel mondo di J.R.R. Tolkien. Che siate fan di lunga data o neofiti affascinati dalla sua opera, questa mostra saprà incantare e sorprendere, rivelando nuovi aspetti della vita e del lavoro di uno degli scrittori più influenti del Novecento. Un viaggio straordinario nel cuore della Terra di Mezzo e oltre.
Il Re Stregone di Angmar è senza dubbio una delle figure più inquietanti e iconiche dell’universo creato da J.R.R. Tolkien, un emblema del male che ha segnato la storia della Terra di Mezzo per secoli. Conosciuto anche come il Signore dei Nazgûl, questo oscuro personaggio è stato il servitore più potente di Sauron, un’entità che incarna la distruzione e la corruzione. Ma chi era davvero questo misterioso e temuto essere, e cosa lo rendeva così terribile agli occhi di interi regni?
La sua storia ha inizio come quella di un grande re degli Uomini, un sovrano che regnava su un regno prospero. Ma la sua brama di potere lo portò a cedere alla tentazione di Sauron. Quando ricevette uno degli Anelli del Potere, forgiati con l’intento di corrompere i re umani, la sua esistenza cambiò irreversibilmente. L’Anello lo trasformò lentamente, facendolo decadere fino a perdere la propria umanità e diventare uno dei Nazgûl, gli Spettri dell’Anello. Da quel momento in poi, il suo destino fu legato a Sauron: un servitore immortale, privo di nome e regno, condannato a una vita senza pace.
Dopo la sconfitta di Sauron alla fine della Seconda Era, il Re Stregone scomparve nell’ombra, rifugiandosi probabilmente nell’Est della Terra di Mezzo, in attesa del ritorno del suo padrone. E infatti, quando Sauron risorse sotto le sembianze del Negromante, il Re Stregone tornò in azione con rinnovata forza.
Nel 1300 della Terza Era, il Re Stregone ricevette il compito di distruggere il regno di Arnor, un dominio dei Dúnedain. Si stabilì tra le Montagne di Angmar, dove fondò il suo oscuro regno. Con la sua astuzia, il suo potere e la sua crudeltà, riuscì a piegare Arnor, infliggendo devastanti sconfitte. Il culmine della sua conquista avvenne nel 1974 della Terza Era, con la caduta di Fornost, ma anche in quel trionfo la sua sorte fu segnata. Le sue forze furono sconfitte e costretto a ritirarsi verso Mordor, dove avrebbe preparato il suo ritorno.
Negli anni successivi, il Re Stregone consolidò il suo potere, prendendo il controllo di Minas Ithil, la fortezza di Gondor, che trasformò in Minas Morgul, la città dell’oscurità. Da lì, lanciò incursioni contro Gondor, comandando i Nazgûl e altre legioni oscure, e pianificando la sua parte nella guerra finale. Quando la Guerra dell’Anello giunse, fu mandato alla caccia dell’Unico Anello, ma la sua missione fallì clamorosamente quando sfiorò Frodo e i suoi compagni hobbit, che erano fuggiti verso il sud.
Nonostante il fallimento, il Re Stregone non si fermò. Durante l’assalto finale a Gondor, si lanciò con furia contro Osgiliath e assediò Minas Tirith. Ma il suo destino giunse durante la Battaglia dei Campi del Pelennor, quando incontrò il suo tragico destino. In un duello epico, il Re Stregone affrontò Éowyn, una donna di Rohan che si era travestita da guerriero per partecipare alla battaglia. Grazie alla profezia che diceva che nessun uomo mortale avrebbe potuto ucciderlo, fu Éowyn, con l’aiuto di Meriadoc Brandibuck, a infliggergli il colpo mortale. La sua morte fu un colpo devastante per le forze di Sauron, segnando un punto di svolta nella guerra.
La figura del Re Stregone di Angmar rimane una delle più tragiche e affascinanti della mitologia di Tolkien. La sua storia è un monito alla pericolosità della brama di potere e alla corruzione che essa comporta, un tema ricorrente nelle sue opere. Il Re Stregone, da grande re a servitore senza speranza, incarna la rovina di chi si lascia consumare dal desiderio di dominare. Anche dopo la sua morte, la sua leggenda continua a vivere, un ricordo spettrale che incute ancora timore e rispetto.
Il mondo de Il Signore degli Anelli non smette mai di incantare fan di tutte le età, e ora, grazie al genio creativo di Antoine Bauza e Bruno Cathala, si arricchisce di un nuovo capitolo ludico: Duel for Middle Earth. Questo gioco competitivo per due giocatori si ispira al celebre Seven Wonders Duel e promette di immergere i partecipanti in una battaglia strategica per il dominio della Terra di Mezzo.
In Duel for Middle Earth, i giocatori possono vestire i panni dei protagonisti della Compagnia dell’Anello o assumere il ruolo di Sauron, il Signore Oscuro. Ogni partita si sviluppa in tre capitoli, ognuno dei quali propone sfide strategiche volte a raggiungere una delle tre condizioni di vittoria: completare l’Impresa dell’Anello, raccogliere il supporto di sei Razze diverse, o conquistare la Terra di Mezzo. Questa varietà di opzioni rende ogni partita unica, con strategie sempre diverse e sempre avvincenti.
Il gameplay del gioco è costruito con grande attenzione ai dettagli. Ogni turno permette ai giocatori di potenziare le proprie abilità, accumulare risorse e espandere la propria influenza sulla mappa della Terra di Mezzo. La pianificazione è fondamentale, e la raccolta dell’aiuto delle Razze o il progresso nell’Impresa dell’Anello richiedono una costante riflessione su ogni mossa. La sfida non è solo quella di completare la missione, ma di anticipare e ostacolare le azioni dell’avversario.
La scelta tra schierarsi dalla parte della luce o delle forze oscure non è solo una preferenza, ma determina il tipo di strategia da adottare. Chi gioca con la Compagnia dell’Anello dovrà proteggere Frodo e Sam, difendendo il cammino verso il Monte Fato. Dall’altra parte, Sauron deve muovere le sue truppe con astuzia, cercando di distruggere le città nemiche e ostacolare il viaggio dell’Anello. Ogni mossa può cambiare le sorti della battaglia.
La scatola di Duel for Middle Earth include tutti gli strumenti necessari per un’esperienza di gioco completa: una plancia centrale, un tracciato suddiviso in quattro elementi, 69 carte, 44 pedine, 18 segnalini, 30 monete, 7 tessere, una scheda riassuntiva e un regolamento dettagliato. Ogni componente è progettato per arricchire l’esperienza e favorire l’immersione nel mondo fantastico di J.R.R. Tolkien, con un design che riflette la cura per i dettagli tipica dei lavori di Bauza e Cathala. Le carte e le pedine evocano personaggi e creature iconiche della saga, rendendo ogni azione un richiamo ai momenti più memorabili del racconto.
In definitiva, Duel for Middle Earth non è solo un gioco da tavolo, ma una vera e propria esperienza strategica che saprà conquistare non solo i fan di Tolkien, ma anche gli appassionati di giochi da tavolo. Le meccaniche innovative, le numerose possibilità strategiche e l’ambientazione ricca di dettagli fanno di questo gioco un must-have per le collezioni degli amanti di giochi da tavolo.
Ora non ti resta che radunare i tuoi amici, aprire la scatola e metterti alla prova in una sfida epica per decidere il destino della Terra di Mezzo. La scelta è nelle tue mani: combatterai per la libertà delle razze o cercherai di incatenare il potere dell’Unico Anello? L’avventura ti aspetta!
Il titolo dell’articolo di oggi viene da un albo a fumetti, il quinto della serie Paperinik New Adventures (PKNA#5, maggio 1997), in cui Paperinik viene “rapito” dalla sua epoca per andare a lottare contro i suoi nemici alieni, gli evroniani, in un futuro distante ma comunque familiare, e in cui è ancora ricordato e ammirato per le sue avventure.
Il titolo dell’albo vuol essere uno scherzoso rimando a Ritratto dell’artista da giovane (1916) di James Joyce.
E proprio l’avventura di Paperinik ha suscitato una riflessione, stamattina.
In Ritratto dell’eroe da giovane si parla dell’ipotetica popolarità di “Pikappa” in un futuro distante. Inoltre, anche se in numeri successivi si allude al fatto che le sue avventure abbiano avuto un termine, Paperinik è uno di quegli eroi che non invecchiano.
Per molti eroi della nostra fiction contemporanea il ritratto più amato, quello iconico per tanti appassionati, li vede nel pieno delle loro abilità, nei loro anni migliori. È questo il modello da imitare, quello che a nostra volta sogniamo di raggiungere!
Il protagonista di un film d’azione o di avventura, per quanto operi in un contesto più o meno lontano dalla nostra realtà, deve comunque rispondere ad alcuni requisiti. Forse si tratta di un’avventura fantasy o di fantascienza, o di un contesto (pseudo)storico più o meno lontano dalla nostra vita quotidiana, ma certi legami di massima con la realtà vanno mantenuti. Il lettore/spettatore deve comprendere cosa c’è in gioco, perché la partita è cruciale, e quali effetti avrà sul protagonista, sui suoi amici e affetti, e naturalmente sul mondo intero.
Per fare alcuni esempi, anche in mondi magici come quello di Frodo Baggins o di Harry Potter, il fisico umano(ide) è fragile; spade e frecce uccidono con relativa facilità, abilità e forza fisica sono aspetti rilevanti in combattimento, bisogna mangiare per vivere, e la morte è definitiva.
Davanti a queste e altre sfide, è importante avere un/una protagonista abile e capace di affrontarle. Forse è una persona timida, dall’aria comune; un eroe improbabile, e parte del valore della storia sta nella sua sorprendente trasformazione “from zero to hero” – da zero a eroe, per usare un’espressione anglosassone. Il nostro eroe o eroina sotto pressione rivelerà qualità fuori dal comune. Oppure ha già un certo bagaglio d’esperienza e si avvicina a un’impresa più difficile delle precedenti.
Forse è mosso/a dal desiderio di “fortuna e gloria”. Forse vuole rendersi utile alla comunità e proteggere la gente o la sua cerchia di amici e familiari. Oppure cerca di mostrare il proprio valore e distinguersi dalla massa, o è stato trascinato suo malgrado in una (dis)avventura.
Se è un eroe solitario, sarà importante l’abilità di cavarsela in ogni situazione. Se è membro di un team contano il gioco di squadra e l’eccellenza nei suoi campi di specializzazione. Pensate a Capitan America, Iron Man e Vedova Nera nelle loro avventure in solitaria, e al loro contributo agli Avengers. Oppure ad Achille, Ulisse, Ettore e ai loro ruoli nella Guerra di Troia secondo Omero.
Il viaggio di un eroe popolare è un’eco della nostra vita nel mondo reale.
Da giovane, si lancia all’avventura con entusiasmo e incoscienza tipici della sua età. Oppure ci rimane invischiato e sopravvive mentre altri cadono. Le difficoltà e l’esperienza lo/la fanno crescere, ne rivelano debolezze e punti di forza, cambiano il suo approccio e la visione del mondo. Ne mettono alla prova il fisico, l’intelletto e i sentimenti.
Ma per quanto sia un personaggio eccezionale e a volte sovrannaturale, le fasi della sua vita assomigliano alle nostre. La scelta di tanti bravi autori e sceneggiatori si deve al fatto che un protagonista troppo lontano dagli aspetti essenziali del nostro modo di vivere risulterebbe semplicemente estraneo e incomprensibile.
Per fare un esempio, lo stregone Gandalf è un componente essenziale della Compagnia dell’Anello di J.R.R. Tolkien, ma non è il protagonista. La sua apparente età e saggezza lo collocano naturalmente nel ruolo di guida e mentore, ma Gandalf non è umano; è uno degli Istari, creature semi-divine, spiriti in forma umanoide inviati a proteggere la Terra di Mezzo. Gandalf non invecchia come gli umani o come gli hobbit, non è cresciuto come loro e la sua “vecchiaia” non lo ostacola. Anzi; per via dei loro poteri magici, Gandalf e Saruman sono tra gli esseri più potenti della Terra di Mezzo… e per questo più suscettibili all’insidia dell’Anello. Eldrond e Galadriel a loro volta sono creature dai grandi poteri magici e di fatto sovrumane. Tolkien invece ha scelto come protagonista della sua storia più bella creature piccole, umili e generose… con tanto spazio per crescere.
Lo stile di vita avventuroso impone sfide e compromessi anche sul piano sentimentale e della famiglia.
I cavalieri itineranti tanto cari a Cervantes e al suo Don Chisciotte assomigliavano a James Bond e Indiana Jones, o ai cowboy giustizieri di una certa tradizione western, perché erano avventurieri costantemente in viaggio. È sempre forte il richiamo di luoghi esotici e lontani, e relative bellezze. Probabilmente avevano una ragazza diversa, o più di una, in ogni libro delle rispettive saghe.
Si tratta di protagonisti senza famiglia, senza legami, forse senza fratelli, sorelle o genitori. La comparsa di una relazione stabile o di una famiglia pone fine allo status di “sguinzagliato” proprio della fase giovanile della vita, fase che per la maggior parte di noi non perde mai il suo fascino e il suo richiamo.
Vedere un protagonista di storie d’azione-avventura alle prese con gli ostacoli della vita coniugale o coi figli piccoli, piace perché lo avvicina a noi, crea un collegamento virtuoso tra il suo mondo di prodezze impossibili e la nostra normale quotidianità.
Comunque nel più dei casi il raggiungimento di un traguardo importante nel campo delle relazioni rappresenta la conclusione perfetta di un ciclo di avventure.
Nella parabola della vita umana, l’eroe giovane è in ascesa; l’eroe esperto è vicino all’apice. Sono questi i momenti in cui la loro stella brilla più forte, quando c’è spazio per imparare, crescere, cambiare in meglio la propria vita e quella degli altri. Dietro l’angolo c’è una sfida ancora più grande, difficile e appassionante.
Non dovremmo essere tanto sopresi; dopotutto i romanzi d’avventura e le storie di supereroi di solito si scrivono per parlare ai giovani, specialmente ai ragazzi. Ma non solo.La giovinezza è l’età in cui l’essere umano esprime il suo potenziale e inizia a realizzarsi. Entusiasmo e irruenza sono al massimo, luci e passioni sono più intense.
Avventura e giovinezza si appartengono a vicenda; parliamo dell’epoca della vita in cui si ha ancora tutto da dare; abilità fisica, bellezza e sex-appeal sono al culmine.
In queste storie ci sono ottimismo, slancio verso il futuro, speranza. Le difficoltà non mancano ma con fatica, sforzo e sacrificio, si possono superare. Se l’eroe viene messo alla prova cresce, impara e si sviluppa; altrimenti ristagnerebbe. Di solito si rivela e realizza nel momento in cui sembra sul punto di cedere, di spezzarsi… e invece prevale.
L’assetto, il carattere e l’umore di un’intera cultura si possono studiare a partire dalle storie che produce, e da quelle che preferisce. C’è un legame tra l’avventura di oggi e l’epica antica, e il pubblico lo sente: è un modo di parlare dei propri sogni e aspirazioni, di mettere in campo il proprio meglio.
L’importanza della giovinezza, dell’entusiasmo e del potenziale è una delle ragioni per cui i nostri eroi preferiti di solito “non invecchiano” o sono sempre raccontati nel periodo più brillante della loro vita. Se invece smettono le loro imprese per dirigere altri o per insegnare, spesso lasciano il mantello a nuovi personaggi, ai loro allievi.
Questi eredi, per citare Star Trek – Rotta verso l’Ignoto, non possono sostituire il loro maestro, ma solo succedergli. Nel passaggio del testimone c’è il naturale cambio delle generazioni, e il peso dell’incarico dovrebbe ricadere su spalle abili e capaci.
In fondo, quello dell’avventura è un mestiere molto impegnativo, e un eroe/eroina è un po’ come un atleta che stupisce, fa spettacolo con prodezze e virtuosismi ma raggiunto un certo limite di età, si ritira. Forse diventerà allenatore, forse dirigente sportivo, forse qualcos’altro, ma in ogni caso la vita continua, probabilmente a bordocampo e non più nel pieno dei riflettori.
Allora su quale periodo della sua vita dirigere “la telecamera”? Per molti di noi la risposta è semplice, in realtà.
In una storia d’avventura, mostrare il protagonista in lotta coi confini dell’età che gli si stringono attorno rappresenta l’eccezione: l’estrema e forse disperata missione, un’ultima scorribanda in onore dei “vecchi tempi”. La sola idea basta a far salire la tristezza, e un’ampia fetta di pubblico non vuole tanta malinconia nel suo “piatto” di avventura. Vuole un campione abile e pronto alla sfida, sempreverde.
Abbiamo davvero voglia di conoscere il definitivo tramonto di un eroe, del suo modello e dei suoi valori?
Gli eroi, in particolare quelli senza super-poteri, sono persone che si spingono al limite. Stupiscono come l’atleta. Ci ispirano, spingono a cercare i campi in cui noi stessi possiamo migliorare, crescere ed eccellere. Il declino è per definizione lontano dall’età dell’oro, dalle cime a cui i nostri giovani ambiscono.
Un personaggio che esiste solo nei libri, nei fumetti o nei videogiochi e non è vincolato al volto di un attore, potrebbe rimanere sempre giovane in senso letterale: il mondo intorno cambia, ma lui/lei non invecchia.
Altri eroi invece ottengono la consacrazione definitiva proprio nell’estremo sacrificio. Muoiono giovani e quindi non invecchieranno mai, li ricorderemo sempre al loro massimo.
Ciascuno di noi ha presente un ventaglio di personalità reali che sono entrate nel mito proprio perché non l’età non le ha mai appassite.
Non dimentichiamo che Achille, Ulisse ed Ercole non sono morti di vecchiaia.
Proprio per evitare la dimensione tragica e inevitabile del declino si preferisce chiudere la storia in bellezza, o concentrare “l’occhio della telecamera” sul periodo di massimo splendore del nostro eroe. Non abbiamo bisogno di conoscere il crepuscolo tristemente umano dei nostri beniamini; è meglio lasciare il tavolo quando si sta vincendo, ritirarsi dalle scene a testa alta e lasciare lo spettatore con una promessa e la libertà d’immaginare il miglior futuro per i suoi inossidabili eroi, col sorriso sulle labbra.