L’angolo del GdR – Critico!

I più bei GdR multimediali di oggi discendono da costruzioni molto più semplici. L’ossatura dei “primitivi” GdR nati decenni fa era un insieme non troppo ingombrante di regole che stabilivano limiti e confini. Cosa più importante, disegnavano vie da percorrere, strumenti ed abilità più o meno magici. Si dava una necessaria, quantitativa dimensione a muri da scalare e temuti sotterranei da esplorare, ed una misura oggettiva e comparabile della forza di mostri, spade ed incantesimi. Dietro a un GdR di qualità non ci sono soltanto le suggestioni culturali e artistiche di un buon comparto grafico, o le avvincenti svolte, le scelte ardue e il vivido panorama di voci e di volti offerti da una buona storia, ma anche una solida spina dorsale numerica: una struttura portante che in ambiente PC o console è normalmente nascosta dietro le quinte. I giocatori più a proprio agio col mondo dei numeri hanno sondato e continuano avidamente a sondare sistemi portanti come questo, alla ricerca del modello di eroe più perfezionato e potente. In una curiosa, apparente contraddizione, i numeri costruiscono la struttura “fisica” e quantificabile di mondi di fantasia.

Venendo al nostro titolo di oggi, immagino che si prenda presto confidenza col concetto di “colpo critico”: nel mezzo di un combattimento il giocatore mette a segno un colpo che scatena una forza inattesa (danno doppio o magari triplo). Non è raro che il critico regali al mostro di turno una fine sorprendentemente rapida, repentina e sanguinosa. L’abitudine da parte dei Master è di dare enfasi a eventi come questo, che non mancano di aggiungere imprevedibilità ed emozioni allo scontro. In campo videoludico, il colpo critico è spesso evidenziato e sottolineato da mezzi grafici o sonori: numeri colorati, animati, punti esclamativi e magari un urlo di sorpresa e dolore da parte del malcapitato mostro. Il successo spettacolare di solito si celebra, almeno sul momento, come una nuova impresa del nostro eroe preferito, a dimostrazione di prodigiosa forza, abilità e magari intelligenza.

Se da un lato esistono i successi spettacolari, un sistema che dipende in buona parte dalla casualità dei dadi non è certo avido di spettacolari fallimenti, che poco si addicono a eroi dalle aspirazioni “epiche”, e hanno una buona probabilità di generare delusione o frustrazione, oppure una vagonata di risate (che non è una brutta cosa quando si ride tutti quanti, e sinceramente). La casualità, in fondo, fa parte della vita reale. I Master più abili spesso giustificano un risultato particolarmente deludente ai dadi con l’intervento, nel mondo di gioco, di uno o più imprevisti: un forte bagliore, un colpo di vento, un attimo di distrazione, di spavento… Occasionalmente però potrebbero esserci serie, irreversibili e micidiali conseguenze per uno degli avventurieri o forse per l’intero gruppo, casomai dovesse scatenarsi un effetto domino. La caduta imprevista di un elemento essenziale nel pieno della battaglia potrebbe significare l’inizio della fine per l’intera comitiva di temerari.

Il critico di norma è scatenato da un risultato molto alto ai dadi: 19-20, o magari solo 20 su un dado da 20. I risultati “sbalorditivi” del suo manifestarsi sono in un certo senso la punta dell’iceberg, in quanto la casualità espressa dai dadi è uno dei cardini del GdR. Può trattarsi di ottenere un tiro sufficientemente alto anche solo per colpire il mostro, per superare una data prova, o persino per determinare di quante caselle ci si muove. In diversi casi l’eroe può non solo infliggere colpi critici, ma anche subirli. Più spesso capiterà di mancare clamorosamente il nemico, proprio quando era più importante andare a segno. Colpo di fortuna, o di sfortuna? Successo o fallimento? Anche se ci si congratula con l’autore di un “critico” spettacolare, si ride dopo che è scivolato su una buccia di banana, o si piange sul fallimento di una prova vitale, non si dovrebbe accusare qualcuno solo per un cattivo tiro con i dadi.

Il confine tra pura casualità e abilità, tra semplice caso e responsabilità, è qualcosa di curiosamente “sfocato” e poroso, in particolare quando un evento rilevante scatena un fiotto di emozioni, perché anche e forse soprattutto di emozioni stiamo parlando. Per molto tempo la semplice “generazione di numeri casuali” è servita per astrarre i prodotti di abilità umane (oppure elfiche, naniche, aliene…) complesse da modellare. Riuscirà l’acrobata a scalare le mura del castello onde poi calare una corda per gli altri? Avrà successo il difficile negoziato tra il rappresentante del gruppo di avventurieri e un irritabile capo di Stato straniero…? Allora che senso ha attribuire merito o demerito al giocatore, se il dado ha agito per conto proprio? In effetti i numeri “generati” dal dado contribuiscono solo in parte all’esito finale.

L’abilità del giocatore interviene attraverso le sue decisioni, ed è su queste decisioni e le relative conseguenze (la causalità) che un buon gioco dovrebbe poggiare, per non ridursi al semplice, cieco azzardo. L’esperienza insegna che è importante saper distinguere tra quello che si può e quello che non si può controllare, e comprendere quanto controllo si può esercitare sui vari fattori in gioco, in modo da costruire una strategia vincente e saldare le proprie capacità con quelle dei compagni di squadra. Questa strategia permette ai giocatori di affermare il proprio controllo sugli eventi del mondo di gioco, in modo sempre crescente. In molti casi tale influenza si esprime attraverso uno e probabilmente più bonus imposti al grezzo tiro di dadi: valori numerici che si aggiungono al risultato del tiro e forniscono un affidabile aiuto nel superamento di una data prova. Il giocatore vorrà dotarsi di tutti i bonus che può procurarsi attraverso equipaggiamento, potenziamenti ed altre scelte di percorso e di specializzazione che determinano lo sviluppo e la crescita del suo personaggio.

La tipica “missione” da GdR carta & penna si può suddividere in diverse parti: ciascuna di esse presenta problemi, sfide od ostacoli che richiedono di essere risolti, generalmente in sequenza. I giocatori decidono come procedere in modo da massimizzare le possibilità di riuscita, e divertirsi allo stesso tempo. Forse gli avventurieri (se la vedono come via percorribile) preferiscono completare la missione servendosi soltanto della propria astuzia, possibilmente senza spargimento di sangue, per potersi poi congratulare a vicenda, dopo aver messo nel sacco un odioso nemico senza che si accorgesse di nulla. Un gruppo che invece sia più incline alla battaglia non si lascerà distrarre da nulla che possa farlo deviare dallo scontro armato – questa sembra essere la via privilegiata in molti GdR videoludici di oggi.

Tuttavia sono spesso lodati e apprezzati quei titoli che (rifacendosi alla tradizione carta & penna) offrono una certa varietà di gratificanti approcci alla risoluzione di un dato problema: porte sfondate a calci, inganno, diplomazia, astuzia…  Il momento della scelta viene normalmente evidenziato, in modo che il giocatore rifletta sulle sue decisioni, sapendo che influiranno sul prosieguo delle vicende. Al contempo, col procedere del gioco si prende confidenza col sistema che metaforizza l’ampia gamma di abilità a disposizione dei personaggi. Queste abilità, sia in combattimento che fuori, forniscono opzioni ed alternative ed arricchiscono l’esperienza in quanto danno al giocatore molti modi diversi di influenzare il mondo di gioco, di caratterizzare il personaggio e di scrivere una storia che sia più “sua”. La semplice casualità viene aiutata e sostenuta in modo sostanziale dalla causalità, imposta da scelte più o meno consapevoli.

Per avere le maggiori possibilità di successo occorre costruire un personaggio capace, abile ed efficiente: le scelte iniziano qui. Tutta l’avventura è plasmata e orientata dalle decisioni e dal gusto dei giocatori e della loro guida, il Master. Ogni specialista che si possiede privilegia il proprio approccio: il meccanismo funziona davvero al meglio quando ogni singolo giocatore offre il proprio specifico contributo, partecipando e “scrivendo” la propria parte per il prosieguo dell’avventura. Nei casi migliori, sono proprio queste personali soluzioni (o gli eventuali incidenti…) a risultare indimenticabili per il gruppo.

Il GdR su PC/console, in quanto discendente di quello cartaceo, dal punto di vista della sua spina dorsale numerica si basa su principi simili. Tuttavia, visto che la parte più gravosa della contabilità passa nelle abilissime mani della CPU, il modello può essere molto più complesso di quello introdotto decenni or sono da Dungeons & Dragons e raffinato da successori, concorrenti e “parenti”. Su PC e console, la presenza di interfacce come mouse e tastiera, oppure controller/game pad, permette di associare il successo nelle varie prove del gioco alla destrezza che il giocatore possiede con l’interfaccia, garantendo coinvolgimento e soddisfazione potenzialmente superiori. Tuttavia il GdR propriamente detto non è fatto di semplice azione, ma include spesso molteplici approcci ed una componente strategica-gestionale all’interno della quale il giocatore compie le scelte che gli permetteranno di compensare e magari di approfittare di imprevisti e casualità. Oppure semplicemente gli conferiscono il potere di superare (o schiacciare) agevolmente ostacoli sempre più grandi. I punti di contatto tra GdR, azione e strategia sono molteplici, perché i generi sono confinanti e apprendono l’uno dall’altro.

Anche con tutte le meccaniche dirette a favorire l’abilità, è raro che la casualità sia del tutto ininfluente, in ambito GdR. Oltre al fattore emotivo della sorpresa, il critico può rappresentare il balzo in avanti che ci vuole nei progressi del personaggio e della sua storia. La parola chiave in molti sensi è proprio progresso, perché l’esperienza di gioco e il susseguirsi di missioni ed avventure per molti giocatori è un viaggio che porterà il personaggio verso una forma di crescita e di realizzazione. Salire di livello (leveling) è un procedimento caratteristico di tutti i GdR, ma viene veramente da chiedersi in quanti modi la fantasiosa “realizzazione” che ho appena menzionato sia legata ai numeri, o al quantitativo accumulo di potere, sotto forma di ricchezze ed oggetti magici o super-tecnologici per il personaggio.

Eccoci quindi arrivati ad uno dei momenti cruciali in cui il “critico” torna a pesare: quello in cui si determinano i contenuti di un baule pieno di tesori.  Questo è uno dei momenti in assoluto più delicati, in particolare in quei GdR che si basano espressamente su questa dinamica. Sconfiggere mostri e nemici e superare prove sempre più difficili ha precise finalità che contribuiscono a divertimento e soddisfazione: dimostrare la propria abilità, vivere l’avventura, portare avanti la storia, e per l’appunto far progredire il personaggio attraverso l’accumulo di esperienza e preziosi, potenti oggetti. Quanto si desideri puntare su ciascuna di queste “direttive” è una scelta che spetta al Master carta & penna, o allo sviluppatore di videogiochi. Tornando allo scrigno del tesoro, se le tappe del leveling (e relativi benefici) sono fisse, in quanto si raggiungono con un preciso numero di punti esperienza, in molti casi lo stesso non si può dire per la tanto ambita ricchezza materiale. Qui torna in gioco la casualità in quanto, fin dai primi tempi del GdR carta e penna, il metodo tradizionale è stato lasciar decidere ai dadi cosa effettivamente contenga lo scrigno, basandosi sulle amate e odiate “tabelle del bottino” (loot tables).

Il colpo critico torna in gioco perché gli oggetti più preziosi ed ambiti sono spesso anche i più difficili da ottenere, e in una grande tabella con decine di voci, hanno una probabilità bassa di comparire: per esempio 5-10%, ovvero 1 o 2 su 20. La stessa probabilità che si ha di infliggere un critico a un certo mostro, senza bonus e modificatori di alcun tipo. Il problema risiede nel fatto che molti sistemi di gioco (salvo interventi da parte del Master) non conferiscono alcun bonus quando si tratta di “estrarre” le ricompense giuste. I GdR su PC e console hanno in gran parte ereditato questi criteri dal passato. In molti titoli contemporanei che si basano sull’accumulo di bottino, come Borderlands 2, Diablo 3 e Tom Clancy’s The Division, i giocatori, al momento di scoprire i fatidici drop (i tesori che un mostro sconfitto, o il suo scrigno, lasciano cadere al suolo) si affidano completamente o quasi al caso.

Trovare oggetti buoni ed utili può essere facile e gratificante al principio, poi diventa progressivamente più difficile, un po’ come poteva esserlo una volta avere la figurina mancante per completare una pagina dell’album. L’unico modo per aumentare le possibilità di ottenere buoni oggetti è aprire sempre più scrigni, cercando di tenere a mente il fatto che il giocatore spesso non ha alcuna influenza sull’estrazione in sé. Diablo 3, prima dell’uscita dell’espansione Reaper of Souls ha ricevuto un massiccio update che ha per l’appunto rivoluzionato il sistema di assegnazione dei tesori, considerato il maggiore punto debole del gioco. “Droppare” l’oggetto o gli oggetti desiderati in tanti MMORPG e simili finisce per essere l’incentivo principale, il fattore che maggiormente contribuisce a mantenere l’interesse del giocatore e, pericolosamente, l’unica vera fonte di progresso e realizzazione. La domanda da farsi è per quanto questo meccanismo basato su estrazioni inappellabili possa continuare a (in)soddisfare. Ciascuno di noi possiede la sua personale risposta, il suo personale gusto, ma ci sono circostanze in cui una bella storia, un bel film, un bel libro, possono dare la soddisfazione garantita che si era tristemente persa di vista.

Nei GdR cartacei il Master era spesso invitato, anche dal manuale, ad intervenire per mantenere l’equilibrio e la soddisfazione materiale all’interno del suo gruppetto di coraggiosi: il modo più classico è elargire ricompense in monete d’oro, poi spendibili per acquistare o costruire a propria scelta ciò di cui ognuno abbia bisogno. In presenza di risorse limitate, la scelta potrà essere difficile, ma comunque affidata al giocatore.

In campo videoludico, lasciare le chiavi nelle mani di un caso più o meno favorevole è stato svelato come un modo abbastanza poco elegante di diluire i contenuti, e costringere i propri giocatori ad elargire ore di tempo in cambio di progressi sempre inferiori. Come sempre si tratta di stabilire un equilibrio: gli sviluppatori non vogliono che i giocatori ottengano “subito” tutto quello che desiderano, ma che debbano impegnarsi per averlo. Tuttavia, come ai tempi del Master e dei suoi avventurieri, l’esperienza può proseguire soltanto se i loro gusti e le loro idee sono compatibili. Raggiunto un certo limite, è solo una questione di tempo prima che la corda si spezzi.

All’interno di questo discorso ci erano sfuggite delle domande essenziali: “Il gioco mi diverte ancora? Vale ancora la pena di spenderci tempo? Sento ancora quel ‘qualcosa’ di eroico?” Col moltiplicarsi potenzialmente incontrollato dei mostri da abbattere e degli scrigni da aprire, l’affievolirsi della trama e l’insorgere della noia nei confronti del combattimento, l’esperienza non rischierà di trasformarsi in un ciclo potenzialmente infinito, stagnante e fine a se stesso?

Gli sviluppatori di giochi per PC e console gestiscono le proprie regole in modo da risultare più o meno generosi: il passaggio delle consegne dal Master in carne ed ossa ad un ambiente pre-programmato e automatizzato significa che i game designer non potranno intervenire caso per caso a consolare un giocatore frustrato, anche perché l’automazione “industriale” dei GdR e la distribuzione globale significa che ci saranno migliaia se non milioni di giocatori. Appare comunque chiaro che gli sviluppatori desiderano che un dato gioco rimanga in attività il più a lungo possibile, con una community numerosa ed appassionata. Quindi (si spera) saranno motivati a intervenire sul sistema, correggendolo affinché gli utenti rimangano soddisfatti.

Prendendo ad esempio un classico della contemporaneità, ricordiamo che nella grande maggioranza dei casi, la sorte sorride a James Bond, o meglio, James Bond impone la sua volontà alla sorte. Invece l’eccessiva dipendenza dalla forza incontrollabile del caso è dannosa e passivizzante: schiaccia quel controllo che il bravo giocatore dovrebbe poter imporre al mondo di gioco; lo trasforma in uno spettatore annoiato piuttosto che in un agente attivo e determinante. Oltre alla passività, anche la ripetitività demolisce il senso di sorpresa, freschezza e imprevedibilità che è necessario come l’aria. Bisogna rendersi capaci di capire quando l’esperienza sta sfiorendo, e reimpossessarsi della propria a capacità di scelta.

Una cosa è fare conto su una casualità influenzabile, consistentemente, dalle decisioni e dall’impegno del giocatore. Altro invece è essere costretti ad affidarsi al puro azzardo, o a qualcosa di molto simile. Chi gestisce i giochi, sia esso Master o game designer, cerca di bilanciare le varie esigenze, le nostre esigenze: quanta casualità vogliamo nel nostro gioco? Quanta ne possiamo accettare? Meraviglia e sorpresa sono da sempre buone alleate del sistema-GdR, ed affinché funzioni bene, affinché si possa continuare, il fattore casualità deve lavorare a favore della soddisfazione dei giocatori. Il “critico”, si tratti di infliggere un colpo fatale nel corso di uno scontro importante, o di imbroccare il drop che ci voleva, si dovrebbe vivere come un bonus, un gradito dono al giocatore, piuttosto che qualcosa di continuamente atteso, magari con noia nascosta, e che viene maledetto ogni volta che manca di materializzarsi. Con il loro verificarsi o col loro assenteismo gli eventi memorabili, nel bene o nel male, tracciano un segno nell’esperienza del giocatore, e contribuiscono ad insegnargli cosa davvero vuole da questo genere d’intrattenimento. Ancora una volta, penso, sarà meglio puntare sulla scelta del giocatore e sulla sua abilità nel generare simili eventi, più che sulla cieca fortuna ai dadi.

 

L’angolo del GdR – La Storia Infinita?

Sui siti di settore si è ripreso a riflettere su un fattore importante per la bontà di un videogioco – si tratta della longevità. Titoli come Mass Effect 3, Dragon Age: Inquisition, The Witcher 3: Wild Hunt,  e il discorso in fondo vale anche per Rise of the Tomb Raider Star Wars: Battlefront 2,  escono con una campagna a giocatore singolo dalla durata prevista di un certo numero di ore. Una misura approssimativa della quantità di contenuto, e del tempo che il giocatore medio impiegherà per esaurirlo. Gli utenti navigati valutano un prodotto sulla base dei contenuti che offre, e sono spesso vogliosi di prolungare una buona esperienza di gioco.

É qui che intervengono i DLC, Contenuti Scaricabili che sono eredi delle Espansioni di una volta. Il giocatore esperto vede al di là di pubblicità e presentazione: un dato titolo e i suoi eventuali capitoli aggiuntivi devono appassionare, mettere alla prova, sorprendere ed emozionare. Considerata la spesa, al termine dei giochi si spera in un bilancio positivo e “sorridente”.

“Contenuti” è il termine pragmatico e tecnico che nel caso di GdR, MMORPG, giochi di esplorazione alla Tomb Raider, e persino sparatutto in prima persona, si traduce spesso con Avventure: intrecci di vicende, viaggi, dialoghi, personaggi e azione, che prevedono un inizio e una fine. Non per niente guerrieri, maghi, ladri, chierici, druidi ed altri protagonisti da GdR sono raggruppati sotto la categoria di “avventurieri”. Questi branditori di spade ed incantesimi (o magari armi e tecnologie futuristiche) in essenza non sono così diversi da Lara Croft, o da Indiana Jones, alla ricerca di “Fortuna e Gloria”.

Che ci si ritrovi al tavolo del Master, oppure seduti davanti al PC o alla console, acquisire potere per il proprio personaggio significa aprirgli nuove possibilità, nuovi percorsi e nuovi luoghi in cui saziare la propria sete di avventura. Immaginate di possedere la forza bruta sufficiente a sbaragliare la guardia personale di un nobile arrogante che credeva di potersi esimere dal pagare la ricompensa pattuita. In un altro caso si tratterà di sottrarre un certo oggetto magico dalla collezione di un crudele boss del crimine, sfuggendo a guardie e trappole con la destrezza, con l’inganno o con l’astuzia… Anche se i GdR più noti sono da sempre sbilanciati verso il combattimento, potere per il proprio personaggio in sostanza significa capacità crescente di conoscere ed alterare il mondo di gioco. Dove -conoscere- e comprendere è una voce importante che spesso passa inosservata. In molti sensi, il personaggio del GdR è il guanto che si adatta alle abilità del giocatore, vero motore e attore che opera all’interno dell’avventura con passione, ingegno e fantasia.

Nuove possibilità, nuove avventure: la barca dei nostri avventurieri si spinge sempre più in là, verso lidi sconosciuti che prima era difficile anche solo immaginare. É un viaggio che, nei momenti più belli e preziosi, si vorrebbe infinito. La memoria di questi istanti di meraviglia ci spinge a chiederne ancora.

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All’origine di tutto, il “fatidico” momento in cui il giocatore sceglie una classe (“Ma è forte…?”) e una razza (“Non ho idea di come sia fatto, uno gnomo…”) per il proprio, o la propria, protagonista. In corrispondenza con le prime scelte, si muovono i primi passi in una costruzione puramente fantasiosa, che tuttavia deve rispettare delle regole di auto-coerenza. Ne fanno parte i necessari limiti cui devono sottostare non solo gli eroi, ma anche i loro nemici. Nei GdR carta & penna, per immaginarsi all’interno del mondo di gioco, il nuovo avventuriero deve poter visualizzare umidi, oscuri sotterranei, foreste secolari dal fitto sottobosco, città medievaleggianti coronate da torri, oltre naturalmente alle persone e alle creature più o meno magiche che popolano un simile scenario. In questo e in altri sensi contribuisce ed è attivo. Master e avventurieri di oggi attingono in modo naturale da un bagaglio di strumenti posti nelle loro mani da libri più o meno illustrati, dal cinema e dalla televisione, da internet e, per l’appunto, dai videogiochi.

Se su un piatto della bilancia risiede l’immaginazione, sull’altro poggia il peso altrettanto importante della logica (e spesso della semplice casualità…). Una delle eredità più importanti e difficili dei GdR carta & penna è l’effetto che le diverse forze in campo (agendo secondo certi vincoli) producono sul mondo di gioco. Il gruppo di avventurieri rappresenta una di queste forze, ma la storia si scrive a più mani: il Master ed ogni singolo avventuriero danno il proprio contributo, e il finale non è predeterminato.

Tornando al nostro discorso sui contenuti videoludici, ancora una volta entriamo nel campo del gusto personale: apprezzare non vuol dire solo gradire, ma anche solo notare, vedere. Per fare degli esempi, se un certo giocatore cerca solamente azione e combattimento, la costruzione dell’ambiente, dei personaggi e dei dialoghi gli sarà indifferente, “invisibile”. Il lavoro speso nella loro realizzazione, inutile. Se invece quello che gli interessa è solo vivere una bella storia ed entrare in un mondo fantasy, ripetere scontri difficili perché non riesce a superarli, preoccuparsi del suo equipaggiamento, imparare il sistema di combattimento e delle abilità, è qualcosa che potrebbe infastidirlo. Da tempo gli sviluppatori hanno iniziato a rispondere a questo problema offrendo livelli di difficoltà compatibili con le varie esigenze, ed altre misure di adattabilità.

Giocatori con gusti diversi avranno quindi idee diverse e potenzialmente opposte, a proposito di quello che chiamerebbero “contenuto di gioco”, e “contenuto buono”, al quale siano disposti a dedicare tempo e denaro. Offrire un’esperienza variegata ed equilibrata è un’impresa difficile. Il GdR è un genere ibrido – attira un pubblico ampio, ma potenzialmente più difficile da soddisfare. Nell’ambito “carta & penna”, quando si tratta di costruire le avventure, gran parte del peso poggia sulle spalle del Master. Un Master responsabile e con esperienza si cura di venire incontro ai gusti dei suoi avventurieri. Non solo prepara quanto dovrebbe avvenire nella prossima sessione, ma anticipa, per quanto gli è possibile, le decisioni dei giocatori, guidandoli e lasciandosi guidare verso un’avventura, si spera, divertente e memorabile. I suoi mezzi, anche se “esili ed elementari”, paragonati a quelli ultramoderni e multimediali dell’industria videoludica, sono molto più adattabili, flessibili ed economici.

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D’altro canto, l’esperienza multimediale è ricca e complessa, capace di allacciarsi al suo fruitore con i mezzi dello scritto, della voce, dei suoni, della grafica, del movimento, della “cinematografia”. Per l’industria del videogioco creare contenuti di alta qualità rappresenta un investimento molto consistente. Nel caso di un titolo di alto profilo, pensato per il mercato internazionale (il cosiddetto AAA, “triple A”) si parla di anni di lavoro che impegnano un nutrito team di sviluppo, di decine di milioni di dollari di spesa, e di notevole azzardo per chi investe. Sceneggiatori e architetti dei GdR videoludici svolgono compiti simili a quelli dell’umile Master, ma sono professionisti che (almeno idealmente) puntano a standard elevati nella speranza di un largo successo di pubblico.

Nel loro caso però, i percorsi aperti all’iniziativa del giocatore (o giocatori) sono necessariamente più rigidi. Il Master e i suoi avventurieri, operando in tempo reale, anche se con mezzi rudimentali conservano adattabilità e versatilità per ora ineguagliate da qualunque copione preparato, per quanto complesso. GdR carta & penna e GdR videoludico operano attraverso canali diversi. Se vogliamo la loro relazione assomiglia a quella tra teatro semi-estemporaneo e mega-produzione cinematografica. Ognuno si sforza di sfruttare al meglio i propri specifici vantaggi.

I titoli più moderni su PC e console si sforzano di ampliare in ogni senso il territorio e le scelte che il giocatore può esplorare, ma ci sono sempre dei confini. Un GdR che sia “tutto testo”, per esempio, probabilmente garantisce più libertà ed alternative al giocatore, in quanto creare contenuto in tal caso costa meno. Di certo però non spingerà in avanti la frontiera della tecnologia, non sarà (perché non ambisce ad esserlo) una sbalorditiva esperienza multimediale, e non ne possiederà la travolgente attrattiva.

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Nei titoli prestigiosi che definiscono il genere, storia coinvolgente e ricca ambientazione non sono solo condimento per l’azione, oppure scenografia passiva e slegata. Piuttosto sono loro a dare senso alle azioni che il giocatore compie all’interno del mondo di gioco; a loro volta tali azioni influiscono in modo percepibile sulla storia e sull’ambientazione, dando luogo a un ciclo virtuoso, con relativa girandola di emozioni. Questa sinergia stabilisce un legame ancor più forte tra giocatore-attore e mondo fantastico.

Proteggere chi non può farlo da sé, sventare diabolici piani, salvare persone o comunità afflitte da oscure minacce, svelare misteri sepolti da polvere e oblio accumulatisi nei secoli… Certo, ci sono molti casi in cui l’equipaggiamento e di conseguenza la pura forza del personaggio, da mezzo si trasformano in fine. Tuttavia l’intenzione iniziale, da conservare per tutto lo sviluppo del gioco, dovrebbe essere di arrivare alla conclusione (si spera felice) della storia. Gloria, gioia, soddisfazione (e ricchezza…) sono le classiche ricompense dell’eroe. Sconfiggere mostri sempre più forti, trovare porte segrete, uscire da un buio labirinto sotterraneo: anche se ci piace dimenticarlo, farci affascinare dal gioco di prestigio, si tratta di superare ostacoli per raggiungere un traguardo finale e il relativo premio, un po’ come fa Lara Croft per svelare i misteri e i tesori dell’ennesima città perduta.

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Ogni singola quest, ogni breve avventura condivide questa matrice episodica e può essere cellula di un corpo più grande. Il tutto però prosegue solo fino a che si sa mantenere un equilibrio delicato, operazione che col procedere degli episodi si fa gradualmente più difficile. Più sono i nemici invincibili, le imprese incredibili, gli ostacoli insormontabili, gli amori impossibili, i voltafaccia imperdonabili, e di fatto le cime inviolate che vengono conquistate dallo stesso eroe o dalla stessa squadra, più il carattere per l’appunto eroico ed unico di ciascuna impresa s’incrina. Mi viene in mente il susseguirsi di espansioni sempre meno significative, tentazione tipica per i MMORPG. Altrettanto hanno fatto (o continuano a fare) serie televisive e saghe cinematografiche che si sono accorte troppo tardi di essere “esauste”.

Il sistema rischia di corrodere la propria coerenza e il proprio significato nel tentativo di offrire “una puntata in più”, oppure viene semplicemente a noia: ecco un altro scontro finale, con un nemico ancor più “definitivo” di quello, già odioso e terribile, che lo aveva preceduto. Il pubblico, memore delle precedenti esperienze, si rende più o meno conto di quando l’auto-coerenza inizia a traballare. Il rischio, nella ricerca compulsiva di sfide sempre più grandi e solo apparentemente nuove, è che ogni precedente impresa e trionfo perda valore. Infatti per molti fans il modo migliore di salvare le saghe più amate da una triste svalutazione, è limitare i danni decidendo di ricordarne solo le parti migliori.

Nessuna storia, nemmeno la più bella, può continuare all’infinito senza rischiare di erodere o addirittura tradire le proprie fondamenta e sua speciale identità.  Nell’ambito dei GdR, quando dilaga il senso di “già visto, già fatto”, il giocatore gradualmente si allontana, per noia o per frustrazione. Magari viene sedotto da pascoli più verdi, e decide, a ragione, che rappresentano un modo migliore di spendere il suo tempo. Se lo sciogliersi del gruppo prima della conclusione della campagna è un fallimento per il Master, lo è ancor più una “playerbase” che si disperde prima di essere giunta alla conclusione prevista di un certo titolo, o lo abbandona a poca distanza dall’uscita, generando un pericoloso effetto domino.

Come succede nel mondo del cinema, per un certo brand, una data saga, proseguire oltre il primo episodio (o la prima trilogia…) diventa via via più difficile. Lo stesso succede alle serie quando si allunga (magari troppo) la lista delle stagioni. Per questo motivo chi offre l’avventura, ed è bravo nel proprio mestiere, si cura di trovarle una degna e soddisfacente conclusione prima che si scada in un giro vizioso di ripetitività e frustrazione.  Un finale ben fatto esalta la qualità mantenuta per tutto il viaggio, e ne è il necessario coronamento.

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Potrà sembrare ovvio, ma l’abilità di far entrare e di condurre qualcuno all’interno di un mondo fantastico, è tanto importante quanto la grazia necessaria a radunare ogni filo della storia e a chiudere i giochi in bellezza, quando l’esperienza è ancora in attivo, in modo che come tale venga ricordata.

 

 

 

 

L’angolo del GdR – Sapori diversi da coltivare ed equilibrare

 Nel mio articolo su Mass Effect: Andromeda, ho accennato a un aspetto secondo me molto importante nella costruzione di un mondo di gioco “credibile”, vivace e coinvolgente – il fattore affettivo, coltivato attraverso l’inserimento del giocatore in un ambiente pieno di vita cui possa affezionarsi. Probabilmente sono di parte, ma in senso più ampio credo che un GdR non possa mantenere a lungo l’interesse del giocatore, a meno che non continui ad affascinarlo e sorprenderlo, ed è naturale che persone diverse siano attratte e stupite da elementi e “sapori” diversi.

Il rimando a Dungeons & Dragons non è casuale, perché come tanti altri giochi, i GdR, prima di entrare nei nostri PC e console, affidandosi così ai potenti mezzi dell’informatica, vivevano fondamentalmente della pura immaginazione dei giocatori, delle persone. Unico supporto e sostegno, in quell’epoca non ancora conclusa, erano carta e matita, i manuali con le regole, ed eventualmente una mappa con delle miniature. Poteva far comodo una calcolatrice, ma il sistema di base è così “primitivo” per gli standard di oggi che, fatto eclatante, ci si può giocare anche senza corrente elettrica, senza prese, senza (carica)batterie. Il GdR “carta & penna” inoltre costituisce un buon esercizio di fantasia, perché luoghi fantastici, mostri, eroi, difficili decisioni, i vivi dettagli delle storie e i reami da salvare (o devastare…) risiedono unicamente nella nostra immaginazione.

Quando si parla di Gioco di Ruolo (partendo dal genere fantasy), storia, avventura e interpretazione non dovrebbero mancare, e sono almeno idealmente connaturate all’esperienza. Sul Game Master ricade il compito di costruire la storia e realizzarla passo dopo passo a beneficio del suo partecipativo pubblico. Lui, o lei, agisce se vogliamo come cantastorie della situazione. Infatti, un po’ come nei perduti tempi d’oro dei cantastorie, quanto succede ha sviluppo per lo più regno del parlato, con tutti i suoi pregi e difetti. Nel GdR però, chi ascolta risponde, partecipa e contribuisce allo sviluppo di vicende che ad ogni svolta si adattano contestualmente alle decisioni dei giocatori, sotto la guida del Master: “Tiro per scassinare quello scrigno grassoccio!” “Vuole incastrarci! Io lo sceriffo non lo sopporto più, se attacco, mi venite dietro…?” “Faccio un tiro di diplomazia per convincere il duca a dimenticare quell’episodio…” E così via.

Sia nei manuali che al di fuori si è anche riflettuto su intesa e coesione che sono necessari a un gruppo funzionante, divertente e durevole, e che spesso si rivelano sfuggenti, semplicemente mancanti, o forse difficili da mantenere nel tempo. Molte e diverse riflessioni sul GdR concordano che fiducia e accordo sono fondamentali per il gruppo. Il Master e i suoi avventurieri devono cercare qualcosa di ragionevolmente simile. É stata modellata una gran varietà di “giocatori-tipo” e personalità. Se vogliamo si tratta di una sorta di quadratura del cerchio, perché ogni essere umano è unico, ma in tutti i campi in cui la statistica aiuta, tentare di definire dei modelli di riferimento è, penso, educativo e utile.

Per l’articolo di oggi, cercherò di restringere il campo a due grandi direzioni. Da un lato c’è la ricerca di una storia (con relativa scenografia) che sia emozionante, sorprendente, articolata, immersiva, “cinematografica” e trascinante. Dall’altro, il desiderio di andare al sodo, macinare mostri, “combinare qualcosa”, cambiare il mondo ed ammassare tesori che farebbero invidia a qualunque drago. In ultimo si tratta di creare un personaggio dai poteri leggendari, e di godere dei privilegi di tale posizione. Le due attrattive si possono combinare, spesso con reciproco beneficio, dando luogo a varie, efficaci sfumature, e penso che nessun giocatore di GdR voglia che un aspetto prevalga in modo schiacciante sull’altro.

Dato che lo scopo primario e dichiarato di un gioco è, o dovrebbe essere, il divertimento, il suo successo dovrebbe dipendere da quanto, e quanto a lungo può intrattenere. Eppure fatti ovvi come questo possono uscirci di mente, sepolti dalla frenesia dell’accumulo di ricchezze, oggetti e livelli.

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Il GdR carta & penna è riconosciuto come il progenitore dei grandi e sempre più ambiziosi GdR videoludici di oggi. Pensiamo a Diablo 3 di Blizzard, Dragon Age: Inquisition di Bioware, o The Witcher 3: Wild Hunt di CD Projekt Red. Ciascuno di questi tre titoli ha scelto un proprio equilibrio, il proprio compromesso nella questione che vede spesso contrapposte narrazione e combattimento, descrizione e ritmo, cura per il dettaglio e pragmatica sostanza; ricchezza e profondità artistica “contro” precisione, abilità, testardo impegno e semplice, cieca fortuna. Vi si inserisce anche l’eterna contesa tra qualità e quantità. Diablo 3 è stato rivoluzionato da un massiccio update che ha di poco preceduto l’uscita della sua espansione, Reaper of Souls. La storia raccontata da Diablo 3, anche se curata dal punto di vista estetico (sempre ottimo il comparto artistico), potrebbe non sorprendere, e i personaggi che agiscono al suo interno sono abbastanza semplici e prevedibili. Allo stato attuale delle cose, si tratta di “livellare” ed equipaggiare velocemente il nostro eroe in modo che possa presto accedere alla continua rincorsa verso mostri più potenti, ricompense più ricche, e imprese che richiedono maggiore abilità ed equipaggiamento iper-raffinato.

Quello che inizia come sfida interessante e appassionante diretta al perfezionamento del proprio protagonista, però, rischia col tempo di perdere il proprio colore, e di scadere nel cosiddetto grind. Nell’ambito videoludico si intende con grind un processo meccanico, una routine quotidiana che può assomigliare a un “lavoro” noioso e pesante. Dopo gli scontri che servono per conoscere il sistema ed imparare a gestirlo, col passare del tempo il gioco tende a trasformarsi in una sorta di prassi. Eliminare mostri è solo il primo passo: bisogna saperlo fare efficientemente, massimizzando il guadagno per unità di tempo.  Sempre in accordo con il significato del verbo inglese “to grind” si parla per l’appunto di “macinare” quantità innumerevoli di mostri per completare quest e guadagnare denaro e punti esperienza, o per raggiungere obiettivi che, passata la frenesia dell’accumulo, potranno sembrare irrilevanti.

Questa graduale e spesso non-percepita “riduzione alla prassi” lavora contro il senso di freschezza e di sorpresa che i titoli migliori mantengono per tutta la loro pur sempre limitata durata. Almeno idealmente, un buon GdR dovrebbe essere tutto tranne che ordinario e di routine, continuando nel suo corso ad offrire quell’ingrediente segreto che ne mantiene il sapore ed evita di farlo scadere in una scialba ripetitività.

Il gioco, in sostanza, vale la candela solo fino a che continua, nel senso più ampio, a suscitare emozioni. Sta al giocatore avere la capacità di conoscere se stesso e le proprie preferenze, e sapere quando arriva il momento in cui, che ci venga detto o meno, un certo gioco è compiuto e quello che davvero si sta facendo non è più giocarlo, ma ri-giocarlo. Alcuni titoli eccezionali edificano mondi ed universi immaginari, con luoghi, dialoghi, colpi di scena e personaggi veramente accattivanti ed impressionanti in quanto si imprimono in modo duraturo, vivendo “di vita propria” nel nostro ricordo anche dopo il termine dell’avventura.

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Così ci fanno desiderare il ritorno a simili, esotici ed avventurosi lidi, e, sottolineo, -nuove- imprese da compiere. Vorrei portare come esempi virtuosi Dragon Age: Origins e Star Wars: Knights of the Old Republic di Bioware, oltre a The Elder Scrolls: Skyrim di Bethesda. Volendo stringere, visto lo spazio (e il tempo) a disposizione, i due titoli di Bioware puntavano sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla credibilità dei rapporti umani (se ne ricordano i dialoghi e le buone prove attoriali) mentre Skyrim proponeva un’ambientazione vasta, paesaggi naturali convincenti, dettagliati e pieni d’ispirazione.

Per intenderci, “piccoli” dettagli come il sorgere e il tramontare del sole, il rumore di un soffio di vento che agita i rami degli alberi, il canto degli uccelli di giorno o dei grilli di notte, lo sciabordio dell’acqua ai piedi una cascatella, i colori pittorici di un tramonto tra le cime innevate che troneggiano su una verde vallata, sono solo alcuni degli elementi che danno realmente vita al paesaggio fantasy dei nostri sogni. A questo punto bisogna solo aggiungere il giusto sottofondo musicale per farci sprofondare in un “epico” reame da leggenda, portandoci a un passo dalla sensazione fisica di respirarne l’aria.

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Combattere, sconfiggere mostri per proteggere, vincere e guadagnare (oltre che  adempiere al nostro “destino eroico”) rappresenterà sempre, penso, un lato importante e divertente dell’avventura,  e un aspetto da curare per gli sviluppatori che ce la propongono. Combinare abilità diverse, utilizzare al meglio il terreno dello scontro, conoscere e costruire il personaggio è parte di quel processo che ci cala nella “vita ideale” del protagonista fantasy. Tuttavia temo che senza un’atmosfera fresca e accattivante, senza una miscela vincente di colori,  suoni e le melodie, senza la sinergia di costumi, voci e parole, senza volti umani, senza umane gioie e preoccupazioni, e senza una buona dose di spade, mostri ed incantesimi, il fantasy rischi di perdere “il sale”, il sapore essenziale, e la propria ragion d’essere.

Anche all’interno di giochi progettati per avere una notevole ampiezza e durata si possono registrare dei compromessi, forse necessari. Dragon Age: Inquisition ha suscitato qualche critica per via delle sue “missioni riempitive”, che sono state accostate a certe “tipiche” missioni da MMORPG. Non si trattava di procurarsi 10 code di lupo, macinando orde di lupi per lo più senza coda (assurdo, lo so), ma di svolgere comunque compiti ripetitivi all’interno del mondo di gioco, con dialogo di contorno snello o assente. Una missione del genere può risultare piuttosto impersonale, meccanica e insipida. Tuttavia, a parte qualche problema, Inquisition offre un’esperienza che si mantiene su livelli alti: sistema di combattimento interessante, storia ed ambientazione nel complesso ben fatte, ed una campagna di lunga durata (90-100+ ore al primo tentativo con tutte le quest secondarie).

Inquisition ha riavvicinato la saga di Dragon Age ai fasti del primo episodio che menzionavo prima, Dragon Age: Origins, che per me personalmente rappresentò a suo tempo una sorta di “fulminazione”. Vi dico solo che i compagni di viaggio del protagonista mi piacquero tanto che non volevo perdermi una parola delle loro battute. Anche per voi, immagino, alcuni titoli-chiave avranno rappresentato il massimo registrato, l’optimum per quanto riguarda uno specifico aspetto: combattimento, strategia, simpatia, ambientazione, intreccio, comparto artistico, innovazione, e così via. L’obiettivo per gli sviluppatori è ottenere da noi voti elevati in tutte queste voci di riferimento dei GdR videoludici. I problemi insorgono quando, anche in presenza di valori alti in più di una di queste categorie, si nota che una o più sono in affanno. Mass Effect: Andromeda, per esempio, soffre dal punto di vista del coinvolgimento e dell’ambientazione, e a giudizio di molti compie più di un passo indietro rispetto al predecessore, Mass Effect 3.

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Arrivando, in chiusura, a The Witcher 3, si può dire che la forte approvazione della critica e, cosa probabilmente più importante, il grande successo di pubblico, si debbano al delicato e riuscito equilibrio che gli sviluppatori di CD Projekt Red hanno saputo costruire per la loro creatura. Alcuni giocatori, come non si stancano tuttora di dire, sono stati incantati dall’atmosfera, o coinvolti dalla personale storia di Geralt di Rivia, dai suoi amici, amori ed avventure. Altri hanno accettato la sfida dei livelli di difficoltà più ostici, per spremere il massimo dal sistema di combattimento ed affrontare con successo mostri davvero terribili. Si tratta di un obiettivo raggiungibile solo attraverso preparazione, abilità e perfetta sintonia con le micidiali abilità del famoso cacciatore di mostri. Stupisce il fatto di trovare in The Witcher 3 momenti di “puro GdR” che ci mettono di fronte scelte difficili e relative conseguenze, accostati alla più “mondana” gestione delle risorse, a combattimenti interessanti, grafica e realizzazione artistica di altissimo livello. Vi si aggiunge un panorama naturale e umano capace quasi senza sosta di offrire emozioni. Accontentare tutti probabilmente è una chimera, una missione impossibile, ma The Witcher 3 riesce nel proposito di offrire un’esperienza di pregio a un largo pubblico, e lo fa trovando il modo di emozionare tante persone diverse.

Chi propone il prodotto mira ad ottenere il nostro consenso, ma è importante ricordare che lo fa rispondendo alle nostre necessità, le nostre preferenze, i nostri desideri e i nostri sogni. Per chi offre l’avventura, la sfida è simile a quella del Master “di una volta”. Si tratta di riuscire nella vera e propria impresa di creare e mantenere un equilibrio virtuoso, imbandire una “tavola” sulla quale i giocatori trovino quello che cercano, e lo trovino ottimo e abbondante. Come quando ci si alzava dal tavolo dei GdR carta e penna, idealmente la domanda con cui ci si lascia dovrebbe essere: “Quando ci si vede per la prossima partita…?

La recensione Star Wars: Battlefront 2

Star Wars: Battlefront II è uno degli sparatutto divertenti basati sul meraviglioso franchise di Star Wars. Questo gioco è stato sviluppato da una squadra di geni creativi di EA DICE in collaborazione con Criterion Games e Motive Studios. Il gioco ha una modalità storia! Sì, avete capito bene, non dovrete più accontentarvi di sparare a tutti gli extraterrestri senza una ragione. Adesso c’è una storia coinvolgente, emozionante e piena di avventure. Inoltre, il gioco è dotato di un sistema di classi, quindi potrete finalmente decidere se volete essere il cecchino che colpisce con precisione i nemici dall’alto, o il soldato coraggioso che carica a testa bassa. Scegliete la vostra arma e scatenate il caos nella galassia! E non pensate che dovrete accontentarvi sempre delle stesse ambientazioni noiose, perché qui c’è di tutto: dagli scenari della trilogia originale a quelli della trilogia prequel e di quella sequel. Fate un salto da Tatooine a Naboo e poi via verso l’epica battaglia finale su Starkiller Base!

L’entusiasmo suscitato per Star Wars Battlefront II nasce principalmente da due motivi: l’inversione della narrazione e l’inclusione nella saga canonica dei film. Indossiamo i panni di Iden Versio, comandante dell’Inferno Squad, forze speciali dell’Impero, nonché figlia dell’ammiraglio Garrick Versio. La trama ci porta ad affrontare l’attacco dei Ribelli a Endor, con l’obiettivo di recuperare un codice imperiale e disattivare gli scudi di sicurezza. Ma tutto ciò non è sufficiente per fermare la vittoria dei Ribelli, e finiamo con l’assistere all’esplosione della stazione spaziale su Endor. Questo evento scatena in Iden un desiderio di vendetta che la accompagnerà per tutto l’avventura.

Possiamo dire che il viaggio tra le diverse ambientazioni di Star Wars, grazie all’incontro con vari personaggi della saga, è convincente. Quello che abbiamo visto finora ci ha permesso di comprendere meglio alcuni punti cruciali tra il sesto e il settimo episodio, ma lasciando spazio all’immaginazione e a future rielaborazioni. Alcune situazioni sono riuscite meglio di altre, ma nel complesso la sceneggiatura garantisce momenti d’azione coinvolgenti. Tuttavia, siamo rimasti delusi dalla semplificazione dello sviluppo di alcuni personaggi, che avrebbero beneficiato di una maggiore profondità. Fortunatamente, la prima stagione di contenuti, disponibile dal 5 dicembre, espanderà la trama con nuove parti, lasciandoci curiosi sui suoi sviluppi futuri.

Chiunque sia un fan di Star Wars dovrebbe giocare a questo gioco o informarsi sulla trama, per ampliare le proprie conoscenze sulla serie in attesa di futuri film. La campagna è ricca di cutscene di alta qualità che dimostrano la volontà di rendere Star Wars Battlefront II il più simile possibile ai film.

Durante le missioni, non interpretiamo solo Iden Versio, ma anche vari eroi della trilogia originale di Star Wars. Possiamo personalizzare equipaggiamento e abilità di Iden, mentre con gli eroi dobbiamo giocare seguendo le impostazioni predefinite. Il gioco si sviluppa in sequenze che prendono spunto dalle mappe del multiplayer, ma con una maggiore linearità nella progressione. Sezioni in veicoli e a terra si alternano rapidamente, talvolta quasi senza soluzione di continuità. Gli obiettivi sono segnalati, ma a causa della semplicità del livello di progettazione, seguire le indicazioni è spesso una formalità. La difficoltà non è particolarmente alta al livello normale, ma sale notevolmente nel livello difficile a causa del numero e della precisione dei nemici. L’intelligenza artificiale dei nemici è aggressiva, ma a volte poco acuta nell’avanzare in modo strategico. La sensazione generale è quella di un gameplay solido incastonato in una trama narrativa più interessante di quanto ci si aspettasse, non tanto per la storia di Iden Versio, quanto per gli eventi che seguono il sesto episodio.

Dobbiamo ribadire ancora di più la qualità visiva di Star Wars Battlefront II: la potenza grafica del gioco trasmette tutta la bellezza e la fedeltà delle diverse ambientazioni che offre. Nonostante la quantità non sia esagerata, la varietà dei mondi scelti è incredibile, grazie all’universo di Star Wars. Alcune cutscene sembrano spezzoni di un film, sviluppate interamente con il motore proprietario FrostByte. Il doppiaggio italiano è buono, ma alcuni elementi rovinano l’atmosfera.

Parlando di vendite, posso solo dire che questo gioco ha fatto un successone! Iniziamo dagli Stati Uniti, dove Star Wars Battlefront II è stato il secondo gioco più venduto di novembre 2017. Praticamente è stato battuto solo da Call of Duty: WWII (ma noi sappiamo che la Forza è con noi!). Anche in Giappone, il gioco ha avuto un discreto successo, vendendo quasi 40.000 copie nella prima settimana. Ma come ogni grande leggenda, anche Star Wars: Battlefront II ha avuto le sue controversie. Il famigerato sistema di microtransazioni ha scatenato critiche feroci da parte dei giocatori. C’era chi diceva che fosse troppo vantaggioso per chi riusciva a fare acquisti nel gioco, mentre altri lo confrontavano addirittura con il gioco d’azzardo. Ma un giorno prima della pubblicazione ufficiale, Electronic Arts ha fatto marcia indietro e ha rimosso completamente il sistema. Insomma, la Forza è potente con loro!

Insomma, Star Wars: Battlefront II è un videogioco divertente e pieno di azione. Potrete finalmente vivere le avventure spaziali che avete sempre sognato, combattendo con spade laser e sparando a stormtrooper incompetenti. Non dimenticate di unirvi al lato divertente della Forza!

Mass Effect Andromeda – Una galassia da popolare

Mass Effect: Andromeda, attesissimo nuovo capitolo della serie di Mass Effect, è uscito per PC Windows e console (PS4, Xbox One) ormai due mesi fa, il 23 marzo. Come probabilmente saprete, Andromeda non ha ricevuto l’accoglienza che Electronic Arts si augurava, o meglio, che un ansioso pubblico sperava di potergli dare. Vi anticipo che, personalmente, sono stato un fan entusiasta della saga iniziata da Bioware fin dall’uscita del primo gioco, Mass Effect (2007). A mio modesto parere, Andromeda non è un brutto gioco, anzi, è piuttosto buono, e non mi pento di averlo giocato a fondo. Nei giorni immediatamente precedenti l’uscita, e subito dopo, Andromeda ha sofferto sotto il fuoco incrociato di giudizi più o meno informati, accorati, appassionati o tendenziosi. Inoltre, come accade sempre più spesso, l’uscita di un titolo di alto profilo è salutata da brigate di troll il cui obiettivo principale è insultare, offendere e vandalizzare. Voglio sorvolare sulle pecche delle animazioni facciali, su una fase di rilascio che ha creato fastidi a molti utenti, sugli occasionali bug e sul multigiocatore che anche dopo un paio di aggiornamenti correttivi mostra ancora problemi di fluidità e giocabilità.

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Quello su cui vorrei concentrarmi oggi è il cosiddetto storytelling, da molto tempo uno dei punti cardine dei GdR della Bioware, e ripensare assieme alla prima acclamata trilogia di Mass Effect. Lo storytelling è l’atto e l’abilità del narrare, servendosi abilmente della gamma di mezzi a disposizione. La trama dei primi tre capitoli di Mass Effect non era eccezionalmente elaborata od originale, ma molti concordano sul fatto che era molto ben raccontata, ed avvolta in una profusione di voci, colori, immagini, episodi e sfumature del “panorama galattico” nel quale era immersa e che contribuiva con forza al ritmo e al coinvolgimento. Uno degli aspetti più apprezzati della prima trilogia di Mass Effect, non solo dalla critica, ma da una larga parte del pubblico, era per l’appunto la galassia che Bioware aveva creato come sfondo vivente delle avventure del Comandante Shepard. La Via Lattea non era solamente un paesaggio spaziale fatto di pianeti, sistemi stellari, nebulose, ambienti esplorabili, abitabili od ostili (a tal riguardo Andromeda ha poco da invidiare alla prima trilogia) ma anche, cosa, penso, più importante, un crogiolo di popoli e accattivanti specie aliene.

Sarete d’accordo con me che i gusti possono variare drasticamente da un giocatore all’altro. Io personalmente mi sento vicino a quei recensori e a quella parte di pubblico che ha lamentato la “vuotezza” di Andromeda o, più correttamente, un diffuso “senso di vuoto”. L’impressione che spesso si sente, è che Andromeda manchi di quella “marcia in più” che coinvolgeva il fruitore e lo lasciava, tra una sessione di gioco e l’altra, in costante attesa della prossima mossa, della prossima battuta, dei prossimi sviluppi. É bene fermarsi un momento a specificare che all’interno di questo primo capitolo di una nuova potenziale serie, solo una regione periferica della Galassia di Andromeda (il Settore Heleus) è esplorabile. Quest’area ad alta densità stellare è incentrata attorno a un buco nero e la sua forma potrà trarre in inganno, ma rimane il fatto che il grosso della galassia è ancora al di là della nostra portata. Comunque il da fare non manca: il gioco offre moltissime missioni secondarie per chi voglia immergervisi, visuali e panorami artistici ed evocativi, esplorazione spaziale, combattimento ben fatto e abbondante, ed anche qualche rompicapo.

Il vuoto di cui parlo e che, si potrebbe dire, sta alla radice di molti altri problemi della storia, è di ordine affettivo. A seconda del gusto personale, sarà più o meno percepibile.

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La grande assente di Andromeda è, penso, la favolosa società galattica della prima trilogia di Mass Effect. Se mi perdonate il riferimento a Dungeons & Dragons, tra i vecchi manuali del Dungeon Master era nascosto un consiglio molto importante per coloro su cui ricade il compito di costruire storie, ambientazioni e campagne per i propri giocatori: quando si profila una minaccia agli abitanti di una certa comunità che dimora nel mondo di gioco, si deve trattare di salvare qualcuno con cui i giocatori abbiano stabilito un legame, “persone” con un valore “umano” che va al di là delle ricompense in denaro e punti esperienza. Per questo vi parlo di affetto: la comunità galattica della prima trilogia era vivida e accogliente, in breve, racchiudeva in sé un equilibrio vincente di diversità, novità, tecnologia, e somiglianza con dinamiche e problematiche di una società che conosciamo intimamente perché vi siamo calati: la nostra.

Introdotto abilmente nel primo Mass Effect, questo vivace e variegato panorama si è ulteriormente allargato ed arricchito, attraverso l’inserimento di una miriade di piccoli dettagli che, a mio giudizio, avevano la funzione tutt’altro che secondaria di “abbracciare” il giocatore e tirarlo dentro un universo credibile e divertente. Si pensi agli annunci personalizzati che invitavano Shepard a proseguire la sua educazione, promuovevano un film commerciale sulla sua ultima impresa, o cercavano di reclutarlo per un programma di colonizzazione facendo leva sul suo status di “disoccupato”. In un angolo della Cittadella, un krogan affamato rivelava al suo amico il sogno di poter gustare un pesce pescato dalle lucenti vasche del Presidium, il prestigioso quartiere diplomatico in cui i krogan non sono visti di buon occhio. A poca distanza un buffo negoziante turian, mettendosi “in copertura” dietro al suo bancone, aveva mimato a beneficio del Comandante una pericolosa battuta di caccia grossa. Questi piccoli episodi si saldavano bene con le missioni, con le variegate conversazioni e con la ricca atmosfera che era stata poco a poco costruita. L’impressione, quando si viaggiava di pianeta in pianeta sull’amata nave “Normandy” era di solcare le acque di un oceano vivente, e immagino che fosse lecito aspettarsi che questo genere di amorevole attenzione ai dettagli sarebbe continuata.

Dico questo senza avere propriamente chiamato in causa gli altrettanto amati compagni di viaggio della prima trilogia. Paragonarli al nuovo equipaggio richiederebbe un articolo dedicato. L’impressione è che gli amici di Ryder, in nostro nuovo protagonista, siano stati tutti quanti, per l’una o per l’altra ragione, “sradicati” dalle loro esistenze nella Via Lattea, e cerchino di mantenersi positivi nei confronti di un’operazione che si prospetta molto più difficile e complicata del previsto. Unica eccezione è Jaal, nativo della galassia di Andromeda.

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SPOILER ALERT – Quanto segue contiene accenni allo sviluppo della trama di Mass Effect: Andromeda.

Ironicamente, l’entusiasmo che l’Iniziativa Andromeda ha cercato di fomentare nei coloni si mostra forzato non solo perché all’inizio del gioco ci si rivela che i vari pianeti-Habitat designati sono compromessi, ma perché l’intero Settore Heleus è e rimane privo dell’atmosfera accogliente della Via Lattea, almeno fino alla conclusione del gioco.

Andromeda, abbandonando la nostra galassia, ha necessariamente dovuto ripartire da zero. Il Nexus, stazione spaziale che è il centro nevralgico della colonizzazione del Settore Heleus, è senz’altro un rimando alla Cittadella, ma di certo non la eguaglia, e rimane comunque un’isola circondata da una miriade di sistemi in larghissima parte inospitali od ostili. Le colonie fondate da Ryder sono poco più che stazioni isolate circondate da terre incontaminate, ma brulle e desolate; solo in un caso si tratta di una giungla popolata da animali feroci ed aggressivi. Nel corso di tutto il gioco, se gli insediamenti crescono, lo fanno di poco, focalizzandosi quasi esclusivamente sulla sopravvivenza. Per quanto ci si sforzi di trasformare questo desolato settore in qualcosa che assomigli alla casa che ricordiamo (obiettivo a volte espresso a chiare parole) è difficile piantare radici in un terreno che, a sensazione, pare avere molto in comune con una lastra di roccia. Riattivare le cosiddette “cripte” aliene collocate su ciascun pianeta-Habitat migliora la situazione nell’immediato, ma gli effetti a lungo termine sono al di fuori di quello che possiamo vedere nel corso di Andromeda, e si aggiungono alle promesse da mantenere nei prossimi capitoli.

Rimangono per l’appunto promesse anche le informazioni caratterizzanti a proposito del fenomeno spaziale noto come “Flagello” (Scourge), dei robot “Relictum” (Remnant) o sulla civiltà e le motivazioni dei Kett. Va bene l’essenziale senso di mistero, ma la mia impressione è che ce ne sia anche troppo. La decisione di lasciare così tanto in sospeso, penso, nuoce ad Andromeda, e contribuisce al senso di vuoto di cui parlavamo. Inoltre, conferisce al prodotto nel suo complesso un’aria di incompiutezza che va oltre l’intenzione di “lasciare aperti i giochi” dopo il finale. Il Flagello ha, tra l’altro, contribuito a rendere il settore ancor più desolato, distruggendo sistematicamente quelle tracce di vita e di civiltà che avrebbero invece potuto renderlo più interessante. Gli Angara, alieni nativi di Andromeda, malgrado le giustificabili ritrosie, rappresentano l’unico volto amichevole e l’unica autentica traccia di vita intelligente autoctona che troveremo nel Settore Heleus.

Mass Effect: Andromeda quindi si ritrova in più di un senso a vivere di quello che ha potuto portar via dalla Via Lattea: il patrimonio “umano” dei capitoli precedenti. Mi sono presto reso conto che una delle massime priorità per me era salvare le varie arche che contenevano i coloni turian, salarian ed asari. Mi spiace di non avere trovato alcun modo di visitarle dopo le rispettive missioni di salvataggio, e di non avere visto nuovi volti in giro, con l’eccezione dei rispettivi “Pionieri” (Pathfinders) designati. In sintesi, ogni volta che il mio Ryder è stato interpellato in tal senso, rispondeva che sì, sentiva nostalgia della Via Lattea, e io, da giocatore, ne sentivo ancora di più.

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