“Gremlins 2 – La nuova stirpe” compie 35 anni e, nonostante non abbia mai raggiunto la stessa fama del suo predecessore, è diventato un cult del cinema anni ’90. Diretto da Joe Dante e distribuito nelle sale italiane il 13 luglio 1990, il sequel di “Gremlins” (1984) si distacca dal classico horror per famiglie, abbracciando una comicità più demenziale e parodistica, e sfruttando appieno le potenzialità degli effetti speciali dell’epoca. Il film, purtroppo, non ottenne il successo sperato al botteghino, ma è rimasto nella memoria degli appassionati per la sua irriverente visione del mondo e per la galleria di nuove e grottesche creature che popolano il suo universo.
A distanza di sei anni dall’originale, Joe Dante porta di nuovo sul grande schermo il piccolo Gizmo e i suoi malefici simili, stavolta in una frenetica e caotica Manhattan. La trama di “Gremlins 2 – La nuova stirpe” ci riporta a New York, dove Billy (Zach Galligan) e Kate (Phoebe Cates) lavorano nella Clamp Enterprises, un grattacielo che diventa teatro di disastri quando i gremlins fanno il loro ritorno. La storia si sviluppa attorno a un evento tragicomico: l’anziano signor Wing muore e il negozio che custodisce Gizmo viene abbattuto per far posto all’edificio della Clamp. All’interno di questo grattacielo si nasconde ancora il mitico mogwai, e quando finisce nelle mani sbagliate, inizia una catena di eventi che porterà alla nascita di una nuova generazione di gremlins, ancora più pericolosi e inaspettati.
Un cambiamento significativo rispetto al primo film riguarda l’umorismo. Se “Gremlins” si affidava a un tono più cupo, arricchito da un’ironia nera, il sequel si orienta verso un linguaggio più leggero e decisamente campy. Dante infatti non si limita a continuare la storia, ma la rielabora in chiave meta-cinematografica, usando la trama per fare satira sul fenomeno dei sequel, dei remake e dei fenomeni mediatici dell’epoca. In questa versione, l’ironia si fa pungente, prendendo in giro personaggi pubblici come Donald Trump, magnati dei media come Ted Turner, e l’intero sistema della televisione via cavo, per non parlare delle citazioni a film iconici come “Il mago di Oz” e “Il maratoneta”.
La novità assoluta di questo capitolo risiede nel suo approccio al gore e al comico, che, pur mantenendo l’anarchia tipica della serie, abbandona la violenza dark per virare su uno stile più spinto nelle gag e nei riferimenti culturali. Le mutazioni dei gremlins, da vampiro a pipistrello, da intellettuale a ragno gigante, non sono solo bizzarre ma anche un esplicito omaggio all’evoluzione dei generi cinematografici e agli effetti speciali. Grazie al lavoro di Rick Baker, premio Oscar per il trucco e gli effetti speciali, “Gremlins 2” ci regala una straordinaria serie di trasformazioni che, seppur grottesche, affascinano per la loro innovazione visiva.
Ma nonostante questi pregi, “Gremlins 2” non riesce a eguagliare il fascino dell’originale. Il primo film aveva il merito di mescolare perfettamente umorismo nero e horror, riuscendo a mantenere il tono giusto anche durante le scene più inquietanti. Al contrario, il sequel spesso sfocia nel puro nonsense, creando un’atmosfera più da cartone animato che da film di genere, tanto che alcuni spettatori si sono trovati spiazzati da un cambiamento di tono così radicale. La critica ha accolto il film con recensioni contrastanti, e la pellicola ha fallito al botteghino, rimanendo un episodio isolato nella saga.
Il vero cuore di “Gremlins 2” risiede nella sua capacità di ridicolizzare il concetto stesso di sequel, con una serie di riferimenti e citazioni che non solo mettono alla berlina il fenomeno hollywoodiano, ma offrono anche una riflessione sulla proliferazione di film che puntano su più franchise per attrarre il pubblico. Dante, con il suo stile unico, non ha mai nascosto il suo amore per il cinema e per l’assurdo, e questo sequel si conferma come una delle sue opere più personali, pur essendo meno “importante” del primo film.
Alla fine, nonostante i suoi difetti, “Gremlins 2” rimane una perla da riscoprire per chi ha voglia di divertirsi con una satira fuori dagli schemi, capace di parlare con intelligenza del cinema, della cultura popolare e del fandom, mentre esplora il caos e la follia che solo i gremlins possono creare. Il film, pur non avendo ottenuto il successo sperato, si è guadagnato nel tempo uno status di culto, soprattutto tra gli appassionati di cinema nerd e di horror demenziale, che lo apprezzano per la sua bizzarria e il suo spirito dissacrante.
Quante volte avete visto video di personaggi famosi che fanno cose assurde, o peggio, di persone comuni messe in situazioni imbarazzanti, e avete pensato: “Ma è vero o è un deepfake?”. Beh, il fenomeno è sempre più diffuso, e le conseguenze possono essere devastanti. Ma c’è una nazione, la Danimarca, che ha deciso di dire “BASTA!” e di passare all’attacco. Preparatevi, perché il loro approccio è qualcosa di rivoluzionario.
Il Tuo Volto, la Tua Voce: È Tutto Copyright!
La Danimarca è pronta a mandare un segnale fortissimo a chiunque si prenda la libertà di usare le sembianze (volti, corpi, voci) di altre persone per scopi loschi: crimine, diffamazione, o semplicemente per vendetta. Il governo danese sta riformando la legge sul copyright per garantire a ogni cittadino il diritto d’autore sulle proprie fattezze. Sì, avete capito bene: il vostro viso, il vostro corpo e la vostra voce diventeranno di vostra esclusiva proprietà, legalmente parlando.
Questo è un progetto di legge unico in Europa, una mossa decisa per rispondere all’escalation dei deepfake. Il ministro della Cultura danese, Jakob Engel-Schmidt, l’ha spiegato chiaramente al Guardian: “Stiamo inviando un messaggio inequivocabile: tutti hanno il diritto al proprio corpo, alla propria voce e al proprio volto, cosa che a quanto pare non è garantita dalla legge attuale riguardante la protezione contro l’intelligenza artificiale generativa“. Praticamente, un vero e proprio scudo legale contro la clonazione digitale!
Deepfake: Cosa Cambia Davvero con la Nuova Legge?
La nuova legge danese proteggerà i cittadini dai deepfake, quei video iper-realistici (spesso creati con l’IA) che possono avere conseguenze distruttive per le vittime. Immaginate: se un vostro “doppio” digitale appare in un video senza il vostro consenso, potrete chiedere alla piattaforma di rimuoverlo immediatamente e, attenzione, chiedere anche un risarcimento.
E non finisce qui! La legge coprirà anche le “imitazioni realistiche e digitalmente generate” delle performance degli artisti, diffuse senza il loro permesso. C’è però un’eccezione importante: satira e parodia saranno ancora permesse. Quindi, i meme e le clip divertenti con i vostri personaggi preferiti sono salvi, almeno per ora!
Engel-Schmidt ha usato una metafora potente per spiegare l’urgenza di questa riforma: “Gli esseri umani possono essere passati attraverso una fotocopiatrice digitale e usati in modo improprio per ogni tipo di scopo”. E se pensiamo a quanto velocemente un video fake di un canguro con la carta d’imbarco può diventare virale e sembrare vero, è facile capire quanto un deepfake ben fatto possa fare danni irreparabili alla reputazione e alla vita di una persona reale.
La Danimarca sta tracciando una strada importante per il futuro della nostra identità digitale. È un primo passo verso un mondo in cui il “furto” di persona online sarà finalmente punito come un crimine. Che ne pensate? È arrivato il momento che anche altri paesi seguano l’esempio danese? Fatecelo sapere nei commenti!
Nel 2024, il mondo del cinema nerd ha vissuto un terremoto inaspettato: la cancellazione di “Coyote vs. Acme” da parte di Warner Bros. Discovery. Una decisione che ha lasciato basiti i fan e gli addetti ai lavori, soprattutto perché il film era già stato completato e aveva ricevuto recensioni entusiastiche dalle prime proiezioni di prova. Un’ingiustizia? Un errore? Forse entrambe le cose. Ma ora, dopo mesi di incertezza, la storia sembra aver preso una svolta inaspettata: “Coyote vs. Acme” arriverà finalmente nelle sale grazie a Ketchup Entertainment.
Il film, un ambizioso mix tra live-action e animazione, racconta la bizzarra vicenda di Willy il Coyote che, esasperato dai continui fallimenti dei prodotti Acme, decide di portare l’azienda in tribunale. Un’idea geniale che trasforma il classico inseguimento con Beep Beep in una satira esilarante sul sistema legale e sul capitalismo sfrenato. A guidare la battaglia legale del Coyote c’è l’avvocato interpretato da Will Forte, mentre John Cena veste i panni del rappresentante legale della Acme, pronto a difendere l’azienda con ogni mezzo. Il tutto condito dalla mano esperta di James Gunn, qui in veste di produttore, che ha garantito un mix esplosivo di comicità, azione e nostalgia.
Quando Warner Bros. Discovery ha deciso di cancellare il film per ottenere un risparmio fiscale di circa 30 milioni di dollari, la notizia ha scatenato una vera e propria sommossa digitale. Fan, registi e attori si sono uniti nel condannare la decisione, con John Cena e Lana Condor tra le voci più critiche. Il film, inizialmente destinato a essere il quarto capitolo della saga ibrida dei Looney Tunes, sembrava destinato a scomparire nel limbo dei progetti mai realizzati. Perfino il tentativo di venderlo ad altri studi si era arenato, lasciando l’opera in un doloroso oblio cinematografico.
Ma, proprio quando sembrava che il sipario fosse calato per sempre, ecco la svolta: Ketchup Entertainment ha acquisito i diritti mondiali del film e ha annunciato che “Coyote vs. Acme” uscirà nei cinema. Gareth West, CEO della società, ha dichiarato: “Siamo entusiasti di portare questo film al pubblico di tutto il mondo. ‘Coyote vs. Acme’ è un perfetto equilibrio tra nostalgia e narrazione moderna, catturando l’essenza dei Looney Tunes e presentandoli a una nuova generazione.”
Un ritorno trionfale che sa di rivincita per tutti coloro che hanno creduto nel progetto. E, ironia della sorte, il film potrebbe rivelarsi un successo clamoroso proprio grazie alla controversia che lo ha circondato. Il pubblico, ormai affezionato alla battaglia per la sua salvezza, potrebbe premiare “Coyote vs. Acme” al botteghino, trasformando quella che sembrava una condanna definitiva in un lieto fine degno di un classico episodio dei Looney Tunes.
Dunque, dopo un’odissea lunga e tortuosa, Willy il Coyote ha finalmente ottenuto la sua rivincita. La domanda ora è: riuscirà “Coyote vs. Acme” a conquistare il pubblico e dimostrare che la creatività può ancora vincere sulle logiche aziendali? Lo scopriremo presto, ma una cosa è certa: questa storia ha già lasciato il segno nella cultura pop.
Quando la serie animata per adulti Common Side Effects è stata rinnovata per una seconda stagione, non ci sono stati dubbi che stessimo parlando di una delle produzioni più audaci e originali degli ultimi anni nel panorama televisivo. Creata da Joseph Bennett e Steve Hely, la serie ha già conquistato il pubblico e la critica con il suo mix perfetto di umorismo, satira sociale e un’estetica visiva che ha rivoluzionato l’animazione per adulti. Ma cosa ci possiamo aspettare dalla seconda stagione, che arriva dopo un primo capitolo che ha già lasciato il segno nel mondo delle serie per un pubblico maturo? La risposta è semplice: più risate, più intrighi e, soprattutto, una continua esplorazione dei temi più scottanti della nostra società, il tutto condito con un pizzico di follia psichedelica.
La trama di Common Side Effects ruota attorno alla scoperta di un fungo dalle incredibili proprietà curative, il Blue Angel, che potrebbe teoricamente guarire qualsiasi malattia. Dopo averlo scoperto, i protagonisti Marshall e Frances si ritrovano coinvolti in una cospirazione che riguarda una delle maggiori aziende farmaceutiche del mondo, la Reutical Pharmaceuticals. La compagnia, insieme al governo, sta cercando in ogni modo di occultare la verità sul fungo, per non compromettere il suo monopolio sulla salute globale. Questo scenario, che sembra uscito da un incubo distopico, è il terreno fertile per le vicende di Common Side Effects, una serie che non teme di trattare argomenti controversi con l’irriverenza tipica dell’animazione per adulti, ma lo fa con una profondità rara, senza mai dimenticare il suo scopo principale: far ridere e intrattenere.
Quello che ha conquistato il pubblico nella prima stagione è stata proprio la sua capacità di mescolare il grottesco con il brillante. I personaggi sono tanto improbabili quanto affascinanti: Marshall, l’esperto di funghi interpretato da Dave King, è un uomo cauteloso e riflessivo, ma anche un po’ cinico; Frances, la sua vecchia amica di liceo, è una figura più pragmatica, inizialmente scettica ma pronta a sfruttare qualsiasi opportunità per migliorare la vita della madre, affetta da demenza. Il loro rapporto, che mescola nostalgia, rivalità e alleanze improbabili, è il cuore pulsante della serie, ed è proprio questa dinamica a dare spessore ai temi trattati, come la lotta contro le grandi corporazioni, l’avidità e l’autoinganno.
La seconda stagione, che si prepara a esplorare ulteriormente l’universo di Common Side Effects, promette di portare la serie a un livello ancora più alto. I creatori hanno dichiarato di voler spingere ulteriormente i limiti dell’animazione, creando un’esperienza visiva che non solo arricchisce la narrazione, ma sfida anche le convenzioni stesse della forma. La psichedelia, che già nella prima stagione aveva fatto capolino in modo sottile, diventa ora una presenza più marcata, con sequenze oniriche e surreali che non solo riflettono lo stato mentale dei protagonisti, ma offrono anche un commento visivo sui temi trattati, come la manipolazione del sistema sanitario e l’ossessione per il controllo.
Il cast vocale della serie, che già nella prima stagione aveva saputo mescolare comicità e profondità emotiva, ritorna con personaggi altrettanto memorabili. Marshall e Frances continuano a essere il centro della trama, ma nuove figure entrano in scena, pronte a complicare ulteriormente le cose. Da Rick Kruger, l’incompetente e grottesco CEO della Reutical, doppiato dal leggendario Mike Judge, agli agenti della DEA Copano e Harrington, che portano un elemento di umorismo nero nella storia, ogni personaggio è pensato per sfidare le convenzioni dei ruoli tipici delle serie animate. A questi si aggiungono nuovi personaggi che promettono di arricchire il quadro narrativo con conflitti ancora più complessi e, sicuramente, molte più risate.
La serie non è solo una riflessione sull’abuso di potere da parte delle grandi aziende farmaceutiche, ma un vero e proprio viaggio nella cultura contemporanea, nella sua lotta per l’autosufficienza e la ricerca della verità in un mondo che sembra sempre più incline a manipolare la realtà per il proprio tornaconto. La seconda stagione sarà probabilmente ancora più tagliente, con una critica sociale che si fa più esplicita e una satira che si fa più pungente. Il tutto, naturalmente, condito da un umorismo che non ha paura di osare, con un tono che flirta spesso con il surreale e l’assurdo, ma senza mai perdere di vista il messaggio centrale.
Un altro elemento che ha reso Common Side Effects una serie di successo è stato il suo approccio all’animazione, che si distingue dalla tradizione con uno stile unico e visivamente affascinante. La scelta di un’animazione espressiva, capace di alternare momenti di comicità visiva ad altri più intensi e drammatici, è ciò che ha reso la serie così coinvolgente. In questa seconda stagione, possiamo aspettarci che l’aspetto visivo continui a evolversi, con sequenze che riflettono le dinamiche psicologiche dei personaggi e dei loro viaggi interiori, unendo la forma e la sostanza in modo mai visto prima nell’animazione per adulti.
L’elemento che davvero distingue Common Side Effects dalle altre serie del genere è il suo approccio al concetto di “cura”. Mentre molte serie di animazione per adulti si concentrano su argomenti più generali come la ribellione o il caos sociale, Common Side Effects scava nel profondo del sistema sanitario, mettendo in discussione la realtà di ciò che è considerato curativo e analizzando le sfide morali e etiche legate al controllo delle informazioni vitali per l’umanità. La seconda stagione avrà sicuramente molto da dire su questi temi, continuando a esplorare il confine tra cura e sfruttamento, tra scienza e industria.
Il Polo Fiere di Lucca è stato per due giorni il cuore pulsante di un evento che ha saputo incantare migliaia di appassionati provenienti da tutta Italia: l’ottava edizione di Lucca Collezionando, un festival che ha messo in luce le diverse sfumature della cultura del fumetto vintage-pop. La manifestazione, che si è conclusa ieri, ha celebrato il fumetto, i giochi da collezione e le forme di intrattenimento analogico, con un focus particolare sul ritorno alla lentezza e alla convivialità di un intrattenimento che non ha bisogno della tecnologia per stupire. Lucca Collezionando si è affermato come un evento unico, pensato per chi desidera vivere e assaporare ogni momento della propria passione, ma anche per chi cerca di scoprire nuovi orizzonti culturali. Famiglie, appassionati di ogni età, giovani lettori, giocatori e collezionisti hanno dato vita a una gioiosa comunità, capace di attraversare generazioni e di unire le varie anime della cultura pop.
L’edizione di quest’anno è stata la più ricca di sempre, con oltre 120 ospiti provenienti dal mondo del fumetto. Più di 170 espositori hanno presentato una vasta gamma di pezzi da collezione, tavole originali, giochi da tavolo, miniature, figurine e carte da collezione. Tra i presenti c’erano 23 editori, 40 fumetterie, 9 negozi specializzati in tavole originali, 22 realtà focalizzate su collectibles e vintage toys, oltre a numerosi collezionisti, associazioni ludiche e community del fumetto, che hanno partecipato attivamente a una delle manifestazioni più attese dell’anno. Un altro record per questa edizione è stato l’afflusso delle autoproduzioni e delle realtà underground, con 12 collettivi e oltre 30 autori e autrici presenti nella tanto apprezzata Artist Alley. Un aspetto molto apprezzato dai visitatori sono state le 8 mostre e gli omaggi artistici realizzati in fiera, che hanno arricchito l’esperienza culturale, e le decine di incontri che hanno avuto luogo al PalaDedicando e negli stand. Questi eventi, che includevano firmacopie, sketch e dibattiti, hanno offerto numerosi spazi di incontro tra il pubblico e gli artisti, consolidando il carattere interattivo della manifestazione.
Una delle aree più apprezzate dai partecipanti è stata sicuramente quella dedicata al gioco. Le aree Sali e gioca e l’Area Lounge hanno permesso a famiglie e visitatori di godere di momenti di svago condiviso, con giochi da tavolo, videogame Arcade, tornei e dimostrazioni che hanno fatto da cornice a un’atmosfera di relax e divertimento. Questi spazi hanno offerto l’opportunità di far incontrare diverse generazioni di appassionati, portando un tocco di nostalgia e piacere per il gioco in stile vintage.
Una delle novità più importanti di quest’edizione è stata la Press Factory, uno spazio dedicato alla riflessione sul rapporto tra fumetto e giornalismo, organizzato in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti della Toscana, la Fondazione Ordine dei Giornalisti della Toscana e il Circolo della Stampa di Lucca. In questo contesto si sono svolti quattro incontri molto partecipati, che hanno visto protagonisti alcuni dei nomi più noti del fumetto e della critica, tra cui Mario Natangelo, Marco Rizzo, La Tram, Shannice Alogaga e Yasmina Pani. Questi incontri sono stati un’opportunità imperdibile per approfondire il legame tra la Nona Arte e il giornalismo, esplorando tematiche che spaziano dalla narrazione alla critica sociale.
Lucca Collezionando è anche un’occasione per premiare i grandi del fumetto e dell’illustrazione. Durante la manifestazione sono stati assegnati numerosi premi, tra cui il riconoscimento alla fumettista e illustratrice Laura Scarpa, al disegnatore Lele Vianello e all’illustratore fantasy Dany Orizio. Un momento particolarmente significativo è stato la consegna del premio “Città di Lucca – Ettore Borzacchini”, dedicato alla satira e istituito in memoria di Giorgio Marchetti, che è andato all’autore Francesco Natali. Questo premio, così come il premio “Buduàr” a Athos Careghi e il premio “Omino Bufo” a Alessandro Perugini, sono stati simboli di un legame forte e duraturo tra il mondo del fumetto e la città di Lucca. In particolare, il premio “Omino Bufo”, istituito in memoria di Sergio Castelli, ha voluto rendere omaggio a un’ironia che ha saputo conquistare generazioni di lettori con la sua leggerezza e profondità. La vedova dell’autore, Anna Castelli, ha voluto condividere un messaggio toccante che ha sottolineato l’importanza dell’umorismo come strumento di comunicazione universale, una riflessione che ha emozionato il pubblico.
L’edizione di Lucca Collezionando 2025 ha quindi offerto un’esperienza ricca e variegata, ma ha anche idealmente segnato l’inizio del lungo viaggio verso il Lucca Comics & Games del prossimo anno, che si terrà dal 29 ottobre al 2 novembre 2025. Tuttavia, l’attesa non è destinata a rimanere lunga, dato che Lucca ospiterà un altro evento imperdibile dal 4 al 6 aprile 2025: VerdeMura, la più importante manifestazione italiana dedicata ai fiori, piante e giardinaggio. Anche in questo caso, il Polo Fiere di Lucca si preparerà a offrire uno spazio unico, con oltre 170 espositori e vivaisti provenienti da tutto il mondo. Un’opportunità ideale per gli appassionati del settore, che potranno immergersi nel verde e nella bellezza delle piante, in un’atmosfera altrettanto vibrante e coinvolgente.
Concludendo, Lucca Collezionando 2025 ha confermato ancora una volta la propria unicità, non solo come appuntamento per gli amanti del fumetto e dei giochi da collezione, ma anche come evento capace di unire cultura, arte e divertimento, per tutti coloro che cercano un incontro autentico con le proprie passioni.
Chi si aspettava la solita serie comica di Maccio Capatonda, quella fatta di battute surreali, personaggi grotteschi e situazioni che sfiorano il ridicolo, probabilmente resterà sorpreso da Sconfort Zone, una produzione che si allontana nettamente dai suoi lavori precedenti. Disponibile su Prime Video dal 20 marzo, la serie si presenta come un’esperienza decisamente più complessa e inquietante di quanto ci si possa immaginare. Non solo per il suo tono più introspettivo e riflessivo, ma anche per la capacità di Maccio di giocare con la propria immagine pubblica e di mettere a nudo la propria crisi creativa in modo inedito e audace.
Il Maccio Capatonda che ci viene mostrato in Sconfort Zone non è il personaggio da comicità demenziale che tutti conosciamo, ma un uomo vulnerabile, incapace di trovare la sua strada in un mondo che sembra fagocitare ogni sua idea originale. La premessa della serie è semplice quanto destabilizzante: il nostro protagonista è in crisi creativa da mesi e l’incapacità di scrivere la sua nuova serie lo porta a confrontarsi con una realtà che lo spinge a fare i conti con se stesso. È proprio in questo momento di sconforto che entra in gioco il dottor Braggadocio (interpretato da Giorgio Montanini), un terapeuta eccentrico che propone una cura bizzarra: una terapia d’urto che spinge Maccio a vivere una sfida diversa ogni settimana, affrontando le sue più grandi paure e uscendo dalla sua zona di comfort. Non si tratta di una cura per il blocco creativo, ma di un vero e proprio processo di distruzione e ricostruzione interiore.
Ogni episodio di Sconfort Zone è un viaggio psicologico che vede Maccio immergersi in esperienze che mettono a dura prova la sua capacità di adattamento e, al tempo stesso, la sua sanità mentale. Costretto a fingere di essere malato terminale, tradire la sua fidanzata, partecipare a un talent show o affrontare altre sfide paradossali, il protagonista si trova a confrontarsi con una realtà surreale che va ben oltre il semplice esercizio comico. La commistione di umorismo, angoscia esistenziale e satira sociale crea un equilibrio difficile da raggiungere, ma che riesce perfettamente a restituire una visione complessa e multistrato della crisi artistica.
Se ci si aspettava la consueta ironia grottesca e dissacrante di Maccio Capatonda, Sconfort Zone sorprende con la sua audace messa in scena della discesa negli inferi creativi di un uomo alla ricerca di se stesso. L’approccio alla comicità è completamente diverso: qui non si tratta più di parodie di realtà, ma di un’esplorazione della crisi artistica che rasenta il surreale. La serie attinge a piene mani dalla letteratura postmoderna e dal cinema d’autore, richiamando l’atmosfera inquietante delle opere di Pirandello e la poesia onirica di Fellini, con un tocco di distopia digitale che riflette sulle contraddizioni del mondo moderno. La riflessione che ne emerge non è solo sulla creatività, ma sul rapporto di ogni artista con l’industria culturale che lo sovraintende, un sistema che consuma e restituisce ogni idea originale sotto forma di contenuti usa e getta.
Un altro aspetto che distingue Sconfort Zone è il cast di supporto, che contribuisce notevolmente a creare l’atmosfera di disorientamento e straniamento che permea la serie. Giorgio Montanini regala una performance straordinaria nei panni di Braggadocio, il manipolatore psicoterapeuta che sembra avere un potere quasi sovrannaturale nel portare Maccio oltre i propri limiti. Valerio Lundini, Edoardo Ferrario e Fru offrono una presenza costante come le voci della coscienza di Maccio, dando vita a un dialogo interiore che diventa sempre più frammentato e confuso. La performance di Francesca Inaudi, nei panni della fidanzata di Maccio, aggiunge una componente emotiva che fa da contrappunto alla follia crescente del protagonista. Ma la vera rivelazione della serie è Valerio Desirò, che interpreta una sorta di Virgilio moderno, un personaggio che accompagna Maccio nel suo viaggio allucinante attraverso le sfide artistiche e personali. Il suo personaggio, incarna il caos, l’assurdo e la poesia, donando alla serie una dimensione ulteriore, un aspetto di inevitabilità poetica che non lascia indifferenti.
Nonostante il tono più introspettivo e riflessivo, Sconfort Zone non perde mai il suo spirito comico, ma gioca su un altro livello. Ogni episodio si trasforma in un’esperienza visiva e mentale che alterna momenti di pura ilarità a situazioni che provocano disagio, creando una tensione che stimola lo spettatore a porsi domande sul significato dell’arte e sul ruolo dell’artista nell’era digitale. La serie sfida apertamente lo spettatore, sollevando interrogativi scomodi: è davvero possibile essere liberi in un’industria che impone la ripetizione infinita dei medesimi schemi? Fino a che punto un artista può mantenere la propria identità in un sistema che tende a uniformare e standardizzare ogni contenuto? Dove finisce la maschera e inizia l’artista vero e proprio? Sconfort Zone è una serie che, pur non rinunciando alla sua componente comica, va ben oltre i confini della parodia. È un’opera che sfida le convenzioni, mette in discussione il valore dell’arte e riflette sul mondo contemporaneo con una lucidità inquietante. Chi cerca solo il Maccio Capatonda di un tempo troverà in Sconfort Zone un mondo che lo farà ridere, ma anche riflettere e, forse, sentirsi un po’ a disagio. E forse, è proprio questo il cuore pulsante della comicità di Maccio Capatonda: la capacità di trasformare l’inquietudine in risata, facendoci riflettere su ciò che davvero conta nel nostro percorso creativo e umano.
Si apre oggi a Roma, fino al 7 settembre, la mostra “Frigidaire: Storia e immagini della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo“, un evento imperdibile per gli appassionati di fumetto, arte e cultura alternativa. Ospitata nel suggestivo Museo di Roma in Trastevere, l’esposizione celebra la storia e l’eredità di una delle riviste più innovative del panorama artistico italiano e internazionale. La manifestazione vede la partecipazione di Lucca Comics & Games come unico festival partner, rafforzando il legame storico tra la rivista e il più importante evento italiano dedicato al fumetto e al gioco.
Frigidaire è stata una pubblicazione che ha segnato un’epoca, fungendo da catalizzatore per alcuni dei più grandi talenti della nona arte. Sotto la direzione di Vincenzo Sparagna e con il contributo di maestri come Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Filippo Scozzari e Massimo Mattioli, la rivista ha dato vita a un movimento culturale unico. Presentata per la prima volta a Lucca nel 1980, Frigidaire ha ridefinito i confini del fumetto, fondendo satira, giornalismo d’assalto, arte e politica in un mix esplosivo che continua a influenzare il panorama contemporaneo.
La mostra propone un viaggio straordinario attraverso l’universo visivo e concettuale di Frigidaire, con oltre 300 opere originali tra copertine iconiche, tavole inedite, fotografie e documenti d’archivio. Un ruolo centrale avrà il concetto di “Arte Maivista”, teorizzato dagli stessi autori della rivista: un approccio rivoluzionario che ha spinto i confini dell’espressività artistica e narrativa.
Il percorso espositivo ripercorre le tappe fondamentali della rivista, dall’esordio negli anni Ottanta fino alle più recenti pubblicazioni, mostrando l’evoluzione stilistica e tematica che ha reso Frigidaire un simbolo della controcultura. Tra le opere in mostra, spiccano le tavole di RanXerox, il celebre antieroe cyberpunk creato da Tamburini e Liberatore, che con la sua estetica brutale e visionaria ha ridefinito il fumetto europeo.
Oltre ai materiali storici, l’evento offrirà una serie di incontri e approfondimenti con esperti del settore, proiezioni video e performance artistiche, creando un’esperienza immersiva per i visitatori. L’obiettivo è non solo celebrare il passato glorioso della rivista, ma anche stimolare un dialogo con le nuove generazioni di artisti e lettori.
L’iniziativa si inserisce in un contesto più ampio di valorizzazione del fumetto come espressione artistica e culturale, in vista della creazione del Museo Nazionale del Fumetto, un progetto promosso da Lucca Comics & Games. “L’ecosistema di Lucca Comics & Games sta crescendo e sulla soglia di una fondazione di un museo di livello internazionale, riafferma sempre la centralità della storia del fumetto italiano”, ha dichiarato Emanuele Vietina, direttore della manifestazione lucchese.
Frigidaire non è stata solo una rivista, ma un manifesto di libertà creativa, un laboratorio di idee che ha sfidato convenzioni e censura, lasciando un’impronta indelebile nella storia della comunicazione visiva. La mostra romana rappresenta un’opportunità unica per riscoprire un capitolo fondamentale del fumetto italiano e del pensiero artistico alternativo. Per chi ama la sperimentazione, la satira e la cultura underground, questa esposizione è un appuntamento da non perdere.
Nel cuore della lunga carriera di Milo Manara, “H.P. e Giuseppe Bergman” emerge come una delle sue opere più emblematiche, un lavoro che il fumettista considera non solo il più rappresentativo del suo pensiero e della sua arte, ma anche il più personale. La riedizione di questo fumetto, che inaugura la saga di Giuseppe Bergman, è una storia che rappresenta un punto di svolta nella carriera dell’autore. Non è un caso che Manara abbia scelto proprio questo titolo per lanciare la serie “Biblioteca Manara”, che, in occasione dei suoi ottant’anni nel 2025, riporta in libreria uno dei suoi capolavori più amati, fresco e ancora sorprendentemente attuale, nonostante sia stato scritto e disegnato nel 1978.
In una riflessione più profonda sulla sua opera, Manara ha più volte sottolineato che “H.P. e Giuseppe Bergman” è il fumetto che più di tutti incarna la sua visione del mondo, la sua ricerca di un senso più profondo oltre la superficie della vita quotidiana. E in effetti, se c’è qualcosa che colpisce immediatamente nel protagonista Giuseppe Bergman, è proprio questa sua esigenza di sfuggire alla banalità dell’esistenza, di rifiutare la staticità della routine per lanciarsi in una serie di avventure straordinarie. C’è un elemento che travalica il semplice desiderio di evasione: in Bergman c’è la ricerca di una vera e propria rivoluzione, un cambiamento radicale che sfida il mondo come lo conosciamo.
Questo desiderio di cambiamento è alimentato da una figura che rappresenta per Manara stesso una sorta di mentore: H.P., un personaggio che non solo porta le iniziali di Hugo Pratt, ma anche un po’ del suo spirito, una figura saggia e misteriosa che spinge Bergman a partire, a lasciarsi alle spalle la sua vita ordinaria per lanciarsi in un viaggio senza ritorno, un viaggio che attraversa luoghi esotici e lontani, come l’Amazzonia, l’Africa e l’Oriente. La scelta di Pratt come coprotagonista non è casuale: il grande maestro del fumetto e mentore di Manara ha avuto una grande influenza sul suo percorso artistico, e qui, attraverso la figura di H.P., si fa sentire forte e chiara. È lui che dà il via a quella che sarà una serie di avventure che sfidano la percezione della realtà, che portano Giuseppe in un mondo fatto di sorprese, pericoli e scoperte che sembrano non finire mai.
La storia, che già nei suoi primi passi può sembrare una riflessione sulla smania tipica dei giovani di fuggire, di cercare l’avventura e il paradiso in luoghi lontani, si rivela ben presto una satira tagliente, un gioco intelligente sul nostro desiderio di cercare in altri luoghi quello che ci manca, senza renderci conto che spesso le risposte non si trovano fuori da noi, ma dentro la nostra vita quotidiana. La vena ironica di Manara emerge in tutto il suo splendore: il fumetto si sviluppa come una commedia paradossale in cui Giuseppe Bergman, dopo aver ottenuto l’opportunità di una vita grazie a un misterioso produttore, si rende conto che le sue avventure, lungi dall’essere il paradiso tanto sognato, sono anzi fonte di continue difficoltà e ostacoli.
Manara, tuttavia, non rinuncia mai alla sua dimensione ludica ed esperimentale. “H.P. e Giuseppe Bergman” è un fumetto che lascia ampio spazio alla fantasia, un’opera dove il racconto si sviluppa liberamente, con un ritmo che sembra non fermarsi mai, che spinge il lettore a seguirlo in scenari lontani e affascinanti, descritti da punti di vista inediti, spesso inaspettati. Il fumetto si distingue anche per l’abilità con cui Manara crea personaggi femminili che, pur non essendo mai il centro della narrazione, aggiungono un pizzico di sensualità alla storia, mantenendo sempre intatta l’intensità emotiva e l’equilibrio fra l’aspetto avventuroso e quello intimo.
Ciò che rende “H.P. e Giuseppe Bergman” un’opera ancora oggi incredibilmente attuale è proprio la sua capacità di anticipare temi che, purtroppo, sono ancora oggi validi. La storia di Bergman e del suo viaggio attraverso il mondo non è solo un’avventura straordinaria, ma anche una riflessione sul nostro desiderio di evadere, di cercare un senso più profondo nelle cose, ma anche sulle difficoltà e le frustrazioni che derivano da una ricerca che spesso non porta alle risposte che speravamo. La metafora dell’avventura, del viaggio come esperienza che ci cambia, diventa una riflessione universale sulla vita stessa.
Nel panorama cinematografico contemporaneo, in cui le produzioni indipendenti sembrano moltiplicarsi e sempre più spesso sfidano le convenzioni narrative e stilistiche, Death of a Unicorn emerge come una proposta singolare che promette di scuotere le aspettative del pubblico. Diretto e scritto da Alex Scharfman, il film si preannuncia come una commedia nera che sa mescolare il grottesco e l’assurdo con un’ironia tagliente, ma anche con una forte componente di horror e una critica sociale sotterranea. In particolare, il marchio A24, celebre per la sua capacità di proporre opere provocatorie e fuori dagli schemi, sembra aver trovato in Death of a Unicorn un terreno fertile per l’ennesimo racconto che sfida i limiti tra il reale e l’immaginario.
La trama del film, pur nella sua apparente semplicità, si evolve in un territorio disturbante, affrontando temi che spaziano dal rapporto umano con la natura fino alla moralità in un contesto di crescente cinismo. Elliot, interpretato da Paul Rudd, e sua figlia Ridley (Jenna Ortega), si trovano coinvolti in un incidente stradale mentre sono diretti a un vertice con il loro capo, Dell Leopold (Richard E. Grant). Durante il viaggio, i due investono accidentalmente un unicorno, una creatura mitologica che, apparentemente moribonda, nasconde ben più di quanto sembri. Il corno dell’unicorno, infatti, possiede incredibili proprietà curative, in grado di guarire malattie devastanti come il cancro. Questo elemento magico diventa il fulcro del conflitto: la famiglia Leopold, composta da figure ambiziose e senza scrupoli, decide di impadronirsi dell’unicorno per sfruttarlo come una fonte di guadagno illimitato. Tuttavia, quando la compagna dell’unicorno arriva per vendicare la morte del suo compagno, la situazione precipita in una spirale di violenza che minaccia di consumare chiunque abbia osato trarre vantaggio da questa scoperta soprannaturale.
La narrazione si inserisce con naturalezza in quel genere che viene definito “dark comedy”, ovvero una commedia dai toni cupi che gioca con l’assurdità e il grottesco. Death of a Unicorn si diverte a mettere in scena il paradosso della mercificazione della purezza e della magia, rappresentate da un unicorno che, da simbolo di speranza, viene brutalmente sfruttato come una merce da vendere. Il film, in effetti, non si limita a raccontare una storia assurda di creature mitologiche e vendette sovrannaturali, ma si fa portavoce di una riflessione più profonda sul nostro rapporto con la natura e con la scienza, sull’egoismo umano e sulle sue inclinazioni a sfruttare tutto ciò che lo circonda per scopi egoistici, spesso senza considerare le conseguenze delle proprie azioni.
In questo contesto, l’umorismo del film non è mai gratuito, ma serve a sottolineare l’incoerenza e l’arroganza dell’uomo di fronte all’ignoto, come nel caso della scoperta di una creatura che, sebbene dotata di poteri straordinari, viene trattata come una fonte di guadagno e potere. Il film, pur nell’inevitabile escalation di violenza e orrore, riesce a mantenere una componente ironica che amplifica il contrasto tra l’assurdità della situazione e la serietà della riflessione sottesa.
Il cast, senza dubbio uno dei punti di forza di questa produzione, riesce a donare una notevole profondità ai personaggi, grazie alle performance di attori di grande calibro. Paul Rudd, da sempre abile nel combinare comicità e dramma, interpreta un Elliot che è un padre ben intenzionato, ma incapace di resistere alla tentazione del guadagno facile e del potere. La sua è una figura che oscilla tra l’umorismo e la tragedia, mentre cerca di fare la cosa giusta, ma si ritrova spesso sopraffatto dagli eventi. Jenna Ortega, che negli ultimi anni si è distinta per il suo ruolo in Wednesday, porta sullo schermo una giovane figlia idealista, che cerca di fermare la folle corsa verso la distruzione. La sua interpretazione è convincente e offre un contrasto interessante con quella di Rudd. Richard E. Grant, che in molti ricorderanno per la sua capacità di interpretare personaggi eccentrici, dà vita a Dell Leopold, un magnate affascinante ma moralmente ambiguo, che incarna perfettamente il cinismo e la spietatezza del suo ruolo. La presenza di Will Poulter, Téa Leoni, Anthony Carrigan, Sunita Mani e Jessica Hynes arricchisce ulteriormente la pellicola, creando un ensemble perfetto per il tipo di narrazione che Scharfman ha in mente.
Dal punto di vista produttivo, il film ha dovuto affrontare diverse difficoltà, tra cui la coincidenza con lo sciopero degli attori di Hollywood, ma la peculiarità della situazione di A24, che non faceva parte della coalizione di produttori coinvolti nello sciopero, ha permesso di proseguire senza interruzioni. Le riprese, avvenute in Ungheria, contribuiscono a dare al film un’atmosfera straniante, che amplifica il contrasto tra la realtà e l’elemento fantastico che permea la storia, creando un effetto visivo che risulta tanto inquietante quanto affascinante.
La colonna sonora, firmata dal leggendario John Carpenter insieme a suo figlio Cody e a Daniel Davies, rappresenta un altro punto di forza del film. La musica, in perfetto stile Carpenter, è tanto inquietante quanto suggestiva, riuscendo a entrare in sintonia con l’atmosfera di tensione che permea il racconto. Le sonorità contribuiscono a creare un ambiente surreale e minaccioso, capace di amplificare le emozioni del pubblico, e si sposano perfettamente con il tono del film. Il trailer del film, che ha visto la luce nel dicembre del 2024, presenta una versione della celebre “Good Vibrations” dei Beach Boys, che, pur sembrare in contrasto con la natura cupa del film, sottolinea con ironia il gioco tra l’assurdo e l’inquietante che è alla base di tutta la narrazione.
Death of a Unicorn rappresenta l’ennesima incursione di A24 in un territorio bizzarro e irriverente, e le aspettative sono alte. Il film non si limita a essere una semplice commedia nera, ma scava in profondità, affrontando temi complessi e inquietanti che mettono in discussione il nostro rapporto con la natura e con la scienza. Con una trama che si sviluppa tra il grottesco e l’horror, il film è destinato a fare parlare di sé e a conquistare un pubblico affamato di storie che non si accontentano di restare nei confini del convenzionale. La fusione di umorismo nero, critica sociale e un pizzico di fantastico lo rende un titolo imperdibile per chi cerca qualcosa di diverso e provocatorio nel panorama cinematografico del 2025.
Il Carnevale di Viareggio è uno degli eventi più iconici d’Italia, e non solo per la sua bellezza e il suo fascino, ma anche per la sua profonda connessione con la storia e la cultura di un’intera città. Ogni anno, milioni di persone da tutto il mondo si ritrovano lungo la costa toscana per ammirare i maestosi carri allegorici che, con le loro dimensioni straordinarie e i dettagli affascinanti, diventano i veri protagonisti di questa festa, unendo tradizione, innovazione e un pizzico di follia. La sua storia, che affonda le radici nel lontano 1873, è un viaggio che racconta non solo l’evoluzione di una manifestazione, ma anche quella di un’intera comunità.
Il Carnevale di Viareggio nasce dall’incontro tra l’elite cittadina e la gente comune. Se nei primi anni della sua esistenza, la manifestazione era limitata a sontuosi veglioni nelle case più eleganti, presto la festa si aprì alle strade della città, trasformandosi in un evento popolare. Fu nel 1883 che il Carnevale fece il suo primo grande passo verso la sua forma moderna: i carri fioriti vennero sostituiti dai primi carri allegorici, segno evidente che il Carnevale non era più un affare riservato solo ai ceti agiati, ma un vero e proprio momento di espressione collettiva. Era solo l’inizio di una trasformazione che avrebbe portato Viareggio a diventare il centro di una delle feste più importanti del panorama italiano.
L’innovazione non tardò ad arrivare, e nel 1925 il materiale che avrebbe reso il Carnevale di Viareggio famoso in tutto il mondo fece il suo ingresso: la cartapesta. Questo materiale permise agli artigiani locali di dar vita a creazioni artistiche straordinarie, che combinavano la tradizione della città con una forte componente di originalità. Non fu solo la materia prima a cambiare, ma anche l’immagine del Carnevale: nel 1931 nacque infatti Burlamacco, la maschera simbolo della manifestazione, disegnata da Uberto Bonetti. Con Burlamacco, il Carnevale di Viareggio ottenne un volto ufficiale che sarebbe diventato un’icona della tradizione popolare.
Ma la storia del Carnevale di Viareggio non è fatta solo di innovazioni artistiche e simboliche. È anche una storia di resilienza e di capacità di riprendersi dalle difficoltà. Uno degli episodi più drammatici fu il tragico incendio del 1960 che distrusse gli hangar della città, ma, nonostante la grande perdita, la città di Viareggio si rialzò con determinazione e, nel giro di poco tempo, riuscì a ricostruire le strutture necessarie per dare nuova vita alla festa. Un altro momento significativo fu l’introduzione della sfilata notturna, che nel 1967 conferì al Carnevale un’atmosfera ancora più suggestiva, arricchita dai fuochi d’artificio che segnavano la conclusione di ogni edizione.
La crescita del Carnevale di Viareggio non è stata solo legata ai carri allegorici, ma anche alla diversificazione degli eventi che accompagnano la festa. Il Torneo di Viareggio, conosciuto anche come “Coppa Carnevale”, rappresenta una delle manifestazioni sportive più importanti a livello internazionale, dove giovani talenti del calcio si sfidano, spesso destinati a diventare i campioni di domani. L’integrazione di eventi musicali, culturali e artistici ha contribuito a fare del Carnevale di Viareggio un evento di respiro globale, capace di coinvolgere e affascinare non solo gli italiani, ma anche i turisti che ogni anno accorrono in massa per assistere alla sfilata dei carri.
Oggi, il Carnevale di Viareggio è più di una semplice festa: è un’istituzione che racconta la storia e la cultura di una comunità capace di rinnovarsi, di affrontare le sfide con un sorriso e di celebrare la propria identità. La cartapesta, la musica coinvolgente, l’ironia delle maschere, i colori vivaci e i fuochi d’artificio sono solo alcuni degli elementi che rendono unica questa manifestazione. Un’occasione per riscoprire le radici di una tradizione che non smette mai di sorprendere, di emozionare e di affermare, anno dopo anno, la sua centralità nel cuore di chi la vive. Il Carnevale di Viareggio è, e continuerà ad essere, la festa che celebra non solo la follia e il divertimento, ma anche la capacità di una comunità di crescere, cambiare e, soprattutto, restare fedele a sé stessa.
Emiliano Pagani, Andrea Guglielmino e Nicola Perugini ci catapultano in un’avventura sci-fi che mescola il genere supereroistico con il surreale, il grottesco e una dose abbondante di umorismo sopra le righe. Dioverso, il nuovo progetto di Emmetre Edizioni, promette di sconvolgere i lettori con una trama che sfida ogni convenzione e porta in scena un cast di divinità e eroi fuori di testa. E, se questo vi sembra già abbastanza intrigante, il bello è che il fumetto è appena entrato nella fase di crowdfunding su Kickstarter, permettendo a chiunque di supportarlo e tuffarsi nell’universo bizzarro che gli autori hanno creato.
La storia si apre con la tragica morte della famiglia di Beltrame, un uomo proveniente da “Terra M”, un mondo parallelo dove tutti sono Monocoli (individui dotati di un unico occhio). Animato da un furioso desiderio di vendetta, Beltrame intraprende un viaggio estremo che lo porta al suicidio: un atto estremo per raggiungere Dio e sterminarlo. Una volta compiuto il suo obiettivo, acquisisce il potere assoluto di Dio stesso, diventando il fondatore della setta dei Deicidi, un gruppo deciso a eliminare ogni divinità nell’intero multiverso.
A contrastare questa minaccia, si erge la DIO SQUAD, una squadra composta dalle versioni più potenti di Dio: il Dio Tradizionale, il Dio Porco, il Dio Cane, il Dio Ladro, il Dio Bestia, l’Orco Dio e altre versioni divine che arricchiscono il cast di personaggi. La battaglia tra queste due forze si gioca a suon di colpi di scena e combattimenti esplosivi, senza mai prendersi troppo sul serio. La DIO SQUAD, che ha la capacità di viaggiare tra le dimensioni, si lancia nell’attacco al cuore della base dei Deicidi, un viaggio che li porterà a incontrare altre versioni di Dio lungo il cammino. Ogni incontro sarà, inevitabilmente, una fonte di ironia e divertimento.
Il fumetto si sviluppa come una vera e propria parodia del genere supereroistico, mescolando azione, satira e riflessioni sui concetti di potere, divinità e destino. L’originalità del progetto risiede nella sua capacità di giocare con elementi sci-fi e religiosi in maniera non convenzionale, offrendo una narrazione che non ha paura di infrangere le regole pur mantenendo un equilibrio tra caos e coerenza.
Non è un fumetto per tutti, certo, ma è proprio questa sua attitudine sopra le righe a renderlo così interessante. Pagani, Guglielmino e Perugini non si risparmiano nell’utilizzare un linguaggio diretto, spesso spinto, ma senza mai cadere nella provocazione gratuita. L’intento è chiaro: creare un racconto che non solo intrattenga, ma che faccia riflettere in modo dissacrante e divertente.
Il volume di Dioverso avrà una dimensione di 17×24 cm, con 60 pagine di fumetto tutte a colori, corredate da 20 pagine di contenuti extra che approfondiranno il progetto con studi, illustrazioni e curiosità. La pubblicazione è prevista per aprile 2025, e i fan della serie possono già prenotarlo e supportarlo attraverso la campagna Kickstarter.
In definitiva, Dioverso è un fumetto che non si preoccupa di seguire le convenzioni del genere, ma si butta senza remore in un’esplorazione folle e ricca di colpi di scena, dove il confine tra il divino e l’assurdo diventa sempre più sottile. Se siete pronti a un’avventura di pura adrenalina, ironia e sci-fi all’insegna del “senza esclusione di porci”, questo è il progetto che fa per voi.
Si è spento un faro della satira grafica mondiale. Jules Feiffer, il geniale vignettista e fumettista americano, ci ha lasciati all’età di 95 anni. La sua penna, acuta e ironica, ha per decenni scandagliato le profondità dell’animo umano e le contraddizioni della società americana, regalandoci strisce indimenticabili che hanno fatto epoca.
Nato nel Bronx nel 1929, Feiffer ha trasformato il fumetto in un’arma di critica sociale, disegnando personaggi memorabili e dialoghi pungenti che hanno saputo cogliere l’essenza del suo tempo. Le sue strisce, pubblicate sul prestigioso Village Voice, erano un vero e proprio affresco della vita quotidiana, un’analisi lucida e impietosa dei vizi e delle virtù dell’uomo comune.
La sua eredità è inestimabile. Feiffer ha vinto un Premio Pulitzer, un Oscar per il cortometraggio animato “Munro” e ha ispirato generazioni di autori, da Tullio Pericoli a Quentin Blake. Le sue opere, caratterizzate da uno stile inconfondibile e da una profondità psicologica sorprendente, hanno conquistato un pubblico vastissimo, superando i confini nazionali.
Con la scomparsa di Feiffer, il mondo del fumetto perde uno dei suoi più grandi interpreti. Ma la sua opera continuerà a vivere, a farci riflettere e a farci sorridere.
Amanti della fantascienza e del buonumore, preparatevi: la galassia ha trovato il suo epicentro… ed è al centro di Roma! No, non stiamo parlando dell’imminente Giubileo, ma del “santissimo” Corrado Guzzanti, il genio comico che da anni ci fa ridere e riflettere, ha annunciato una nuova iniziativa che unisce umorismo, satira e viaggi interstellari: la nascita di Uragna, una collana editoriale dedicata esclusivamente alla fantascienza con un sapore autenticamente romano. Dimenticate Marte o Andromeda, qui si parla di Roma come non l’avete mai immaginata: epicentro di storie spaziali, cospirazioni intergalattiche e risate galattiche.
Un annuncio stellare… e romanesco
L’annuncio è arrivato direttamente dal profilo Instagram di Guzzanti, accompagnato da una serie di copertine parodistiche ispirate a Urania, la storica rivista di fantascienza. Ma con un twist inconfondibile: i titoli delle opere e gli autori immaginari sono una celebrazione ironica della cultura romana. A guidare la collana, nemmeno a dirlo, sarà Lorenzo, uno degli alter ego più amati di Guzzanti, che ha dichiarato con il suo solito tono sprezzante:
“La fantascienza romana non avrà più confini… e se ce li ha, li sfondamo!”
Le copertine, tra l’altro, sono un tripudio di satira nerd e romanità: spiccano perle come “Io, Totti, Robot”, “Er mistero der Colosseo Volante” e “Invazzzione de Testaccjo”. Insomma, un omaggio surreale ai classici della fantascienza, ma condito con una buona dose di romanella.
Da “Fascisti su Marte” a una nuova costellazione
Chi segue Guzzanti da tempo sa che il suo amore per la fantascienza non è una novità. Già con Fascisti su Marte, la sua opera satirica che mescolava cinegiornali d’epoca e distopia grottesca, aveva dimostrato come il genere potesse essere reinventato con il suo inconfondibile stile. Ma questa volta il progetto sembra ambizioso… o forse è solo un pretesto per altre risate?
Non è mancata la benedizione di Franco Forte, direttore della storica Urania, che, come riporta Fantascienza.com, ha commentato con entusiasmo:
“Come direttore della cugina milanese di Uragna, non posso che esserne felice. Però occhio: se usate le copertine di Franco Brambilla, vi mando la fattura!”
Un’iniziativa che ha già fatto impazzire la rete, tra faccine ridacchianti e meme in arrivo.
Fantascienza alla carbonara: cosa aspettarsi da Uragna?
L’idea di una collana di fantascienza romana, intrisa di cultura pop, satira e tradizioni locali, ha già scatenato la curiosità del pubblico. Uragna non è solo un esperimento culturale, ma una vera dichiarazione d’amore verso un genere che, nelle mani di Guzzanti, promette di diventare uno spettacolo comico e visionario senza precedenti.
Non sappiamo se Uragna arriverà davvero sugli scaffali o se resterà un geniale scherzo. Ma una cosa è certa: l’idea di marziani che giocano a scopone a Campo de’ Fiori e di astronavi che decollano dai Fori Imperiali è troppo irresistibile per non sognarla.
E voi, nerd appassionati di fantascienza e dialetto romanesco, quale titolo aggiungereste alla collezione? L’universo di Uragna É vasto e tutto da esplorare.
Dal 14 dicembre 2024 al 18 gennaio 2025, l’arte e la visione di Sergio Staino tornano a vivere tra le mura storiche del Castello dell’Acciaiolo a Scandicci (FI). La mostra, dal titolo evocativo “Sergio Staino – L’arte di vivere tra satira e impegno“, rappresenta un viaggio affascinante nel mondo del celebre fumettista e regista, le cui opere hanno saputo combinare con maestria l’ironia tagliente e l’approfondimento sociale.
L’inaugurazione ha visto la presenza di figure di spicco del panorama culturale e istituzionale. Tra gli ospiti, la figlia di Staino, Ilaria Staino, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, la sindaca di Scandicci Claudia Sereni, il direttore di Lucca Comics & Games Emanuele Vietina e Claudio Vanni, responsabile delle relazioni esterne di Unicoop Firenze. Paolo Hendel, storico amico dell’artista, è stato il primo ospite di una serie di incontri con autori e protagonisti del fumetto e della satira italiana contemporanea.
L’evento, prodotto da Lucca Comics & Games, non è solo una celebrazione del passato, ma fa parte di un progetto più ampio di digitalizzazione dell’opera di Staino. L’obiettivo è la creazione di un archivio digitale e di un centro culturale permanente dedicato al fumettista, con sede proprio a Scandicci.
La mostra, curata da Laura Vaioli (direttrice dell’Accademia TheSign di Firenze) e Pio Corveddu, è frutto della collaborazione tra il Comune di Scandicci, la Regione Toscana, Unicoop Firenze, l’associazione culturale “Bobo e dintorni” e la Fondazione CR Firenze. I visitatori avranno accesso gratuito all’esposizione fino al 18 gennaio 2025.
Il genio dietro la matita: la storia di Sergio Staino
Sergio Staino è nato l’8 giugno 1940 a Piancastagnaio, in provincia di Siena. Dopo la laurea in architettura, ha insegnato educazione tecnica nei licei della provincia di Firenze, stabilendosi poi a Scandicci. Ma il richiamo della creatività lo ha portato a una svolta: il debutto nel mondo dei fumetti con “Bobo”, personaggio ispirato a se stesso e vagamente somigliante a Umberto Eco, che divenne il suo alter ego satirico. La prima pubblicazione di “Bobo” risale al 1979 sulla rivista “Linus”, allora diretta da Oreste Del Buono. Negli anni Ottanta, Staino collaborò con testate di grande rilievo come “Il Messaggero” e “l’Unità”. Nel 1986 fondò “Tango”, un settimanale satirico, e l’anno successivo portò la satira in televisione con “Teletango” su Rai 3. La sua versatilità lo spinse a esplorare anche il cinema, con la regia dei film “Cavalli si nasce” (1989) e “Non chiamarmi Omar” (1992), quest’ultimo tratto da un racconto del celebre fumettista Altan.Il 2007 segnò il lancio di “Emme”, supplemento settimanale dell’Unità, che coniugava filosofia e politica con un’ironia pungente. La sua nomina a direttore dell’Unità nel 2016 segnò una nuova tappa nella sua carriera, anche se il percorso non fu privo di polemiche. Dopo le dimissioni dall’incarico, Staino tornò a collaborare con il quotidiano “La Stampa” e, dal 2018, con il quotidiano “Avvenire” con la striscia “Hello Jesus”. Purtroppo, la sua vita fu segnata da una grave malattia agli occhi, una degenerazione retinica che lo rese quasi cieco. Nonostante questo, continuò a lavorare, dimostrando una tenacia fuori dal comune. La sua carriera si concluse con collaborazioni anche con “Tiscali Notizie” e “Il Riformista”. La sua scomparsa, avvenuta il 21 ottobre 2023, ha lasciato un vuoto profondo nel panorama della satira e della cultura italiana.
Un’eredità di satira e pensiero critico
La mostra “Sergio Staino – L’arte di vivere tra satira e impegno” è molto più di un’esposizione artistica. È un percorso immersivo tra i temi centrali della produzione di Staino: lavoro, conflitti, ecologia, amore e famiglia, tutte le contraddizioni dell’esistenza. La satira diventa uno strumento per decifrare la complessità del presente e stimolare il pensiero critico.
Attraverso le vignette e le opere più celebri di Staino, il visitatore è invitato a riflettere su come i “vincenti” possano in realtà essere i veri “perdenti”, rischiando di perdere il senso autentico della vita. Con un linguaggio semplice e accessibile a tutti, l’esposizione si rivolge non solo agli appassionati di fumetti, ma anche a famiglie, giovani e curiosi di ogni età.
L’evento è anche un’opportunità di incontro con autori e fumettisti contemporanei, con una serie di appuntamenti che vedranno la partecipazione di protagonisti del fumetto italiano. Un’occasione imperdibile per scoprire l’eredità di Sergio Staino e il suo impatto culturale, ancora oggi di straordinaria attualità.
Non perdere l’occasione di immergerti nell’universo di Sergio Staino. Fino al 18 gennaio 2025, il Castello dell’Acciaiolo di Scandicci ti aspetta per un viaggio indimenticabile tra satira, storia e impegno sociale. Ingresso gratuito!
La rassegna di giochi cooperativi contemporanei continua con Helldivers 2. Uscito per PC Windows e Playstation 5 a febbraio 2024, HD2 è stato sviluppato da Arrowhead Studios sotto l’egida di Sony. Atteso da molti fans del primo capitolo, il gioco rappresenta un salto generazionale per la saga, una delle maggiori sorprese dell’anno quanto a numero di copie vendute, e una specie di fenomeno pop. Cosplayer vestiti per l’appunto da helldivers sono stati avvistati nei maggiori eventi nazionali e internazionali quest’anno, compreso il Lucca Comics.
Una delle maggiori attrattive si deve probabilmente all’ambientazione. L’universo distopico di Helldivers 2 pesca visibilmente da Starship Troopers, Warhammer 40k e anche Star Wars.
Da una prospettiva in terza persona, giocheremo nei panni dei sopra-citati helldivers, soldati spaziali impegnati in una guerra senza quartiere agli alieni che minacciano la “Super Terra”. Come avrete inteso, Helldivers 2 è a sua volta uno Horde Shooter, con una community/fandom che si interseca con quella di Deep Rock Galactic, oggetto del mio precedente articolo un paio di settimane fa.
Proprio come in DRG, al primo avvio di Helldivers 2 sarete accolti da un’efficace missione d’addestramento che insegna le basi essenziali del gameplay e vi cala nell’universo del gioco, abilmente raccontato dal video iniziale, e da una miriade di dettagli sparpagliati qua e là. L’atmosfera colpisce, come pure l’ottima colonna sonora.
Degni del loro nome, gli helldivers si tuffano dallo spazio (in squadre da 1 a 4) verso mondi infernali, invasi dai feroci insetti o dai perfidi robot. Su ogni pianeta andrete a svolgere precisi obiettivi come salvare dei poveri coloni, mettere al sicuro risorse essenziali allo sforzo bellico, far saltare basi nemiche, distruggere le uova degli insetti, lanciare missili strategici contro gli alieni, e altro ancora. Una volta raggiunti gli obiettivi la squadra procederà all’estrazione via navetta spaziale per il ritorno in orbita. Si può giocare in solitaria, ma è meglio avere una squadra numerosa.
Le due “famiglie” di nemici che incontrerete non potrebbero essere più diverse. L’approccio alla missione, così come armi e accessori da portare giù in superficie, devono variare di conseguenza.
Non lasciateli avvicinare! (Fonte dell’immagine – playstation.com)
I Terminidi (gli insetti) di Helldivers 2 ricordano molto gli Aracnidi di Starship Troopers, ma come esige un buono Horde Shooter, schierano una notevole varietà di truppe diverse, ognuna con le sue particolarità. Saranno felicissimi di farvi a pezzi con mandibole e arti affilati, sciogliervi in una cascata di saliva acida o schiacciarvi in una devastante carica, solo per fare alcuni esempi.
Gli insetti sono molto orientati al combattimento corpo a corpo, e la maggior parte di loro avrà bisogno di avvicinarsi per uccidervi.
È meglio non farsi troppe illusioni sul livello di protezione offerto dalla vostra corazza. Anche gli insetti più piccoli e deboli possono farvi a pezzi in 3-4 colpi, e tutti loro amano attaccare in massa, preferibilmente da più direzioni. Non raggiungeranno i numeri visti sulle scene del famoso film, ma al loro peggio gli insetti sono in grado di esercitare una pressione schiacciante: li vedrete ovunque e le vostre armi faticheranno a tenerli a bada! Quindi come spesso avviene negli Horde Shooter, è sempre una buona idea rimanere vicino ai vostri compagni di squadra… e non lasciar avvicinare gli insetti!
Questi simpatici mostriciattoli sorvegliano i maggiori obiettivi sulla mappa (specialmente i loro nidi), la pattugliano, e reagiscono alle incursioni degli helldivers chiamando rinforzi con uno spruzzo chimico arancione. Perfino l’insetto più piccolo può richiamare un nutrito contingente di suoi amici che vi vogliono morti e non conoscono paura o ritirata.
Gli “Stratagemmi” con cui iniziate il gioco sono efficaci e affidabili, ma ce ne sono molti altri da sbloccare… (Fonte dell’immagine – Helldivers 2 Gameplay)
Per fortuna avete a disposizione un vero e proprio arsenale, composto non solo dalle vostre (moltissime) armi personali, ma da torrette, supporto aereo e dalla vostra massiccia casa-dolce-casa armata fino ai denti, il Super Destroyer. Gli “Stratagemmi” da voi scelti per la missione e le operazioni legate agli obiettivi sono accessibili dal vostro tablet da polso. All’inizio di ogni missione vedrete i vostri colleghi helldivers intenti a digitare per richiamare accessori come lo scudo personale, lo zaino delle munizioni e le vitali capsule di rifornimento. Naturalmente ci sono anche armi pesanti come lanciarazzi anticarro, cannoni portatili e mitragliatrici.
Basta comporre la sequenza giusta e una capsula come quella su cui siete appena arrivati vi consegnerà l’articolo richiesto, meglio di Amazon! Vedete solo di non finirci sotto, quando viene giù…
Digitare in modo corretto mentre siete sotto il fuoco nemico e/o a pochi secondi da una morte orribile è una delle abilità distintive di un helldiver veterano! Come pure conoscere il momento per schivare, scappare o lanciarvi a terra ed evitare una “zampetta” grande come un uomo e affilata come un rasoio, che cercava la vostra testa.
Le fabbriche di robot sfornano pericolosi automi per distruggervi meglio. (Fonte dell’immagine – playstation.com)
Gli Automaton, anche noti come i robot/bot, vantano una notevole somiglianza con i Terminator della famosa saga. Tuttavia, le armi in dotazione agli helldivers sono più che in grado di frantumare i robot più modesti con un paio di colpi. Quelli più grossi e cattivi naturalmente sono un’altra storia, ma la testa è quasi sempre un punto debole.
I robot impiegano l’approccio opposto agli insetti, perché vi attaccano principalmente dalla distanza con un gran volume di fuoco (di solito) poco preciso. La vostra armatura standard può incassare solo 3 o 4 colpi. Quindi chinarsi e cercare copertura o sparare da sdraiati ha senso, perché pochi robot si avvicinano per attaccare in corpo a corpo.
Tuttavia suddetti robot esistono, sono armati di motoseghe, assetati di sangue e (per fortuna!) rumorosi. Ecco perché i bravi helldivers si coprono le spalle a vicenda.
Gli Automaton sono ben dotati di mezzi corazzati come i carri armati, o le torrette fisse, capaci di annientarvi con una sola cannonata e inattaccabili da gran parte delle armi. La griglia di raffreddamento chiaramente indicata sul retro però è più vulnerabile.
I robot pattugliano alacremente il proprio territorio, ma tenere la distanza, stare chinati o sdraiati e indossare armature leggere aiuta a evitarli. Questi accorgimenti funzionano anche con gli insetti.
Le basi dei robot sono ben protette, circondate da filo spinato e grosse mine, e a volte difese da edifici speciali. Per esempio c’è l’odiata antenna che blocca gli Stratagemmi in una grande area, o la malefica torre con “Occhio di Sauron” capace di richiamare un’ondata all’apparenza infinita di robot di ogni misura per annichilirvi. Distruggetele in fretta!
Mentre gli insetti impiegano tunnel sotterranei per generare truppe, i robot si servono di grandi aeronavi da sbarco cariche di brutte sorprese. Un bel razzo anticarro a prua o a poppa di solito le distrugge con un colpo, ma non vengono mai sole.
Il primo incontro coi robot è spesso traumatico per gli helldivers che si sono abituati a combattere gli insetti, ed esistono player “specialisti”, i bug-divers e i bot-divers, che malgrado le richieste del comando affrontano quasi esclusivamente i propri nemici preferiti.
Un gruppo d’insetti trasformato in purè. Non esitate a scatenare la spaventosa potenza di fuoco del Super Destroyer. (Fonte dell’immagine – Helldivers 2 Gameplay)
A questo punto vorrei attirare l’attenzione sugli Stratagemmi d’attacco, i vostri “aiuti da casa”, speciale firma di Helldivers 2. Sono spesso molto potenti, spettacolari e divertenti da invocare. Il modo più semplice e rapido di eliminare un potente nemico o una massa di nemici minori, siano essi insetti o robot, è richiamare sulle loro teste il tipo giusto di attacco aereo o bombardamento dal Super Destroyer. Impiegare gli Stratagemmi spesso, al loro pieno potenziale e con precisione è un’altra abilità capace di fare la differenza per l’intera squadra e per il successo della missione.
Helldivers 2 ha il suo modo di incoraggiare collaborazione e spirito di gruppo. Ogni helldiver può portare con sé un ventaglio limitato di armi e abilità di supporto, quindi la squadra è più forte e versatile se unita. Il gioco ha 10 livelli di difficoltà, e in quelli medio-bassi può essere utile separarsi in piccoli team per esplorare e completare velocemente obiettivi secondari, ma davanti alle peggiori minacce sarà necessario concentrare sforzi e potenza di fuoco. Una squadra dispersa e disorganizzata è debole, e i vostri nemici lo sanno.
Ricompense e risorse di gioco come crediti, esperienza e gli importanti campioni (samples) da recuperare in giro per la mappa sono in comune, ed è nel vostro interesse conservarli. Da loro dipende una vasta gamma di utilissimi upgrade!
Mentre in Horde Shooter come Deep Rock Galactic i vostri personaggi possono essere messi fuori combattimento ma non uccisi, Helldivers 2 affronta il problema in modo diverso. I Super Destroyer hanno un numero limitato di soldati da lanciare in missione. Ogni volta che cadrete, un altro eroe sarà morto per la Super Terra, e le armi e i campioni che portava rimarranno vicino al corpo. I compagni dovranno richiamare una capsula dai Super Destroyer col vostro nuovo soldato.
Anche se ben equipaggiati e supportati da armi poderose, gli helldivers sono semplici umani, spesso sfortunati e sacrificabili come le guardie imperiali di Warhammer 40k, la fanteria mobile di Starship Troopers e gli assaltatori in corazza bianca di Star Wars, che nel mito condiviso dai fans sono tutti lontani “cugini”.
L’atmosfera del gioco è molto spesso sopra le righe. Non si prende troppo sul serio, ma crea un equilibrio efficace. Da un lato ci sono piogge di proiettili ed esplosioni del cinema d’azione anni ’80-’90, dall’altro la satira bruciante che vede schiere di poveri helldiver sacrificati “per la democrazia” e sminuzzati dagli spietati insetti in una lotta impari tra semplice umano e mostro spaziale.
Quando mi sono avvicinato per la prima volta a Helldivers 2, uno dei maggiori timori veniva dalla presenza, storica nella saga, del micidiale fuoco amico. Un bravo helldiver imparerà presto ad essere prudente e non ostacolare la linea di tiro dei propri colleghi, a non finire sotto le bombe degli aerei amici e a temere la mira a volte sospetta degli artiglieri dei Super Destroyer.
Per non provocare imbarazzanti incidenti o saltare in aria, eviterete anche di scatenare i vostri Stratagemmi dove potrebbero colpire voi o i vostri amici, perché le astronavi della Super Terra, come nel film Balle Spaziali di Mel Brooks, non si fermano per nessuno. Anche le vostre amichevoli torrette automatizzate scaricheranno la loro furia sugli alieni, e pazienza per chi si trova nel mezzo.
La squadra torna a casa, coperta di gloria e budella d’insetto. (Fonte dell’immagine – Helldivers 2 Gameplay)
Per fortuna gli helldivers sanno essere amichevoli! Anche se non hanno ancora accesso a un pub-discoteca come quello dei nani di DRG, i soldati della Super Terra si incoraggiano con saluti, battono il cinque e si abbracciano come fratelli, preferibilmente per celebrare la detonazione di un missile intercontinentale su una lontana base aliena. La community è di solito amichevole e collaborativa, e coopera per raggiungere obiettivi fissati su base settimanale, come far fuori svariati milioni di robot in pochi giorni o liberare/proteggere un particolare pianeta.
Il gioco ha goduto di un successo spettacolare e sorprendente al lancio; il giudizio globale del pubblico di Steam però ha subito alti e bassi ed è Perlopiù Positivo (74%) con circa 688mila recensioni. La sua imprevista popolarità di massa ha avuto ripercussioni meno felici come carico eccessivo sui server, problemi di stabilità, disconnessioni senza ritorno e uno strano zelo nel “nerfare” (depotenziare) armi affidabili e divertenti.
Mesi fa Sony ha cercato di rendere obbligatoria la registrazione al suo Playstation Network per giocare a Helldivers 2 da PC, mossa a cui ha dovuto rinunciare davanti alla massiccia risposta negativa dalla community.
Difetti, polemiche e scelte opinabili hanno messo alla prova la pazienza dei giocatori. Tuttavia un recente, corposo update ha risolto molti dei problemi di cui Helldivers 2 soffriva, e il giudizio relativo all’ultimo mese su Steam (novembre 2024) è del 95%.
Update gratuiti hanno introdotto nuovi tipi di missione, nuovi pericolosi nemici e Stratagemmi.
I cosiddetti Premium Warbonds, pacchetti che su base quasi mensile introducono nuove armi, armature e look, invece funzionano in modo diverso. Si possono acquistare con pagamenti in denaro reale, o spendendo una specifica moneta di gioco (i “super-crediti”) da recuperare durante le missioni in luoghi seminascosti. Molte squadre sono abituate a setacciare la mappa alla ricerca di ogni risorsa utile, super-crediti inclusi.
Nel complesso parliamo quindi di un prodotto che colpisce; ben fatto, anche se dipendente come altri giochi odierni da update che possono nei fatti migliorare o peggiorare il gameplay.
Il puro divertimento e l’emozione che vengono dallo spirito di squadra, dalle disperate resistenze o dalle gesta esagerate dei vostri eroi sono il pilastro dell’esperienza, e per il team di sviluppo dovrebbe essere imperativo accontentare la grande e appassionata community del gioco.
Quindi speriamo che Helldivers 2 conservi e aumenti il suo valore.