La lunga corsa di The Witcher sta per giungere al suo crepuscolo. Dopo anni di mostri, magia e intrighi politici, Netflix ha ufficializzato ciò che molti sospettavano: la quinta stagione sarà l’ultima. Le riprese sono già in corso, in parallelo con quelle della quarta, e segneranno la conclusione di una delle saghe fantasy più amate del decennio. È la fine di un’era, ma anche l’inizio della leggenda.
Chi ha seguito le avventure del cacciatore di mostri dagli occhi di gatto sa bene che The Witcher non è mai stata soltanto una serie. È un ponte narrativo e culturale tra i romanzi di Andrzej Sapkowski, i videogiochi firmati CD Projekt Red e l’immaginario collettivo di un’intera generazione di nerd cresciuti tra pozioni, incantesimi e dilemmi morali. Quando Henry Cavill ha indossato per la prima volta i panni di Geralt di Rivia, ha donato al personaggio una presenza scenica magnetica e una profondità inattesa: la forza del guerriero si mescolava alla malinconia del filosofo errante.
Il suo addio, alla fine della terza stagione, ha lasciato un vuoto che il pubblico ha percepito come una ferita aperta. Il testimone è passato a Liam Hemsworth, accolto con una miscela di scetticismo e curiosità. Ora, con due stagioni ancora da vivere, si apre la fase più delicata: scoprire come si chiuderà il cerchio e se la nuova incarnazione del Lupo Bianco riuscirà a conquistare il pubblico.
Lauren Schmidt Hissrich, showrunner della serie, ha confermato che la quinta stagione sarà quella definitiva e che la produzione è in pieno fermento post-produttivo. «Spero che l’attesa sia più breve», ha dichiarato a Variety. «Due anni e mezzo tra una stagione e l’altra non è l’ideale. Abbiamo concluso le riprese un mese fa e stiamo lavorando duramente per consegnare la stagione al pubblico il prima possibile». Se tutto filerà liscio, l’ultimo capitolo di The Witcher potrebbe approdare su Netflix già nel 2026, chiudendo un arco narrativo che ha ridefinito il fantasy televisivo.
Ma perché fermarsi adesso? È la domanda che molti fan si stanno ponendo. Netflix, che inizialmente aveva accennato a una durata di sette stagioni, sembra aver scelto di fermarsi a cinque per dare alla serie una chiusura solida e coerente. C’è chi pensa che l’addio di Cavill abbia spinto a ridisegnare la rotta, chi invece crede che la showrunner voglia evitare l’usura narrativa tipica dei prodotti longevi. Qualunque sia la verità, la sensazione è che il colosso dello streaming voglia lasciare The Witcher al suo apice, senza trascinarlo oltre misura.
Eppure, la quarta stagione ha mostrato un segnale preoccupante: gli ascolti della premiere sono calati del 50% rispetto alla stagione precedente. Secondo i dati diffusi, la puntata d’esordio con Liam Hemsworth ha registrato “solo” 7,4 milioni di visualizzazioni, posizionandosi al secondo posto tra le serie non in lingua inglese su Netflix — un primato mancato per la prima volta nella storia dello show. La piattaforma, nel tentativo di rassicurare i fan, ha dichiarato che The Witcher resta una delle produzioni fantasy più viste, ma il dato racconta un’altra storia: il pubblico fatica ad accettare il cambiamento.
Cavill, d’altronde, aveva stabilito un legame unico con il fandom. Appassionato di The Witcher sin dai tempi dei romanzi e dei videogiochi, aveva portato nella serie un rispetto filologico che pochi attori riescono a mantenere. La sua uscita di scena ha spezzato quell’alchimia rara tra interprete e universo narrativo, e ora la sfida per Hemsworth non è solo “essere all’altezza”, ma ricostruire un nuovo equilibrio con il pubblico.
Eppure, c’è una forma di poesia in tutto questo. The Witcher è sempre stata una saga sul destino e sulla trasformazione: uomini che diventano mostri, maghi che si fanno umani, potere che si paga con la perdita. Forse anche la serie stessa sta semplicemente vivendo la sua metamorfosi finale.
Il paragone con Game of Thrones è inevitabile. Come Westeros ha ridefinito l’epica politica, il Continente di Sapkowski ha elevato il fantasy morale a nuovo standard, raccontando la complessità del bene e del male, la fragilità della virtù e il prezzo dell’amore. Nessuno è veramente puro, nessuno è completamente perduto. Geralt non combatte solo mostri, ma anche la propria natura e le conseguenze delle scelte che compie.
Nel gran finale, tutti gli indizi portano a un epilogo di proporzioni leggendarie. Ciri dovrà affrontare il proprio destino di fiamma e distruzione, Yennefer si troverà di fronte all’eterna dicotomia tra potere e amore, e Geralt — forse più umano che mai — dovrà scegliere quale parte di sé salvare. Lacrime, battaglie, redenzione: la chiusura promette un equilibrio tra tragedia e bellezza, in perfetto stile Witcher.
Ma se la serie finirà, il suo mito continuerà a vivere. Perché The Witcher non è mai stato solo un prodotto audiovisivo, ma una mitologia contemporanea. Vive nei cosplay, nei romanzi, nei videogiochi, nei fan che continuano a citare la “Legge della Sorpresa” e a discutere su quale finale sia davvero degno del Lupo Bianco.
In fondo, Geralt di Rivia lo sapeva meglio di chiunque altro: il destino non si può cambiare, ma si può onorare fino all’ultimo respiro. The Witcher non muore. Si trasforma.
