Nella grande sinfonia della creazione, dove il destino degli uomini e degli elfi si intreccia alle ombre di antichi terrori e alla luce di eroi immortali, vi sono nomi e figure che, pur essendo ormai sepolti sotto il velo del tempo, risuonano ancora nei canti degli aedi più eruditi. E tra queste leggende dimenticate, nella Festa Nazionale del Gatto, ci rivolgiamo a una creatura singolare, forgiata nelle primissime trame della mitologia di Arda: Tevildo, il Principe dei Gatti, oscuro signore di una progenie feroce e astuta, il cui nome echeggiava nei primordi della Prima Era come uno degli araldi del male.
Nei giorni antichi, quando il mondo era ancora giovane e il potere di Morgoth si estendeva come un’ombra strisciante da Angband sino ai confini estremi della terra, vi erano molte creature sotto il suo dominio. E tra esse, prima che il crudele Sauron emergesse a compiere le sue tetre macchinazioni, vi fu un altro signore, il cui regno era fatto di silenzio e oscurità, di artigli che squarciavano la notte e di occhi fiammeggianti nella tenebra. Costui era Tevildo, il primo e più potente dei gatti, colui che regnava su un’orda di fiere dalle zampe furtive e dai denti aguzzi come pugnali.
Il suo nome, Tevildo, giunge dalle antiche lingue elfiche, laddove il Quenya gli attribuisce il titolo di “Principe dei Gatti” e nelle lingue più arcaiche, come il Gnomico, veniva evocato con appellativi quali Bridhon Miaugion, Tifil Miaugion e Vardo Meoita, tutti riecheggianti la sua sovranità sul popolo felino. Ma chi era realmente questa enigmatica creatura, il cui ricordo svanì nelle nebbie del tempo, soppiantato da malvagità ancor più terribili?
Si narra che Tevildo fosse un essere di potere e malignità singolari. Il suo corpo era avvolto da una pelliccia nera come la notte senza stelle, così fitta e scura da sembrare un frammento di tenebra vivente. I suoi occhi, due fessure ardenti, brillavano di riflessi vermigli e verdi, mentre le sue lunghe vibrisse grigie erano affilate come lame d’acciaio. Nessun suono si udiva quando camminava, eppure il suo respiro risuonava come il brontolio dei tamburi di guerra, e le sue fusa si propagavano nell’aria come un sussurro inquietante, simile al vento tra le rovine di un regno caduto.
La sua dimora si ergeva in un luogo oscuro e nascosto, una fortezza segreta celata nelle ombre di Angband, dove i suoi servitori, gatti malvagi e famelici, si aggiravano come spettri, servendo il loro principe con zelo crudele. Pochi osavano avvicinarsi ai suoi domini, e nessuna creatura osava sfidarlo – fatta eccezione per un solo avversario: Huan, il grande mastino di Valinor, il cui destino sarebbe stato intrecciato con quello di Lúthien, la più bella tra le figlie degli elfi.
“Tevildo sedeva dinanzi a tutti ed era un gatto potente e nero come il carbone e d’aspetto terribile. Aveva occhi a mandorla, allungati e molto stretti, dai quali uscivano luccichii rossi e verdi, e le sue grandi vibrisse grigie erano forti e affilate come aghi”
Beren e Lúthien, “Il racconto di Tinùviel”
E così il nome di Tevildo si lega indissolubilmente a uno dei racconti più antichi della Terra di Mezzo: la leggenda di Beren e Lúthien, i cui destini furono posti sotto la luce e l’ombra di grandi potenze. Nei tempi in cui Beren, uomo tra i più nobili del suo tempo, si avventurò nelle terre proibite nel tentativo di conquistare il cuore della figlia di Thingol, egli venne infine catturato dagli Orchi di Morgoth. Fu portato innanzi a Tevildo, il quale, compiacendosi della sua prigionia, lo condannò a servire nelle cucine della sua oscura roccaforte, riducendolo a un misero schiavo tra i vapori e il fetore delle sue sale.
Ma l’amore di Lúthien era una fiamma che non si spegneva. Con l’astuzia e la determinazione di coloro che sfidano il destino, ella si presentò dinanzi al Principe dei Gatti, fingendo di essere una fuggitiva in cerca di rifugio. Con parole dolci come il miele e false come l’inganno, ella lo persuase a lasciarsi avvicinare, mentre nell’ombra Huan attendeva il momento propizio. E quando infine la trappola scattò, la battaglia fu breve ma feroce. Huan, possente e indomito, si scagliò contro Tevildo, i suoi denti affondarono nel nero manto del nemico e i suoi artigli squarciarono le carni del Principe dei Gatti. Ferito e umiliato, Tevildo fuggì, rifugiandosi sui rami più alti di un albero maledetto, dove tremò per la prima volta in vita sua.
Alla fine, sapendo che la sconfitta era inevitabile, Tevildo cedette. Con riluttanza, egli consegnò a Lúthien il suo collare d’oro, un gioiello dal potere arcano che era fonte della sua forza. E con esso, rivelò la formula per spezzare l’incantesimo che proteggeva la sua dimora. Così Beren fu liberato, e il dominio del Principe dei Gatti si infranse per sempre. Umiliato e spogliato della sua gloria, Tevildo scomparve dalle cronache, e mai più si udì il suo nome nelle terre di Arda.
Ma il suo ricordo non perì del tutto. Poiché quando Tolkien rielaborò i suoi scritti, affinando la sua mitologia e rendendo più solido il tessuto narrativo del Silmarillion, il ruolo di Tevildo venne infine rimpiazzato da Sauron, la cui figura oscura avrebbe retto il vessillo del male per epoche a venire. Eppure, in quegli angoli dimenticati dei Racconti Perduti, ove risuonano ancora gli echi delle storie primigenie, il Principe dei Gatti continua a camminare, con passi silenziosi e occhi fiammeggianti, tra le ombre della leggenda.