L’Origine della Pasqua

La Pasqua corrisponde alla prima domenica dopo l’equinozio di marzo. E’ una festa celebrata in tutto il mondo dove si festeggia la risurrezione di Gesù, così descritta nel Nuovo Testamento. Ma, quali sono le sue origini, e i suoi costumi? I popoli anglo-sassoni chiamavano il mese lunare corrispondente al nostro aprile, “Eostre-monath“. Infatti, secondo il dizionario biblico: la parola Pasqua è di origine sassone, Eastra, ( la dea della primavera, in onore della quale nel periodo di Pasqua le venivano offerti sacrifici ). Nell’ VIII secolo gli anglosassoni si impadronirono di questo nome per designare la celebrazione della risurrezione di Cristo.

A riguardo però sono sopraggiunte varie teorie:

Una delle quali ci dice che la crocifissione, la risurrezione sono un simbolo di rinascita, di rinnovamento. Racconta il ciclo delle stagioni, la morte e il ritorno del sole. Secondo alcuni studiosi, la storia pasquale viene dalla leggenda sumera di Damuzi (Tammuz) e sua moglie Inanna (Ishtar), un mito epico chiamato “La discesa di Inanna negli inferi“.


Il dott. Nugent sottolinea che la storia di Inanna e Damuzi è solo uno dei tanti racconti di divinità morenti che risorgono e che rappresentano il ciclo delle stagioni e delle stelle. Ad esempio, la resurrezione del dio Horus egiziano; la storia di Mitra, che veniva adorato a primavera; ecc… Queste storie sono accomunate da temi di fertilità, concepimento, rinnovamento, discesa nelle tenebre e trionfo della luce sulle tenebre.

Non significa che non sia esistita una persona in carne e ossa, Gesù, semplicemente la storia è stata riadattata secondo uno schema e un modus operandi molto antico e diffuso.

All’inizio molte delle usanze pagane associate alla celebrazione della primavera erano praticate insieme a quelle cristiane, alla fine arrivarono ad essere assorbite dal cristianesimo, come simboli della resurrezione. Le usanze più diffuse nella domenica di Pasqua sono: il simbolo del coniglio, associato a Eostre e rappresenta la primavera; l’uovo simbolo di fertilità e della vita stessa.

Felice Ostara a tutti!

Il Natale nel Mondo (e le sue tradizioni)

Il termine italiano “Natale” deriva dal latino cristiano Natāle(m) / natālem Christi (“giorno di nascita di Cristo”), a sua volta dal latino natālis, derivato da nātus (“nato”), participio perfetto del verbo nāsci (“nascere”). Il Natale, per i cristiani è la principale festa dell’anno, data simbolica della nascita di Gesù Cristo. Il periodo natalizio parte dalla vigilia, il 24 dicembre, fino all’Epifania, il 6 gennaio.  Questa festa deriva da una mescolanza e sovrapposizione di feste, confluite poi in una sola di matrice cristiana.   La prima traccia del Natale risale al Commentario su Daniele di Sant’ Ippolito di Roma, datato al 203-204, molti anni prima delle testimonianze di analoghe festività del “Sole Invicto“.

La tradizione cristiana ha basi comuni con quella popolare e contadina, dal momento che più o meno nello stesso periodo si celebravano una serie di ricorrenze e riti legati al mondo pagano. A Roma, la prima celebrazione del Natale avvenne nel 336 fino al 354, quando papa Liberio decise di fissare la data come nascita di Cristo, tale celebrazione era considerata come una celebrazione pagana dedicata al Sole. Dal 17 al 23 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell’agricoltura, durante i quali avvenivano scambi di doni e sontuosi banchetto. Venivano scambiati doni per augurare un periodo di pace e di prosperità. Successivamente, l’imperatore Aureliano sostituì i Saturnali con la festa del Sole, ovvero veniva festeggiato il giorno più breve dell’anno, il solstizio d’inverno. Altri riferimenti poco certi sulla festività del Natale risalgono al IV secolo. Originariamente, i Celti festeggiavano il solstizio d’inverno erroneamente, perché questo avviene il 21 e non il 25 dicembre. Nel nord Europa si celebrava invece la festa del raccolto. Il 25 dicembre non è la data reale della nascita di Gesù e non ci sono tracce di questa nei Vangeli. La Chiesa Orientale festeggiava la nascita di Cristo il 6 gennaio perché coincideva con l’originaria festa di Dioniso. Solo nel IV secolo d.C., quando il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’Impero Romano, Papa Giulio I decise di far confluire le feste di origine popolare con la cristianità: nasce così il Natale come lo conosciamo. Molte delle tradizioni, come lo scambio dei doni, l’albero e il presepe, non sono di origine cristiana, ma pagana e solo in seguito hanno assunto questo carattere religioso, unendosi con altre feste di matrice cristiana come l’Epifania, che nasce originariamente come commemorazione del battesimo di Gesù. Il presepe, ad esempio è derivato da rappresentazioni medievali che la tradizione fa risalire a san Francesco d’Assisi. l significato religioso attuale è però diverso: poiché rappresenta la fine del periodo natalizio e simboleggia l’avvento dei Re Magi che portano doni a Gesù Cristo.

La festa commemora la nascita di Gesù, ma inaugura anche un periodo di cambiamento e di rinnovamento, caratteristiche che si adattano perfettamente alla religione cristiana. Nell’antichità, la festa inaugurava la fine dell’anno e l’avvento di un nuovo periodo, in cui ci sarebbe stata serenità e prosperità. Nel mondo cristiano non è il passaggio dall’anno vecchio al nuovo, ma la nascita di Cristo stesso che porta e inaugura un nuovo tempo, un periodo di pace. È comunque la festa più popolarmente sentita tra i cristiani; anche se in tempi più recenti ha assunto nella cultura occidentale sempre più un significato laico, con lo scambio di doni, legato alla famiglia e a figure del folclore religioso cristiano o pagano come Babbo Natale.  Sono strettamente legate alla festività la tradizione del presepe e dell’albero di Natale, entrambe di origine medioevale; la seconda più legata ai Paesi del Nord Europa.  Anche la tradizione di scambiarsi doni è molto antica, e presumibilmente è sempre di origine pagana. Nei paesi del Nord Europa era abitudine scambiarsi doni il giorno del Solstizio d’Inverno, come forma d’augurio per l’inizio della stagione invernale.

Il Natale nella tradizione cristiana e in altre culture del mondo

Nella tradizione cristiana, come detto precedentemente celebra la nascita di Gesù. Il racconto è pervenuto attraverso i vangeli secondo Luca e Matteo, che narrano l’annuncio dell’angelo Gabriele, la deposizione nella mangiatoia, l’adorazione dei pastori, la visita dei magi. Alcuni aspetti devozionali (la grotta, il bue e l’asino, i nomi dei Magi) risalgono invece a tradizioni successive e a racconti presenti in vangeli apocrifi. Il significato cristiano della festa risiede nella celebrazione della presenza di Dio. Con la nascita di Gesù, Dio per i cristiani non è più infatti un Dio distante ma è un Dio che si rivela ed entra nel mondo per rimanervi fino alla fine dei tempi.  Nel corso dell’ultimo secolo, con il progressivo secolarizzarsi dell’Occidente, e in particolar modo dell’Europa Settentrionale, il Natale ha continuato a rappresentare un giorno di festa anche per i non cristiani, assumendo significati diversi da quello religioso. In questo ambito, il Natale è generalmente vissuto come festa legata alla famiglia, alla solidarietà, allo scambio di regali e alla figura di Santa Claus ( Babbo Natale ). Al tempo stesso la festa con connotazioni di tipo secolare-culturale, ha conosciuto una crescente diffusione in molte aree del mondo, estendendosi anche in Paesi dove i cristiani sono piccole minoranze, come in India, Pakistan, Cina, Giappone…

L’albero di Natale:

L’albero di Natale è un abete addobbato con piccoli oggetti colorati; palle, luci, festoni, piccoli regali impacchettati e altro. Le origini vengono in genere fatte risalire al mondo tedesco nel XVI secolo, sulla base di preesistenti tradizioni cristiane e pagane. Verso il secolo XI si diffuse nell’Europa del Nord l’uso di allestire rappresentazioni (sacre) che riproponevano episodi tratti dalla Bibbia. Nel periodo d’Avvento, una rappresentazione molto richiesta era legata al brano della Genesi sulla creazione. Per simboleggiare l’albero «della conoscenza del bene e del male» del giardino dell’Eden si ricorreva, data la regione (Nord Europa) e la stagione, a un abete sul quale si appendevano dei frutti. Da quell’antica tradizione si giunse via via all’albero di Natale dei giorni nostri, di cui si ha una prima documentazione certa risalente al 1512 in Alsazia.

                                               

La cucina tradizionale

La cena di Natale è tradizionalmente una parte importante della celebrazione delle festività e il cibo che viene servito varia da paese a paese. Alcune regioni hanno pasti speciali per la vigilia di Natale, come la Sicilia, dove vengono serviti 12 tipi di pesce. Nel Regno Unito un pasto natalizio include tacchino, sugo, patate, verdure, a volte pane e sidro. Si preparano anche dolci particolari, come il Christmas pudding, le Mince pie, la Christmas cake (o torta di Natale), il panettone, il pandoro, il tronchetto di Natale, il panforte, il torrone e il ceppo di Natale. Il pasto natalizio tradizionale dell’Europa centrale è la carpa fritta.

 

Santa Claus (Babbo Natale)

Santa Claus è un personaggio presente in molte culture della tradizione natalizia della civiltà occidentale, oltre che in Giappone e in altre parti dell’Asia orientale. Distribuisce regali ai bambini, di solito la notte della vigilia di Natale e viene rappresentato come un uomo anziano vestito con giacca, pantaloni e cappello rossi con bordi di pelo bianco. Un ruolo importante nella definizione della sua figura ebbe la poesia A Visit from Saint Nicholas, pubblicata nel 1823 e attribuita allo scrittore newyorchese Clement Clarke Moore, nella quale Babbo Natale venne proposto ai lettori con le fattezze che oggi conosciamo.  Tutte le versioni del Babbo Natale moderno, chiamato Santa Claus nei paesi anglofoni, derivano dallo stesso personaggio storico: san Nicola, vescovo di Myra (oggi Demre, città situata nell’odierna Turchia), di cui si racconta che ritrovò e riportò in vita tre fanciulli, rapiti ed uccisi da un oste, e che per questo era considerato il Protettore dei bimbi. L’appellativo Santa Claus deriva da Sinterklaas, nome olandese di san Nicola.  San Nicola è considerato il proprio patrono da parte di marinai, mercanti, arcieri, bambini, prostitute, farmacisti, avvocati, detenuti. È il santo patrono delle città di Bari, Lecco, Amsterdam e della Russia.

Prima della conversione al cristianesimo, il folclore dei popoli germanici, incluso quello inglese, narrava che il dio Odino (Wodan) ogni anno tenesse una battuta di caccia nel periodo del solstizio invernale (Yule), accompagnato dagli altri dei e dai guerrieri caduti. La tradizione voleva che i bambini lasciassero i propri stivali nei pressi del caminetto, riempiendoli di carote, paglia o zucchero per sfamare il cavallo volante del dio. In cambio, Odino avrebbe sostituito il cibo con regali o dolciumi. Questa pratica è sopravvissuta in Belgio e Paesi Bassi anche in epoca cristiana, associata alla figura di san Nicola.  I bambini, ancor oggi, appendono al caminetto le loro scarpe piene di paglia in una notte d’inverno, perché vengano riempite di dolci e regali da san Nicola che, a differenza di Babbo Natale, in quei luoghi si improvvisa ancora a cavallo. Anche nell’aspetto, quello di vecchio barbuto dall’aria misteriosa, Odino era simile a san Nicola (anche se il dio era privo di un occhio).

Il Babbo Natale moderno riunisce le rappresentazioni attuali del portatore di doni, di ispirazione religiosa o popolare, con un personaggio britannico preesistente. Quest’ultimo risale almeno al XVII secolo, e ne sono rimaste delle illustrazioni d’epoca in cui è rappresentato come un signore barbuto e corpulento, vestito di un mantello verde lungo e ornato di pelliccia. Rappresentava lo spirito della bontà del Natale, e si trova nel Canto di Natale di Charles Dickens sotto il nome di Spirito del Natale presente.

Secondo alcuni il vestito rosso di Babbo Natale sarebbe opera della Coca-Cola: originariamente infatti, tale vestito era verde, sarebbe divenuto rosso solo dopo che, negli anni ’30, l’azienda utilizzò Babbo Natale per la sua pubblicità natalizia, e lo vestì in bianco e rosso. Questa teoria non è però da ritenersi corretta, siccome  la Coca-Cola non fu la prima ad usare la figura moderna di Babbo Natale nelle sue pubblicità, ma venne preceduta in questo dalla White Rock Beverages, per la vendita di acqua minerale nel 1915 e per la vendita di ginger ale nel 1923. Ancor prima di queste pubblicità, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la figura di Babbo Natale apparve vestita di rosso e bianco in alcune copertine del periodico umoristico statunitense Puck  nonché nelle illustrazioni di raccolte di canzoni natalizie. Possiamo inoltre trovare un Babbo Natale vestito di rosso in una cartolina russa dello stesso periodo.

L’abitudine di scrivere una lettera a Babbo Natale è una tradizione natalizia che risale a molto tempo fa. Le lettere contengono una lista dei giocattoli desiderati e la dichiarazione di essere stati buoni.  In molti paesi, le poste accettano le lettere che i bambini scrivono a Babbo Natale; in alcuni casi le risposte vengono fornite dagli stessi impiegati postali o da volontari. In Canada, ad esempio, è stato predisposto un apposito codice postale per le lettere indirizzate a Babbo Natale: H0H 0H0  (in riferimento all’espressione “ho ho ho!” di Babbo Natale) e dal 1982 sono oltre 13.000 gli impiegati delle poste canadesi che si sono offerti volontari per rispondere alle lettere. In altri casi sono associazioni di volontariato per l’infanzia a rispondere alle lettere che vengono dalle zone più povere o dagli ospedali pediatrici, per rendere felici anche questi bambini con dei doni.

Fonti:

  • natale.it/origine-del-natale
  • it.wikipedia.org/wiki/Natale#
  • Giovanni Filoramo, Cristianesimo, Mondadori Electa, 2007, ISBN 88-370-4886-6.
  • Gary Forsythe, The Non-Christian Origin of Christmas, in Time in Roman Religion: One Thousand Years of Religious History, Routledge, 2012, ISBN 0-415-52217-X.
  • Giorgio Fedalto, Storia e metastoria del cristianesimo, Verona, Mazziana, 2006, ISBN 88-85073-76-X.
  • it.wikipedia.org/wiki/Babbo_Natale
  • Martyne Perrot, Etnologia del Natale. Una festa paradossale, traduzione di Guido Lagomarsino, Milano, Elèuthera, 2001, ISBN 88-85060-56-0.
  • Nicola Lagioia, Babbo Natale. Dove si racconta come la Coca-Cola ha plasmato il nostro immaginario, Roma, Fazi, 2005, ISBN 88-8112-693-1.
  • Arnaud D’Apremont, La vera storia di Babbo Natale, traduzione di Silvia Angrisani, Torino, L’Età dell’Acquario, 2005, ISBN 88-7136-224-1.

Che cos’è un Mito?

“Fin dal suo apparire sulla terra l’uomo si è posto delle domande riguardanti la sua esistenza: come si è formato il mondo? Com’è nato l’uomo? Che cosa accade all’uomo quando muore? Che cosa fanno le divinità? E vi ha risposto raccontando le favolose imprese di dèi, di eroi, di demoni, di mostri, del Sole, della Luna, della Terra… Nasceva cosí la mitologia. Ogni popolo ha la sua mitologia, perché nei personaggi mitologici sono trasfusi comportamenti e sentimenti del popolo autore del racconto; e perché ogni popolo ha nella mitologia le proprie radici.”

Mappa cronologica dei miti nel mondo

Dire cosa è un mito è tutt’altro che facile e non è facile chiarirlo poiché spesso si confonde il mito con “menzogna”, con invenzione insensata e gratuita. Poiché si vive di convinzione che nelle formazioni sociali odierne il mito non avrebbe posto, sostituito da descrizioni ben più “vere”, quelle scientifiche.  Infine, forse l’equivoco maggiore (equivoco che è frutto di un’interpretazione riduttiva del termine mythos, che significa, certo, “racconto”, ma deriva da una radice indoeuropea che ha ben altre connotazioni. Tale radice è mn, da cui, per esempio, mnemonico e memore in italiano. Mentre in inglese mind (mente).  Il termine “mito”, dunque, indica di più del semplice narrare: è il ricordo, il pensiero, la mente. In parole più semplici è il porsi dell’uomo nel mondo, il suo modo di rappresentare il reale e la consapevolezza che ci sta dell’altro al di là e al di fuori del reale immediatamente percepibile: qualcosa che ci sfugge, ma dal quale ci provengono misteriosi segni, un qualcosa in cui vorremmo fonderci per percepire a pieno l’essenza del mondo.

Il mito è qualcosa che ci riconnette all’universo, che ci affratella alle stelle, ai fiori, alle piante, all’acqua, agli animali (quest’ultimi messaggeri dell’aldilà), a ogni essere che vive, vissuto e che vivrà. In tal senso il mito non è soltanto “racconto”, ma è tutt’uno con la “parola” intesa in un significato più ampio di linguaggio universale. Momento in cui l’inconscio, la parte profonda che in noi oramai è repressa da tempo, poiché considerata pericolosa, preme per tradursi in tutti i modi in qualcosa di comunicabile, in cui si trasforma in un gesto suscettibile di ricollegarsi all’aldilà da cui sgorgano vita e morte, bellezza e orrore, cibo e fame, acqua e sete, all’immensità del cielo e delle galassie. Entrare nell’ aldilà, scendere nel mondo infero o salire alle sfere celesti. Ecco l’aspirazione suprema di cui è fatto il mito.

L’intera cultura è un mito. La cultura è il nostro essere nel mondo e il mito, che è il nostro linguaggio plasma il mondo in cui viviamo e il nostro modo di vivere in esso. Potrebbe definirsi un tutt’uno con quello che la psicoanalisi definisce “inconscio”.  Il mito pertanto, si colloca al di fuori della storia, non deriva da un evento concreto. Nel mondo della concretezza, il momento mitico (onirico, estatico, artistico, creatore) si traduce in canto, racconto, scultura, immagine, ma anche guerra e violenza, in aspirazione all’amore e in brama di distruzione. Se il mito viene confuso con la sola narrazione, ciò accade perché nelle società in cui esiste la scrittura la parola parlata ha prevalenza su altre forme di espressione. Ma presso i residui gruppi “primitivi” la scultura o l’immagine dipinta sulle pareti di una grotta, la danza, il ritmo del canto, hanno la stessa valenza della narrazione. Va poi fatta una distinzione anche tra mito e “favola”.

Il mito è fuori dal tempo; la favola è a cavallo tra temporalità e atemporalità (c’era una volta…).  Nel mito narrato, non ci sono personaggi con una fisionomia ben marcata e precisa, ma figure emblematiche, riassunto della condizione umana, del nascere, vivere e perire, dell’inesplicabile avventura di affrontare pericoli, a percorrere terre e mari, a cercare, come l’Ulisse di Dante, di “non vivere come bruti ma cercare virtù e conoscenza”.  Di solito nei miti compaiono gli antenati, cioè gli archetipi della condizione umana, molto spesso animali e compaiono divinità o meglio spiriti messaggeri.

Nella favola, invece, ci viene “insegnato” che l’uomo non è più nomade o cacciatore, ma agricoltore e che dal Neolitico in poi, ha creato società gerarchiche, in cui i re si sono impadroniti dell’aldilà. Il re-sacerdote è diventato il fulcro del divenire umano, è il simbolo dell’intera società. Manifestazione in terra del divino nell’umano. Può essere buono o cattivo, crudele o mite, saggio o stolto: quello che importa è la dimostrazione della sua superiorità. La favola è al servizio del potere. Il quale potere impone la morale (il mos), essa fustiga i cattivi costumi, svela errori e malizie, ma a patto che a convalidare il bene e deprecare il male siano i grandi di questo mondo.

Ne consegue che non sempre è facile distinguere la favola dal mito. Poiché quest’ultimo non ha una morale, non insegna niente: il mito constata semplicemente le infinite potenzialità dell’uomo e della realtà che lo circonda. La società dunque, si fonda su miti, che sono di ogni tempo e luogo, anonimi e universali. I miti mutano indipendentemente dalla nostra volontà conscia e non è detto che siano necessariamente “buoni”. Oggi, per esempio, a trionfare è il distruttivo mito della conquista e dello sfruttamento del mondo… ma se questo avviene è perché dentro di noi, accanto alle pulsioni di vita coesistono anche quelle di distruzione e morte. Componenti integranti della nostra natura e hanno parte cospicua, come la guerra, il sacrificio e lo spargimento di sangue nei miti di ogni parte del mondo. I miti narrano imprese umane e divine. Ad esempio in un mito indiano, i demoni combattono per la supremazia senza però riuscire a risolvere la contesa. Allora gli dei si fabbricano una nuova arma munita di una lama tagliente, l’uomo, il quale tiene sì a bada i demoni, ma poi minaccia gli dei. A questi non resta per fermarlo, che mettere in lui il male: sonno, lussuria, pigrizia… vizi di ogni genere. Altrimenti, se non avesse vizi che lo distraggono, l’uomo sarebbe, per come dicono i latini “ sicut deus “ , prenderebbe il posto degli eterni; e gli dei per tenerlo assoggettato pongono il fuoco in terra e il vento e il sole in cielo per infliggergli continui tormenti e ammonimenti.

A tal proposito si può notare che il divino, l’aldilà, la sfera del sacro, non è solo fonte di bene ma anche di distruzione e che “vita e morte, bene e male sono la faccia della stessa medaglia “, quello che nel sol levante viene rappresentato con Yin e Yang.  I miti, dunque, significano l’accettazione dell’inevitabile sorte, ed è per questo che in essi tanta parte ha il destino, l’imperscrutabile decreto delle Parche che a piacimento tagliano il filo della vita.

Le Parche, nella Mitologia Greca

Ma per dire tutto questo non occorrono certo corposi saggi e incomprensibili trattati. La vita è anche riso, allegria, danza e tutti questi “racconti” vogliono darci un’idea dell’infinita ricchezza dei miti, ma anche mostrarci che contengono un’ironica, spesso sfrontata e provocatoria saggezza poetica, il tesoro al quale ciascuno di noi può attingere nei propri sogni, senza inaridire però la fonte della nostra creatività.

Fonti:

  • Miti e leggende da tutto il mondo, Arnoldo Mondadori Editore. 1991
  • Robert Graves, I miti greci, Longanesi Milano 1988

 

 

 

La Ballata di Hua Mulan: tra storia e leggenda, una delle più valorose eroine cinesi

Hua Mulan (花木蘭T, 花木兰S; 386 d.C. – 436 d.C.) è una leggendaria eroina cinese che si arruolò in un esercito di soli uomini. La sua storia è raccontata per la prima volta in un poema cinese scritto da Liang Tao, scrittore e filosofo, nel VI secolo a C. Il testo completo del poema è andato perduto, ma se ne conservano alcuni frammenti, in particolare una poesia nota come “La ballata di Mulan”. 花木兰 La ballata è una forma di poesia destinata al canto e alla danza, perciò accompagnata dalla musica.

Il nome Mulan significa magnolia (letteralmente: orchidea-di-legno; Mù: legno, làn: orchidea).

木 兰

Mulan è l’eroina più famosa e coraggiosa della letteratura cinese, molte sono le storie in cui si raccontano le sue gesta, la sua leggenda infatti ha molte varianti ma la trama è quasi sempre la stessa. La più antica è per l’appunto La ballata di Mulan, una canzone composta da 31 strofe, che racconta la storia dell’eroina cinese. Di seguito riporteremo due versioni molto simili tra di loro eccetto ne finale.

Versione 1)

Si narra che in seguito ai continui attacchi da parte delle tribù nomadi e degli Unni l’imperatore richiamò alle armi tutti gli uomini cinesi iscritti nell’elenco dei riservisti, tra cui Hua Hu, noto condottiero e padre di Hua Mulan. Nonostante la sua veneranda età e il suo debole stato di salute Hu decise di rispondere alla chiamata per onorare il nome della sua famiglia e dei suoi antenati; però sua figlia Mulan, preoccupata per la salute del padre, decise (con il consenso restio del padre) di rispondere alla chiamata al posto di Hu utilizzando il nome del suo fratello minore. I successivi mesi per Mulan furono difficilissimi a causa del duro addestramento militare e per paura di far scoprire la sua vera identità. Successivamente però, durante le numerose battaglie Mulan capì quanto fosse importante continuare a combattere per proteggere la propria famiglia e la propria patria. Dopo 12 anni di combattimenti e incredibili gesta Mulan fu nominata generale e successivamente comandante delle armate settentrionali (il tutto continuando a nascondere il fatto di essere una donna). La guerra finì proprio grazie a Mulan, che batté sul campo un famosissimo generale unno. Al suo ritorno ella fu colmata di onori imperiali e le fu proposto il posto di alto funzionario ma lei rifiutò per poter tornare a casa dal padre malato. La sua vera identità fu scoperta a causa delle diatribe con un comandante anziano che cercò in ogni modo di offrire a Mulan sua figlia come sposa (con continui rifiuti da parte di Mulan). Alla fine il generale, indispettito, raggiunse Mulan a casa e fu lì che scoprì la vera identità della ragazza. Nonostante la scoperta il generale ebbe ancor più ammirazione nei suoi confronti.

Versione 2)

Mulan era una ragazza che adorava molto suo padre e un giorno mentre era al fiume, intenta a lavare i panni, udì un banditore dell’Imperatore che annunciava che almeno un maschio per ogni famiglia, indipendentemente dall’età, sarebbe dovuto essere arruolato nell’esercito in quanto servivano nuovi soldati a causa della guerra. Alla ragazza quasi prese un colpo in quanto suo padre, Huan Hu, era l’unico maschio della famiglia e per giunta vecchio e malato, sapendo benissimo che non sarebbe uscito vivo da una guerra, per salvarlo da morte certa, decise di travestirsi da uomo e arruolarsi al suo posto. La ragazza quindi partì per il campo di addestramento portando con se la spada ereditata dai padri di famiglia e successivamente inviata al fronte. Molti anni passarono dalla sua partenza, durante i quali lottò come un vero guerriero, guadagnandosi alti meriti sul campo di battaglia tanto da essere promossa al grado di generale e senza che nessuno sospettasse minimamente che in realtà fosse una donna. Dopo dieci anni di battaglie, Mulan incontrò Jin Yong, un alto ufficiale del quale si innamorò e al quale confidò di essere una donna, tra i due sbocciò l’amore e decisero che al termine della guerra si sarebbero sposati. Fu per questo che non molto tempo dopo, prima di una dura battaglia, Mulan decise che avrebbe partecipato in abiti femminili, rivelando così la sua vera identità ai soldati che nel frattempo avevano cominciato a sospettare che ci fosse qualcosa di tenero tra lei e Jin, togliendo così dall’imbarazzo il suo uomo, ma questa mossa ottenne un’altra e inaspettata conseguenza, infatti, contrariamente a quanto lei stessa si aspettava, i soldati vedendola nelle sue vere vesti, ebbero una reazione positiva, tanto che in battaglia pieni di rispetto e ammirazione nei confronti del loro generale donna, ebbero facilmente la meglio sul nemico. A seguito di questa ennesima e grandiosa vittoria, l’Imperatore in persona decise di far visita al suo primoe unico generale donna e volendola premiare, gli disse che avrebbe esaudito ogni suo desiderio. A questo punto Mulan non chiese beni o denaro, ma solo qualche giorno di permesso per poter tornare a casa e informare l’amato padre che a breve si sarebbe sposata con Jin. Tornata a casa però, la ragazza trovò un’amara sorpresa, nel frattempo il padre era morto esprimendo più volte come ultimo desiderio quello di poterla rivedere. Sentendosi in colpa e dilaniata dal dolore per la morte del padre decise di porre fine alla sua vita, trafiggendosi con la spada di famiglia.

Nell’Arte:

Hua Mulan è raffigurata nel Wu Shuang Pu di Jin Guliang (无双谱, Tavola degli eroi incomparabili).

Illustrazione del periodo Manciù rappresentante Hua Mulan, conservata presso il Museo nazionale del Palazzo di Taipei.

Trasposizione cinematografica:

  • Mùlán cóng jūn di Bu Wancang (1939) Bu Wancang, Anhui, 1903 – Hong Kong, 1974) è stato un regista e sceneggiatore cinese attivo tra gli anni ’20 e ’60 del Novecento. Anche conosciuto con il suo nome inglese, Richard Poh.
  • Mulan di Tony Bancroft, Barry Cook (1998) film animato della Disney.
  • Mulan II di Darrell Rooney, Lynne Southerland (2004) seguito al film della Disney del 1998
  • Mulan di Niki Caro (2020) versione live action del film del 1998
  • Nella televisione: Mulan compare dalla seconda alla quinta stagione della serie televisiva C’era una volta.
  • Mulan, lungometraggio d’animazione Disney, 1998
Ph: LittleBear Visual Arts

La mia interpretazione nei panni di Mulan dal live action Disney.

Bibliografia

  • Vincenzo Chessa, Antiche liriche cinesi – Arie dei principati dal libro dei canti, 1ª ed., Genova, Marietti, 2000, ISBN 88-211-6313-X.
  • Dall’antologia Lidai Shige Xua N (Pechino, 1980), Anna Bujatti (a cura di), La ballata di Mulan, 1ª ed., Roma, Fahrenheit 451, 1991, SBN IT\ICCU\TO0\1388111.

Sitografia:

 

Natura e Impressionismo: Vincent van Gogh a Roma

Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, presso Palazzo Bonaparte a Roma, dall’ 8 ottobre 2022 al 26 marzo 2023, sarà possibile visitare una mostra monografica su van Gogh. Importante pittore dalla vita tormentata, che con il suo spiccato senso artistico, folle, sensibile e innovativo è riuscito a date un controverso tocco all’arte impressionista di fine ‘800.

Questa mostra vede esposti 50 suoi capolavori provenienti dal Kröller-Müller Museum di Otterlo (Paesi Bassi). Tra queste opere si potrà vivere a tutto tondo un escursus di vita del pittore. Toccandone tutti i punti più salienti. Dalla vita campestre, dove predominava l’aspetto umile e semplice della vita di campagna, al suo soggiorno parigino, dove noteremo un astile artistico più variopinto, una sorta di inno alla vita e al benessere e alla ricchezza, fino ad arrivare al momento più cruciale della sua vita, passata all’interno di istituti di sanità mentale. Questo stato di malessere non lo abbandonerà fino alla drammatica fine. Si potranno ammirare quadri molto famosi, come: L’Autoritratto del 1887, Il Seminatore o Sulla soglia dell’eternità (Il Vecchio che soffre); che lavori meno conosciuti.

“ Dall’ appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino. Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van Gogh… L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura.”

( Maria Merola, Laurea in Beni Culturali)

Le varie opere sono state suddivise in cinque sezioni e presentate in ordine cronologico. Affiancate da interessanti note biografiche che le accompagnano in sottofondo con soave musica classica, creando un’idilliaca immersione nel suo intimo mondo.
Qui, viene approfondita un’indole volta alla venerazione della natura, cui appartiene la condizione umana, attraverso un percorso cronologico che parte dal primo periodo olandese (1881-1885), in cui domina un realismo spirituale con toni scuri. Segue il soggiorno parigino (1886-1888), dove van Gogh incontra Paul Gauguin e in cui emerge un linguaggio più immediato, fondato sull’accostamento di colori puri per un disegno sintetico. In tale periodo raggiunge, inoltre, una completa autonomia tematica, in completa simbiosi con il percorso che l’artista compie con le novità culturali che vanno maturandosi nella capitale francese. Si passa, in seguito, al suo vissuto ad Arles (1888-1889), dove descrive la campagna, servendosi del colore in maniera vibrante, come legata a una sua interiorizzazione. Infine, la reclusione a St. Remy, testimoniata dall’emblematica opera del 1889, Il giardino del manicomio a Saint-Rémy, fino all’epilogo a Auvers-Sur-Oise. La mostra, il cui lavoro di preparazione è durato cinque anni è stata prodotta e organizzata da Arthemisia e curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti.

Chi era questo emblematico pittore?

Ripercorriamo brevemente i momenti salienti della sua vita… Vincent Willem van Gogh ( Zundert, 30 marzo 1853- Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un importante pittore olandese. Fu autore di quasi novecento dipinti e disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine. Tanto geniale quanto incompreso, Van Gogh influenzò l’arte del XX secolo. Iniziò a disegnare fin da piccolo, nonostante le critiche del padre, un pastore protestante che gli impartiva delle norme severe. Nonostante ciò non smise mai di disegnare. Iniziò però a dipingere tardi, all’età di ventisette anni. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazioni di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all’esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e di Jean-François Millet. Dopo aver trascorso diversi anni soffrendo di frequenti disturbi mentali, morì con un colpo di pistola a soli 37 anni, nel 1890; Il grande valore delle sue opere verrà riconosciuto solo successivamente la sua morte. Importanti saranno sempre i suoi scambi epistolari con il fratello Théo.

“Ma il giorno in cui ti innamorerai, ti accorgerai con stupore dell’esistenza di una forza che ti spinge ad agire e sarà la forza del cuore”

( lettera 157 inviata a Théo )

Pannello espositivo.

Van Gogh e l’arte:

La svolta definitiva in campo artistico si verificò quando van Gogh individuò nella pittura un metodo migliore per diffondere il messaggio di solidarietà verso quei lavoratori sfruttati e bisognosi. Van Gogh, voleva sublimare i propri tormenti nella professione artistica, riconoscendo in un simile atto creativo un modo ideale per riscattare la straziata insoddisfazione che lacerava il suo animo e per trovare la propria strada nel mondo. Van Gogh, d’altronde, si era sempre sentito a suo agio nel «paese dei quadri», anche negli anni più bui e disperati.

“Con I mangiatori di patate ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole”.

(Vincent van Gogh, lettera n. 404 a Théo van Gogh, aprile 1885.)

Nel novembre del 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando le chiese ed i musei della città, dove ammirò il vivace colorismo di Rubens (pittore fiammingo). Altrettanto importante fu la ricezione delle stampe giapponesi (una tecnica di incisione artistica unica nel panorama mondiale. Si tratta di una tecnica non tossica perché utilizza, per creare le immagini, legni naturali, colori ad acqua e carta fatta a mano), che scoprì vagabondando nel quartiere portuale della città: Vincent acquistò queste xilografie in generose quantità e le usò per adornare la propria camera da letto.

Pini al tramonto. Tipologia di disegno che quasi riprende alcuni tratti orientali

A Parigi (1886-87), spronato dal miglioramento dei rapporti, con il fratello Théo, votato al recupero di un rapporto più autentico, Vincent iniziò a produrre quadri più colorati e gioiosi. Con gamme cromatiche più leggere e luminose: era felice. All’inverno 1886 risale l’incontro con il pittore Paul Gauguin. La metropoli parigina fornì stimoli indispensabili non solo al van Gogh-artista, che poté finalmente fruire di un crogiolo di esperienze artistiche ininterrotte, ma anche al van Gogh-uomo, che iniziò a rivelare una sicurezza di sé poi sfociata, purtroppo, anche nella vanità e nell’alcolismo, distanziandosi così dal misticismo religioso degli esordi. Il Meridione francese (Provenza), luogo di Zola, Cézanne e di Monticelli, rispose splendidamente alle esigenze di van Gogh, che vi si stabilì nel febbraio del 1888. Eccitato da uno “stato febbrile”, ad Arles van Gogh realizzò ben duecento dipinti e cento altre opere tra disegni e acquerelli. Opere come: La sedia di Vincent, La camera di Vincent ad Arles, Il caffè di notte, Terrazza del caffè la sera, e Notte stellata sul Rodano, oltre che la serie dei Girasoli, furono tutte realizzate durante il soggiorno arlesiano.

La Collina di Montmatre, Parigi

Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888. Van Gogh, manifestava un’aperta ammirazione per Gauguin, lo considerava un artista superiore. A giudizio di Gauguin, la permanenza con un personaggio strano come van Gogh erano mortificanti per la sua maturazione pittorica. Le continue tensioni tra i due toccarono il loro apice il pomeriggio del 23 dicembre. Quel giorno van Gogh dopo un’accesa discussione rincorse per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando l’uomo si voltò per affrontarlo. Gauguin corse in albergo con i bagagli, preparandosi a lasciare Arles; van Gogh invece, in preda a disperate allucinazioni, rivolse su di sé la sua furia, tagliandosi il lobo dell’orecchio sinistro. La vita del pittore, purtroppo, continuò a essere costellata di eventi spiacevoli: subendo repentini attacchi allucinatori. Nella clinica di Saint-Rémy dipinse il famosissimo quadro: Notte stellata, oggi esposta al Museum of Modern Art di New York.

«Osservo negli altri che anch’essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l’orrore che conservavo delle crisi che ho avuto […] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall’angoscia e dal terrore […] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo.

(Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)

Ritratti e Autoritratti:

Van Gogh, noto per i suoi paesaggi, sembrava però avere la sua più grande ambizione nei ritratti. A proposito di essi, ebbe a dire: “ L’unica cosa in pittura che mi emoziona nel profondo della mia anima, e che mi fa sentire più infinito di ogni altra cosa “ L’interesse per la figura umana, presente all’interno della mostra anche attraverso formati cartacei, l’immersione nel calore, tipico del sud francese, in quelli che Gauguin definiva “infiniti soli in piena luce di sole “, genera aperture verso un’intensità con cui va a definire i mutamenti della natura circostante. Tra il 1886 e il 1889 van Gogh eseguì anche una trentina (37 per la precisione) di autoritratti dalla forte valenza psicologica, che consentono all’osservatore di cogliere tutte le inquietudini che tormentavano il suo animo. I dipinti variano in intensità e colore e alcuni ritraggono l’artista con la barba e altri senza. Particolari sono gli autoritratti che lo rappresentano bendato, dipinti dopo l’episodio in cui lo ha visto recidersi un orecchio. Tutti gli autoritratti dipinti a Saint-Rémy mostrano il lato del volto dell’artista con l’orecchio sano, cioè il destro. Tuttavia, essendo realizzati allo specchio, il lato sano che appare in questi dipinti è il sinistro. Importante opera è l’Autoritratto, 1889, Musée d’Orsay, Parigi, presente attualmente in mostra.

Tecnica pittorica:

La tecnica pittorica da lui utilizzata è la così detta tecnica a impasto o pittura a impasto è una tecnica pittorica, in cui il colore viene posto sulla tela con strati molto spessi. L’interesse per i girasoli e per i vasi di fiori in generale rappresenta l’altra faccia della passione di van Gogh e in generale degli artisti di scuola impressionista per la natura. Nella serie dei Girasoli possiamo ammirare il giallo tanto caro a Van Gogh; si tratta del giallo cadmio che era un colore nuovo all’epoca. Sperimentando un approccio espressivo, la materia pittorica si fa estremamente spessa, densa, tracciando un solco che verrà portato avanti dalla pittura espressionista del XX secolo. Vincent, come si firma l’artista sulla parte bassa del vaso, vede in questi fiori il calore ed il colore della Provenza, la regione da lui scelta per creare una sorta di sodalizio di pittori. Durante il periodo di Arles, poi, vede una incredibile esplosione coloristica della tavolozza dell’olandese, infatti e tinte cupe e brune di pochi anni prima sono totalmente dimenticate. In alcuni quadri van Gogh sperimenta la tecnica delle variazioni tonali di un unico colore, mentre un’altra sua tecnica molto utilizzata è quella di accostare i colori complementari.

NB. Molto interessante è il percorso sensoriale presente nella mostra, accanto ai pannelli descrittivi, messo a disposizione per tutti i visitatori, grandi e piccini.

In conclusione…

La mostra ripercorre le tappe di questo travagliato percorso attraverso l’amore difficile per Sien, la donna “sola” della quale van Gogh si innamora perdutamente e frammenti delle lettere al fratello Theo, che ci accompagnano durante tutta la visita. Alla scoperta di un uomo colto, sensibile, amante della vita ma allo stesso tempo complesso e tormentato. Animato da speranza e forza di volontà, nonostante le intemperie della vita. Tutta questa forte intensità dell’animo umano espressa dal pittore, può portarci a riflettere e interrogarci con molta più sensibilità su cosa sia realmente “giusto o sbagliato”. Cosa sia la normalità che tanto viene decantata e etichettata dalla nostra società. Quella società che al più delle volte ci fa sentire stretti, senza fiato e fuori posto. Come la genialità, la magnificenza e lo splendore dell’arte non deve essere mai giudicata dall’uomo medio incline e pronto a etichettare “ folle” l’anticonformismo e il pensiero fuori dagli schemi. Tutto ciò che fa paura perché non compreso.

Bibliografia:

  •  Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, vol. 3, Firenze, Sansoni, 1979.
  • Enrica Crispino, Van Gogh, Giunti, 2010, ISBN 978-88-09-05063-1.
  • Vincent Van Gogh, The Letters of Vincent Van Gogh, Penguin, 2003, ISBN 978-0-14-192044-3.

Sitografia:

 

Torino Esoterica

Dato il mio recente soggiorno in questo bellissimo capoluogo del Piemonte, ho pensato di fare un piccolo excursus della città, trattando prettamente del suo lato artistico, magico- esoterico che tanto la caratterizza. La storia di Torino, capoluogo del Piemonte, si estende per più di duemila anni. Particolari sono le sue leggende, comparse quando la città divenne Capitale (dal 1861 al 1865, quando fu trasferita prima a Firenze e successivamente a Roma). Si dice, che in tal mondo i Savoia avessero tentato di valorizzarne le origini. Dopo la conquista e l’espansione dell’Impero Romano a nord della penisola, venne fondata nel 28 A.C, per volere di Augusto, Augusta Taurinorum, città eretta a presidio di confine dell’impero. All’epoca la città era divisa in una zona est, quella dove sorge il sole e che indicava il lato benigno del territorio, ed una zona ovest, quella dove tramonta il sole e nascono le tenebre.  Nella zona ovest venivano sepolti i morti e crocifissi i condannati.

Nel III sec AC. Esisteva un piccolo villaggio abitato da un popolo denominati Taurini, popolo nato dalla fusione di Galli e Liguri. Fin da principio, il luogo dove sorge Torino e il suo orientamento non vennero scelti a caso, ma basandosi su fattori magico-religiosi.

La città, presenta una pianta romana con quattro porte d’accesso collegate ai quattro punti cardinali. La via principale, era orientata in modo da seguire il tratto ascendente del sole.

Porta Principalis Dexter

Altro fattore magico, la confluenza tra due importanti fiumi: Il Po’ e il Dora, che formano un anello d’acqua intorno alla città. Il Po’ rappresenta il sole e il sacro Nilo; La Dora invece, è connessa con l’astro lunare e con la sua sposa, la dea Iside. Da questa unione nasce la città di Torino.

Si attribuisce alla città un’ascendenza Egizia, soprattutto perché qui venne rinvenuta una lapide con l’iscrizione dedicata proprio alla dea egizia Iside. In questa iscrizione si ricordano i miti di Fetonte (un personaggio della mitologia greca, figlio di Apollo o Elios e di Climene, oceanina figlia del titano Oceano e della titanide Teti) sul principe egizio Pa Rahotep/ Eridano, giunse in Italia a causa di una serie di contrasti religiosi che lo videro opporsi alla casta sacerdotale.  Il principe sbarcò in una zona a nord, la conquistò e le diede il nome di Liguria.  Dal nome di suo figlio, Ligurio.  Successivamente, proseguì verso l’interno e superata l’area appenninica in prossimità del fiume Po si trovò presso una grande pianura che ricordava il Nilo. Venne fondata Torino.

Era il XV sec a.C, quindi la città sarebbe stata fondata molti secoli prima di Roma. Torino, venne fondata sotto il simbolo del dio egizio Api, il toro venerato nella città di Menfi fù anche il primo toro di Torino.

Toro Apis

Nelle torri palatine di Torino, avrebbe soggiornato sulla strada dell’esilio: Ovidio e Ponzio Pilato. Sempre qui, soggiornarono: Paracelso (medico, alchimista e astrologo svizzero), Cagliostro (un avventuriero, truffatore, alchimista ed esoterista italiano), Casanova, Nostradamus e altri personaggi legati all’esoterismo e all’occulto.

PERCORSO ESOTERICO:

C’è una tradizione esoterica molto antica, vuole che Torino sia il vertice di due Triangoli: uno di magia bianca, insieme a Lione e Praga; l’altro di magia nera insieme a Londra e San Francisco.

C’ è una tradizione esoterica molto antica, vuole che Torino sia il vertice di due Triangoli: uno di magia bianca, insieme a Lione e Praga; l’altro di magia nera insieme a Londra e San Francisco.

Il lato Oscuro della città

 Piazza Statuto

A due passi dalla stazione di Porta Susa, rappresenta per due specifici motivi il lato oscuro della città: Si trova ad occidente, secondo gli antichi romani, posizione infausta collegata al tramonto del sole, confine tra il bene e il male. Qui, era posta la Vallis Uccisorum, da cui prese il nome l’attuale quartiere. Luogo di uccisioni e di sepolture. La Necropoli, dovrebbe essere molto vasta e nascondersi sotto il Corso Francia e le vie adiacenti ad esso, che si diramano a raggera dalla piazza.  Il patibolo per lungo tempo rimase in Piazza Statuto, poi spostato dai francesi nel luogo ora denominato il rondò della forca.

Dall’aiuola centrale di piazza Statuto si accede al punto principale dell’intero sistema di fognatura (cloaca) della città. Leggenda narra che proprio lì si trovi la porta dell’inferno.

Secondo gli esoterici, la statua posta in cima al monumento della piazza, sia Lucifero, ma anche la conoscenza; gli uomini rappresentati nell’atto di scalare il monte, indicano la scalata verso il sapere, la conoscenza, impedita dalla posa di una mano di Lucifero che sembra voglia impedire l’atto.

Il Palazzo ed il Portone del Diavolo

Altro luogo legato alle leggende della Torino magica è il Palazzo del Diavolo. A questo palazzo e al suo portone (detto a sua volta Portone del Diavolo) sono legate numerose storie che riguardano strane sparizioni, omicidi e coincidenze numerologiche. Si dice che il portone sia stato messo li dal Diavolo stesso, per rinchiudere uno stregone che aveva osato invocarlo inutilmente. Lo stregone non riuscì mai più ad uscire da quel palazzo. Il batacchio centrale del portone raffigura il diavolo, che scruta i visitatori che bussano alla porta. In questo luogo si concentra dunque una grande energia negativa.

Piazza Solferini

In questa piazza è posta la Fontana Angelica, Luogo ricco di significati allegorici e misteriosi. Rappresenterebbe la porta verso l’infinito. Le due statue maschili che decorano la fontana, rappresenterebbero i giganti, sostenitori delle colonne d’Ercole. Il luogo dopo il quale iniziava l’Infinito. Uno dei due giganti rappresenterebbe il primo grado dell’iniziazione: il percorso che l’iniziato deve compiere sui 33 scalini delle logge massoniche. L’altro gigante, è il simbolo della perfezione, la sapienza, la conoscenza, tutti elementi presenti nella simbologia esoterica rappresentati dall’acqua che esce dalle otri che le due statue tengono in mano. La fontana rappresenta la trasformazione, il percorso interiore per raggiungere la vera conoscenza. Questa fontana è ricca di simboli espliciti e di altri più velati. Se ci spostiamo sulla parte retro, dietro uno dei giganti sono presenti due bambini, uno porge il pesce e sta a rappresentare la religione cristiana; l’altro bambino con un particolare tipo di acconciatura, rappresenta il sole, quindi per i cristiani Gesù, mentre in senso lato può essere connesso con l’astro solare stesso, tornando al concetto di purezza, luce e sapienza. Le bocche che buttano fuori l’acqua della fontana, rappresentano Medusa.

Luoghi sacri

Chiesa di S.Maria di Piazza

Qui possiamo trovare un quadro della Madonna dipinto probabilmente da San Luca. Tecnica pittorica di stile Pompeiano (pittura parietale presente nelle case di Pompei del periodo compreso tra la fine del II secolo a.C. e il 79 d.C. Le opere murali pompeiane venivano eseguite a fresco, a tempera e ad encausto. La pittura a fresco veniva eseguita su intonaco di calce fresca con colori macinati e diluiti in acqua. La pittura a tempera veniva eseguita diluendo i colori in solventi collosi e gommosi, con il rosso d’uovo e la cera), se così fosse, sarebbe l’unico ritratto autentico della vergine. In un palazzo vicino, si dice sia custodito il vero velo nero della madonna, un semplice panno nero come veniva usato all’epoca.

Lato Bianco della città

Piazzetta Reale e Giardini

Il cuore bianco della città si trova in particolare presso la Fontana dei Tritoni. Luogo considerato tale poiché nei pressi sono conservate importanti reliquie:

La Santa Sindone, presente nel Duomo. Essa racchiuderebbe in sè i quattro elementi che compongono l’universo: la terra, il fuoco, l’area e l’acqua. E’ nata dalla terra come un fiore di lino, tessuta dall’uomo, ha viaggiato attraverso l’acqua, attraverso l’aria ossia il tempo, il fuoco sarebbe connesso con Cristo, è luce, conoscenza, il fuoco è parte di essa. La tradizione vuole che chi possiede una reliquia di Cristo ne possegga tutte. Si suppone che nei sotterranei della Basilica di Maria Ausiliatrice, vi sia una croce fatta con lo stesso legno usato per la crocifissione di Gesù; la leggenda vuole che in un punto della collina Torinese sia sepolto il Santo Gral.

Piazza Castello

In questo luogo altri due elementi che accrescono la magia di Torino:
Il Museo Egizio e le Grotte Alchemiche sotto Palazzo Madama. Dove i Savoia avrebbero protetto chi fabbricava l’oro. Meta in passato di Maghi e di Alchimisti. Nella piazza è segnato anche il punto magico assoluto della città: La cancellata di palazzo reale, nello spazio compreso tra le due state equestri dei Dioscuri Castore e Polluce; alcuni vedono come la divisione tra la Torino sacra e quella profana.

TRADIZIONI ANTICHE:

L’Orientamento dei palazzi, delle chiese, dei monumenti, la pianta delle piazze… nulla è lasciato al caso. Seguono precise linee direttive. Si dice che gli architetti appartenenti alla Massoneria, tramandano il sapere dei simboli esoterici per arrivare al un grado di conoscenza assoluta. Edifici dall’apparenza normali, come il Museo Egizio, La Gran Madre, palazzi e fontane… nascondo significati esoterici dalla grande valenza simbolica. Luoghi come Piazza Statuto, Piazza Solferino, Le Grotte Alchemiche, Il Portone del Diavolo… presentano una Torino nascosta, occulta.

MUSEO EGIZIO

Il 10 ottobre 2004 è costituita a Torino la Fondazione Museo delle Antichità Egizie di Torino. Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà egiziana ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo.Il primo oggetto che diede origine a una collezione di reperti, primo nucleo di quello che diventerà il museo fu la Mensa isiaca, tavoletta bronzea giunta a Torino intorno al 1626, acquistata da Carlo Emanuele I di Savoia.

entrata Museo Egizio

La Mensa suscitò enorme interesse fra gli studiosi, verso la metà del XVIII secolo, si volle inviare una spedizione in Egitto per scoprire i fondamenti storici della tavoletta. Tra il 1759 e il 1762 il professore Vitaliano Donati, appassionato egittologo, ebbe perciò l’incarico di recarsi in Egitto per effettuarvi degli scavi; egli ritrovò vari reperti, tra cui tre grandi statue: il faraone Ramses II in granito rosa, la dea Sekhmet assisa e la dea Iside rinvenuta a Copto; tutto il materiale fu inviato al Museo dell’Università di Torino.

All’inizio dell’800, all’indomani delle campagne napoleoniche in Egitto, in tutta Europa scoppiò una vera e propria moda per il collezionismo di antichità egizie. Nel 1894 divenne Sovrintendente del Museo Ernesto Schiaparelli; egli promosse nuovi scavi in Egitto, ottenendo così nuove documentazioni dalla fase più antica fino all’epoca copta, mettendosi personalmente a condurre almeno quindici importanti campagne di scavi. In questo modo, intorno agli anni trenta del ‘900, la collezione arrivò a contare oltre 30 000 pezzi in grado di testimoniare ed illustrare tutti i più importanti aspetti dell’Antico Egitto, dagli splendori delle arti agli oggetti comuni di uso quotidiano.

Grazie agli archivi e ad un importante attività di ricerca e di campagne di scavo, uomini e donne attraverso lo studio e la ricerca archeologica, grazie alla loro passione, hanno contribuito a raccogliere un immenso patrimonio culturale; creando così le basi dell’Egittologia, disciplina nata nella prima metà dell’Ottocento

Nel museo sono presenti più di 40 000 pezzi che coprono il periodo dal paleolitico all’epoca copta. Sono esposte ben ventiquattro mummie umane visibili e diciassette animali. I papiri completi sono settecento, mentre i frammenti assommano a diciassettemila.

Bibliografia & Sitografia:

Thor, il Dio nordico del Tuono

In vista dell’uscita nelle sale cinematografica del nuovo capitolo della saga di Thor, “Thor; Love and Thunder“, ho pensato di scrivere un articolo che mettesse in confronto una delle figure più iconiche dell’Universo Marvel, con quella che è la sua trasposizione letteraria nella Mitologia Norrena.

Thor (in norreno “Fulmine”) è una delle più importanti divinità germaniche. È la personificazione del fulmine e del tuono. Thor rappresenta il dio (e l’uomo) che possiede l’arma divina, la “virtù”, la “vista” del principio cosmico (il Mjöllnir, equivalente al Vajra vedico-tibetano: il vajra simboleggia il principio maschile universale, e così il fulmine è associato all’idea di paternità divina). Il suo colore e’ il rosso. ll nome “Thor” e le sue varianti derivano dal proto-germanico Thunraz: “fulmine”, “tuono” (nelle lingue germaniche odierne è divenuto in inglese Thunder, olandese Donder, tedesco Donner).

Origini mitologiche

Secondo la mitologia è figlio di Odino, padre degli dèi. Appartenendo alla stirpe divina degli Aesir, egli dimora ad Ásgarðr, nel regno di Þrúðvangar. Vi dimora insieme a sua moglie, la dea delle messi, del grano, del raccolto e della terra, Sif: poco si conosce di lei se non che abbia i capelli d’oro come il grano, fabbricati per lei dai nani dopo che Loki le aveva tagliato la chioma originaria. Il Dio ha inoltre anche uno stuolo di amanti. Secondo la tradizione ha anche un figliastro, Ullr, che era in realtà figlio unicamente di Sif.

Il suo mezzo di trasporto era un carro trainato dalle due capre e anche questi animali vantavano proprietà portentose: per Thor, durante i suoi viaggi, era consuetudine cibarsene considerando che, conservando le pelli e le ossa intatte, il mattino seguente sarebbero rinate. La figura del dio è ancestrale e per questo associabile ad altre divinità, a loro volta altrettanto antiche, della tradizione indoeuropea: i parallelismi con Indra e Zeus sono innumerevoli. Analogamente alla scansione della settimana dei Romani, nella cui concezione del tempo il giovedì corrisponde al giorno di Giove, così nella tradizione nordica Thursday è il Thor’s day, ovvero il giorno dedicato a Thor.

Sif, compagna di Thor

Nella personalità del dio sono prominenti due tratti: quello del gigante accigliato e brutale, collerico e facilmente suscettibile, ma anche una raffigurazione più bonaria e talvolta dai contorni comici.

Nel corso del Ragnarǫk: la battaglia finale tra le forze del bene e le forze del male, la conclusione della tragedia degli dèi del Nord. Lo scontro fra gli eserciti divini e quelli infernali si consumerà dopo che sulla terra…

Si colpiranno i fratelli
e l’un l’altro si daranno la morte;
i cugini spezzeranno
i legami di parentela;
crudo è il mondo,
grande l’adulterio.
Tempo d’asce, tempo di spade,
gli scudi si fenderanno,
tempo di venti, tempo di lupi,
prima che il mondo crolli.
neppure un uomo
un altro ne risparmierà

Thor ucciderà e sarà ucciso da Miðgarðsormr, il serpente che avvolge Miðgarðr (la Terra): il dio ucciderà la bestia ma respirando le sue esalazioni putride, farà solo nove passi prima di morire. Questo sta a simboleggiare l’eterna lotta fra il bene e il male. Il ciclo di violenze terminerà con la fine di tutto: una fine che porterà ad una nuova età dell’oro, un nuovo meraviglioso inizio per tutto il creato e l’umanità intera.

Simbologia

L’elemento naturale del lampo incarna la presenza fisica di Thor, mentre il tuono che ne accompagna la venuta, funge da prova udibile; allo stesso modo è il lampo a manifestare l’incredibile potenza del dio: ora può creare e generare fecondità, ora invece palesare tutta la sua furia distruttiva. Grazie al suo mitico martello Mjöllnir, può convogliare questa forma d’energia a proprio piacimento. Tale oggetto magico, inoltre, ha la facoltà di trasmettere l’energia divina contro demoni e giganti, come testimoniato anche da diverse iscrizioni runiche che invocano il dio chiamandolo «Wigi Þonar», cioè «Thor consacratore». Le caratteristiche magiche di Mjollnir erano le più disparate: frantumava tutto ciò che colpiva, tornava indietro una volta lanciato, poteva rimpicciolirsi fino a diventare una collana e poteva far risorgere i morti. Thor ha anche altri importanti elementi magici: il cinturone e il guantone di ferro, il primo duplica la forza dei suoi colpi mentre il secondo permetteva il contatto con il suo martello. La sua rappresentazione runica è il numero 3, il numero del bene e del male. La soglia o la porta, sono relazionate con la figura dell’eroe. La soglia/ porta rappresenta il limite tra un mondo e l’altro. E’un luogo di transizione che apre l’accesso ad un percorso iniziatico. Sia la porta che il martello sono i simboli dei poteri addormentati che salgono alla luce nel momento in cui vengono scoperti. A riprova dell’enorme influenza rivestita dal dio, il suo culto è stato il più diffuso in Islanda al momento della colonizzazione dell’isola: questo perché, secondo l’immaginario collettivo dell’epoca, Thor figurava da protettore dell’ordine prestabilito delle cose ed anche da protettore della fertilità, come evidenziato anche dal cosiddetto “Libro dell’insediamento“.

Trasposizione nella cultura di massa

La divinità ha ispirato l’omonimo personaggio dei fumetti Marvel Comics, divenuto poi uno dei protagonisti del Marvel Cinematic Universe nel quale è interpretato dall’attore australiano Chris Hemsworth. Nel mondo televisivo Thor è apparso in American Gods e il suo martello in un episodio di Supernatural; viene inoltre nominato più volte in Vikings e in Ragnarok il protagonista scopre di essere la sua reincarnazione. Nella letteratura moderna Thor appare nei romanzi American Gods e Odd e Il gigante di ghiaccio di Neil Gaiman e nella saga di Magnus Chase di Rick Riordan. Nonostante appaia brevemente solo nel finale segreto Thor viene più volte nominato nel videogioco God of War, dove viene descritto come il più sanguinario degli dèi Aesir. Thor sarà uno degli antagonisti principali in God of War Ragnarok. Il dio appare inoltre nel manga Record of Ragnarok, come primo rappresentante degli dei negli scontri contro l’umanità, in cui vince sconfiggendo il generale cinese Lü Bu mostrando il suo rispetto per chi è riuscito a tenergli testa.
In Assassin’s Creed Valhalla, Thor viene più volte citato e, attraverso le missioni della trama dell’arco di Asgard possiamo combattere con lui nella prima fase della missione.

Bibliografia:

  • Gianna Chiesa Isnardi, I miti nordici, illustrazioni di Gino Arcidiacono, Milano, Longanesi & C., 2018 [ottobre 1991].
  • Salvatore Tufano, Miti e leggende nordiche, Roma, Newton&Compton, 1995, ISBN 978-88-8183-481-5.
  • Georges Dumézil, Gli dèi dei Germani. Saggio sulla formazione della religione scandinava, traduzione di Bianca Candian, Adelphi, 1974.

Sitografia:

Il mistero delle Divinità Egizie di Moon Knight

Moon Knight è una serie televisiva americana creata da Jeremy Slater, basata sulla Marvel Comics. Il protagonista Marc Spector (Moon Knight) e Steven Grant (Mr. Knight), due alter-ego di un uomo con disturbo dissociativo dell’identità (DID). Marc Spector è un mercenario coinvolto in un’operazione misteriosa e mortale che coinvolge le divinità egizie.

Steven Grant è un comune impiegato del negozio di souvenir del British Museum di Londra,  Steven si trova di fronte a un grande problema: non sa più distinguere tra la sua vita da sveglio e i suoi sogni. Disturbato da continui blackout di memoria e la visione di una vita che non è la sua. Scoprendo che condivide il suo corpo con il mercenario americano Marc Spector. Moon Knight, si rifà alla serie di fumetti Marvel, con prima apparizione nell’agosto del 1975. La serie, ha debuttato il 30 marzo 2022 su Disney plus ed è andato in onda per sei episodi, concludendosi il 4 maggio.

Ora, è giunto il momento di scostare il velo del misterioso Pantheon egizio celato dietro Moon Knight…

 

AMMIT:

Partiamo con Ammit, nella serie antagonista per eccellenza.

Ammit, Ammet o Ahmait ( ammwt )

” Divoratrice di cuori  o divoratrice della morte”.

Le parti animali che compongono il suo corpo appartengono a (ippopotamo, leone e coccodrillo) tutte specie sacre ma molto temute dagli egiziani. Secondo gli studiosi, si pensa che sulla testa porti una specie di chioma di piume di uccello ma più probabilmente è una criniera di leone.  Ammit è citata nel “Libro dei morti” nelle “Formule dell’uscire al giorno” cap. 125. È presente durante il rito della psicostasia (pesatura del cuore o dell’anima), insieme alle altre divinità che compongono il tribunale di Osiride. Se il cuore del defunto posto sulla bilancia pesa più della piuma Maat (la verità) viene dato in pasto ad Ammit, così da non poter proseguire il suo viaggio nella Duat (il regno dei morti). 

KHONSHU:

I poteri di Moon Knight provengono dal dio della luna Khonshu, che ha impregnato Marc Spector con un frammento del suo potere.

  il Dio nella sua forma umana

Chonsu, Khensu, Khons, Chons o Khonshu; Copto: Ϣⲟⲛⲥ, romanizzato: Shons.

  “viaggiatore “

Il suo nome significa “viaggiatore”, riferendosi al viaggio notturno della Luna attraverso il cielo. Affiancato dal dio scriba Thoth. Khonshu fu determinante nella creazione di nuova vita in tutte le creature viventi.

A Tebe era parte della “Triade Tebana” con Mut come madre e Amon suo padre.

Il nome di Khonshu riflette il fatto che la Luna (indicata come Iah in egiziano) viaggia attraverso il cielo notturno. Ecco perché il suo nome significa “viaggiatore”, e aveva anche i titoli di “Esploratore e Difensore”, poiché si pensava che vegliasse su coloro che viaggiavano di notte. Come dio della luna, Khonshu è stato invocato per proteggersi dagli animali selvatici e per aiutare con la guarigione. Si diceva che quando il dio faceva brillare la falce di luna, le donne concepivano e il bestiame diventava fertile. Nell’arte, Khonsu è raffigurato come una mummia con il simbolo dell’infanzia (testa rasata e ciocca di capelli pendente da un lato), con la collana menat (nome della dea Hathor, dea vacca simbolo di amore e fertilità). A volte viene mostrato con indosso una testa di aquila o di falco come il dio Horus, con il quale è associato come protettore e guaritore, adornato con il disco solare e la luna crescente.  Khonsu è menzionato nei Testi delle Piramidi e nei Testi delle Bare, in cui è raffigurato in un aspetto feroce, la sua figura diventa di massimo spessore durante il Nuovo Regno, quando viene descritto come il “Più Grande Dio dei Grandi Dei”. 

La reputazione di Khonshu come guaritore si diffuse anche al di fuori dell’Egitto. I luoghi del culto del dio erano ubicati presso Memphis, Hibis ed Edfu.

TAWARET:

Taweret (anche Taurt, Tuat, Ta-weret,, Twert e Taueret, e in greco, Θουέρις – Thouéris, Thoeris, Taouris e Toeris )

“ colei che è grande “

Dea egizia protettrice del parto e della fertilità. Viene raffigurata come un ippopotamo femmina bipede con attributi felini, seni femminili penduli, gli arti e le zampe di un leone e la schiena e la coda di coccodrillo. Porta gli epiteti di “Signora del Cielo”, “Padrona dell’Orizzonte”, “Padrona dell’acqua pura“.                                                                                                                               

Le prove archeologiche dimostrano che gli ippopotami abitavano il Nilo ben prima dell’alba del primo periodo dinastico (prima del 3000 a.C). Il comportamento violento e aggressivo di queste creature portò gli antichi egizi sia a perseguitarle che a venerarle. Gli ippopotami maschi erano visti come la rappresentazione del caos, mentre le femmine erano venerate come manifestazione di divinità apotropaiche, poiché proteggevano i loro piccoli dal male. 

Dalla sua concezione ideologica, Taweret era connessa ad altre dee ippopotame: Ipet, Reret e Hedjet. Alcuni studiosi interpretano persino queste dee come aspetti della stessa divinità, considerando il loro ruolo universalmente condiviso come dee domestiche protettive.  Il culto di Taweret si diffuse anche al di fuori dell’Egitto. Nel Medio Regno (c. 2055-1650 a.C), il contatto economico e politico con le culture asiatiche ha portato lo scambio di usi e costumi. Gli oggetti rituali che portavano l’immagine di Taweret erano molto diffuse nelle famiglie egiziane.  I vasi a forma che prenevano la forma della Dea divennero popolari nel Nuovo Regno (c. 1550-1069 a.C). Purificavano il liquido che veniva versato, poiché Taweret era considerata “Lei dell’Acqua Pura”. Spesso questi vasi avevano aperture attraverso i capezzoli, sottolineando gli aspetti materni e fertilità di Taweret. Il culto di Taweret fu adottato nelle religioni levantine, svolgendo lo stesso ruolo di maternità e fertilità anche in questi nuovi pantheon.  Tramite i contatti tra le città costiere levantine e le località mediterranee, Taweret divenne anche parte integrante della religione minoica a Creta. C’è anche una connessione con la dea fenicia connessa alla gravidanza.

Dea gravida di stampo fenicio 

In Conclusione

Le divinità sopracitate, sono quelle che hanno predominato la scena nella prima stagione di Moon knight. Ci sarebbe molto altro da dire, l’argomentazione però rischierebbe di diventare di stampo troppo accademico, cancellando la freschezza che volevo dare a questo articolo. Credo che queste nozioni base e qualche “chicca” aggiunta qui e lì potrebbero attirare maggiormente l’interesse per coloro che sono affascinati dal misterioso mondo dell’antico Egitto e per chi muove i suoi primissimi passi in materia. 

Nonostante il mio partire prevenuta e il mio status fortemente polemico quando vengono sviluppati film, serie tv ecc… in materia. Devo ammettere che con Moon knight, salvo qualche particolare che andrebbe un attimo rivisto, (di questo potrei parlarne in un prossimo articolo) hanno tirato fuori un buon lavoro. Una storia che si proietta totalmente fuori dagli schemi di quello che è l’universo Marvel, In particolar modo la presenza di momenti di forte tensione psicologica, soprattutto quando il corpo non è più capace di governare la mente (ciò che distingue davvero il personaggio di Moon Knight da qualsiasi altro eroe Marvel è la sua condizione psicologica) a momenti di azione e adrenalina. La trama non è mai banale, è scorrevole, segue sempre un certo  filo logico e il cast funziona perfettamente. Sembra proprio una serie dall’ottimo potenziale.

Bibliografia:

  • Dodson, Aidan & Hilton, Dyan, The Complete Royal Families of Ancient Egypt, Thames & Hudson, 2004.
  • Hart, George, A Dictionary of Egyptian Gods and Goddesses, Routledge, 1986,
  • Tosi, Mario, Dizionario enciclopedico delle divinità dell’antico Egitto, 2 voll., Ananke, 2004-2006.
  • Wilkinson, Richard H., The Complete Gods and Goddesses of Ancient Egypt, Thames & Hudson, 2003,

Sitografia:

 

 

L’Occhio di Horus

Horus, figlio di Iside e Osiride, è il dio falco, venerato per la caccia, la bellezza, l’arte e la musica. Successivamente è stato connesso al dio Ra. Possedeva il dono della chiaroveggenza e governava tutti gli elementi naturali. L’Occhio di Horus conosciuto anche come “wadjet” è simbolo di protezione, prosperità e potere regale. E’ un simbolo potente e ricco di energia positiva. Graficamente è costituito da un occhio sovrastato dal sopracciglio e sotto da una spirale, per alcuni è il tratto residuo del piumaggio del falco, animale del quale Horus prende le sembianze, ma anche la rappresentazione dei segni di lacrime. 

 

wḏȝ – udjat “preservare” o “protezione”.

 

Secondo la mitologia egizia abbiamo due versioni:

  • Horus voleva vendicare l’uccisione di suo padre Osiride compiuta da Seth, fratello di Osiride. Nello scontro con lo zio Horus perse il suo occhio sinistro che si divise in sei parti.
  • Un’altra interpretazione invece, lega “l’occhio di Horus“ con “ l’occhio di Ra“, il quale sarebbe stato perso. La sua ricerca viene affidata a Shu e Tefnut ( il secco e l’umido ). La ricerca però dura a lungo e non porta risultati, allora il dio del sole trova un nuovo occhio e non vuole più privarsene. Ecco perché sempre secondo la leggenda Ra avrebbe trasformato l’occhio in un serpente sulla sua fronte chiamato ureo.
Disco solare con Urei. Rappresentazione dell”Occhio di Ra.

        

Usato come amuleto l’Occhio di Horus come fosse un occhio superiore che amplifica la vista e permette di distinguere realtà e illusione. L’Occhio di Horus è spesso scelto come tatuaggio, secondo la tradizione chi vuole disegnare sulla sua pelle questo simbolo egizio deve farlo sulla schiena, sulla nuca o sulle spalle, in questo modo lo sguardo vigile di Horus protegge dai pericoli che la semplice vista umana non è in grado di percepire.ù

Questo amuleto ebbe grande importanza e diffusione nell’antica civiltà egizia. Venne posto anche all’interno dei bendaggi che avvolgevano il corpo del defunto, oltre che su rilievi, incisioni e papiri, in quanto simbolo di rigenerazione. Era portato da uomini, divinità o animali sacri; poteva essere dipinto sulle navi come segno apotropaico di protezione durante il viaggio, sui fianchi dei sarcofagi affinché il defunto potesse vedere nell’aldilà o sui muri di templi o tombe come difesa dai saccheggiatori.

Amuleto (Udjat)

 

Nell’aritmetica egizia le parti costituenti l’udjat servivano a scrivere le frazioni, aventi il numero 64 come denominatore comune. Nella vita quotidiana invece, era usato come traduzione grafica delle unità di misura dei cereali. Ciascuna parte aveva un valore di frazione dell’intero, così come di rappresentazione dei sensi umani:

  • la parte verso il naso rappresentava la frazione 1⁄2 e l’olfatto (il naso);
  • la pupilla rappresentava la frazione 1⁄4 e la vista (la luce);
  • il sopracciglio rappresentava la frazione 1⁄8 e il pensiero (la mente);
  • la parte verso l’orecchio rappresentava la frazione 1⁄16 e l’udito (l’orecchio);
  • la coda curva rappresentava la frazione 1⁄32 e il gusto (il germoglio del frumento);
  • il piede rappresentava la frazione 1⁄64 e il tatto (il piede che tocca terra).

Sommando le varie parti si ha un totale di 63⁄64: si riteneva che il restante 1⁄64 fosse stato aggiunto dal dio Thoth ( dio dalla testa di Ibis, della scrittura e della sapienza ) sotto forma di poteri magici.

Dio Thoth

Sebbene l’ antica civiltà egizia sia ormai conclusa, la credenza nel potere dell’ Occhio di Horus è rimasta viva, infatti questo simbolo è molto utilizzato anche oggi. Ad esempio, nei paesi del Mediterraneo, i pescatori così come nei tempi andati dipingono l’occhio sulle loro barche come simbolo di protezione. Inoltre, viene ancora usato nei gioielli come protezione contro le negatività esterne. E’ anche molto popolare tra templari, massoni, rosacrociani e anche nell’occultismo, i quali vedono questo amuleto non solo come simbolo protettivo, ma anche come simbolo di potere, magia e conoscenza.

 

Bibliografia:

  • Làszlò Kàkosy e Alessandro Roccati, La magia in Egitto ai tempi dei Faraoni, Modena, Panini, 1991;
  • Alessandro Bongioanni e Maria Croce, The Treasures of Ancient Egypt: From the Egyptian Museum in Cairo, Universe Publishing / Rizzoli Publications Inc., 2003;
  • Miti dell’antico Egitto, Giunti Editore, 2003, ISBN 8844027380;
  • Alan Gardiner, Egyptian Grammar, Oxford 1927-1994;
  • Saverio Battente, Massoneria Illustrata, disegni di Giulia Redi, Presentazione di Gustavo Raffi, Betti Editrice Siena 2010

 Sitografia:

 

 

Magic Beyond Words: The J.K. Rowling Story

Magic Beyond Words: The JK Rowling Story è l’escursus di vita di una piccola Joanne Rowling, una bambina dalla grande fantasia e dal grande desiderio di diventare una scrittrice. Il film diretto da Paul A. Kaufman, basato sul libro J.K. Rowling A Biography, accompagna lo spettatore fino al sopraggiungere dell’ età adulta dell’autrice britannica, con tante amare vicissitudini da affrontare, fino alla realizzazione del suo grande sogno con la pubblicazione di quello che sarà l’inizio di una grande avventura nel magico mondo di Harry Potter.

https://youtu.be/ipE7Ig8Sa64

Consiglio “Magic Beyond Words: The JK Rowling Story” a tutti i Potterhead; è entusiasmante quando si decide di sviluppare un film sulla vita di una determinata persona che con la sua opera è riuscita ad apportare un grande cambiamento. Grazie a questi film, riesci ad entrare molto di più in connessione con l’autore stesso e comprendere meglio molte più sfaccettature di se stesso e di quello che vuole esprimere nelle sue opere.

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