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Fiabe Occidentali in Hanbok: La Magia delle Fiabe Rivisitata in Abito Tradizionale Coreano

Dal 26 febbraio al 2 maggio 2025, l’Istituto Culturale Coreano di Roma ospiterà un evento straordinario che promette di catturare l’immaginazione di tutti gli appassionati di arte, cultura e fiabe: la mostra “Fiabe Occidentali in Hanbo. Si tratta di un’opera di grande fascino che presenta una reinterpretazione unica dei personaggi fiabeschi che hanno accompagnato l’infanzia di intere generazioni, ma con un tocco originale che li trasforma in versioni indossanti l’Hanbok, l’abito tradizionale coreano.

L’evento è dedicato all’illustratrice Wooh Nayoung, un’artista che ha saputo combinare l’incanto delle fiabe occidentali con la tradizione culturale coreana, dando vita a rappresentazioni sorprendenti. Attraverso il suo talento, i celebri personaggi delle fiabe – da Cenerentola alla Sirenetta, dalla Bella Addormentata alla Piccola Fiammiferaia – prendono vita in una veste inaspettata, ma estremamente affascinante. Ogni figura è arricchita da dettagli che rievocano la bellezza e la grazia dell’Hanbok, in grado di unire la magia delle storie a un’iconografia culturale millenaria.

La mostra sarà visitabile gratuitamente durante gli orari di apertura dell’Istituto Culturale Coreano, dal lunedì al venerdì, dalle 10:00 alle 18:00, con ultimo ingresso alle 17:30. Un’opportunità unica per immergersi in un mondo che miscela la tradizione coreana con quella europea, creando un ponte tra culture diverse ma ugualmente ricche di fascino.

Inoltre, non perdere l’inaugurazione della mostra, prevista per il 25 febbraio alle ore 19:00. Sarà una serata speciale per scoprire insieme gli splendidi lavori di Wooh Nayoung, incontrare altri appassionati di arte e cultura e godere di un’atmosfera che promette di essere unica e accogliente.

Non lasciarti sfuggire l’occasione di vedere “Fiabe Occidentali in Hanbok”, una mostra che incarna l’incontro tra due mondi fiabeschi lontani, ma uniti dalla magia delle loro storie. L’ingresso è libero, quindi non c’è scusa per non partecipare a questo straordinario evento culturale che promette di farvi rivivere la magia delle fiabe con un tocco tutto nuovo!

L’Istituto Culturale Coreano vi aspetta numerosi in via Nomentana 12, Roma. Seguite l’hashtag #FiabeOccidentaliInHanbok e preparatevi a un viaggio nell’universo delle fiabe rilette sotto una nuova luce, tra tradizione e innovazione.

La custode delle falene: magia, crescita e bellezza visiva in una nuova graphic novel

Katie O’Neill, l’autrice neozelandese che ha conquistato il cuore di lettori di ogni età con La società dei draghi del tè, torna con una nuova opera che incanta e trasporta in un universo fiabesco e suggestivo: La custode delle falene. Questa graphic novel, tradotta in Italia da Il Castoro, mescola sapientemente mitologia, introspezione e poesia visiva, raccontando una storia di crescita e connessione che non può lasciare indifferenti.

Il mondo magico creato da O’Neill è ambientato nel cuore di un deserto, dove il Villaggio della Luna vive in simbiosi con la notte e con il Fiore della Notte, una pianta leggendaria che sboccia grazie all’impollinazione delle falene, creature donate dallo Spirito della Luna. Questi insetti sono simboli di delicatezza e trasformazione, e il loro ruolo all’interno della comunità è centrale. Essere la Custode delle Falene è un compito di grande prestigio, ma anche di immense responsabilità, che la giovane protagonista, Anya, decide di abbracciare. Tuttavia, il peso di questo ruolo e la solitudine che ne deriva iniziano a farsi sentire. Anya, con la sua curiosità e il desiderio di esplorare ciò che le è vietato, sogna di conoscere la vita diurna e il calore del sole, un desiderio che la spingerà a compiere scelte pericolose, minacciando non solo sé stessa ma l’intero equilibrio della comunità.

Il viaggio di Anya è, prima di tutto, un percorso di crescita personale. I suoi dubbi, paure e insicurezze la rendono un personaggio profondamente umano e facilmente riconoscibile, il cui desiderio di libertà risuona con forza nel lettore. Sebbene i personaggi secondari siano presenti in modo marginale, ognuno di loro gioca un ruolo fondamentale nel delineare il contrasto tra l’isolamento di Anya e la vita della comunità. Piccoli gesti e interazioni quotidiane amplificano il senso di magia e di appartenenza che permeano l’intero racconto.

Dal punto di vista visivo, Katie O’Neill conferma ancora una volta il suo straordinario talento. Le sue illustrazioni, delicate e sognanti, catturano l’essenza di un mondo sospeso tra la notte e il giorno. La palette cromatica, dominata da tonalità lunari e sabbiose, crea un’atmosfera intima e contemplativa, mentre l’uso sapiente della luce gioca con i contrasti tra il buio del deserto e le albe sognanti. La struttura delle tavole, spesso divisa in tre strisce classiche, si fa più libera nei momenti più evocativi, accompagnando il lettore in sequenze mute e oniriche che aggiungono profondità emotiva alla narrazione.

Nonostante le 272 pagine del libro, la narrazione di La custode delle falene si sviluppa con un ritmo lento e meditativo. Questa scelta stilistica permette al lettore di immergersi completamente nell’universo di O’Neill, anche se talvolta il ritmo sembra incerto, con momenti di indugi che si alternano a accelerazioni improvvise verso il climax finale. Tuttavia, questa alternanza di ritmi contribuisce a mantenere viva l’aura fiabesca del racconto, invitando alla riflessione sul valore del tempo e delle connessioni umane.

L’edizione italiana di questo piccolo capolavoro è un gioiello da collezionare. Il formato brossurato compatto, impreziosito da una cornice dorata, richiama l’estetica di un antico libro di fiabe e valorizza ulteriormente le illustrazioni di O’Neill, trasformando il volume in un oggetto che non è solo un’opera da leggere, ma da custodire con affetto nella propria libreria.

La custode delle falene è un’opera che va oltre la semplice graphic novel: è un’esperienza che esplora temi universali come la responsabilità, il sacrificio e il desiderio di libertà. Katie O’Neill dimostra ancora una volta che il fumetto è un mezzo potentissimo per raccontare storie che toccano corde emotive profonde, con una delicatezza unica. Se amate storie che combinano introspezione, mondi fantastici e un’estetica poetica, questa è una lettura imperdibile, un racconto che, come il Fiore della Notte, sboccia lentamente, ma lascia un’impronta indelebile nel cuore di chi lo legge.

La Bella e la Bestia: il film d’amore e magia che non ha età

Il 22 novembre del 1991, i cinema americani ospitarono l’arrivo di uno dei capolavori più iconici della storia dell’animazione: La Bella e la Bestia (Beauty and the Beast). Diretto da Gary Trousdale e Kirk Wise, il film rappresenta il terzo capitolo del Rinascimento Disney ed è stato il primo film d’animazione nella storia a ricevere una nomination agli Oscar come miglior film. Un traguardo straordinario che ne sottolinea l’impatto culturale e artistico, consolidando la sua posizione come un’opera senza tempo.

Basato sulla celebre fiaba di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, il film racconta la storia di Belle, una giovane e brillante ragazza che, per salvare suo padre, finisce intrappolata nel castello di una misteriosa Bestia maledetta. La magia della trama si mescola con elementi romantici e musicali, creando un perfetto equilibrio tra fantasia e emozione. L’ispirazione per questo film non proviene solo dalla fiaba del 1795, ma anche dal celebre film del 1946 diretto da Jean Cocteau, che introduceva concetti come i servitori trasformati in oggetti e il rivale della Bestia, Avenant (diventato Gaston nell’adattamento Disney). In realtà, Walt Disney aveva avuto in mente il progetto fin dagli anni ’30 e ’40, ma fu solo dopo il successo del film di Cocteau che il progetto riprese vita.

La bellezza del film risiede non solo nella trama affascinante, ma anche nell’incantevole stile visivo. L’animazione, realizzata con tecnica tradizionale, riesce a trasportare lo spettatore in un mondo magico e vivido. Ogni dettaglio, dal design degli abiti di Belle alla magnificenza del castello della Bestia, è stato curato nei minimi particolari, creando un’esperienza visiva senza pari. Il castello stesso si ispira al maestoso Chateau of Chambord nella Loira francese, mentre la libreria all’interno del castello riprende le forme della sala ovale della Biblioteca Nazionale di Francia.

Non si può parlare di La Bella e la Bestia senza menzionare la colonna sonora che ha fatto storia. Le indimenticabili canzoni, composte da Alan Menken e scritte da Howard Ashman, sono ancora oggi un caposaldo del repertorio Disney. Brani come “Belle”, “Be Our Guest” e la romantica “Tale As Old As Time hanno non solo reso il film memorabile, ma hanno anche fatto sì che le emozioni dei personaggi trovassero una voce potente e commovente. La musica è parte integrante del racconto, arricchendo l’esperienza emotiva e coinvolgendo il pubblico in un viaggio che va oltre la semplice animazione.

Ma ciò che rende La Bella e la Bestia davvero speciale è il suo messaggio universale sull’amore, l’accettazione e la bellezza interiore. La storia racconta che la vera bellezza non risiede nell’aspetto esteriore, ma nel cuore di ogni individuo. L’amore che nasce tra Belle e la Bestia è un percorso di trasformazione, un inno alla speranza e alla possibilità di superare le proprie paure e insicurezze. In questo senso, il film non è solo una fiaba, ma una lezione che continua a risuonare anche oggi, nel nostro mondo moderno.

Dietro le quinte, La Bella e la Bestia è stato anche un pionieristico esperimento tecnico. Con ben 1295 sfondi dipinti e 120.000 disegni, è stato il primo film d’animazione Disney a combinare animazioni tradizionali con l’emergente tecnologia della computer grafica, soprattutto nella celebre scena del ballo nel grande salone. Questa innovazione tecnica ha permesso di rendere la scena ancora più epica e memorabile. Inoltre, lo stile visivo di Belle è stato ispirato alla Dorothy di Judy Garland in Il Mago di Oz, mentre il suo celebre abito giallo richiama quello di Audrey Hepburn in Vacanze Romane. La stessa Belle, con i suoi circa 20 anni, rappresenta la principessa Disney più “adulta”, un dettaglio che la rende ancora più affascinante e autentica.

Nel film, la Bestia non è solo una figura minacciosa: il suo aspetto è il risultato di un mix di caratteristiche di vari animali, tra cui bufalo, cinghiale, leone, lupo, gorilla e orso, conferendo al personaggio una natura selvaggia e tormentata. Anche i personaggi secondari, come Lumière e Tockins, sono ispirati a icone del cinema, con Lumière che ricorda Maurice Chevalier e Tockins che evoca la figura di Napoleone Bonaparte.

La Bella e la Bestia è, dunque, un film che non ha età. Le sue splendide animazioni, la musica indimenticabile e il messaggio universale continuano a toccare il cuore del pubblico, indipendentemente dall’età. Nel 1992, il film ha ricevuto l’Oscar per la Miglior Canzone Originale e la Miglior Colonna Sonora, e sebbene non abbia vinto l’Oscar per il Miglior Film (un premio andato a Il Silenzio degli Innocenti), è stato il primo film d’animazione a raggiungere questa storica nomination. E non finisce qui: nel 1994, La Bella e la Bestia è diventato un musical di Broadway, diventando così la prima fiaba Disney ad avere tale onore.

Questo film è, senza dubbio, uno dei più grandi successi della Disney, capace di incantare e ispirare generazioni di spettatori, insegnando loro che l’amore vero non guarda all’apparenza, ma alla profondità dell’animo.

Lionel: L’audace e irriverente fumetto indie di Zaex Starzax che sfida il genere fiabesco

Nel variopinto e audace mondo del fumetto indie italiano, spunta una nuova e interessante perla: Lionel, un mini albo che riesce a mescolare sapientemente sarcasmo, ironia e un tocco di erotismo, il tutto sotto la firma di Zaex Starzax. Quest’autore, conosciuto per il suo stile unico e per la capacità di trattare tematiche trasgressive con brillantezza, ci regala una storia che sfida senza remore le convenzioni del genere fiabesco, proponendo un universo che non solo intriga, ma provoca e diverte. Pubblicato da Snuff Comics, Lionel è una storia autoconclusiva che porta in scena una narrazione irriverente, capace di abbattere ogni barriera di buon gusto, ma con una maestria che conquista il lettore più audace.

Il fumetto ci catapulta in un mondo fiabesco decisamente fuori dal comune, dove le principesse non sono le solite “brave ragazze” e il principe azzurro non è l’eroe perfetto a cui siamo abituati. Il protagonista, infatti, è un cavaliere che ha la forma di una “supposta” (una scelta di design che non passa inosservata), che si lancia in un’avventura per salvare la sua amata Briseide. Ma in questo universo grottesco e stravagante, niente è come sembra, e il nostro eroe dovrà affrontare mostri giganteschi e creature lascive, con una buona dose di azione, umorismo demenziale e, perché no, anche un po’ di body horror.

Zaex Starzax dimostra, con Lionel, di essere un maestro nel mescolare diversi registri. La trama, audace e spinta, ruota attorno a un cavaliere che muore e rinasce più volte, tra combattimenti furiosi e situazioni decisamente sopra le righe. In questo mondo organico e grottesco, i mostri che il nostro protagonista deve affrontare non sono certo quelli a cui siamo abituati. Ci sono orchestre “desiderose di calore umano”, parassiti intestinali e segugi sessuomani, per non parlare di tanti altri deliri che si muovono liberamente nella trama, in una danza di follia e risate. Lionel è un fumetto che non si prende troppo sul serio, eppure riesce a divertirci e a sfidare i limiti del buon gusto con un’intelligenza che merita attenzione.

Un altro aspetto che rende Lionel davvero speciale è la qualità visiva del fumetto. Zaex, infatti, ha scelto di non utilizzare il colore, un’assenza che potrebbe sembrare una limitazione ma che, in realtà, contribuisce ad amplificare l’intensità della sua arte. Lo stile grafico è viscerale, incisivo, e il tratto in bianco e nero riesce a trasmettere emozioni forti e crude, senza mai sacrificare il lato estetico. Il suo stile, con forti influenze dai personaggi deformati dei cartoni animati giapponesi (come quelli di Akira Toriyama nel Dottor Slump), è unico e inconfondibile. Ogni vignetta è una piccola opera d’arte, capace di raccontare tanto anche senza l’uso di colori, lasciando spazio alla forza espressiva del disegno.

Lionel è, senza dubbio, un fumetto che osa dove molti non osano più. Con il suo umorismo nero e la sua visione irriverente del mondo fiabesco, il fumetto offre una lettura che, pur essendo dissacrante, è anche incredibilmente divertente. Non si limita a raccontare una storia di “salvataggio della principessa”, ma lo fa rompendo ogni tipo di convenzione, creando una sorta di parodia del genere che, pur restando nel solco della tradizione, ne esce fuori in modo originale e fresco. Il fumetto si conclude in 24 pagine, ma lascia il lettore con il desiderio di scoprire come proseguirà questa folle avventura.

Zaex Starzax, noto per le sue illustrazioni in riviste come Carmilla e per il suo lavoro con la storica rivista Robot, ha sempre avuto una predilezione per la distopia e la fantascienza apocalittica, ma con Lionel esplora anche i confini della fantasia, della satira sociale e della critica culturale. Oggi, Zaex è impegnato nella creazione di nuove serie di fantascienza distopica che vedranno la luce negli Stati Uniti, confermando il suo talento e la sua visione fuori dagli schemi. Con Lionel, Zaex Starzax ci regala non solo un’opera d’arte di grande valore, ma ci invita a riflettere su cosa possa e debba essere il fumetto. Un luogo di sperimentazione, di libertà espressiva, e soprattutto di coraggio. Se siete lettori che non temono di affrontare temi bizzarri, mostri giganti e situazioni fuori dal comune, Lionel è il fumetto che fa per voi. Un’opera che turba, diverte e fa riflettere, capace di sfidare la norma e di conquistare chi cerca una lettura davvero fuori dagli schemi.

Addio principesse, arriva il Principe Azzurro: Disney ci stupisce ancora!

La Disney ha sempre saputo incantare il pubblico con le sue storie di principesse e avventure romantiche. Tuttavia, il colosso dell’animazione ha deciso di rompere con la tradizione, spostando l’attenzione su un personaggio spesso trascurato: il Principe Azzurro. Finalmente, il celebre eroe delle favole avrà un film tutto suo, promettendo una ventata di novità in un universo fiabesco conosciuto da tutti. Per la prima volta, il Principe Azzurro avrà un ruolo da protagonista in un lungometraggio. Questo personaggio, noto per il suo arrivo trionfale nelle storie di Cenerentola e Biancaneve, è sempre stato rappresentato come l’eroe che salva la principessa in pericolo. Ma chi è veramente il Principe Azzurro al di là della sua facciata di cavaliere perfetto? Questa domanda si pone in un momento in cui le narrazioni si evolvono e si allontanano dai modelli tradizionali, cercando di esplorare la complessità dei personaggi.

A dirigere questo progetto innovativo c’è Paul King, il regista celebre per la sua abilità di dare vita a mondi fantastici e personaggi indimenticabili, come dimostrato con i film di Paddington e Wonka. La sua sensibilità artistica è un segno promettente per un film che si preannuncia ricco di magia e avventura. Con King alla guida, ci si aspetta un’esperienza cinematografica che saprà catturare tanto i giovani quanto gli adulti, riportando in vita un personaggio che, sebbene iconico, ha sempre avuto un ruolo secondario nelle storie Disney.

La trama di questo nuovo film rimane avvolta nel mistero, ma le aspettative sono alte. Non si tratterà di un semplice remake delle storie classiche, ma di una rivisitazione originale che esplorerà le origini e i desideri più profondi del Principe Azzurro. Questo potrebbe permettere al pubblico di vedere il personaggio sotto una nuova luce, portando alla ribalta le sue aspirazioni e le sue sfide personali, elementi che non erano mai stati approfonditi nei film precedenti.

Un altro interrogativo che aleggia intorno al progetto è chi interpreterà il Principe Azzurro.

Un’altra domanda che tutti si stanno ponendo è: chi interpreterà il Principe Azzurro? In molti pensano a Timothée Chalamet, l’attore che ha già dimostrato di saper interpretare personaggi complessi e affascinanti, anche se…potrebbero pensare ad un principe diverso per esempio con Dwayne “The Rock” Johnson. Tra i nomi più chiacchierati c’è Chris Hemsworth, noto per il suo iconico ruolo di Thor nel Marvel Cinematic Universe. Hemsworth ha mostrato interesse per il progetto, e la sua versatilità come attore potrebbe portare una freschezza inaspettata al personaggio. La collaborazione con Paul King per esplorare un ruolo così differente rispetto ai suoi precedenti lavori potrebbe rivelarsi un’ottima scelta. Con un anno ricco di progetti, tra cui “Furiosa: A Mad Max Saga” e “Transformers One”, il momento sembra perfetto per affrontare una nuova sfida.

Il fatto che la Disney stia per lanciarsi in questa avventura rappresenta un passo significativo per la casa di produzione. Dimostra la sua capacità di innovare e di sorprendere, proponendo una rivisitazione delle favole che permetterà al pubblico di scoprire nuovi aspetti di un personaggio che è sempre stato dato per scontato. Questo film offre anche l’opportunità di riflettere su come le storie possono evolversi nel tempo, portando avanti una narrazione che possa risuonare con le nuove generazioni. E così, mentre il mondo attende con curiosità i dettagli di questo progetto, i fan di Disney e gli appassionati di storie moderne si interrogano: come sarà questa nuova interpretazione del Principe Azzurro? Sarà un racconto di avventure e battaglie? O esplorerà più a fondo le emozioni e i conflitti interiori di un personaggio da sempre considerato secondario?

L’entusiasmo per questa nuova direzione narrativa è palpabile, e le voci di chi è già in attesa di vedere il Principe Azzurro sul grande schermo si fanno sempre più forti. Se sei tra coloro che aspettano con trepidazione di scoprire come questo progetto prenderà forma, non dimenticare di condividere le tue opinioni nei commenti. Questo è solo l’inizio di una nuova era per le favole Disney, e le avventure del Principe Azzurro potrebbero rivelarsi più affascinanti di quanto ci si aspetti.

The Witcher incontra la tenerezza: arriva The Little Witcher!

Chi avrebbe mai immaginato che l’universo di Geralt di Rivia, solitamente avvolto nell’oscurità e nel pericolo, potesse trasformarsi in un mondo tanto tenero e divertente? Eppure, grazie a CD Projekt Red, in collaborazione con Del Rey Books e Penguin Random House, sta per arrivare The Little Witcher, un fumetto pensato per intrattenere l’intera famiglia, dai più piccoli ai più grandi.

Questa nuova avventura ci porta nel cuore del mondo di The Witcher, ma con una prospettiva completamente diversa. Al centro della scena troviamo Ciri, una giovane strega in allenamento che, sotto la guida di Geralt di Rivia, imparando a domare i suoi poteri, si avventura tra le magie e le sfide di un mondo che non è certo dei più facili. Ma non preoccupatevi, qui non ci sono mostri minacciosi o battaglie sanguinolente. The Little Witcher è un fumetto più leggero, perfetto per intrattenere i più giovani senza rinunciare all’ambientazione originale.

L’elemento che rende questa storia davvero speciale è la dinamica che si crea tra Geralt, Ciri, Yennefer e Vesemir. In questa nuova versione dei personaggi, assistiamo alla loro interazione come una sorta di famiglia allargata, che si destreggia tra i piccoli e grandi problemi quotidiani. Ciri si confronta con gli allenamenti da strega, ma anche con situazioni ben più “normali”, come quelle serate in cui Geralt racconta storie della buonanotte, dove anche i mostri sono protagonisti… ma più per le loro buffe abitudini che per la loro pericolosità. E, naturalmente, non mancano i momenti di battaglia per farle lavare i denti!

Cosa rende The Little Witcher imperdibile? In primo luogo, il piacere di ritrovare personaggi familiari in un contesto nuovo e fresco. Il fumetto è ricco di momenti divertenti e teneri, che possono far sorridere e commuovere allo stesso tempo, ideali da condividere con tutta la famiglia. Inoltre, il messaggio che trasmette è profondo: l’importanza dell’amicizia, della famiglia e della crescita, valori che tutti possiamo apprezzare.

L’attesa non sarà lunga: The Little Witcher arriverà in formato cartaceo il 13 maggio 2025, e potrà essere preordinato già da ora su Amazon e altri rivenditori, al prezzo di $16. Siete pronti a scoprire il lato più tenero e divertente del mondo di The Witcher?

Storie Spaziali per Maschi del Futuro

È finalmente disponibile su Amazon “Storie Spaziali per Maschi del Futuro”, l’ultima creazione di Francesca Cavallo, autrice due volte best seller del New York Times. Questa raccolta di 12 fiabe, edita da Undercats, non solo ha fatto breccia nei cuori dei lettori, ma è subito balzata in cima alla classifica della Letteratura per Bambini e si è piazzata al quinto posto tra i Bestseller per adolescenti e ragazzi, guadagnando anche una posizione significativa nella classifica generale.

Le fiabe, splendidamente illustrate da Luis San Vicente, trasportano i lettori su 12 pianeti immaginari, ognuno dei quali è un riflesso di questioni cruciali che influenzano la crescita e l’identità maschile. In un’epoca in cui le aspettative sui maschi stanno evolvendo, Francesca Cavallo affronta domande provocatorie, come come sarebbe un mondo in cui i maschi si rifiutano di fare la guerra o non sentono il bisogno di essere eroi per sentirsi amati.

Ogni racconto è concepito per esplorare temi fondamentali: dalla capacità di riconoscere e accettare le proprie emozioni, all’importanza del consenso, passando per la difficoltà di confrontarsi con le aspettative familiari, fino alla gestione del rifiuto e il coraggio di riparare ciò che si è rotto. “Se un tempo si diceva ‘Auguri e figli maschi’, oggi forse si dovrebbe dire ‘Figli maschi? Auguri! Perché crescere un maschio non è mai stato difficile quanto lo è adesso”, afferma Cavallo, sottolineando l’urgenza di una nuova narrazione.

La scrittrice ha riscontrato un forte interesse internazionale per il suo lavoro: i diritti di pubblicazione di “Storie Spaziali per Maschi del Futuro” sono stati acquistati in lingue come spagnolo, tedesco, catalano, polacco, danese, portoghese e croato, confermando la sua rilevanza nel panorama editoriale contemporaneo. Tuttavia, la situazione in Italia è stata differente. “In Italia non ho trovato nessun editore che volesse investire nel progetto così com’era e allora lo pubblico con il mio marchio editoriale, Undercats, usando la piattaforma di self-publishing di Amazon”, racconta Cavallo, evidenziando la sua determinazione a far arrivare la sua visione al pubblico.

Per celebrare il lancio del libro, Francesca Cavallo ha organizzato una serie di eventi in tutta Italia. Tra i primi appuntamenti, il 4 ottobre a Milano, dove parteciperà Claudio Nader dell’Osservatorio Maschile, e il 6 ottobre a Brescia, al Festival Librixia, con Nicoletta Tonoli. A Venezia, il 7 ottobre, l’autrice sarà accompagnata da Francesca Zucchi, mentre a Roma, il 12 ottobre, parteciperà al XXI Congresso dell’Associazione Luca con Chiara Lalli. La tappa finale di questa prima serie di presentazioni si svolgerà a Bologna il 29 ottobre, con Vincenzo Branà.

Francesca Cavallo, originaria di Taranto e nata nel 1983, ha all’attivo 16 libri, tra cui il celebre “Storie della Buonanotte per Bambine Ribelli”, un fenomeno mondiale con oltre 8 milioni di copie vendute. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per il suo contributo innovativo alla letteratura per l’infanzia e ha una lunga carriera di autoproduzione di progetti attraverso campagne di crowdfunding. Cavallo è diventata una voce autorevole sulla rappresentazione, l’inclusione e la diversità, portando il suo messaggio in contesti di prestigio come il Museo dei Nobel di Stoccolma e la Commissione Europea.

“Storie Spaziali per Maschi del Futuro” non è solo una raccolta di fiabe, ma un invito a riflettere su come si possa crescere un maschio nel XXI secolo, abbracciando una narrazione più inclusiva e complessa. Per ulteriori informazioni, è possibile visitare i siti ufficiali maschidelfuturo.it e francescatherebel.com.

In questo modo, Francesca Cavallo non solo contribuisce al dibattito culturale attuale, ma crea anche uno spazio narrativo dove i giovani lettori possono esplorare e comprendere meglio le loro emozioni e identità in un mondo in continua evoluzione. La sua missione è chiara: costruire un futuro dove i maschi possano esprimersi liberamente, senza paura di essere giudicati o limitati da stereotipi obsoleti.

Winter Burrow: La Magia di Sopravvivere in un Inverno magico

Il 2025 si prospetta un anno interessante per gli amanti dei videogiochi survival, grazie all’arrivo di Winter Burrow, una proposta davvero intrigante che unisce le dinamiche classiche del genere con un’atmosfera incredibilmente confortevole e avvolgente. Sviluppato da Pine Creek Games e pubblicato da Noodlecake, Winter Burrow si distingue non solo per la sua storia emozionante, ma anche per l’approccio artistico che affonda le radici nel fascino delle fiabe e nella bellezza della natura. Preceduto da una demo che ha fatto il suo debutto alla fiera di Colonia, il titolo promette di offrire un’esperienza che sa essere rilassante e coinvolgente al tempo stesso, unendo elementi di sopravvivenza a un’atmosfera che sa di calore domestico e confortante nostalgia.

Una Storia di Rinascita e Sopravvivenza

La trama di Winter Burrow segue un giovane topo che lascia la frenesia della grande città per tornare alla sua casa d’infanzia, ormai in rovina e abbandonata. Quello che inizialmente sembra un ritorno alle radici si trasforma in un’avventura di sopravvivenza, dove il protagonista dovrà affrontare un inverno spietato e raccogliere il coraggio necessario per ricostruire la sua tana e farne nuovamente un rifugio sicuro e confortevole. Lungo il percorso, il topo sarà anche alla ricerca della sua zia, scomparsa misteriosamente, il cui destino si rivelerà in un colpo di scena drammatico: presa da un gufo, simbolo di un destino crudele che irrompe nell’apparente tranquillità della vita di campagna.

Esplorazione e Personalizzazione

In Winter Burrow, il gameplay ruota attorno a un’esplorazione in un mondo innevato e ricco di risorse naturali, ma anche di pericoli. Il giocatore dovrà raccogliere materiali, risolvere enigmi e interagire con altri abitanti del luogo, mentre cerca di restare al sicuro in un ambiente ostile. L’elemento survival è molto presente, ma il gioco si distingue per un ritmo rilassato e per una progressione che non impone frenesia, ma che lascia al giocatore il tempo di esplorare a fondo ogni angolo del mondo.

Il protagonista dovrà affrontare condizioni climatiche difficili e una fauna inaspettata, tra cui insetti e predatori, mentre esplora la foresta ghiacciata. I materiali raccolti serviranno non solo per sopravvivere, ma anche per riparare la propria tana e migliorarla, rendendola più accogliente. Il crafting e la decorazione sono parte integrante dell’esperienza di gioco, permettendo al giocatore di personalizzare il proprio rifugio e creare nuovi oggetti per affrontare le sfide che la natura gli impone. Un aspetto interessante del gameplay è la possibilità di scegliere il proprio stile di gioco: si può decidere di concentrarsi sull’esplorazione, sulla creazione di alleanze con altri personaggi o sulla costruzione di una casa confortevole, mentre la trama si evolve.

Un’Atmosfera Fiabesca e Artigianale

Lo stile grafico di Winter Burrow è uno degli aspetti che colpisce di più. La scelta di Pine Creek Games di adottare una visuale isometrica e un design che ricorda le illustrazioni dei libri di fiabe dell’infanzia è davvero azzeccata. La combinazione di colori caldi e freddi, la neve che ricopre la terra e l’aspetto artigianale degli ambienti, creano un’atmosfera che invita alla scoperta, ma anche al rifugio. Non si tratta di un survival game claustrofobico e angosciante, ma piuttosto di un viaggio emotivo dove la bellezza naturale e la magia del racconto si intrecciano.

Le prime fasi del gioco, come quelle esplorate nella demo, ci mostrano un piccolo rifugio dentro un albero, angusto e disadorno, dove il topo dovrà iniziare la sua avventura. Inizialmente, la tana è un luogo poco accogliente, con un camino spento e pochi comfort, ma con l’incedere del gioco, ogni piccolo miglioramento porta conforto e speranza. Oggetti come ramoscelli e pietre permettono di creare attrezzi che aprono la strada a nuove possibilità, come la raccolta di legna più resistente, la produzione di abiti caldi e l’esplorazione di nuove aree.

Un Survival “A Misura di Giocatore”

Uno degli aspetti che rende Winter Burrow particolarmente interessante è la sua capacità di adattarsi al giocatore. Mentre alcuni survival game tendono a punire ogni errore e a creare una sensazione di costante ansia, Winter Burrow cerca di offrire un’esperienza più pacata, dove la difficoltà si fa sentire ma senza mai essere insopportabile. Il giocatore può scegliere di proseguire a un ritmo tranquillo, concentrandosi sul miglioramento della propria casa e sulla creazione di legami con i personaggi che incontrerà lungo la strada. Allo stesso tempo, il gioco non manca di quelle sfide tipiche del genere, come la gestione delle risorse, il rischio di essere colti dal freddo e l’abilità di non far mancare al protagonista il necessario per la sopravvivenza.

L’aspetto narrativo si intreccia sapientemente con la meccanica di gioco. Winter Burrow non è solo una questione di sopravvivenza, ma anche di scoperta di sé stessi e del mondo che ci circonda. Il gioco invita il giocatore a esplorare non solo la foresta gelata, ma anche il proprio passato e le proprie emozioni, in un viaggio che promette di essere tanto personale quanto avventuroso.

Conclusioni: Un Survival Game con Cuore e Calore

Winter Burrow si presenta come un’esperienza unica nel panorama dei survival game. Con la sua miscela di esplorazione, crafting e narrazione, il titolo di Pine Creek Games promette di attrarre non solo gli appassionati del genere, ma anche chi cerca un gioco che offra qualcosa di più di una semplice lotta per la sopravvivenza. La sua estetica fiabesca, l’approccio rilassato e l’attenzione alla personalizzazione e alla narrazione potrebbero conquistare un ampio pubblico, di tutte le età e preferenze. In attesa della sua uscita, prevista per il 2025 su Xbox, Game Pass e Steam, Winter Burrow è senza dubbio uno dei titoli da tenere d’occhio per i fan del genere e non solo.

Il 24 giugno è Fairy Day

Il 24 giugno si festeggia il Fairy Day, la giornata mondiale dedicata alle fate e al mondo magico.  Questo particolare giorno è un’occasione e per tutti coloro che credono a questi poteri e misteri antichissimi, gente che non esclude questo mondo fatato dal loro cuore!

La fata è una creatura leggendaria, presente nelle fiabe o nei miti di origine principalmente italiana e francese, ma che trova comunque figure affini nelle mitologie dell’Europa dell’Est, oltre che in quelle inglesi dove sono chiamate fairy. Le fate sembrano ereditare i loro poteri ed il loro aspetto da alcuni personaggi della mitologia classica, ovvero principalmente dalle ninfe e dalle Parche da cui prendono il nome Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato. Come le ninfe, esse sono spiriti naturali che hanno sembianze di fanciulla; come le Parche presiedono al destino dell’uomo, dispensando vizi o virtù.

Una leggenda islandese, poi convertita in un racconto cristiano da parte dei monaci missionari, afferma che Eva era intenta a lavare i suoi figli, quando Dio le rivolse la parola; allora ella, impaurita, nascose i figli che ancora non aveva lavato. Quando Dio le chiese se tutti i suoi figli fossero presenti, Eva gli rispose di sì e ciò suscitò la collera di Dio, il quale dichiarò: “Come tu hai nascosto i tuoi figli alla mia vista, così essi rimarranno per sempre nascosti alla tua!“; tramite questo racconto si presume quindi che le fate un tempo fossero mortali puniti per colpa dei peccati di Eva.

Le prime fate appaiono nel Medioevo come proiezione delle antiche ninfe, donne ammalianti della foresta dedite all’amore,ma vengono per la prima volta ufficializzate verso la fine del Medioevo prendendo l’aspetto classico delle dame dell’epoca, che indossavano ingombranti copricapi conici (hennin) e lunghi abiti colorati. Man mano venne attribuita loro la verga o bacchetta magica che possiamo ritrovare anche nell’Odissea (Circe e Ermes), dove ha tuttavia attributi divini e non solo magici.

Una tradizione popolare, diffusa nelle campagne influenzate dalla cultura celtica, afferma che questi esseri fatati siano “angeli caduti”, condotti fuori dal paradiso da Lucifero ma non abbastanza crudeli da essere rinchiusi nell’inferno e quindi destinati ad abitare sulla terra; inoltre si afferma che in base al luogo del loro atterraggio essi assumano le caratteristiche dell’ambiente, come, ad esempio, le fate che sono cadute nell’acqua si sono trasformate in ondine o ninfe marine.

Fondamentalmente l’assonanza ha portato ad associare la fata alla fairy inglese e celtica (presenti in alcune commedie dello stesso William Shakespeare), ovvero a certi esponenti del cosiddetto «piccolo popolo» (sidhe), esseri minuscoli e con le alucce. Sebbene le fate, a parere di alcuni, abbiano poco a che vedere con questi ultimi, l’etimologia di fairy proverrebbe dal francese faie che a sua volta deriva proprio dall’italiano antico fatae («dame fatate» o indovine). Il termine fairy sarebbe stato adottato dalla lingua inglese come un’abbreviazione di faie-rie, ovvero «stato di incantamento», espressione che poi ha finito per designare non solo la condizione di questi esseri, ma gli esseri stessi. Il folclore inglese ha poi rimpicciolito le loro fattezze, ricomprendendo sotto di esse tutti i cosiddetti esseri elementari che presiedono al rigoglio delle piante e alle trasformazioni della natura, assimilandole alle pixies.

Successivamente ogni fiabista ha aggiunto particolari al loro carattere. Uno spaccato di come sono le fate lo troviamo ne La bella addormentata sia di Perrault sia dei fratelli Grimm ed ancora in Pinocchio, dove alla fata turchina viene ufficialmente assegnato il colore blu, colore del sovrannaturale e della magia.

Gianni Rodari: la fiaba come bussola per navigare il futuro

Un monito che risuona nel tempo

Quasi cinquant’anni fa, nel 1976, Gianni Rodari, maestro indiscusso della fantasia, pronunciò parole che oggi risuonano con straordinaria attualità. In un’intervista rilasciata all’emittente svizzera RSI, Rodari sottolineò l’importanza insostituibile della fiaba nel mondo contemporaneo, definendola “un elemento che aiuta la mente ad aprirsi, a impegnare la propria immaginazione, più necessaria che mai oggi”.

L’elisir dell’immaginazione per un mondo complesso

In un’epoca dominata dalla frenesia e dalla razionalità esasperata, dove la vita moderna rischia di appiattire le potenzialità umane, la fiaba emerge come un’ancora di salvezza per coltivare la creatività e l’immaginazione, linfa vitale per lo sviluppo di un individuo completo.

Rodari, con la sua visione lungimirante, intuì il potere salvifico della fiaba nel nutrire la fantasia dei bambini, accompagnandoli verso un’età adulta ricca di creatività e originalità. Ma il suo messaggio non si esaurisce nell’infanzia: la fiaba, infatti, continua a svolgere un ruolo fondamentale anche nella vita degli adulti.

Un faro di speranza nell’era del possibile

Pur riconoscendo la distanza tra la realtà e il mondo fantastico delle fiabe, Rodari ne enfatizza l’importanza nel preservare la capacità di sognare e di immaginare. La fiaba, con il suo universo di possibilità infinite, rappresenta un terreno fertile per coltivare l’utopia e la speranza, elementi essenziali per affrontare le sfide e le complessità del mondo reale.

“La fiaba è il mondo del possibile, quindi anche dell’utopia, quindi anche della speranza,” affermava con convinzione Rodari. “Direi che è importante conservarlo ai bambini e a tutti gli uomini, non solo ai bambini.”

Un antidoto all’omologazione

Secondo Rodari, sopprimere il bisogno di fiabe significherebbe creare individui simili a robot, privi di creatività e incapaci di apportare novità al mondo. La fiaba, al contrario, nutre la nostra umanità, alimentando la capacità di sognare, immaginare e creare.

Le parole di questo genio della letteratura ci invitano a riflettere sull’importanza di preservare lo spazio per la fantasia e l’immaginazione, non solo nell’infanzia, ma in ogni fase della vita. La fiaba, con la sua inesauribile capacità di aprire la mente e stimolare la creatività, rappresenta uno strumento prezioso per affrontare le sfide del mondo contemporaneo e costruire un futuro migliore, un futuro ricco di fantasia e possibilità.

Shrek: la saga che ha rivoluzionato l’animazione

Shrek è una saga cinematografica d’animazione prodotta dalla DreamWorks Animation. Il primo film, Shrek, è stato distribuito nel 2001 e ha riscosso un enorme successo di critica e pubblico, vincendo l’Oscar come miglior film d’animazione. La saga è composta da quattro film, l’ultimo dei quali è stato distribuito nel 2010.

L’importanza di Shrek nella storia dell’animazione

Shrek è una saga importante per la storia dell’animazione per diversi motivi. Innanzitutto, ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui i film d’animazione vengono realizzati. Shrek è stato il primo film d’animazione a utilizzare la tecnica della computer grafica per creare personaggi e ambienti realistici e coinvolgenti. Questa tecnica ha consentito agli animatori di dare vita a creature e mondi fantastici in modo mai visto prima.

In secondo luogo, Shrek ha contribuito a democratizzare l’animazione. I film d’animazione erano tradizionalmente considerati un prodotto per bambini, ma Shrek ha dimostrato che potevano essere apprezzati anche da un pubblico adulto. Il film è ricco di umorismo, satira e riferimenti culturali che hanno conquistato spettatori di tutte le età.

In terzo luogo, Shrek ha contribuito a cambiare il modo in cui le fiabe vengono raccontate. I film d’animazione tradizionali spesso presentavano versioni edulcorate delle fiabe classiche. Shrek, invece, ha proposto una versione più ironica e irriverente delle fiabe, sfidando i canoni tradizionali.

I personaggi e i temi di Shrek

Shrek è un film che si distingue per i suoi personaggi carismatici e per i suoi temi profondi. Il protagonista, Shrek, è un orco che vive da solo in una palude. Shrek è un personaggio complesso e affascinante, che è allo stesso tempo simpatico e antipatico. È un orco solitario e scontroso, ma è anche gentile e compassionevole.

I personaggi secondari di Shrek sono altrettanto interessanti. Il Principe Azzurro è un personaggio arrogante e inetto, che è l’esatto opposto di Shrek. Fiona è una principessa che è stata maledetta e trasformata in un orco. Fiona è una donna forte e indipendente, che non ha bisogno di essere salvata da un principe.

I temi di Shrek sono diversi e importanti. Il film esplora temi come l’accettazione di sé, il valore dell’amicizia e l’importanza dell’amore. Shrek è un film che insegna agli spettatori di tutte le età l’importanza di essere se stessi e di accettare gli altri per quello che sono.

Curiosità

Shrek ha avuto un’evoluzione lunga e travagliata. Prima di assumere le fattezze che conosciamo oggi, il film ha subito diversi rimaneggiamenti, a causa di difficoltà nella ricerca di una propria identità.

In uno dei primi piani, Shrek doveva essere un ibrido di animazione e riprese dal vero. I personaggi sarebbero stati inseriti in digitale in un mondo reale, con l’utilizzo della motion capture.

Tuttavia, questo approccio non convinse i produttori. Nel 1997, dopo due anni di sviluppo, fu proiettato un test che fu definito “terribile, non era convincente, non era divertente e non ci piaceva”. La DreamWorks decise quindi di chiudere bottega e ripartire da zero.

Per realizzare il film, la DreamWorks chiese aiuto alla Pacific Data Images, che all’epoca era al lavoro su Z la formica. La PDI diede al film l’aspetto definitivo e un’identità ben precisa, che lo rese un successo mondiale.

La storia di Shrek è un esempio di come un film possa nascere da un lungo e complesso processo creativo. L’evoluzione del film è stata fondamentale per il suo successo, che lo ha reso uno dei film d’animazione più amati di tutti i tempi.

Conclusione

Shrek è una saga cinematografica che ha avuto un impatto profondo sulla storia dell’animazione. Il film ha contribuito a rivoluzionare il modo in cui i film d’animazione vengono realizzati, democratizzato l’animazione e cambiato il modo in cui le fiabe vengono raccontate. Shrek è un film che ha lasciato il segno nella cultura popolare e che continuerà ad essere apprezzato da generazioni di spettatori.

Che cos’è un Mito?

“Fin dal suo apparire sulla terra l’uomo si è posto delle domande riguardanti la sua esistenza: come si è formato il mondo? Com’è nato l’uomo? Che cosa accade all’uomo quando muore? Che cosa fanno le divinità? E vi ha risposto raccontando le favolose imprese di dèi, di eroi, di demoni, di mostri, del Sole, della Luna, della Terra… Nasceva cosí la mitologia. Ogni popolo ha la sua mitologia, perché nei personaggi mitologici sono trasfusi comportamenti e sentimenti del popolo autore del racconto; e perché ogni popolo ha nella mitologia le proprie radici.”

Mappa cronologica dei miti nel mondo

Dire cosa è un mito è tutt’altro che facile e non è facile chiarirlo poiché spesso si confonde il mito con “menzogna”, con invenzione insensata e gratuita. Poiché si vive di convinzione che nelle formazioni sociali odierne il mito non avrebbe posto, sostituito da descrizioni ben più “vere”, quelle scientifiche.  Infine, forse l’equivoco maggiore (equivoco che è frutto di un’interpretazione riduttiva del termine mythos, che significa, certo, “racconto”, ma deriva da una radice indoeuropea che ha ben altre connotazioni. Tale radice è mn, da cui, per esempio, mnemonico e memore in italiano. Mentre in inglese mind (mente).  Il termine “mito”, dunque, indica di più del semplice narrare: è il ricordo, il pensiero, la mente. In parole più semplici è il porsi dell’uomo nel mondo, il suo modo di rappresentare il reale e la consapevolezza che ci sta dell’altro al di là e al di fuori del reale immediatamente percepibile: qualcosa che ci sfugge, ma dal quale ci provengono misteriosi segni, un qualcosa in cui vorremmo fonderci per percepire a pieno l’essenza del mondo.

Il mito è qualcosa che ci riconnette all’universo, che ci affratella alle stelle, ai fiori, alle piante, all’acqua, agli animali (quest’ultimi messaggeri dell’aldilà), a ogni essere che vive, vissuto e che vivrà. In tal senso il mito non è soltanto “racconto”, ma è tutt’uno con la “parola” intesa in un significato più ampio di linguaggio universale. Momento in cui l’inconscio, la parte profonda che in noi oramai è repressa da tempo, poiché considerata pericolosa, preme per tradursi in tutti i modi in qualcosa di comunicabile, in cui si trasforma in un gesto suscettibile di ricollegarsi all’aldilà da cui sgorgano vita e morte, bellezza e orrore, cibo e fame, acqua e sete, all’immensità del cielo e delle galassie. Entrare nell’ aldilà, scendere nel mondo infero o salire alle sfere celesti. Ecco l’aspirazione suprema di cui è fatto il mito.

L’intera cultura è un mito. La cultura è il nostro essere nel mondo e il mito, che è il nostro linguaggio plasma il mondo in cui viviamo e il nostro modo di vivere in esso. Potrebbe definirsi un tutt’uno con quello che la psicoanalisi definisce “inconscio”.  Il mito pertanto, si colloca al di fuori della storia, non deriva da un evento concreto. Nel mondo della concretezza, il momento mitico (onirico, estatico, artistico, creatore) si traduce in canto, racconto, scultura, immagine, ma anche guerra e violenza, in aspirazione all’amore e in brama di distruzione. Se il mito viene confuso con la sola narrazione, ciò accade perché nelle società in cui esiste la scrittura la parola parlata ha prevalenza su altre forme di espressione. Ma presso i residui gruppi “primitivi” la scultura o l’immagine dipinta sulle pareti di una grotta, la danza, il ritmo del canto, hanno la stessa valenza della narrazione. Va poi fatta una distinzione anche tra mito e “favola”.

Il mito è fuori dal tempo; la favola è a cavallo tra temporalità e atemporalità (c’era una volta…).  Nel mito narrato, non ci sono personaggi con una fisionomia ben marcata e precisa, ma figure emblematiche, riassunto della condizione umana, del nascere, vivere e perire, dell’inesplicabile avventura di affrontare pericoli, a percorrere terre e mari, a cercare, come l’Ulisse di Dante, di “non vivere come bruti ma cercare virtù e conoscenza”.  Di solito nei miti compaiono gli antenati, cioè gli archetipi della condizione umana, molto spesso animali e compaiono divinità o meglio spiriti messaggeri.

Nella favola, invece, ci viene “insegnato” che l’uomo non è più nomade o cacciatore, ma agricoltore e che dal Neolitico in poi, ha creato società gerarchiche, in cui i re si sono impadroniti dell’aldilà. Il re-sacerdote è diventato il fulcro del divenire umano, è il simbolo dell’intera società. Manifestazione in terra del divino nell’umano. Può essere buono o cattivo, crudele o mite, saggio o stolto: quello che importa è la dimostrazione della sua superiorità. La favola è al servizio del potere. Il quale potere impone la morale (il mos), essa fustiga i cattivi costumi, svela errori e malizie, ma a patto che a convalidare il bene e deprecare il male siano i grandi di questo mondo.

Ne consegue che non sempre è facile distinguere la favola dal mito. Poiché quest’ultimo non ha una morale, non insegna niente: il mito constata semplicemente le infinite potenzialità dell’uomo e della realtà che lo circonda. La società dunque, si fonda su miti, che sono di ogni tempo e luogo, anonimi e universali. I miti mutano indipendentemente dalla nostra volontà conscia e non è detto che siano necessariamente “buoni”. Oggi, per esempio, a trionfare è il distruttivo mito della conquista e dello sfruttamento del mondo… ma se questo avviene è perché dentro di noi, accanto alle pulsioni di vita coesistono anche quelle di distruzione e morte. Componenti integranti della nostra natura e hanno parte cospicua, come la guerra, il sacrificio e lo spargimento di sangue nei miti di ogni parte del mondo. I miti narrano imprese umane e divine. Ad esempio in un mito indiano, i demoni combattono per la supremazia senza però riuscire a risolvere la contesa. Allora gli dei si fabbricano una nuova arma munita di una lama tagliente, l’uomo, il quale tiene sì a bada i demoni, ma poi minaccia gli dei. A questi non resta per fermarlo, che mettere in lui il male: sonno, lussuria, pigrizia… vizi di ogni genere. Altrimenti, se non avesse vizi che lo distraggono, l’uomo sarebbe, per come dicono i latini “ sicut deus “ , prenderebbe il posto degli eterni; e gli dei per tenerlo assoggettato pongono il fuoco in terra e il vento e il sole in cielo per infliggergli continui tormenti e ammonimenti.

A tal proposito si può notare che il divino, l’aldilà, la sfera del sacro, non è solo fonte di bene ma anche di distruzione e che “vita e morte, bene e male sono la faccia della stessa medaglia “, quello che nel sol levante viene rappresentato con Yin e Yang.  I miti, dunque, significano l’accettazione dell’inevitabile sorte, ed è per questo che in essi tanta parte ha il destino, l’imperscrutabile decreto delle Parche che a piacimento tagliano il filo della vita.

Le Parche, nella Mitologia Greca

Ma per dire tutto questo non occorrono certo corposi saggi e incomprensibili trattati. La vita è anche riso, allegria, danza e tutti questi “racconti” vogliono darci un’idea dell’infinita ricchezza dei miti, ma anche mostrarci che contengono un’ironica, spesso sfrontata e provocatoria saggezza poetica, il tesoro al quale ciascuno di noi può attingere nei propri sogni, senza inaridire però la fonte della nostra creatività.

Fonti:

  • Miti e leggende da tutto il mondo, Arnoldo Mondadori Editore. 1991
  • Robert Graves, I miti greci, Longanesi Milano 1988