Ci sono notizie che arrivano come un colpo di fucile a particelle sparato dritto al cuore del fandom. Notizie che ti fanno spalancare gli occhi più di un portale del Concilio della Cittadella e ti strappano un «NO VABBÈ!» anche se sei in ufficio o stipato su un tram. E una di queste è appena atterrata nel cuore della galassia nerd: Mass Effect diventerà una serie TV prodotta da Amazon MGM Studios per Prime Video. Sì, è tutto vero. Non è uno scherzo orchestrato da un Elcor con un’insolita vena umoristica.
Per chi ha solcato la Via Lattea almeno tre volte nei panni del Comandante Shepard, questa notizia è un ritorno epico, uno di quelli che ti risvegliano la nostalgia come la musica della Normandia che parte in sottofondo. Parliamo di noi, di chi ha scelto se salvare il Consiglio o lasciarlo soccombere, di chi ha stretto alleanze improbabili, amato alieni — in ogni senso — e deciso il destino di intere civiltà digitali. Ora, dopo anni di promesse disattese, film svaniti nel buco nero del dimenticatoio e rumors che suonavano come echi di un relè danneggiato, Mass Effect torna. E stavolta per davvero.
Una serie in viaggio tra le stelle
Il progetto di adattamento di Mass Effect è in sviluppo con Prime Video dal 2021, ma solo ora BioWare ha rilasciato dettagli concreti. Alla guida del progetto ci sarà Doug Jung, già sceneggiatore di Star Trek Beyond e showrunner di Chief of War con Jason Momoa, mentre la sceneggiatura è affidata a Daniel Casey, il penna turbo di Fast & Furious 9. Una coppia inedita, che mescola la tensione psicologica del dramma sci-fi alla spettacolarità dell’action più muscolare. In fondo, anche Shepard sapeva che dietro ogni esplosione c’era sempre una scelta morale impossibile.
La writers’ room, fanno sapere da BioWare, è “piena di vita e di idee” e soprattutto “ha già deciso come collocare la serie all’interno del canone ufficiale”. La serie sarà ambientata dopo la trilogia originale, in un periodo ancora inesplorato della timeline galattica. Non sarà quindi un remake delle vicende di Shepard — “perché quella è la tua storia”, dicono gli sviluppatori — ma un nuovo capitolo ambientato nello stesso universo, con nuovi eroi, nuove razze e nuove guerre stellari da vincere (o da perdere).
Prime Video come nuovo “relè di massa” della fantascienza
Amazon sembra aver trovato la chiave per parlare al cuore dei gamer. Dopo il successo esplosivo di Fallout — con 16 nomination agli Emmy e una valanga di fan convertiti al culto del Pip-Boy — il colosso dello streaming ha deciso di rilanciare l’offensiva videoludica. E Mass Effect è la prossima, ambiziosissima tappa. Secondo alcune fonti interne, il progetto è considerato una delle produzioni di punta di Amazon MGM Studios, accanto a Fourth Wing e al remake di Carrie. Alla supervisione troviamo Scott Farris, già produttore di serie di peso come Jack Ryan e The Man in the High Castle. Insomma: gente che sa come costruire mondi complessi, con intrighi politici, colpi di scena e un pizzico di disperazione cosmica.
Per gli amanti della space opera, la prospettiva è da brividi: Mass Effect potrebbe diventare il nuovo punto d’incontro tra la grande fantascienza cinematografica e il racconto interattivo. Un universo narrativo che ha sempre oscillato tra l’epica di Star Wars, il realismo sociopolitico di Battlestar Galactica e la malinconia umana di Blade Runner.
Un universo che torna a respirare
L’universo di Mass Effect non è solo un videogioco: è un ecosistema narrativo che parla di identità, sacrificio, lealtà e redenzione. È un’esperienza che ti chiede di scegliere chi sei, più che di vincere una battaglia. Vederlo tornare come serie TV significa riaprire quel canale emotivo che i fan custodiscono da più di un decennio. Ogni giocatore ha il suo Shepard, la sua Liara, il suo Garrus. Nessuna scelta è mai identica. Ed è proprio questa molteplicità di destini che la serie potrebbe esplorare, abbandonando l’idea di un unico protagonista per raccontare una galassia viva, mutevole, dove ogni scelta lascia un’eco nel vuoto.
Jennifer Hale vuole esserci. E noi vogliamo lei.
Quando Jennifer Hale, la voce della Shepard femminile, ha dichiarato che parteciperebbe “anche solo come comparsa, con i campanellini addosso se serve”, internet ha reagito come se avesse appena attivato un relè. I fan la vogliono, la community la reclama. Perché lei è Shepard. La sua presenza, anche solo per un cameo, sarebbe un tributo simbolico al legame tra la saga e chi l’ha vissuta.
Molti sperano che anche altri doppiatori storici possano comparire, magari in ruoli secondari o come easter egg. Sarebbe un modo poetico per unire il passato al futuro, mantenendo vivo quel ponte emotivo che nessuna CGI potrà mai replicare.
Verso Mass Effect 5: la rinascita di BioWare
Mentre la serie prende forma, BioWare ha confermato che Mass Effect 5 è ufficialmente in sviluppo. Sarà il primo titolo del franchise realizzato con il motore grafico di nuova generazione, e promette un ritorno alle atmosfere più mature, introspettive e “space noir” dei capitoli originali. Il nuovo gioco arriverà dopo Dragon Age: The Veilguard, sancendo un doppio rilancio per lo studio canadese, deciso a riconquistare il posto che gli spetta nell’Olimpo del gaming narrativo.
Il tempismo non è casuale. Mass Effect su Prime Video potrebbe diventare il volano perfetto per riaccendere l’interesse intorno al brand, un’operazione di sinergia tra storytelling audiovisivo e videoludico che — se ben gestita — potrebbe ridefinire il rapporto tra serie e giochi, un po’ come è accaduto con The Last of Us.
Nell’attesa, reinstalliamo la Legendary Edition
Non c’è ancora una data ufficiale, nessun teaser, nessuna immagine dal set. Ma l’hype è reale. E mentre i motori dei relè si scaldano, c’è solo una cosa sensata da fare: reinstallare Mass Effect Legendary Edition e tornare sulla Normandia. Perché, alla fine, Mass Effect non è solo un gioco o una saga. È un’esperienza condivisa, un linguaggio emotivo, un frammento di identità nerd inciso nel DNA di una generazione.
E voi? Cosa vi aspettate da questa nuova serie? Volete il ritorno di Shepard o preferite un nuovo equipaggio di eroi perduti nello spazio? Scrivetecelo nei commenti o taggate @corrierenerd.it sui social. Il Mass Relay è acceso. E noi siamo pronti a partire.
I fan della saga di Mass Effect stanno ormai da tempo guardando con trepidazione al prossimo capitolo della serie, Mass Effect 5, ma la strada per il ritorno del comandante Shepard sembra ancora lunga e tortuosa. Dopo il lancio non entusiasta di Dragon Age: The Veilguard e l’abbandono della sua direttrice, gli occhi di BioWare sono ora rivolti al futuro, con il nuovo gioco di Mass Effect che si profila all’orizzonte. Tuttavia, come confermato da diverse voci interne e ufficiali, la produzione è ancora nelle fasi preliminari, e il titolo potrebbe richiedere anni prima di vedere finalmente la luce.A differenza di quanto ci si sarebbe aspettato dopo l’annuncio del gioco, Mass Effect 5 non è ancora nella fase di sviluppo attivo. Infatti, secondo Mark Darrah, ex produttore esecutivo di BioWare, l’azienda si trova in una situazione piuttosto unica. Dopo il completamento di Dragon Age: The Veilguard, BioWare sta puntando tutto su Mass Effect 5, ma non è ancora pronto per mettere insieme un team di centinaia di sviluppatori. Ciò significa che, mentre alcuni membri del team sono già stati riallocati su altri progetti EA, BioWare deve ancora stabilire la struttura definitiva per Mass Effect 5. Questa situazione, purtroppo, suggerisce che la data di uscita sarà ancora lontana. BioWare ha dichiarato che il gioco è attualmente in fase di pre-produzione, il che implica che la finestra di lancio potrebbe collocarsi tra il 2027 e il 2028, lasciando i fan in un’attesa ancora lunga. Nonostante ciò, c’è una luce in fondo al tunnel: la possibilità che la squadra di sviluppo si concentri unicamente su questo progetto rappresenta un’opportunità unica per realizzare un Mass Effect di qualità senza distrazioni.
https://youtu.be/k4vvch38iEc
Anche se non sono stati rilasciati dettagli specifici sulla trama, BioWare ha iniziato a stuzzicare la curiosità dei fan con alcuni teaser trailer e artwork. Il trailer più significativo, rilasciato nel 2020, mostrava Liara T’Soni, uno dei personaggi più amati della trilogia originale, che trova un pezzo di armatura N7 in un paesaggio innevato. Questo potrebbe suggerire che gli eventi di Mass Effect 5 siano ambientati dopo quelli di Mass Effect 3, magari facendo seguito al destino del comandante Shepard e al suo impatto sull’universo.
Inoltre, vi sono indizi che potrebbero collegare il nuovo capitolo a Mass Effect: Andromeda, ambientato circa 600 anni dopo gli eventi della trilogia principale. Un altro artwork ha mostrato una nave spaziale con una carcassa di un Geth, e i messaggi criptati lasciati da BioWare nei vari teaser fanno pensare a un intreccio tra passato e futuro, gettando una luce sulle trame che potrebbero legare insieme le diverse linee temporali della saga.
Uno degli aspetti che più entusiasma i fan è la conferma che Mass Effect 5 sarà un’avventura single player, in perfetto stile con i precedenti capitoli della serie. Sebbene BioWare non abbia ancora rilasciato dettagli approfonditi sul gameplay, è chiaro che il gioco manterrà lo stesso stile grafico realistico e i toni maturi che hanno caratterizzato la saga fin dal primo capitolo. Inoltre, il team di sviluppo include veterani di BioWare, il che lascia ben sperare riguardo alla qualità e alla fedeltà della produzione.
Un altro dettaglio che sta suscitando interesse riguarda l’adozione del motore grafico. È molto probabile che Mass Effect 5 sfrutterà Unreal Engine 5 al posto del tradizionale Frostbite, il che potrebbe portare a un notevole salto di qualità nel comparto grafico, con mondi più ricchi e dettagliati e una resa visiva ancora più immersiva. Se queste previsioni dovessero rivelarsi corrette, i fan potrebbero aspettarsi un gioco dal grande impatto visivo, capace di sfruttare appieno le capacità delle console di nuova generazione.
Il Futuro di BioWare e la Focalizzazione su Mass Effect 5
Con l’uscita di Dragon Age: The Veilguard ormai alle spalle, BioWare sembra essere in un momento di riflessione e riorganizzazione. Come suggerito da Darrah, il fatto che l’azienda sia ora concentrata esclusivamente su Mass Effect 5 potrebbe essere una benedizione sotto certi aspetti, poiché consente di concentrare tutte le risorse e le energie su un unico progetto. Tuttavia, questo comporta anche la sfida di costruire una nuova struttura organizzativa che possa gestire un progetto di tale portata, e non è ancora chiaro come BioWare intenda affrontare questa fase.
Se l’azienda riuscirà a gestire al meglio questa transizione, Mass Effect 5 potrebbe beneficiare enormemente da una produzione più focalizzata, con un team dedicato completamente alla realizzazione del gioco. Questo, a sua volta, potrebbe portare alla creazione del miglior capitolo della saga, come dichiarato dal veterano di BioWare.
In sintesi, Mass Effect 5 rappresenta uno dei progetti più attesi del panorama videoludico, ma la sua realizzazione è ancora in fase embrionale. Con un lancio previsto per il 2027-2028, i fan dovranno pazientare ancora a lungo, ma gli indizi lasciati da BioWare fanno ben sperare. La connessione con la trilogia originale e con Andromeda, unita alla promessa di una grafica all’avanguardia e di un’avventura single player, lascia presagire un ritorno epico per la saga. Il futuro di Mass Effect 5 potrebbe essere brillante, e se BioWare riuscirà a navigare con successo le sfide attuali, potremmo trovarci di fronte a uno dei migliori giochi sci-fi mai creati.
Dragon Age: The Veilguard, sviluppato da BioWare e pubblicato da Electronic Arts, segna un ambizioso ritorno nell’universo di Thedas, ambientato dieci anni dopo gli eventi di Dragon Age: Inquisition. Quarto capitolo della celebre saga, The Veilguard è un action RPG che promette di innovare l’esperienza di gioco senza tradire le radici della serie. Con il titolo originariamente annunciato come Dragon Age: Dreadwolf nel 2022 e successivamente rinominato nel 2024, il gioco è stato finalmente rilasciato il 31 ottobre 2024 per PlayStation 5, Windows e Xbox Series X/S. Seppur con alcuni alti e bassi, The Veilguard ha ricevuto recensioni generalmente positive, grazie alla sua narrazione intensa e a un gameplay che mescola elementi tradizionali con novità.
Un Mondo Più Ricco e Profondo di Mai Prima
L’universo di Dragon Age è uno degli aspetti che ha sempre catturato l’immaginazione dei fan, e The Veilguard non fa eccezione. Ogni angolo di Thedas è stato ricreato con una cura dei dettagli che va ben oltre la semplice estetica. Il gioco presenta nuove e affascinanti ambientazioni, ma anche un rinnovato approccio alla personalizzazione dei personaggi. I fan della serie apprezzeranno la possibilità di scegliere tra diverse razze e classi di combattimento, come ladro, mago e guerriero, oltre a poter plasmare un personaggio con un livello di personalizzazione mai visto prima.
La creazione del personaggio è molto più complessa rispetto ai capitoli precedenti. Le opzioni per la personalizzazione vanno dalla forma del corpo ai dettagli più intimi come le cicatrici, i tatuaggi e l’aspetto delle armature. L’Art Director Matt Rhodes ha dichiarato che l’intento era stimolare la creatività della community, e si può dire che questo obiettivo sia stato pienamente raggiunto, visto che ogni personaggio sembra un’opera d’arte visiva che racconta una storia. La possibilità di personalizzare i Qunari, ad esempio, permette di modellare le corna in base alla propria immaginazione, offrendo agli appassionati di cosplay un’opportunità unica per esprimere la propria passione.
La Narrazione: Un Passo Avanti, Ma Anche Qualche Passo Indietro
La narrazione, come sempre in Dragon Age, è al centro dell’esperienza di gioco, ma in The Veilguard non mancano alcune scelte narrative che potrebbero lasciare perplessi i fan storici della saga. Le scelte morali, pilastro del gioco, sono ancora presenti e hanno un peso significativo nella trama, influenzando il destino dei personaggi e del mondo stesso. Tuttavia, sebbene il gioco mantenga una certa gravità, in alcuni frangenti la leggerezza nei dialoghi e nei toni può sembrare fuori luogo rispetto alla gravità delle situazioni.
Il protagonista si troverà a compiere scelte complesse, molte delle quali riguardano la fiducia e il tradimento, temi che da sempre caratterizzano la saga. La tensione morale è palpabile, e in alcuni momenti la storia esplora temi più maturi, come la vulnerabilità dei personaggi. Tuttavia, alcune dinamiche sembrano non avere lo stesso impatto emotivo dei protagonisti passati, e alcuni personaggi faticano a suscitare la stessa empatia che i fan hanno imparato ad apprezzare in giochi precedenti.
Combattimenti e Gameplay: L’Equilibrio tra Azione e Strategia
Sul fronte del gameplay, Dragon Age: The Veilguard introduce un sistema di combattimento in tempo reale, allontanandosi dall’approccio più tattico e strategico che ha contraddistinto i precedenti capitoli della saga. Sebbene questa scelta abbia diviso i fan, l’esperienza risulta comunque solida, con combattimenti veloci e frenetici che mettono il giocatore di fronte a sfide costanti. Tuttavia, BioWare non ha abbandonato del tutto il sistema di pausa, mantenendo una sorta di ibrido tra il combattimento in tempo reale e la possibilità di fermare l’azione per pianificare le mosse in modo strategico.
Uno degli aspetti che ha suscitato discussioni tra i fan riguarda il sistema di compagni. Sebbene sia possibile scegliere tra sette compagni di squadra, non è più possibile controllarli direttamente durante i combattimenti. Questo cambiamento ha suscitato critiche da parte di chi preferiva una gestione più diretta del gruppo durante gli scontri. Nonostante ciò, il sistema di combattimento in tempo reale conferisce una sensazione di dinamicità che rende l’esperienza più fluida, anche se a volte può sembrare un po’ caotica, soprattutto nei momenti più concitati.
Un Sviluppo Lungo e Turbolento
Lo sviluppo di Dragon Age: The Veilguard è stato tutt’altro che lineare. Cominciato nel 2015, il progetto ha subito numerosi cambiamenti e ritardi, causati principalmente dal passaggio del team su altri progetti di BioWare come Mass Effect: Andromeda e Anthem. Dopo il fallimento di Anthem e la ripresa del lavoro sul gioco nel 2018 con un nuovo approccio, il titolo ha subito un’ulteriore evoluzione, passando da un progetto con componenti multiplayer a un’esperienza completamente dedicata al gioco per giocatore singolo. I numerosi cambiamenti nel team di sviluppo, tra cui l’addio di alcuni veterani come Mike Laidlaw e Mark Darrah, hanno lasciato un’impronta nel risultato finale, ma il gioco è riuscito comunque a mantenere una qualità apprezzabile.
La Colonna Sonora: Un’Esperienza Epica
A livello musicale, The Veilguard ha unito le forze di Hans Zimmer e Lorne Balfe, che hanno sostituito Trevor Morris, il compositore di Inquisition. La colonna sonora, ricca di emozioni e di intensità, accompagna le battaglie e le scelte morali con un’orchestrazione che esalta l’epicità del gioco. Le musiche, come sempre, sono una componente fondamentale dell’esperienza di gioco, e in questo capitolo non deludono le aspettative.
Un Misto di Innovazione e Tradizione
Dragon Age: The Veilguard è un gioco che si colloca a metà strada tra innovazione e tradizione. Sebbene il gameplay e la narrazione abbiano subito dei cambiamenti significativi, il gioco riesce a mantenere l’essenza della serie, presentando un mondo ricco e profondo che saprà affascinare i fan. Nonostante alcune imperfezioni, come la gestione dei compagni e il ritmo narrativo a volte dissonante, The Veilguard rappresenta un passo avanti per la saga, mantenendo viva la magia di Thedas e offrendo una nuova sfida per tutti gli appassionati di giochi di ruolo. Se sei un fan della saga o un neofita del mondo di Dragon Age, The Veilguard offre un’esperienza che vale la pena di essere vissuta, tra scelte morali, battaglie epiche e una trama che continua a tenere alta l’asticella della narrazione nei giochi di ruolo.
Baldur’s Gate III, il gioco che sta letteralmente conquistando il mondo, è solo l’ultimo capitolo di una saga videoludica affascintante ed iconica uscita “a fine del secolo scorso”. Il marchio Baldur’s Gate è diventato, nel corso di più di due decadi, uno dei franchise più amati nel campo dei giochi di ruolo grazie alla sua fantastica ambientazione ispirata ai leggendari Forgotten Realms di Dungeons & Dragons
La saga di Baldur’s Gate è composta da due serie principali: la Bhaalspawn Saga e la Dark Alliance. La Bhaalspawn Saga racconta le avventure di un gruppo di eroi, tra cui il protagonista, che scoprono di essere figli del dio della morte Bhaal, affrontando le conseguenze di questa eredità. D’altra parte, la Dark Alliance segue le vicende di altri personaggi coinvolti in una guerra tra le fazioni criminali della città di Baldur’s Gate, il nome stesso della saga.
La saga di Baldur’s Gate ha avuto inizio nel 1998 con il primo titolo, Baldur’s Gate, sviluppato da BioWare e pubblicato da Interplay per Windows. Il gioco ha ricevuto un’espansione, Tales of the Sword Coast, nel 1999, e una versione migliorata, Baldur’s Gate: Enhanced Edition, nel 2012. Il successo del primo capitolo ha dato vita al secondo, Baldur’s Gate II: Shadows of Amn, nel 2000, anch’esso seguito da un’espansione, Throne of Bhaal, nel 2001, e da una versione migliorata, Baldur’s Gate II: Enhanced Edition, nel 2013. Il terzo capitolo, Baldur’s Gate III è il GDR di nuova generazione recentemente uscito e già detentore di numerosi record, prodotto dagli sviluppatori di Divinity: Original Sin 2.
La serie Dark Alliance ha debuttato nel 2001 con Baldur’s Gate: Dark Alliance, un gioco di ruolo d’azione sviluppato da Snowblind Studios e pubblicato da Interplay per PlayStation 2, Xbox e GameCube. Il gioco ha avuto un seguito, Baldur’s Gate: Dark Alliance II, nel 2004, sviluppato da Black Isle Studios e pubblicato da Interplay per PlayStation 2 e Xbox. Nel 2021 è stato rilasciato un nuovo capitolo della serie, Dungeons & Dragons: Dark Alliance, sviluppato da Tuque Games e pubblicato da Wizards of the Coast per Windows, PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One e Xbox Series X/S.
La saga di Baldur’s Gate è considerata un punto di riferimento nel campo dei giochi di ruolo per computer, grazie alla sua fedeltà al sistema di Dungeons & Dragons, alla sua trama ricca di colpi di scena e personaggi memorabili, alla sua libertà di scelta e alla sua profondità di gioco. La saga ha influenzato molti altri titoli successivi, più o meno collegati alla saga principale, come Neverwinter Nights, Icewind Dale, Planescape: Torment, Il Tempio del Male elementale. Ha inoltre ottenuto numerosi premi e riconoscimenti sia dalla critica che dal pubblico, ed è stata inserita in diverse classifiche dei migliori giochi di tutti i tempi.
La rappresentazione delle persone LGTBQ+ all’interno dei videogiochi è un tema rilevante che merita attenzione. Nel corso degli anni, questi personaggi sono stati oggetto di stereotipi e rappresentazioni negative, spesso associati al crossdressing, alla violenza o alla malattia mentale. Spesso i personaggi LGTBQ+ sono stati spesso dipinti come confusi, ambigui, effeminati o come predatori, perpetuando pregiudizi e stereotipi dannosi. Fortunatamente, negli ultimi anni, l’industria dei videogiochi ha cominciato ad abbandonare questi cliché, introducendo personaggi LGTBQ+ più realistici e positivi, che riflettono la diversità e la complessità delle esperienze umane.
Essendo questo sito di natura “Nerd” ci scusiamo anticipatamente con i gentili lettori per eventuali inesattezze legate all’attivismo LGTBQ+ e alla rappresentazione di genere: siamo dunque iperdisponibili a correzzioni, aggiustamenti e riscritture nel massimo rispetto di ogni persona.
Anni 80’ e 90’
Nintendo, una delle principali aziende di sviluppo di videogiochi, è sempre stata attenta alle linee guida sul contenuto dei suoi giochi sin dagli anni ’80. La società ha cercato di evitare temi controversi o offensivi, come la religione, la politica o la sessualità. Nonostante ciò, uno dei primi personaggi transgender a fare la sua apparizione in un videogioco di massa è stato Strutzi, conosciuto anche come Birdo, che è stato introdotto nel gioco “Super Mario Bros. 2” nel 1988 e appare anche nei successivi titoli della serie. Questo personaggio è descritto nel manuale del gioco come “un ragazzo che crede di essere una ragazza” e che “preferisce essere chiamato Birdetta”. Questo dimostra la lungimiranza di Nintendo nel rappresentare la diversità sessuale fin dai suoi primi anni di attività.
Un altro personaggio LGBTQIA+ degno di menzione nella serie di Mario è Ombretta, che appare in “Paper Mario: Il portale millenario”. Questo personaggio è una maga che si innamora del protagonista Mario e lo aiuta nella sua avventura. Tuttavia, Ombretta nasconde un segreto: in realtà è un uomo travestito da donna. Questa rivelazione avviene alla fine del gioco, quando Ombretta si dichiara a Mario e viene respinta. La presenza di questi personaggi all’interno dei giochi di Mario mostra ancora una volta l’impegno di Nintendo nell’includere rappresentazioni diverse all’interno delle sue opere.
Un altro esempio degno di nota è Poison, presente nel gioco Final Fight. La questione dell’identità di genere di questo personaggio ha acceso un acceso dibattito nel corso degli anni. Inizialmente creato come donna, il personaggio è successivamente stato considerato transgender per evitare controversie legate al concetto di violenza contro le donne nei videogiochi. Tuttavia, la questione è diventata ancora più complessa nel tempo: in un secondo momento, Poison è stata rappresentata come transgender negli Stati Uniti e come cisgender in Giappone. Il produttore Yoshinori Ono ha cercato di fornire dei chiarimenti sull’identità di genere di Poison in un’intervista, affermando che nel contesto occidentale il personaggio è transgender dopo aver effettuato l’operazione di riassegnazione di genere, mentre in Giappone è pre-operazione. Tuttavia, successivamente ha ritrattato queste affermazioni, lasciando la responsabilità al giocatore di formarsi la propria opinione su questo argomento controverso.
L’era moderna
È un vero sollievo notare come, nel corso dei decenni, l’ormai prevalente machismo nei videogiochi si stia gradualmente dissipando grazie a continue nuove uscite che presentano protagoniste femminili forti e determinate. Questa inclusività ha finalmente aperto le porte a una maggiore presenza di personaggi LGBTQIA+ all’interno dei videogiochi. Ecco alcuni esempi di videogiochi che hanno affrontato in modo positivo e innovativo la tematica LGBTQIA+:
Life is Strange
La serie di videogiochi Life is Strange ha spinto i confini della rappresentazione LGTBQ+ nei videogiochi. Nel primo episodio, intepretiamo Maxine “Max” Caulfield, una studentessa di 18 anni che si scopre essere bisessuale. Il gioco si concentra sulla sua scoperta di poter riavvolgere il tempo e sulla sua lotta per salvare la sua città natale dalla distruzione imminente. Tuttavia, ciò che distingue davvero Life is Strange è la relazione romantica che si sviluppa tra Max e la sua amica d’infanzia Chloe. L’amore tra di loro è al centro della trama e quando Chloe si trova in pericolo, Max scopre il suo potere di manipolare il tempo. Il gioco offre al giocatore la possibilità di scegliere il destino dei due personaggi, dando loro un’agenzia e una profondità emotiva rare nei videogiochi.
The Last of Us
The Last of Us è un altro gioco che ha affrontato in modo eccellente l’orientamento sessuale dei suoi personaggi. Nel gioco originale e nel DLC The Last of Us: Left Behind, Ellie, la giovane protagonista, esplora la sua sessualità, sviluppando un interesse romantico per la sua amica Riley. Nel seguito, The Last of Us II, Ellie instaura una relazione con Dina, e le due crescono insieme un bambino. Il gioco introduce anche un personaggio transgender di nome Lev, che forma un’alleanza con Abby, una delle antagoniste del gioco. Questi personaggi sono rappresentati in modo realistico e sensibile, mostrando le sfide e le gioie delle loro vite in un mondo post-apocalittico.
Metal Gear Solid3
Il colonnello Yevgeny Borisovitch Volgin è un personaggio ambiguo e provocatorio, che usa la sua posizione di potere per soddisfare i suoi desideri sessuali. La sua relazione con il personaggio Raiden ha sollevato polemiche e ha contribuito a portare una complessità inaspettata al personaggio, evitando gli stereotipi del settore. Il gioco affronta anche il tema dell’identità di genere con il personaggio di Eva, una spia che si finge una donna per infiltrarsi nella base nemica.
Horizon Zero Dawn
Aloy è un’ispirazione per molti giocatori LGBTQ. Il suo personaggio feroce e indipendente rifiuta di essere definito da stereotipi di genere. Aloy affronta molti dei problemi e delle esperienze delle persone queer nel mondo di oggi, diventando così un’icona per la comunità LGBT. Il gioco presenta anche altri personaggi LGBTQ, come Petra, una donna lesbica che si innamora di Aloy, e Vanasha, una donna bisessuale che ha una relazione con il principe Avad.
The Outer Worlds
In The Outer Worlds, il personaggio di Parvati Holcomb si distingue per la sua rappresentazione realistica come una biromantica asessuale. Parvati è descritta come un membro dell’equipaggio del giocatore e si innamora di un altro ingegnere di nome Junlei. La rappresentazione di Parvati è incredibilmente autentica, probabilmente perché lo scrittore del gioco, Kate Dollarhyde, è una donna biromantica asessuale. Il gioco ha anche vinto il Premio Media GLAAD 2020 come miglior videogioco per l’inclusione di Parvati.
Overwatch
Overwatch ha fatto storia con il personaggio di Tracer, che è apertamente lesbica. Nel fumetto “Reflections”, viene rivelato che Tracer ha una fidanzata di nome Emily. La rappresentazione di Tracer come una donna forte e indipendente, con una relazione lesbica unica nel suo genere, ha sfidato gli stereotipi dei giochi d’azione. Il gioco presenta anche altri personaggi LGBTQ, come Soldier 76, che è gay, e Symmetra, che è autistica.
The Witcher 3: Wild Hunt
Il personaggio di Ciri in The Witcher 3: Wild Hunt è attratto dalle donne, come si può notare durante una missione del gioco. Questa rappresentazione di una protagonista queer nel mondo fantasy dei videogiochi è stata accolta positivamente. Il gioco offre anche al giocatore la possibilità di scegliere tra diverse opzioni romantiche per il personaggio principale Geralt, tra cui donne e uomini.
Dragon Age: Inquisition
Dragon Age: Inquisition ha introdotto il personaggio di Dorian Pavus, uno dei primi a essere apertamente gay nei videogiochi. La rappresentazione di Dorian ha segnato un importante passo avanti per l’uguaglianza nella comunità dei giocatori. Dorian è un mago che proviene da una società conservatrice che condanna l’omosessualità. Il suo arco narrativo lo porta a confrontarsi con il suo padre che vuole “curarlo” con un rituale magico. Il giocatore può scegliere di avere una relazione romantica con Dorian o semplicemente essere suo amico.
Final Fantasy VII Remake
Final Fantasy VII Remake ha riscritto in una delle scene più controverse del capitolo originale del gioco. Nella versione classica, c’era un momento in cui Cloud si trovava in una situazione compromettente, rafforzando gli stereotipi negativi sugli omosessuali degli anni ’90. Ma nel remake, questa scena è stata completamente rivisitata, eliminando gli elementi che potevano essere considerati offensivi. Inoltre, un bordello presente nel gioco è stato trasformato in un elegante night club gestito da un nuovo personaggio chiamato Anyan Kunyan, che pronuncia una frase molto inclusiva durante una danza con Cloud. Questa scena è stata applaudita dalla comunità LGBTQIA+.
Dragon Quest XI
Dragon Quest XI ha sorpreso i giocatori con una parata piena di colori e ballerini piumati, inclusa in un JRPG. In questa parata, spicca Sylvian, un personaggio che rappresenta lo stereotipo dell’omosessuale effeminato ed eccentrico. Tuttavia, è stato apprezzato perché è un personaggio positivo con una storia interessante, e per una volta non cade vittima di un destino tragico e doloroso come spesso accade in altri giochi.
Tell Me Why
Tell Me Why è stato elogiato per la sua rappresentazione positiva e approfondita del personaggio transgender Tyler Ronan. Il team di sviluppo ha lavorato a stretto contatto con membri della comunità transgender per garantire un’accurata rappresentazione. Tyler è il protagonista del gioco insieme alla sua sorella gemella Alyson. I due devono affrontare il loro passato traumatico e scoprire la verità sulla morte della loro madre. Il gioco affronta anche temi come l’accettazione di sé, la famiglia e la comunità.
Apex Legends
Makoa Gibraltar in Apex Legends è un esempio di personaggio LGBTQ che rappresenta la forza e la fiducia indipendentemente dal sesso o dall’orientamento sessuale. Gibraltar è un combattente che partecipa a un torneo mortale per proteggere i suoi cari. Il suo profilo rivela che ha una relazione con un altro uomo di nome Nikolas. Il gioco presenta anche altri personaggi LGBTQ, come Loba, una donna bisessuale che cerca vendetta per l’omicidio dei suoi genitori, e Fuse, un uomo panessuale che ama le esplosioni.
Tanti passi ancora da fare…
Negli ultimi anni si è assistito a un’importante evoluzione dei videogiochi, con sempre più personaggi appartenenti alla comunità LGBTQ+. Questo fenomeno, sebbene con alti e bassi in termini di rappresentazione e qualità, rappresenta un significativo passo avanti verso una società più inclusiva. Gli sviluppatori di videogiochi, attraverso la creazione di rappresentazioni realistiche e diverse delle persone LGBTQ+, possono contribuire a contrastare i pregiudizi del passato e a promuovere un clima di accettazione.
Tuttavia, nonostante i progressi, l’industria dei videogiochi continua a essere fortemente influenzata dal punto di vista dell’uomo bianco eterosessuale cisgender. Le sviluppatrici, così come le figure appartenenti alla comunità LGBTQIA+ e ad altre categorie marginalizzate, trovano ancora difficoltà nel farsi spazio nel mercato e far sentire la propria voce. Questa mancanza di rappresentanza si riflette anche nelle produzioni videoludiche, che spesso si concentrano su protagonisti maschili eterosessuali e stereotipi di padre di famiglia. Le protagoniste femminili, quando presenti, sono spesso oggetto di sessualizzazione smodata.
Nonostante ciò, i gamer appartenenti alla comunità LGBTQIA+ e le donne gamer sono numerosi, tanto che all’interno della comunità si è diffuso il termine “gaymer” per identificare gli appassionati omosessuali di videogiochi, così come per le donne è stato coniato il termine “gamergirl”. Tuttavia, la tossicità dell’ambiente videoludico è ancora presente, come dimostra uno studio che ha rivelato come più della metà delle giocatrici nasconda la propria identità per evitare molestie.
BioWare e EA hanno celebrato insieme ai nostri fan e alla loro community ilDragon Age Day il 4 dicembre con un post sul blog che potete trovare qui (e qui sotto per una facile consultazione) che ricorda la nostra serie preferita, enfatizza i fondatori del Dragon Age Day, e presenta una varietà di modi in cui i fan possono celebrare la giornata.
BioWare ha messo in luce le creazioni originali della community sui social, ha lanciato nuovi gadget e ha messo in palio un sacco di carte regalo.
Il gruppo di fan di Dragon Age che ha ideato la giornata ospiterà anche eventi tra cui premi di beneficenza da parte di artisti fan, un livestream Twitch per tutto il giorno, video spotlight e altro. Per ultimo (ma certamente non meno importante), il team vuole far sapere ai fan che sono ancora al lavoro per costruire la prossima esperienza single-player del franchise di Dragon Age. Fino ad allora, il team di BioWare è felice di condividere due nuovi racconti dal mondo di Dragon Age!
Siamo sbalorditi che tutti voi celebriate la Giornata di Dragon Age ogni anno, e apprezziamo tutti quelli che lo fanno. La Giornata di Dragon Age è stata proposta in via non ufficiale dai fan, per i fan, nell’autunno del 2018 da Teresa “ImaSithDuh” M, con un piccolo team di fondatori, tra cui Angela Mitchell, Savvy B. e Alistair SM James, oltre agli ex partecipanti Ghil Dirthalen e Andrastini. Apprezziamo tantissimo il team della Giornata di Dragon Age per averci riuniti e aver sostenuto al tempo stesso l’inclusione e l’accessibilità con un contributo benefico a Able Gamers!
Questa giornata appartiene a voi, la nostra fantastica community. Con questo spirito, vogliamo festeggiare con voi fan, proponendo i vostri contributi unici e fantasiosi dedicati a un mondo che tutti amiamo. Per tutto il giorno mostreremo le vostre straordinarie creazioni originali sui social, proponendo nuovi prodotti di Dragon Age™ su Dark Horse Direct, Gaming Heads e BioWare Gear Store, oltre a regalare tantissime gift card. Taggate i vostri post su Twitter usando #BioWareGiveaway per avere la possibilità di vincere. In tutto questo, c’è anche Apex Legends™ con un amuleto per armi Devastatore dell’altopiano a tema Dragon Age, disponibile per i membri di EA Play e riscattabile in qualsiasi momento tra il 2 dicembre 2021 e il 4 gennaio 2022.
Inoltre, il team della Giornata di Dragon Age ospiterà eventi tra cui ricompense di beneficenza in offerta da parte di fan artist di Dragon Age, più di 24 ore di dirette live su Twitch per tutto il giorno, proposte di scrittura, opere grafiche, sfide e video in evidenza su approfondimenti personali della community di fan di Dragon Age (la domanda di quest’anno: “Qual è il tuo personaggio/compagno di Dragon Age preferito e perché?”). L’elenco completo delle attività è consultabile qui.
Siamo costantemente stupiti dalla community appassionata, diversificata, stimolante e creativa che si è riunita per esplorare insieme a noi le lande del Thedas. Siamo onorati dai modi in cui avete ampliato e celebrato il mondo di Dragon Age. Da una fan fiction accattivante, a splendide opere grafiche dedicate ai personaggi, a cosplay all’avanguardia, a matrimoni a tema, compleanni, tatuaggi e persino nomi di bambini, il mondo del Thedas si è esteso oltre i giochi ed è ora il luogo dove si respira la vita, rappresentato da tutti voi. Non potremo mai ringraziarvi abbastanza per il vostro continuo sostegno e amore per la serie. È ciò che ci ispira ogni giorno a continuare a costruire nuovi mondi, personaggi e storie da esplorare.
A proposito di creare nuovi mondi e storie da esplorare, vogliamo far sapere a tutti che stiamo ancora lavorando sodo per creare la prossima esperienza per giocatore singolo di Dragon Age. Siamo entusiasti per il prossimo anno, quando potremo rivelare di più su questo progetto. Fino ad allora, vi lasciamo due nuovi racconti brevi dal mondo di Dragon Age!
Grazie a tutti per questo lunghissimo viaggio insieme a noi.
Sui siti di settore si è ripreso a riflettere su un fattore importante per la bontà di un videogioco – si tratta della longevità. Titoli come Mass Effect 3, Dragon Age: Inquisition, The Witcher 3: Wild Hunt, e il discorso in fondo vale anche per Rise of the Tomb Raider e Star Wars: Battlefront 2, escono con una campagna a giocatore singolo dalla durata prevista di un certo numero di ore. Una misura approssimativa della quantità di contenuto, e del tempo che il giocatore medio impiegherà per esaurirlo. Gli utenti navigati valutano un prodotto sulla base dei contenuti che offre, e sono spesso vogliosi di prolungare una buona esperienza di gioco.
É qui che intervengono i DLC, Contenuti Scaricabili che sono eredi delle Espansioni di una volta. Il giocatore esperto vede al di là di pubblicità e presentazione: un dato titolo e i suoi eventuali capitoli aggiuntivi devono appassionare, mettere alla prova, sorprendere ed emozionare. Considerata la spesa, al termine dei giochi si spera in un bilancio positivo e “sorridente”.
“Contenuti” è il termine pragmatico e tecnico che nel caso di GdR, MMORPG, giochi di esplorazione alla Tomb Raider, e persino sparatutto in prima persona, si traduce spesso con Avventure: intrecci di vicende, viaggi, dialoghi, personaggi e azione, che prevedono un inizio e una fine. Non per niente guerrieri, maghi, ladri, chierici, druidi ed altri protagonisti da GdR sono raggruppati sotto la categoria di “avventurieri”. Questi branditori di spade ed incantesimi (o magari armi e tecnologie futuristiche) in essenza non sono così diversi da Lara Croft, o da Indiana Jones, alla ricerca di “Fortuna e Gloria”.
Che ci si ritrovi al tavolo del Master, oppure seduti davanti al PC o alla console, acquisire potere per il proprio personaggio significa aprirgli nuove possibilità, nuovi percorsi e nuovi luoghi in cui saziare la propria sete di avventura. Immaginate di possedere la forza bruta sufficiente a sbaragliare la guardia personale di un nobile arrogante che credeva di potersi esimere dal pagare la ricompensa pattuita. In un altro caso si tratterà di sottrarre un certo oggetto magico dalla collezione di un crudele boss del crimine, sfuggendo a guardie e trappole con la destrezza, con l’inganno o con l’astuzia… Anche se i GdR più noti sono da sempre sbilanciati verso il combattimento, potere per il proprio personaggio in sostanza significa capacità crescente di conoscere ed alterare il mondo di gioco. Dove -conoscere- e comprendere è una voce importante che spesso passa inosservata. In molti sensi, il personaggio del GdR è il guanto che si adatta alle abilità del giocatore, vero motore e attore che opera all’interno dell’avventura con passione, ingegno e fantasia.
Nuove possibilità, nuove avventure: la barca dei nostri avventurieri si spinge sempre più in là, verso lidi sconosciuti che prima era difficile anche solo immaginare. É un viaggio che, nei momenti più belli e preziosi, si vorrebbe infinito. La memoria di questi istanti di meraviglia ci spinge a chiederne ancora.
All’origine di tutto, il “fatidico” momento in cui il giocatore sceglie una classe (“Ma è forte…?”) e una razza (“Non ho idea di come sia fatto, uno gnomo…”) per il proprio, o la propria, protagonista. In corrispondenza con le prime scelte, si muovono i primi passi in una costruzione puramente fantasiosa, che tuttavia deve rispettare delle regole di auto-coerenza. Ne fanno parte i necessari limiti cui devono sottostare non solo gli eroi, ma anche i loro nemici. Nei GdR carta & penna, per immaginarsi all’interno del mondo di gioco, il nuovo avventuriero deve poter visualizzare umidi, oscuri sotterranei, foreste secolari dal fitto sottobosco, città medievaleggianti coronate da torri, oltre naturalmente alle persone e alle creature più o meno magiche che popolano un simile scenario. In questo e in altri sensi contribuisce ed è attivo. Master e avventurieri di oggi attingono in modo naturale da un bagaglio di strumenti posti nelle loro mani da libri più o meno illustrati, dal cinema e dalla televisione, da internet e, per l’appunto, dai videogiochi.
Se su un piatto della bilancia risiede l’immaginazione, sull’altro poggia il peso altrettanto importante della logica (e spesso della semplice casualità…). Una delle eredità più importanti e difficili dei GdR carta & penna è l’effetto che le diverse forze in campo (agendo secondo certi vincoli) producono sul mondo di gioco. Il gruppo di avventurieri rappresenta una di queste forze, ma la storia si scrive a più mani: il Master ed ogni singolo avventuriero danno il proprio contributo, e il finale non è predeterminato.
Tornando al nostro discorso sui contenuti videoludici, ancora una volta entriamo nel campo del gusto personale: apprezzare non vuol dire solo gradire, ma anche solo notare, vedere. Per fare degli esempi, se un certo giocatore cerca solamente azione e combattimento, la costruzione dell’ambiente, dei personaggi e dei dialoghi gli sarà indifferente, “invisibile”. Il lavoro speso nella loro realizzazione, inutile. Se invece quello che gli interessa è solo vivere una bella storia ed entrare in un mondo fantasy, ripetere scontri difficili perché non riesce a superarli, preoccuparsi del suo equipaggiamento, imparare il sistema di combattimento e delle abilità, è qualcosa che potrebbe infastidirlo. Da tempo gli sviluppatori hanno iniziato a rispondere a questo problema offrendo livelli di difficoltà compatibili con le varie esigenze, ed altre misure di adattabilità.
Giocatori con gusti diversi avranno quindi idee diverse e potenzialmente opposte, a proposito di quello che chiamerebbero “contenuto di gioco”, e “contenuto buono”, al quale siano disposti a dedicare tempo e denaro. Offrire un’esperienza variegata ed equilibrata è un’impresa difficile. Il GdR è un genere ibrido – attira un pubblico ampio, ma potenzialmente più difficile da soddisfare. Nell’ambito “carta & penna”, quando si tratta di costruire le avventure, gran parte del peso poggia sulle spalle del Master. Un Master responsabile e con esperienza si cura di venire incontro ai gusti dei suoi avventurieri. Non solo prepara quanto dovrebbe avvenire nella prossima sessione, ma anticipa, per quanto gli è possibile, le decisioni dei giocatori, guidandoli e lasciandosi guidare verso un’avventura, si spera, divertente e memorabile. I suoi mezzi, anche se “esili ed elementari”, paragonati a quelli ultramoderni e multimediali dell’industria videoludica, sono molto più adattabili, flessibili ed economici.
D’altro canto, l’esperienza multimediale è ricca e complessa, capace di allacciarsi al suo fruitore con i mezzi dello scritto, della voce, dei suoni, della grafica, del movimento, della “cinematografia”. Per l’industria del videogioco creare contenuti di alta qualità rappresenta un investimento molto consistente. Nel caso di un titolo di alto profilo, pensato per il mercato internazionale (il cosiddetto AAA, “triple A”) si parla di anni di lavoro che impegnano un nutrito team di sviluppo, di decine di milioni di dollari di spesa, e di notevole azzardo per chi investe. Sceneggiatori e architetti dei GdR videoludici svolgono compiti simili a quelli dell’umile Master, ma sono professionisti che (almeno idealmente) puntano a standard elevati nella speranza di un largo successo di pubblico.
Nel loro caso però, i percorsi aperti all’iniziativa del giocatore (o giocatori) sono necessariamente più rigidi. Il Master e i suoi avventurieri, operando in tempo reale, anche se con mezzi rudimentali conservano adattabilità e versatilità per ora ineguagliate da qualunque copione preparato, per quanto complesso. GdR carta & penna e GdR videoludico operano attraverso canali diversi. Se vogliamo la loro relazione assomiglia a quella tra teatro semi-estemporaneo e mega-produzione cinematografica. Ognuno si sforza di sfruttare al meglio i propri specifici vantaggi.
I titoli più moderni su PC e console si sforzano di ampliare in ogni senso il territorio e le scelte che il giocatore può esplorare, ma ci sono sempre dei confini. Un GdR che sia “tutto testo”, per esempio, probabilmente garantisce più libertà ed alternative al giocatore, in quanto creare contenuto in tal caso costa meno. Di certo però non spingerà in avanti la frontiera della tecnologia, non sarà (perché non ambisce ad esserlo) una sbalorditiva esperienza multimediale, e non ne possiederà la travolgente attrattiva.
Nei titoli prestigiosi che definiscono il genere, storia coinvolgente e ricca ambientazione non sono solo condimento per l’azione, oppure scenografia passiva e slegata. Piuttosto sono loro a dare senso alle azioni che il giocatore compie all’interno del mondo di gioco; a loro volta tali azioni influiscono in modo percepibile sulla storia e sull’ambientazione, dando luogo a un ciclo virtuoso, con relativa girandola di emozioni. Questa sinergia stabilisce un legame ancor più forte tra giocatore-attore e mondo fantastico.
Proteggere chi non può farlo da sé, sventare diabolici piani, salvare persone o comunità afflitte da oscure minacce, svelare misteri sepolti da polvere e oblio accumulatisi nei secoli… Certo, ci sono molti casi in cui l’equipaggiamento e di conseguenza la pura forza del personaggio, da mezzo si trasformano in fine. Tuttavia l’intenzione iniziale, da conservare per tutto lo sviluppo del gioco, dovrebbe essere di arrivare alla conclusione (si spera felice) della storia. Gloria, gioia, soddisfazione (e ricchezza…) sono le classiche ricompense dell’eroe. Sconfiggere mostri sempre più forti, trovare porte segrete, uscire da un buio labirinto sotterraneo: anche se ci piace dimenticarlo, farci affascinare dal gioco di prestigio, si tratta di superare ostacoli per raggiungere un traguardo finale e il relativo premio, un po’ come fa Lara Croft per svelare i misteri e i tesori dell’ennesima città perduta.
Ogni singola quest, ogni breve avventura condivide questa matrice episodica e può essere cellula di un corpo più grande. Il tutto però prosegue solo fino a che si sa mantenere un equilibrio delicato, operazione che col procedere degli episodi si fa gradualmente più difficile. Più sono i nemici invincibili, le imprese incredibili, gli ostacoli insormontabili, gli amori impossibili, i voltafaccia imperdonabili, e di fatto le cime inviolate che vengono conquistate dallo stesso eroe o dalla stessa squadra, più il carattere per l’appunto eroico ed unico di ciascuna impresa s’incrina. Mi viene in mente il susseguirsi di espansioni sempre meno significative, tentazione tipica per i MMORPG. Altrettanto hanno fatto (o continuano a fare) serie televisive e saghe cinematografiche che si sono accorte troppo tardi di essere “esauste”.
Il sistema rischia di corrodere la propria coerenza e il proprio significato nel tentativo di offrire “una puntata in più”, oppure viene semplicemente a noia: ecco un altro scontro finale, con un nemico ancor più “definitivo” di quello, già odioso e terribile, che lo aveva preceduto. Il pubblico, memore delle precedenti esperienze, si rende più o meno conto di quando l’auto-coerenza inizia a traballare. Il rischio, nella ricerca compulsiva di sfide sempre più grandi e solo apparentemente nuove, è che ogni precedente impresa e trionfo perda valore. Infatti per molti fans il modo migliore di salvare le saghe più amate da una triste svalutazione, è limitare i danni decidendo di ricordarne solo le parti migliori.
Nessuna storia, nemmeno la più bella, può continuare all’infinito senza rischiare di erodere o addirittura tradire le proprie fondamenta e sua speciale identità. Nell’ambito dei GdR, quando dilaga il senso di “già visto, già fatto”, il giocatore gradualmente si allontana, per noia o per frustrazione. Magari viene sedotto da pascoli più verdi, e decide, a ragione, che rappresentano un modo migliore di spendere il suo tempo. Se lo sciogliersi del gruppo prima della conclusione della campagna è un fallimento per il Master, lo è ancor più una “playerbase” che si disperde prima di essere giunta alla conclusione prevista di un certo titolo, o lo abbandona a poca distanza dall’uscita, generando un pericoloso effetto domino.
Come succede nel mondo del cinema, per un certo brand, una data saga, proseguire oltre il primo episodio (o la prima trilogia…) diventa via via più difficile. Lo stesso succede alle serie quando si allunga (magari troppo) la lista delle stagioni. Per questo motivo chi offre l’avventura, ed è bravo nel proprio mestiere, si cura di trovarle una degna e soddisfacente conclusione prima che si scada in un giro vizioso di ripetitività e frustrazione. Un finale ben fatto esalta la qualità mantenuta per tutto il viaggio, e ne è il necessario coronamento.
Potrà sembrare ovvio, ma l’abilità di far entrare e di condurre qualcuno all’interno di un mondo fantastico, è tanto importante quanto la grazia necessaria a radunare ogni filo della storia e a chiudere i giochi in bellezza, quando l’esperienza è ancora in attivo, in modo che come tale venga ricordata.
Nel mio articolo su Mass Effect: Andromeda, ho accennato a un aspetto secondo me molto importante nella costruzione di un mondo di gioco “credibile”, vivace e coinvolgente – il fattore affettivo, coltivato attraverso l’inserimento del giocatore in un ambiente pieno di vita cui possa affezionarsi. Probabilmente sono di parte, ma in senso più ampio credo che un GdR non possa mantenere a lungo l’interesse del giocatore, a meno che non continui ad affascinarlo e sorprenderlo, ed è naturale che persone diverse siano attratte e stupite da elementi e “sapori” diversi.
Il rimando a Dungeons & Dragons non è casuale, perché come tanti altri giochi, i GdR, prima di entrare nei nostri PC e console, affidandosi così ai potenti mezzi dell’informatica, vivevano fondamentalmente della pura immaginazione dei giocatori, delle persone. Unico supporto e sostegno, in quell’epoca non ancora conclusa, erano carta e matita, i manuali con le regole, ed eventualmente una mappa con delle miniature. Poteva far comodo una calcolatrice, ma il sistema di base è così “primitivo” per gli standard di oggi che, fatto eclatante, ci si può giocare anche senza corrente elettrica, senza prese, senza (carica)batterie. Il GdR “carta & penna” inoltre costituisce un buon esercizio di fantasia, perché luoghi fantastici, mostri, eroi, difficili decisioni, i vivi dettagli delle storie e i reami da salvare (o devastare…) risiedono unicamente nella nostra immaginazione.
Quando si parla di Gioco di Ruolo (partendo dal genere fantasy), storia, avventura e interpretazione non dovrebbero mancare, e sono almeno idealmente connaturate all’esperienza. Sul Game Master ricade il compito di costruire la storia e realizzarla passo dopo passo a beneficio del suo partecipativo pubblico. Lui, o lei, agisce se vogliamo come cantastorie della situazione. Infatti, un po’ come nei perduti tempi d’oro dei cantastorie, quanto succede ha sviluppo per lo più regno del parlato, con tutti i suoi pregi e difetti. Nel GdR però, chi ascolta risponde, partecipa e contribuisce allo sviluppo di vicende che ad ogni svolta si adattano contestualmente alle decisioni dei giocatori, sotto la guida del Master: “Tiro per scassinare quello scrigno grassoccio!” “Vuole incastrarci! Io lo sceriffo non lo sopporto più, se attacco, mi venite dietro…?” “Faccio un tiro di diplomazia per convincere il duca a dimenticare quell’episodio…” E così via.
Sia nei manuali che al di fuori si è anche riflettuto su intesa e coesione che sono necessari a un gruppo funzionante, divertente e durevole, e che spesso si rivelano sfuggenti, semplicemente mancanti, o forse difficili da mantenere nel tempo. Molte e diverse riflessioni sul GdR concordano che fiducia e accordo sono fondamentali per il gruppo. Il Master e i suoi avventurieri devono cercare qualcosa di ragionevolmente simile. É stata modellata una gran varietà di “giocatori-tipo” e personalità. Se vogliamo si tratta di una sorta di quadratura del cerchio, perché ogni essere umano è unico, ma in tutti i campi in cui la statistica aiuta, tentare di definire dei modelli di riferimento è, penso, educativo e utile.
Per l’articolo di oggi, cercherò di restringere il campo a due grandi direzioni. Da un lato c’è la ricerca di una storia (con relativa scenografia) che sia emozionante, sorprendente, articolata, immersiva, “cinematografica” e trascinante. Dall’altro, il desiderio di andare al sodo, macinare mostri, “combinare qualcosa”, cambiare il mondo ed ammassare tesori che farebbero invidia a qualunque drago. In ultimo si tratta di creare un personaggio dai poteri leggendari, e di godere dei privilegi di tale posizione. Le due attrattive si possono combinare, spesso con reciproco beneficio, dando luogo a varie, efficaci sfumature, e penso che nessun giocatore di GdR voglia che un aspetto prevalga in modo schiacciante sull’altro.
Dato che lo scopo primario e dichiarato di un gioco è, o dovrebbe essere, il divertimento, il suo successo dovrebbe dipendere da quanto, e quanto a lungo può intrattenere. Eppure fatti ovvi come questo possono uscirci di mente, sepolti dalla frenesia dell’accumulo di ricchezze, oggetti e livelli.
Il GdR carta & penna è riconosciuto come il progenitore dei grandi e sempre più ambiziosi GdR videoludici di oggi. Pensiamo a Diablo 3 di Blizzard, Dragon Age: Inquisition di Bioware, o The Witcher 3: Wild Hunt di CD Projekt Red. Ciascuno di questi tre titoli ha scelto un proprio equilibrio, il proprio compromesso nella questione che vede spesso contrapposte narrazione e combattimento, descrizione e ritmo, cura per il dettaglio e pragmatica sostanza; ricchezza e profondità artistica “contro” precisione, abilità, testardo impegno e semplice, cieca fortuna. Vi si inserisce anche l’eterna contesa tra qualità e quantità. Diablo 3 è stato rivoluzionato da un massiccio update che ha di poco preceduto l’uscita della sua espansione, Reaper of Souls. La storia raccontata da Diablo 3, anche se curata dal punto di vista estetico (sempre ottimo il comparto artistico), potrebbe non sorprendere, e i personaggi che agiscono al suo interno sono abbastanza semplici e prevedibili. Allo stato attuale delle cose, si tratta di “livellare” ed equipaggiare velocemente il nostro eroe in modo che possa presto accedere alla continua rincorsa verso mostri più potenti, ricompense più ricche, e imprese che richiedono maggiore abilità ed equipaggiamento iper-raffinato.
Quello che inizia come sfida interessante e appassionante diretta al perfezionamento del proprio protagonista,però, rischia col tempo di perdere il proprio colore, e di scadere nel cosiddetto grind. Nell’ambito videoludico si intende con grind un processo meccanico, una routine quotidiana che può assomigliare a un “lavoro” noioso e pesante. Dopo gli scontri che servono per conoscere il sistema ed imparare a gestirlo, col passare del tempo il gioco tende a trasformarsi in una sorta di prassi. Eliminare mostri è solo il primo passo: bisogna saperlo fare efficientemente, massimizzando il guadagno per unità di tempo. Sempre in accordo con il significato del verbo inglese “to grind” si parla per l’appunto di “macinare” quantità innumerevoli di mostri per completare quest e guadagnare denaro e punti esperienza, o per raggiungere obiettivi che, passata la frenesia dell’accumulo, potranno sembrare irrilevanti.
Questa graduale e spesso non-percepita “riduzione alla prassi” lavora contro il senso di freschezza e di sorpresa che i titoli migliori mantengono per tutta la loro pur sempre limitata durata. Almeno idealmente, un buon GdR dovrebbe essere tutto tranne che ordinario e di routine, continuando nel suo corso ad offrire quell’ingrediente segreto che ne mantiene il sapore ed evita di farlo scadere in una scialba ripetitività.
Il gioco, in sostanza, vale la candela solo fino a che continua, nel senso più ampio, a suscitare emozioni. Sta al giocatore avere la capacità di conoscere se stesso e le proprie preferenze, e sapere quando arriva il momento in cui, che ci venga detto o meno, un certo gioco è compiuto e quello che davvero si sta facendo non è più giocarlo, ma ri-giocarlo. Alcuni titoli eccezionali edificano mondi ed universi immaginari, con luoghi, dialoghi, colpi di scena e personaggi veramente accattivanti ed impressionanti in quanto si imprimono in modo duraturo, vivendo “di vita propria” nel nostro ricordo anche dopo il termine dell’avventura.
Così ci fanno desiderare il ritorno a simili, esotici ed avventurosi lidi, e, sottolineo, -nuove- imprese da compiere. Vorrei portare come esempi virtuosi Dragon Age: Origins e Star Wars: Knights of the Old Republic di Bioware, oltre a The Elder Scrolls: Skyrim di Bethesda. Volendo stringere, visto lo spazio (e il tempo) a disposizione, i due titoli di Bioware puntavano sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla credibilità dei rapporti umani (se ne ricordano i dialoghi e le buone prove attoriali) mentre Skyrim proponeva un’ambientazione vasta, paesaggi naturali convincenti, dettagliati e pieni d’ispirazione.
Per intenderci, “piccoli” dettagli come il sorgere e il tramontare del sole, il rumore di un soffio di vento che agita i rami degli alberi, il canto degli uccelli di giorno o dei grilli di notte, lo sciabordio dell’acqua ai piedi una cascatella, i colori pittorici di un tramonto tra le cime innevate che troneggiano su una verde vallata, sono solo alcuni degli elementi che danno realmente vita al paesaggio fantasy dei nostri sogni. A questo punto bisogna solo aggiungere il giusto sottofondo musicale per farci sprofondare in un “epico” reame da leggenda, portandoci a un passo dalla sensazione fisica di respirarne l’aria.
Combattere, sconfiggere mostri per proteggere, vincere e guadagnare (oltre che adempiere al nostro “destino eroico”) rappresenterà sempre, penso, un lato importante e divertente dell’avventura, e un aspetto da curare per gli sviluppatori che ce la propongono. Combinare abilità diverse, utilizzare al meglio il terreno dello scontro, conoscere e costruire il personaggio è parte di quel processo che ci cala nella “vita ideale” del protagonista fantasy. Tuttavia temo che senza un’atmosfera fresca e accattivante, senza una miscela vincente di colori, suoni e le melodie, senza la sinergia di costumi, voci e parole, senza volti umani, senza umane gioie e preoccupazioni, e senza una buona dose di spade, mostri ed incantesimi, il fantasy rischi di perdere “il sale”, il sapore essenziale, e la propria ragion d’essere.
Anche all’interno di giochi progettati per avere una notevole ampiezza e durata si possono registrare dei compromessi, forse necessari.Dragon Age: Inquisition ha suscitato qualche critica per via delle sue “missioni riempitive”, che sono state accostate a certe “tipiche” missioni da MMORPG. Non si trattava di procurarsi 10 code di lupo, macinando orde di lupi per lo più senza coda (assurdo, lo so), ma di svolgere comunque compiti ripetitivi all’interno del mondo di gioco, con dialogo di contorno snello o assente. Una missione del genere può risultare piuttosto impersonale, meccanica e insipida. Tuttavia, a parte qualche problema, Inquisition offre un’esperienza che si mantiene su livelli alti: sistema di combattimento interessante, storia ed ambientazione nel complesso ben fatte, ed una campagna di lunga durata (90-100+ ore al primo tentativo con tutte le quest secondarie).
Inquisition ha riavvicinato la saga di Dragon Age ai fasti del primo episodio che menzionavo prima, Dragon Age: Origins, che per me personalmente rappresentò a suo tempo una sorta di “fulminazione”. Vi dico solo che i compagni di viaggio del protagonista mi piacquero tanto che non volevo perdermi una parola delle loro battute. Anche per voi, immagino, alcuni titoli-chiave avranno rappresentato il massimo registrato, l’optimum per quanto riguarda uno specifico aspetto: combattimento, strategia, simpatia, ambientazione, intreccio, comparto artistico, innovazione, e così via. L’obiettivo per gli sviluppatori è ottenere da noi voti elevati in tutte queste voci di riferimento dei GdR videoludici. I problemi insorgono quando, anche in presenza di valori alti in più di una di queste categorie, si nota che una o più sono in affanno. Mass Effect: Andromeda, per esempio, soffre dal punto di vista del coinvolgimento e dell’ambientazione, e a giudizio di molti compie più di un passo indietro rispetto al predecessore, Mass Effect 3.
Arrivando, in chiusura, a The Witcher 3, si può dire che la forte approvazione della critica e, cosa probabilmente più importante, il grande successo di pubblico, si debbano al delicato e riuscito equilibrio che gli sviluppatori di CD Projekt Red hanno saputo costruire per la loro creatura. Alcuni giocatori, come non si stancano tuttora di dire, sono stati incantati dall’atmosfera, o coinvolti dalla personale storia di Geralt di Rivia, dai suoi amici, amori ed avventure. Altri hanno accettato la sfida dei livelli di difficoltà più ostici, per spremere il massimo dal sistema di combattimento ed affrontare con successo mostri davvero terribili. Si tratta di un obiettivo raggiungibile solo attraverso preparazione, abilità e perfetta sintonia con le micidiali abilità del famoso cacciatore di mostri. Stupisce il fatto di trovare in The Witcher 3 momenti di “puro GdR” che ci mettono di fronte scelte difficili e relative conseguenze, accostati alla più “mondana” gestione delle risorse, a combattimenti interessanti, grafica e realizzazione artistica di altissimo livello. Vi si aggiunge un panorama naturale e umano capace quasi senza sosta di offrire emozioni. Accontentare tutti probabilmente è una chimera, una missione impossibile, ma The Witcher 3 riesce nel proposito di offrire un’esperienza di pregio a un largo pubblico, e lo fa trovando il modo di emozionare tante persone diverse.
Chi propone il prodotto mira ad ottenere il nostro consenso, ma è importante ricordare che lo fa rispondendo alle nostre necessità, le nostre preferenze, i nostri desideri e i nostri sogni. Per chi offre l’avventura, la sfida è simile a quella del Master “di una volta”. Si tratta di riuscire nella vera e propria impresa di creare e mantenere un equilibrio virtuoso, imbandire una “tavola” sulla quale i giocatori trovino quello che cercano, e lo trovino ottimo e abbondante. Come quando ci si alzava dal tavolo dei GdR carta e penna, idealmente la domanda con cui ci si lascia dovrebbe essere: “Quando ci si vede per la prossima partita…?
C’è un profumo antico che aleggia in Dragon Age: Origins. È quello dei classici che hanno fatto la storia dei giochi di ruolo, delle notti passate davanti a un monitor a tirare dadi virtuali e a scegliere tra bene e male. Ma è anche l’odore ferroso del sangue, la polvere del campo di battaglia, la tensione morale di un mondo che non conosce eroi senza macchia. BioWare, la casa madre di Baldur’s Gate, Neverwinter Nights e Mass Effect, torna a ciò che sa fare meglio: raccontare storie che mettono alla prova non solo la spada, ma anche la coscienza. Con Dragon Age: Origins, pubblicato da Electronic Arts il 3 novembre 2009, il team canadese dà vita a un universo inedito e possente — il mondo di Thedas — e ci trascina nel cuore del suo regno più travagliato: il Ferelden. Il giocatore veste i panni di un Custode Grigio, ultimo baluardo di un ordine leggendario che da secoli difende l’umanità dalla Prole Oscura, un’orda di mostri emersi dalle profondità della terra. L’invasione, conosciuta come il “Flagello”, è una minaccia ciclica che ritorna ogni quattro secoli per spazzare via ogni civiltà. Ma questa volta qualcosa è cambiato: i Custodi sono pochi, la politica è divisa e l’ombra dell’usurpatore Loghain si allunga sul trono del re Cailan.
Il bello di Dragon Age: Origins è che nulla viene imposto: la storia prende forma fin dall’inizio, quando scegliamo razza, classe e, soprattutto, origine del nostro eroe. Sei diverse introduzioni — dal nobile umano al mago del Circolo, dall’elfo dei bassifondi al nano guerriero — plasmano le prime ore di gioco e influenzano dialoghi, rapporti e decisioni. Ogni percorso è una finestra su un mondo coerente e crudo, dove il potere si mescola alla superstizione e l’eroismo è spesso una maschera per la sopravvivenza.
BioWare non rinnega il suo passato, ma lo evolve. Il sistema di combattimento fonde azione e tattica in modo sublime: si può combattere in tempo reale o fermare il tempo con una pausa strategica per impartire ordini precisi ai compagni. È come muovere i pezzi di una scacchiera intrisa di sangue, dove ogni posizione, ogni incantesimo e ogni colpo di spada possono cambiare il destino dello scontro. La visuale, modificabile a piacimento tra terza persona e prospettiva isometrica, regala un equilibrio perfetto tra immersività e controllo.
La narrazione, invece, affonda nella complessità morale. Ogni decisione pesa, e non esiste un confine netto tra giusto e sbagliato. Si può sacrificare un alleato per salvare un villaggio, tradire un re per salvare un popolo, o accettare l’aiuto di una strega pur di vincere una guerra. Tutto, in Dragon Age: Origins, ha conseguenze — e spesso non sono quelle che ci aspettiamo. È questo a rendere il gioco vivo, pulsante, tremendamente umano.
Tra i compagni di viaggio troviamo Alistair, il cavaliere ironico e tormentato; Morrigan, la strega delle selve dal fascino ambiguo; Leliana, l’assassina redenta in cerca di fede; e tanti altri, ognuno con un passato che si intreccia al nostro destino. Le loro storie non sono semplici contorni: sono fili che tessono l’intero dramma del Ferelden. Anche il nostro fedele cane da guerra, il mabari, ha un ruolo affettivo e simbolico che va oltre la semplice meccanica di combattimento.
La scrittura è ciò che più colpisce: Dragon Age: Origins non racconta una fiaba, ma una tragedia epica. Le città sono sporche e vive, i dialoghi carichi di sottintesi, i nemici spesso più umani degli eroi. L’atmosfera oscura e realistica riporta il fantasy alle sue radici più mature, lontano dai cliché degli elfi luminosi e dei maghi onnipotenti. Qui, la magia è temuta, il potere corrompe e l’eroismo si paga sempre a caro prezzo.
Tecnicamente, il gioco mostra qualche limite, specie su console, dove la grafica è meno definita rispetto alla versione PC. Ma questi difetti passano in secondo piano davanti all’ampiezza dell’avventura: decine e decine di ore di dialoghi, missioni e scelte morali che rendono ogni partita unica. E la presenza di contenuti scaricabili fin dal lancio — come il DLC Il Prigioniero di Pietra — dimostra che BioWare aveva già in mente una visione a lungo termine, una saga destinata a crescere e mutare nel tempo.
Dragon Age: Origins è più di un semplice ritorno al fantasy. È una dichiarazione d’amore verso un genere che sembrava aver smarrito la sua anima. È la prova che BioWare non ha dimenticato cosa significhi raccontare storie che restano dentro, che mettono il giocatore di fronte a se stesso. In un’epoca in cui gli RPG si stavano avvicinando sempre più all’azione pura, questo titolo riporta il baricentro sul cuore pulsante del ruolo: la scelta.