The Dark Empire: Darkghast Spire

The Dark Empire è un’organizzazione globale di fan di Star Wars che celebra il lato oscuro dell’universo cinematografico. Non ufficialmente affiliato a Lucasfilm Ltd., il gruppo rispetta le regole di base dei gruppi di fan e si dedica alla creazione e alla promozione di costumi creativi ispirati ai personaggi del lato oscuro, come Sith, contrabbandieri, pirati e cacciatori di taglie. Ma la missione di The Dark Empire va oltre la semplice passione per Star Wars. Il gruppo si impegna in attività di beneficenza per portare gioia e sorrisi alle persone che si trovano in ospedali, evidenziando come l’impegno e la creatività possano fare la differenza nella vita degli altri.

Per molti membri di The Dark Empire, partecipare al gruppo significa condividere una profonda passione per l’universo di Star Wars e per la creazione di costumi che lo rappresentano. Ognuno ha le proprie motivazioni, ma tutti sono uniti dal desiderio di restituire alla comunità e condividere la loro passione con altri appassionati. Rispettando i diritti di Lucasfilm Ltd., The Dark Empire agisce con il consenso del creatore dell’universo di Star Wars. Questa organizzazione unica dimostra che la passione per Star Wars può portare a progetti creativi, atti di beneficenza e unione di fan provenienti da tutto il mondo.

 

Darkghast Spire è la sezione italiana di The Dark Empire. Il loro emblema, creato dal leggendario Simone Tacconi, è ispirato agli episodi prequel della saga di Star Wars, poiché molte riprese sono state effettuate in Italia, come a Caserta e in Sicilia per Naboo e Mustafar, e sulle Dolomiti per alcune scene del film “Solo”. Con l’aiuto di Beatrice Vaccari ed Ilaria Crucil, hanno scelto il Darkghast come simbolo, una creatura gigantesca delle caverne di Mustafar simile al Rancor ma con due braccia e mandibole extra. Questa creatura rappresenta il lato oscuro ma anche la forza e la potenza, unendo così due elementi fondamentali della loro passione per Star Wars.

Han Solo, il guerriero stellare di Brian Daley

Manca poco all’uscita del nuovo film Disney dedicato alla The Star Wars Story, più precisamente al film dedicato a un personaggio affascinate quanto controverso nella storia di Star Wars: Han Solo.  Affascinate, in quanto la sua figura di contrabbandiere che sfida le regole e le leggi per seguire il suo istinto avventuroso, e che alla fine si lascia tutto alle spalle per abbracciare una causa che all’inizio sembra persa, in nome di un amicizia e di un amore ricambiato da una principessa, nato dalla battaglia; e controverso, perché nella prima versione del film Star Wars, Han Solo per sfuggire da Greedo, tirapiedi di Jabba the Hutt, spara per primo, mentre come si è visto nella versione rimasterizzata del film, è stato aggiunto un colpo da parte di Greedo come se Han avesse sparato per legittima difesa, spaccando così i fan in due fazioni, chi voleva Han leale e chi invece piaceva la figura del fuorilegge spaziale.

Nel film che deve uscire si narra la giovinezza di Han Solo, prima dei fatti di Yavin 4, e ci racconterà chi era e cosa faceva prima di diventare il “Solo” che oggi conosciamo. Però questo film non è il primo che parla di Han Solo. Prima degli eventi di Star Wars The New Hope, parte del passato di Han Solo ci viene svelato anche in un libro uscito decenni fa anche qui in Italia,“Han Solo Stars End” tradotto in “Han Solo Guerriero Stellare”.

Questo libro che ho trovato nella libreria del mio collega/compagno Talparius e che mi ha consigliata vivamente di leggere, cosa che ho fatto e di cui non mi pento, era stato editato da Urania, collana di libri della casa editrice Mondadori interamente dedicata alla fantascienza, questa edizione è del 1980, l’autore è Brian Daley che creò una trilogia  dedicata ad Han Solo intitolata “Han Solo Adventures”  però qui da noi venne solo editato uno dei libri Han Solo Stars End appunto e gli altri due sono tutt’ora inediti qui in Italia, mentre invece negli Stati Uniti oltre a essere uscita tutta la trilogia di libri, visto il successo, ne è divenuta anche una serie a fumetti facente parte dell’Universo Espanso di Star Wars.

 

La storia è ambientata prima della battaglia di Yavin contro la Prima Death Star, circa due anni prima che Han Solo incontrasse in una taverna di Mos Eisley su Tatooine, il Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi e il futuro eroe della galassia Luke Skywalker. Il tutto si svolge in un lontano settore della galassia, uno dei pochi fuori dal controllo dell’Impero Galattico di Palpatine, questo settore viene chiamato “Settore Collegato” e la massima autorità che governa all’interno di questo settore è un’organizzazione criminale che si è autodefinita Autorità. Tale organizzazione grazie alle sue risorse, ha preso il possesso di tutti i mondi del “Sistema Collegato”. Questi mondi per la maggior parte sono completamente privi di forme di vita senzienti, ma in compenso sono ricchissimi di risorse naturali e minerali.  Con la promessa di una facile ricchezza vista la vastità di tale settore e dell’abbondanza di materie prime, in molti sono venuti dai vari angoli della galassia, specie senzienti provenienti da pianeti privi di risorse, reietti, diseredati, o semplici coloni, che si sono diretti nel “Settore Collegato” per fare fortuna, avere una vita migliore o semplicemente ricominciare da capo e avere una seconda possibilità. Però, per colpa dell’Autorità, essi vivono quasi alla stregua di schiavi sotto il loro giogo, e anche se in molti cercano di ribellarsi, quello che manca non è il coraggio, ma le armi e altre risorse per contrastare l’Autorità; ed è qui che entra in gioco il nostro eroe, infatti Han Solo insieme al suo copilota e amico Chewie il gigantesco Wookiee, a bordo del Millenium Falcon, prendono l’occasione al volo e iniziano a contrabbandare all’interno del “Settore Collegato” armi e altri generi, ai ribelli e ai lavoratori del sistema stesso, facendola in barba all’Autorità. Per un bel periodo sembra che gli affari per i due contrabbandieri vadano benissimo, tanto che per Han sembra la volta buona per poter finalmente saldare i vari debiti che lui e Chewie hanno lasciato in giro per la galassia, finché un giorno una vecchia conoscenza proveniente dal passato di Han Solo, non gli chiede un aiuto per un impresa pericolosa in ricordo dei vecchi tempi e anche di un facile e favoloso guadagno, da quel momento in poi per Han Solo e Chewie i guai non mancheranno e nemmeno nuovi e potenti nemici per i due contrabbandieri, che tra scontri stellari e colpi di blaster, cercheranno non solo di guadagnare un buon bottino ma anche di portare sana e salva la pelle.

Un romanzo molto carino e ricco di colpi di scena, non eccelso come altri romanzi di fantascienza, ma in certi momenti la lettura vi trascinerà fino a scoprire come si svolge un certo evento e in altri casi vi strapperà un largo sorriso, consigliato per chi ama il personaggio  Han shoots first (Han spara per primo) invece dell’Han corretto, però questo libro era stato scritto in un momento in cui il “politicamente corretto” non esisteva ancora e si poteva scrivere e disegnare ogni cosa, in quanto tutte queste avventure erano frutto di pura e semplice fantasia. Una nota non negativa, ma direi comica è l’adattamento e la traduzione di alcune cose, infatti non spaventatevi se nel leggere il romanzo troverete Raggio Trattore invece di Traente e invece di Millennium Falcon leggerete Falcone Millenario o semplicemente Falcone, dopotutto erano altri tempi; se avete la fortuna di trovarlo in qualche libreria o bancarella di libri usati, se siete dei veri appassionati di Star Wars senza pregiudizio, vi consiglio di prenderlo in quanto è una bella lettura veloce e divertente.

 

 

La Maledizione della Morte Nera

Ossia, come Star Wars sta diventando sempre più simile al brand “Pirati dei Caraibi”. La tanto paventata “rottura” con gli schemi narrativi classici Guerre Stellari, si può considerare perfettamente realizzata con Gli ultimi Jedi. Il film ha avuto moltissime critiche, ma anche numerosi difensori, pronti a giurare che, in fondo, le tematiche non siano poi così cambiate rispetto alle trilogie precedenti. E in fondo è vero, però è innegabile che qualcosa sia cambiato: qualcuno lo ha visto come un ammodernamento, qualcun altro un vero e proprio tradimento. Ma cosa è cambiato veramente? Non tanto la trama quanto i linguaggi  del film,  ossia il modo con cui raccontare la  storia e comunicare le emozioni. Ecco qui c’è stato un grande distacco:  questo è un film tutto Disney, tutta “nuova scuola”.

Lo stile Disney di ”Pirati dei Caraibi”. 15 anni fa la Disney lanciò un ”La maledizione della prima luna”. Una storia d’avventura, al limite dell’horror, sviluppata in un ambientazione fantasy piratesca, ma condita di azione e comicità. L’idea alla base della pellicola, era nata al termine di un periodo di dissapore con lo studio Pixar, che fino ad allora era stato il traino dei nuovi film Disney.  La compagnia aveva deciso di puntare  su prodotti alternativi, diversificando, per non essere troppo assoggettata alla Pixar. Così da un’idea maturata  già negli anni novanta per rilanciare le aeree tematiche dei suoi parchi di divertimento, nacque il concetto pirati.  Ma non doveva essere un film di pirati ”vecchio stile”, né un film storico, ma più un film d’azione che ammiccasse un po’ a tutti. Il film fu un successo che contese al film prodotto dalla stessa Disney ”La ricerca di Nemo”, uscito il mese prima, il titolo di campione del box office dell’anno.  La formula scanzonata e comica de ”I pirati dei Caraibi” e successivi si dimostrò essere un’idea di assoluto successo, capace di catturare il pubblico più giovane, e i giovani adulti, grazie ai colpi di scena, alle battute continue e alle scene d’azione a volte così eccessive da sforare volutamente nel ridicolo, ma con una trama alle spalle complessa e strutturata.

Uno stile vincente. Lo stile  di Pirati dei Caraibi si è dimostrato un mood vincente: Azione, battute e personaggi un po’ fuori dalla righe, ma anche colpi di scena, cammei importanti, spezzoni  dark, in un frammistarsi di situazioni serie e  comiche. Potremmo quasi definirlo un super genere, in cui confluisce un po’ di tutto: una strizzata d’occhio a Indiana Jones, una alle saghe fantasy come ”Il signore degli anelli”, una ai film di pirati, una agli horror classici, ecc, ecc . A pensarci bene ricorda un pò’ anche lo stile dei film Marvel, (sempre Disney) e il brand Trasformers (Dreamworks/Paramount). Ne siamo ormai pieni. Qualcuno avrà pensato: “il sistema funziona, ha creato un  nuovo brand super redditizio (i 5 film di PoC hanno incassato oltre 4 miliardi di dollari), ha rilanciato un vecchio brand (Marvel), rilanciato i fumetti, portato miliardi in merchandising. Un brand come Star Wars, che piace tanto ai trentenni, ma non fa cosi breccia sulle nuove generazioni non può che avvalersi di questa formula magica

Il linguaggio della nuova trilogia. Così, basta poco per rendersi conto di come  il  linguaggio della nuova trilogia sia fortemente influenzato da questo mood: prendiamo la scena in cui Luke rifiuta la spada che reverentemente Rey gli porge: è assolutamente fuori dal contesto del personaggio, del modus operandi Jedi, dal senso della scena, ma strappa una risata. Perché? Perché è inattesa: tutti ricordiamo la scena in cui Obi-Wan consegna a Luke la spada come fosse una reliquia. Abbiamo aspettative simili, rompere le aspettative fa ridere.  Così fanno ridere gli allenamenti di Rey, che danneggiano continuamente oggetti  delle custodi, fa ridere la ricca comparsa che, ubriaca, continua a inserire monetine in BB8; addirittura  strappano un sorriso alcune scene di interazione mentale tra Rey e Kylo Ren, che invece narrativamente dovrebbero essere  cariche di suspense. Ci sono molte altre analogie, come l’esecuzione di Finn e Rose (scena vista in tutti i film) o ancora  il lungo inseguimento tra le navi del primo ordine e dei ribelli, ricordano tanto gli scontri navali tra vascelli, tra colpi radi sparati da lontano e la nave inseguita che cerca di distanziare i propri inseguitori. Certo, nei primi film di Star Wars non mancavano le battute, ma avevano una funzione differente: lì servivano ad aggiungere spessore alla trama, erano insomma strumentali, qui invece servono a rompere la tensione, facendo venire meno la funzione drammatica; in questo modo non c’è mai un vero dramma, non c’è una tensione emotiva che potrebbe rendere il film troppo ”cruento”. Pirati dei Caraibi parla di assassinii, tagliagole e guerra, ma non è mai cruento. Nemmeno i cattivi fanno davvero paura.

Ma i parallelismi più evidenti sono nei personaggi. Anche in  Pirati dei Caraibi ci sono tre protagonisti: Jack Sparrow, abilissimo capitano della Perla Nera, dalla lingua lunga che sembra cavarsela sempre per il rotto della cuffia, Elisabeth Swann, vero motore della trama e degli eventi, e l’unica che in ogni momento sembra sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, e Will Turner, abile fabbro e spadaccino, costretto, suo malgrado, a seguire gli altri due in un alternarsi di vicende ed equivoci. Jack è un protagonista strano, quasi una spalla comica a volte; è l’unico dei tre che conosce l’ambiente dei pirati e le sue regole,  dove tutti lo conoscono, nel bene o nel male.  È un personaggio con i suoi scopi che funziona bene anche da solo ha sempre vicino una spalla (tipo la scimmietta). Al contrario sia  Will che  Elisabeth sono personaggi strappati al loro ”mondo” che devono imparare a convivere con  usi differenti, esplorando e conoscendo nuovi personaggi.  Ma, mentre Elisabeth cerca di prendere subito il controllo della situazione, Will è restio a farlo e vorrebbe tornare a casa. Elisabeth è dettata da forti motivazioni personali, Will o cerca di salvare Elisabeth o è schiacciato dagli eventi. Un’altra caratteristica di Jack è essere spesso un deus ex machina delle vicende, ossia il suo intervento è sempre provvidenziale, in un modo o nell’altro ma non muove lui la trama, né il personaggio sembra evolversi.  Aggiungiamo poi altri due elementi: un cattivo ricorrente che man mano si dimostra essere un alleato (Norringhton o Barbossa) e altri cattivi che si  dimostrano spietati ma assolutamente incapaci,  che non fanno mai realmente paura essendo ala caricatura di loro stessi (Bekett delle Indie Orientali).

Ora vediamo i parallelismi. Come Jack, Poe è spocchioso, lesto di lingua, agisce impulsivamente ma se la cava sempre; i suoi interventi sono sempre provvidenziali, e nessuna delle sue azioni controverse ha mai conseguenze. Inoltre, è lui ad avere il controllo della situazione e nel suo ambiente tutti lo conoscono, infatti uno dei suoi ruoli è quello di inserire  Finn e Rey nella resistenza e supportarli. Finn non interviene attivamente durante tutto il film, anche qui è un deus ex machina: appare e risolve situazioni. Dal canto suo Rey è il motore degli eventi: spinge Finn a seguirla, decide di trovare Luke, è animata da una grande forza di animo e  la sua curiosità la spinge ad innescare una serie di eventi. Come Elisabeth è importante per altri personaggi perché è figlia del governatore, cosi Rey è importante perché ha “qualcosa”. Al contrario, Finn è invece sempre sul punto di voler tornare indietro, e l’unica cosa che lo spinge a rimanere sembra proprio essere Rey.  I parallelismi tra Kylo Ren e Norringhton sono meno palesi, ma la base è simile: pur essendo  entrambi personaggi tormentati tra il loro senso del dovere e un sentimento verso Rey/Elisabeth, non riescono a portare a termine i loro compiti (Kylo comunque deve in qualche modo mantenere lo stile dei suoi predecessori). È invece quasi totale la  sovrapposizione tra Hux e l’infido Beckett: entrambi troppo sicuri di sé, entrambi incapaci di prendere decisioni sensate davanti agli imprevisti, entrambi vanagloriosi della potenza delle loro navi, dei loro uomini, dei loro mezzi, entrambi viscidi e probabilmente codardi. Nessuno di loro incute alcun timore al pubblico. Nessun bambino piangerà vedendo Kylo Ren, come poteva succedere con Palpatine, Darth Vader o Darth Maul.

E i vecchi personaggi? Ma in questo schema non si tiene conto di Luke, Han e Leia (e Chewie). Come si può non tenerne conto? Perché contano poco: purtroppo  la presenza dei vecchi personaggi è solo un lungo  cammeo atto a far da passaggio di testimone. A pensar male si potrebbe dire che  sono quasi volutamente offuscati, spenti. Di Luke se ne è parlato fin troppo, e credo sia inutile ripetersi. Leia è una caricatura di se stessa, e non per la prestazione di Carry Fisher, come alcuni maligni dicono, bensì per evidenti scelte di regia. È più matura, sì, è più prudente, sì, ed è giusto che sia così. Ma il problema è che non appare  carismatica, non è una leader, sembra più una grande ”mamma” della resistenza che un generale operativo: è  proprio un problema di taglio del personaggio. Anche Han Solo, di gran lunga il più carismatico dei tre, nonostante l’abilità di Henry,  non viene sfruttato al 100%: sembra sempre un po’ in disparte messo lì a dar spazio ai nuovi arrivati.

Ma i pirati in Star Wars funzioneranno? Difficile dirlo, perché Guerre Stellari non è un prodotto nuovo. Ha il suo linguaggio, anzi ha creato il suo linguaggio e lo ha imposto al mondo. Non è una saga che si presta a essere cambiata così. Il rischio è che Star Wars perda i suoi fan più accaniti e  diventi un film come tutti gli altri, capace, sì, di macinare numeri, ma senza più il suo valore. Pensiamoci bene: siamo sicuri che, tra 30 anni Pirati dei Caraibi o Avengers saranno dei cult anche solo lontanamente avvicinabili a quello che è stato Star Wars per noi? Perché Star Wars è stato un successo? Non perché parlasse di astronavi, non perché ci fosse il dualismo bene o male, ma perché ha scavato un sentiero nella storia del cinema, un suo sentiero, fatto di musiche e di emozioni. Lucas ha saputo creare emozioni attraverso le musiche, le inquadrature; parliamoci chiaramente: cosa sarebbe Darth Vader senza la marcia imperiale, senza il suo incedere imperioso, senza il rispettoso silenzio rotto dai profondi  respiri che precedeva ogni sua frase? Quando noi spettatori ci renderemo conto che quello che fa grande un film sono le emozioni , anche il ”super genere” Pirati dei Caraibi si esaurirà.

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