Sotto lo pseudonimo di Axdeb ” Dio dei Draghi” si nasconde Andrea De Benedetti, coordinatore di Satyrnet, blogger, autore e sceneggiatore e master. Dopo essersi laureato in scienze della comunicazione, ed aver lavorato come redattore per A.P. Associated Press, Andrea lavora come creativo, interessandosi di temi legati al Fantasy, ai Giochi Ruolo, al cinema ed alle storie misteriose. Tra chi lo conosce è considerato un vero e proprio ” tuttologo” capace di disquisire su quasi qualsiasi argomento.
La Forza torna a vibrare. Dopo anni di speculazioni, smentite e misteri degni di un archivio Jedi, è arrivata la conferma che sta già facendo tremare i social e infiammare le community di fan: Lucasfilm ha messo ufficialmente in cantiere Star Wars: Episode X – A New Beginning. Non un semplice spin-off, non un progetto collaterale, ma il primo capitolo di una nuova trilogia numerata, che raccoglie l’eredità della Skywalker Saga e promette di aprire una nuova era.
E a firmare la sceneggiatura sarà Simon Kinberg, volto già noto agli appassionati per il suo lungo lavoro sulla saga degli X-Men e per aver co-creato insieme a Dave Filoni la serie animata Star Wars Rebels. Un nome che da solo basta a far alzare le sopracciglia dei fan più esigenti: perché Kinberg non è solo uno sceneggiatore navigato, è un autore che ha già saputo muoversi con destrezza tra eroi, saghe corali e universi condivisi. Ora tocca a lui scrivere il destino di una delle più grandi epopee cinematografiche di tutti i tempi.
Un titolo che è già leggenda: A New Beginning
Il titolo circolava già da tempo come semplice voce, bollato in fretta come “provvisorio”. Poi ribattezzato con l’etichetta New Jedi Order, che avrebbe dovuto introdurre il ritorno di Rey Skywalker. Ma adesso le ultime indiscrezioni hanno riacceso la fiamma: A New Beginning non sarebbe un nome di lavorazione, ma proprio il titolo ufficiale del film. Un richiamo diretto all’idea di rinascita che George Lucas aveva scolpito sin dal lontano A New Hope del 1977.
Un ciclo che si chiude e uno nuovo che si apre, con una risonanza simbolica che sembra fatta apposta per segnare il passaggio di testimone a una generazione diversa di Jedi, eroi e minacce cosmiche.
Trama: Rey, maestra Jedi e un futuro da costruire
Sui dettagli della storia, Lucasfilm gioca ancora a carte coperte. Quello che sappiamo è che il film sarà ambientato quindici anni dopo gli eventi di The Rise of Skywalker. Rey (interpretata ancora da Daisy Ridley) sarà ormai una maestra Jedi matura e potente, alla guida della sua Accademia Jedi. Non più la giovane apprendista incerta sul suo destino, ma una leader consapevole, chiamata a fondare un nuovo Ordine in una galassia ancora segnata dalle cicatrici delle guerre passate.
Sarà davvero l’inizio di una nuova età dell’oro per i Jedi o i semi del lato oscuro troveranno di nuovo terreno fertile? Qui sta il cuore della suspense che Lucasfilm si guarda bene dallo sciogliere.
Dietro la macchina da presa: Sharmeen Obaid-Chinoy
A dirigere l’episodio ci sarà Sharmeen Obaid-Chinoy, prima donna nella storia a sedersi sulla sedia di regista per un film di Star Wars. Una scelta che porta con sé aspettative enormi, ma anche una ventata di freschezza. Obaid-Chinoy, due volte premio Oscar per i suoi documentari, ha promesso un approccio visivo ambizioso: location reali sparse in tutto il mondo, un mix di ambientazioni naturali e scenari virtuali realizzati con le tecnologie più avanzate, e un equilibrio tra effetti speciali pratici e CGI di ultima generazione. Insomma, un ritorno a quella fusione di artigianato e innovazione che ha sempre distinto la saga.
Episodio X come primo tassello di una nuova trilogia
Ma il vero colpo di scena è un altro: A New Beginning non sarà un episodio isolato. Simon Kinberg è già al lavoro per dare vita a una nuova trilogia numerata, che comprenderebbe Episodi X, XI e XII. Un ritorno alla struttura classica, che potrebbe riscrivere il futuro stesso della saga.
E qui nasce il dibattito: sarà una continuazione diretta della storia di Rey, con un filo narrativo che espanderà il concetto di New Jedi Order? Oppure Lucasfilm approfitterà del numero “10” per inaugurare una nuova generazione di protagonisti, lasciando Rey come figura di transizione e guida spirituale?
L’ipotesi di un nuovo arco narrativo completamente indipendente dalla Skywalker Saga non è da scartare: secondo The Hollywood Reporter, Kinberg avrebbe carta bianca per introdurre personaggi inediti e raccontare un percorso totalmente nuovo, capace di far respirare la galassia lontana lontana oltre le ombre e le eredità del passato.
Rumor, ipotesi e sogni di fan
Come sempre, quando si parla di Star Wars, la speculazione vola più veloce di un caccia TIE. Alcuni insider suggeriscono che tra i personaggi potrebbe comparire Grogu in una versione più adulta, pronto a lasciare l’iconico ruolo di “Baby Yoda” per diventare un Jedi a tutti gli effetti. Sarebbe una scelta capace di intrecciare la linea narrativa di The Mandalorian con i nuovi episodi cinematografici, creando un universo ancora più coeso.
Altri parlano del possibile ritorno di figure leggendarie del Legends, come gli alieni Yuuzhan Vong, mai canonizzati al cinema ma amatissimi dai lettori dell’Universo Espanso. Una minaccia esterna, capace di rimettere in discussione gli equilibri della galassia, sarebbe l’occasione perfetta per far collaborare Jedi, ex-Sith e nuove generazioni in un’epopea corale.
Il peso di una legacy
Lucasfilm lo sa bene: la Skywalker Saga è un’eredità pesante, un mito che nessun altro prodotto è riuscito davvero a eguagliare in termini di impatto culturale. Gli spin-off televisivi, da The Mandalorian ad Ahsoka, hanno ampliato l’universo ma senza mai toccare quella corda epica capace di unire tre generazioni di spettatori. Episodio X porta quindi una responsabilità enorme: riaccendere la fiamma del mito senza limitarsi al fan service.
Kathleen Kennedy, presidente di Lucasfilm, lo ha definito “un nuovo capitolo che segnerà l’inizio di una fase completamente diversa della saga”. Parole che fanno capire quanto questo progetto sia considerato una scommessa strategica per il futuro del brand.
Un evento culturale prima ancora che un film
Ogni annuncio legato a Star Wars non è mai solo una notizia di cinema: è un fenomeno globale. Le community online si spaccano, i forum esplodono, i fan si dividono in fazioni Jedi e Sith pronti a discutere su ogni dettaglio. È già accaduto con le trilogie precedenti e accadrà di nuovo: Episodio X è destinato a diventare un evento culturale planetario, al di là della sua qualità artistica.
E se è vero che la pazienza dei fan è stata messa alla prova da rinvii, cancellazioni e progetti fantasma (dal Rogue Squadron di Patty Jenkins al film di Kevin Feige mai decollato), questa volta l’entusiasmo sembra davvero difficile da contenere. Le riprese inizieranno a settembre ai Pinewood Studios di Londra, cuore storico della saga. L’uscita, salvo imprevisti, dovrebbe collocarsi nel 2027, in coincidenza con il 50° anniversario di Una nuova speranza.
La Forza scorre potente, ma il futuro è incerto
E allora, cosa dobbiamo aspettarci? Un proseguimento diretto delle avventure di Rey Skywalker? Un’espansione dell’universo con nuovi eroi e minacce inedite? O una rivoluzione che metterà davvero in secondo piano i legami con il passato per spingersi oltre, verso territori narrativi mai esplorati?
La verità è che, per ora, siamo sospesi come apprendisti davanti al Consiglio Jedi: intravediamo il sentiero, ma il futuro resta avvolto nelle nebbie della Forza.
Quel che è certo è che Star Wars: Episode X – A New Beginning rappresenta una promessa. Una promessa di rinascita, di speranza, di nuove leggende pronte a nascere sotto i cieli stellati della galassia più amata del cinema.
👉 E voi, come immaginate il futuro della saga? Preferireste seguire Rey nel suo cammino di maestra Jedi o vorreste vedere una tabula rasa con nuovi protagonisti? Scrivetelo nei commenti e preparatevi: la Forza ci attende, e il prossimo capitolo sta già prendendo forma.
Nel gennaio 2024, Noland Arbaugh è entrato nella storia della neurotecnologia come il primo essere umano a ricevere un impianto cerebrale Neuralink. Per molti, potrebbe sembrare il sogno definitivo dei nerd: un chip che trasforma i pensieri in comandi digitali, un controller invisibile che consente di interagire con computer, smartphone e persino dispositivi domestici senza muovere un muscolo. Ma dietro l’apparente magia tecnologica, la storia di Arbaugh rivela un futuro inquietante, una distopia sottile e affascinante in cui la linea tra mente umana e macchina diventa sfocata, quasi inesistente. Per lui, paralizzato da un incidente nel 2016, il chip non è solo un dispositivo: è una seconda vita, un laboratorio per sperimentare le possibilità e i limiti di un’era in cui il pensiero può piegare la realtà digitale alla propria volontà.
L’intervento che ha trasformato Noland è stato eseguito presso il Barrow Neurological Institute di Phoenix e ha richiesto solo due ore, ma ogni secondo racchiudeva una precisione chirurgica quasi sovrumana. Un robot, progettato appositamente da Neuralink, ha inserito più di mille minuscoli elettrodi nella corteccia motoria del cervello, creando un ponte diretto tra impulsi elettrici neuronali e comandi digitali. Il chip, chiamato “Telepathy” da Elon Musk, è un dispositivo invisibile sotto la calotta cranica, alimentato da una batteria ricaricabile wireless, capace di trasmettere e ricevere segnali dal cervello verso dispositivi esterni. Non più fili ingombranti, nessun collegamento visibile: l’interfaccia è un’estensione silenziosa della mente, e con essa Arbaugh può navigare su Internet, scrivere, giocare, comunicare con amici o persino progettare in 3D, tutto senza muovere un dito. L’impressione, per chi osserva da fuori, è quella di una magia oscura, quasi proibita, come se il cervello fosse diventato un portale verso un’altra dimensione digitale.
Ma l’impatto del chip va ben oltre la semplice funzionalità. Prima dell’intervento, Noland racconta di aver vissuto otto anni di isolamento e frustrazione. Dormiva di giorno e restava sveglio di notte, incapace di trovare uno scopo. La paralisi non era soltanto fisica: era una prigione mentale. Dopo l’impianto, tutto cambia. La sua mente torna a essere un motore, e la routine quotidiana diventa un laboratorio di scoperta. Studia neuroscienze in Arizona, tiene conferenze, passa fino a dieci ore al giorno a leggere, lavorare e sperimentare. Il chip non è solo uno strumento tecnologico: è una terapia, un catalizzatore che ha risvegliato in lui fiducia, motivazione e voglia di contribuire al progresso scientifico. “Sento di avere di nuovo del potenziale. Forse l’ho sempre avuto, ma ora lo sto sviluppando in modo significativo”, racconta. L’euforia di questa libertà è però accompagnata da un prezzo inquietante: visibilità mediatica costante, troll online, pressioni sociali, e persino un episodio in cui la SWAT ha fatto irruzione nella sua casa per un falso allarme, trasformando la sua vita in una combinazione di esperienza di laboratorio e incubo distopico.
Il chip di Neuralink rappresenta un balzo tecnologico senza precedenti. Rispetto alle altre interfacce cervello-computer, è completamente wireless e portatile, capace di collegarsi in modo stabile con dispositivi esterni. Gli elettrodi flessibili, più sottili di un capello umano, penetrano delicatamente nel tessuto cerebrale e leggono l’attività elettrica con una precisione impensabile. Il cuore della tecnologia non si limita a leggere i pensieri: l’obiettivo a lungo termine è creare una connessione bidirezionale, stimolando aree cerebrali specifiche, restituendo capacità perse, restituendo vista o controllo motorio a chi ne è privo. Progetti come Blindsight, ancora in fase sperimentale, mirano a restituire la vista ai ciechi congeniti, mentre altre applicazioni future potrebbero consentire di interagire direttamente con robot, bracci meccanici e persino droni controllati solo dal pensiero. In questa prospettiva, la mente diventa un’interfaccia universale, e l’essere umano una macchina ibrida che dialoga con il mondo digitale senza mediazioni.
Eppure, la distopia si insinua nei dettagli. La libertà mentale che il chip offre è accompagnata da vulnerabilità tecnologiche. Alcuni fili impiantati nel cervello di Arbaugh hanno subito ritiri dal tessuto neuronale, riducendo temporaneamente l’efficacia dell’impianto. Ogni piccolo difetto deve essere corretto da algoritmi sempre più complessi, e ogni aggiornamento diventa una danza delicata tra ingegneria, etica e sicurezza neurologica. La tecnologia che restituisce autonomia può, in altre mani o in altri contesti, diventare uno strumento di controllo. Il pensiero stesso diventa dati, e i dati possono essere letti, interpretati, manipolati. La frontiera tra liberazione e sorveglianza è sottile, e la narrativa nerd della mente potenziata si mescola con la realtà inquietante di una società in cui il cervello è potenzialmente connesso e vulnerabile.
Noland Arbaugh, con il suo chip Telepathy, è al centro di questa rivoluzione. Riuscendo a interagire con il mondo digitale senza limiti fisici, è diventato un simbolo di ciò che la tecnologia può offrire, ma anche un monito: la fusione tra mente e macchina comporta responsabilità e rischi enormi. Neuralink non è solo un’azienda tecnologica: è una distopia in costruzione, un laboratorio vivo in cui il futuro dell’umanità si gioca tra libertà, controllo e progresso scientifico. La mente umana, un tempo confinata al cranio, ora è collegata al mondo, pronta a interagire, pronta a evolversi, ma anche esposta a un nuovo ordine di vulnerabilità e sorveglianza.
E mentre Elon Musk lancia razzi verso Marte e costruisce città elettriche autonome, la vera rivoluzione potrebbe non essere nello spazio, ma dentro i nostri cervelli. L’era in cui pensiero = azione è già cominciata, e Noland Arbaugh ne è la prova vivente. La distopia nerd in cui viviamo non è più un racconto fantascientifico: è un futuro tangibile in cui il confine tra uomo e macchina si assottiglia ogni giorno di più, e la mente, per la prima volta nella storia, può davvero diventare il motore del mondo digitale.
Tutti conosciamo la parola “Hell” che in Inglese significa Inferno. Questo termine, come il tedesco Hölle, trae le sue radici nella Mitologia norrena, in cui il regno degli Inferi è chiamato Hel, come anche il nome della dèa che governa questo regno popolato di spettri tremanti di morti senza onore. Vuoi per assonanza fonetica, vuoi per somiglianza di funzioni, si potrebbe ipotizzare un possibile collegamento tra il Lucifero ebraico (Helel), e la Dea degli inferi norrena (Hel o Hela): tale possibile corrispondenza è un argomento che ha attirato l’interesse degli appassionati di mitologia. Anche se non esiste una connessione diretta tra le due figure mitologiche, ci sono delle somiglianze e alcuni elementi dei rispettivi miti che vale la pena esplorare.
Innanzitutto sfatiamo un mito. Nella mitologia ebraica originaria non esiste un vero e proprio Demone Maligno di nome Lucifero. La figura di Helel, dalla radice ebraica הֵילֵל, compare in Isaia 14:12 per indicare “portatore di luce” o “stella del mattino. Viene ripreso in epoca post-cristiana e nel libro di Enoch (un testo apocrifo del I sec.) ma con riferimenti vaghi parlando di un astro che cade come Babilonia, non di una reale entità “personificata”. Dopotutto, la Bibbia di entità angeliche ne ha a bizzeffe (Asmodeo, Azazel,) come anche divinità nemiche di matrice assiro-babbilonese (Baal, Molok). Solo nel nuovo testamento (Luca 10:18) si inizia a parlare di effettivamente di un “nemico di Dio” ispirandosi ad una derivazione Mahzdista. Inoltrre c’è un’altra concetto che si è stratificato nei secoli che non trova nessuna corrispondenza nei testi sacri: in nessuna parte della Bibba si fa riferimento a Lucifero come signore degli Inferi. Questo è un accostamento relativamente moderno, derivato probabilmente alla sovrapposizione “politica” con le precedenti figure pagane (Ade).
Tutti i nerd hanno conosciuto il personaggio di Hel, o meglio Hela, grazie ai fumetti Marvel e come antagonista del Dio del Tuono in Thor: Ragnarok(interpretata da Cate Blanchett). Nella “vera” mitologia norrena, Hel è la dea degli inferi, figlia (e non sorella) di Loki. Nata metà viva e metà morta, per la sua duplice natura, nessun regno esistente era pronto ad accettarla. Hela non si ribella al suo Odino ma chiede al Padre degli Dei un regno che fosse adatto a lei. Hela avrebbe dunque regnato su Helheim, ovvero i luogo mitologico dove risiedono i morti senza onore, coloro che non sono morti in battaglia, e non deni quindi di elevarsi Valhalla. La figura di Hel è complessa e ambivalente, e il suo regno è descritto come un luogo freddo e desolato.
Hel è dunque una dea dei morti a tutti gli effetti, Lucifero non lo è: nella mitologia ebraica arcaica non ci sono diretti riferimenti a cosa succeda “dopo la morte”. Non c’è un reame dei morti: la Gehenna infatti è un luogo fisico, che verrà concettualizzato con l’Infero solo dopo la nascita del Cristianesimo.
Bisogna inoltre precisare che la mitologia nordica che conosciamo è per lo più una reinterpretazione ottocentesca, con connotazioni nazionaliste e anti-cristiane. La mitologia originale, di cui sappiamo poco, è molto più complessa e varia a seconda del luogo e dell’epoca. Inoltre, ciò che definiamo come mito “vichingo” è influenzato moltissimo dalla cultura celtica; ad esempio, i Galli e gli Iberici credevano che l’Aldilà fosse un luogo fisico al di là del mare;; una credenza antica che risale all’impero medo identificava il “paradiso” (parola persiana che significa giardino chiuso) ad est, oltre il deserto, e il regno dei morti ad ovest.
Quindi nonostante entrambe le figure abbiano ruoli che solo apparentemente possono sembrare simili, non esiste dunque nessuna corrispondenza diretta o storica tra Helel e Hel. Le somiglianze si fermano principalmente ad un ruolo superficiale, più “moderno” delle rispettive mitologie, ma le loro origini, storie e contesti culturali sono distinti e non collegati direttamente. Dopotutto, i contatti tra le due culture erano limitati e qualsiasi influenza reciproca sarebbe stata, in caso, indiretta, probabilmente attraverso intermediari culturali come i Romani o i popoli germanici: durante il Medioevo e in periodi successivi, ci sono stati scambi culturali tra il mondo nordico e quello cristiano, specialmente con la cristianizzazione della Scandinavia, ma questi scambi sono avvenuti, ribadiamolo, ben dopo la formazione delle narrazioni principali della mitologia norrena.
In conclusione, sebbene le somiglianze tra Helel e Hel siano affascinanti, sembrano essere più il risultato di analisi “estetiche” senza veri fondamenti storici: tuttavia, lo studio delle mitologie e delle loro interconnessioni rimane un campo aperto a interpretazioni e scoperte sempre nuove.
Gli angeli caduti sono una figura avvincente che fa parte della tradizione ebraica e che ha trovato spazio in diverse interpretazioni religiose e culturali. Nella tradizione ebraica, gli angeli caduti vengono spesso associati a demoni o esseri ribelli che sono stati banditi dal paradiso per aver disobbedito o ribellato contro Dio.
Il più famoso tra gli angeli caduti è Lucifero, conosciuto come la “stella del mattino” o il “figlio dell’aurora”, che è stato descritto come colui che è caduto dal cielo a causa della sua superbia e del desiderio di essere simile a Dio. Questa narrazione è supportata da interpretazioni di passaggi biblici come Isaia 14:12.
Altri angeli caduti menzionati nella tradizione ebraica includono Astaroth, Belfagor, Belzebù, Belial, Lilith, Asmodeus, Azazel, Baal, Dagon, Moloch, Mammona, Mefistofele e Samael. Questi nomi derivano spesso da divinità adorate dai popoli antichi della Palestina e delle regioni circostanti, come i moabiti, cananei ed edomiti, e sono stati reinterpretati nel contesto ebraico come figure opposte al culto di Yahweh.
La caduta degli angeli è un tema che si trova anche in altre fonti storiche e religiose e spesso simboleggia la lotta tra il bene e il male, la ribellione contro l’ordine divino e le conseguenze della superbia e dell’ambizione. Gli angeli caduti, con le ali spezzate, rappresentano il dolore e il rimorso per essere stati allontanati dalla presenza di Dio, ma anche la ribellione e il desiderio di conoscenza e potere che sfida l’autorità suprema.
In sintesi, gli angeli caduti della tradizione ebraica costituiscono un intricato insieme di credenze e interpretazioni che riflettono la costante lotta umana tra aspirazioni celesti e terrene, tra obbedienza e ribellione, e tra la luce della grazia e le tenebre dell’esilio.
Recentemente, abbiamo tutti apprezzato Lucifero nella sua “interpretazione” nell’iconica serie Hazbin Hotel. Nella serie di Vivienne Medrano, Lucifer Morningstar (Stella del Mattino), il re dell’Inferno e padre di Charlie, rappresenta il “Peccato della Superbia”. Ma chi è in realtà Lucifero nella religione ebraico/cristiana e quali differenze ci sono con la figura di Satana?
La figura di Satana, conosciuta anche come Satanael, e quella di Lucifero, o Helel, sono due entità che hanno avuto significati diversi nel corso dei secoli attraverso varie tradizioni e testi religiosi. Inizialmente associate al male e all’oscurità nella tradizione cristiana, queste figure hanno origine e caratteristiche che si sono evolute nel tempo.
Iniziamo dicendo che ne Satana Lucifero non viene mai citato nel vecchio testamento, che tuttavia cita molti angeli “ribelli” tra cui Semihazia, primo tra i Nephilim ( coloro che unendosi con le figlie dell’uomo crearono i giganti), Asmodai, ( il demone tentatore di Sarah e probabilmente il serpente del paradiso terrestre).
il termine Lucifero (o Helel, dalla radice ebraica הֵילֵל che compare in Isaia 14:12 per indicare “portatore di luce” o “stella del mattino”) era associato alla caduta Re di Babilonia (Isaia 14:3-20).
Satana, termine ebraico che significa “avversario” o “contraddittore”, è spesso associato al serpente dell’Eden (che in realtà si chiama Asmodai, il demone tentatore di Sarah) o all’arcangelo Samaele, che si ribellò a Dio per gelosia nei confronti di Adamo, ma ancora una volta non esiste un singolo avversario di Dio nella tradizione ebraica. Esistono numerosi “avversari” che sono spesso Dei protettori dei popoli vicini agli Ebrei, primo tra tuti Baal-Molok, divinità dei Cananei, e veri e propri demoni come Azazel, Belzebù.
Infatti un’altra figura chiave di questa querelle è Ba’al Zebub, noto anche come Belzebù. Nel Secondo libro dei Re si narra di come il re d’Israele Acazia invocò questa divinità per sapere se sarebbe guarito dalla sua malattia, suscitando l’ira del profeta Elia. Esistono due interpretazioni del carattere di Ba’al Zebub presenti nella letteratura biblica. Una suggerisce che sia un dio che controlla la Porta verso l’Oltretomba, con potere sulla vita e sulla morte, influenzando guarigione e malattia. Si pensa che possa essere simile al dio mesopotamico Nintu, il Signore delle mosche, associato alla salute e alle malattie. Il nome Ba’al Zebub ha assunto nella cultura occidentale e islamica il ruolo di entità diabolica suprema, conosciuto come Beelzebub, uno dei “sette prìncipi dell’Inferno” spesso identificato con Satana. Questo personaggio è visto come l’Avversario e è considerato una figura malvagia e demoniaca.
Asmodai è un’altro principio del male presente nell’antico testamento. Egli è un entità melliflua e tentatrice. Nella tradizione rabbinica ( Quindi estranea alla Bibbia ebraica), si accoppia con Lilith ( a sua volta un demone mesopotamico confluito nell’ebraismo) generando una stirpe di demoni, è il serpente tentatore che dona all’uomo la consapevolezza esiliandolo però dal paradiso terrestre, è il demone che ostacola Sarah, la moglie di Abramo. Nella tradizione Asmodai viene assoggettato da Salomone perchè costruisca il primo tempio.
Tutto questo però cambia nel cristianesimo, perchè nel nuovo testamento Satana ” l’avversario” è citato molto più spesso, come “nemico” dell’uomo. In Apocalisse 12:3-41. Nel Nuovo Testamento Lucifero viene identificato con Satana, come riportato in Luca 10:18 e II lettera ai Corinzi XI, 14.
I vangeli sembrano infatti suggerire un concetto di “spirito del male” che agisce per il male ed è nemico ed avversario dell’uomo. Questo concetto è estraneo all’ebraismo classico, dove non esiste un’entità che si contrappone a Dio. E’ invece un concetto di probabile derivazione zoroastraiana, l’antica religione persiana, dove lo spirito santo ” Ahura Maju” si contrappone al principio del male incarnato da Ahriman.
Prima del cristianesimo, il concetto di “demone malvagio” era presente, ma si trattava di figure isolate.
Nella tradizione assiro-babilonese, le figure demoniache non erano considerate necessariamente incarnazioni del male assoluto, ma piuttosto entità potenti con ruoli ambigui. Gli Assiri presero ad adorare un gran numero di queste figure, come Lilith, Pazuzu, Dagon, al punto che sia i Persiani che gli Ebrei li consideravano un popolo empio.
Con l’influenza della teologia cristiana, però, il concetto di demonio ha assunto una connotazione più globale, come avversario principale di Dio e simbolo del male.
Un concetto molto discusso nella teologia cristiana, perchè portatore di una serie di contraddizioni che sembrano mettere in dubbio l’onnipotenza divina. La stessa presenza di una figura “nemica” di Dio implica una “diminuito” dei suoi poteri, cosi come la presenza di angeli o creature ribelli: Perchè la ribellione non è stata prevista prima che avvenisse? La presenza di ” culti rivali” nell’antico testamento contro cui il popolo eletto deve combattere complica ulteriormente lo scenario.
La Chiesa cattolica ha affrontato l’evoluzione della figura del demonio nel contesto della dottrina sulla creazione e sul peccato originale. Dopo il Concilio Vaticano II, la teologia cattolica ha esplorato la relazione tra fede ed evoluzionismo, cercando di definire questioni fondamentali sulla creazione dell’uomo e sull’azione di Dio nel mondo.
Un’altro aspetto interessante è la credenza che Satanasia, in qualche modo, a capo dell’inferno, ossia del luogo dove sono perseguitati gli uomini malvagi per i loro peccati. Questo è un elemento estraneo sia al vecchio testamento che al nuovo, ma che si è stratificato nella credenza popolare associando il male “ebraico-cristiano- zoroastriano” alla figura del demone custode dell’oltretomba della mitologia Greco-romana e celtica.
Lucifero e Satana possono essere considerati aspetti diversi della stessa entità ribelle nei testi cristiani, ma la loro storia e le loro caratteristiche variano notevolmente se esaminate attraverso le diverse tradizioni religiose e culturali. La comprensione di queste figure è strettamente legata al contesto storico e teologico in cui sono state interpretate e rappresentate.
Quando si parla di piramidi egizie, tutti pensano immediatamente all’imponente Grande Piramide di Giza, ovvero quella di Cheope (Khufu), alta 140 metri e il perimetro della sua base è di quasi 1 chilometro. In realtà ce ne sono alcune che, seppur sconosciute, hanno alle spalle delle storie eccezionali!
Le piramidi di Snefru sono tra le più affascinanti e misteriose dell’antico Egitto.
Snefru fu il fondatore della IV dinastia e il padre di Cheope, il costruttore della grande piramide di Giza. Snefru è considerato uno dei più grandi faraoni della storia, sia per le sue imprese militari e commerciali, sia per le sue innovazioni architettoniche. Snefru fu infatti il primo a realizzare una piramide a facce lisce, dopo aver sperimentato diverse soluzioni per superare i problemi strutturali delle piramidi a gradoni.
Snefru è attribuito con la costruzione di almeno tre piramidi, tutte situate nella regione di Dahshur, a sud di Saqqara. La prima è la piramide di Meidum, che originariamente era una piramide a gradoni, ma che fu poi modificata da Snefru per renderla a facce lisce. Tuttavia, la trasformazione non fu riuscita e la piramide collassò in parte, lasciando solo il nucleo interno a gradoni. La seconda è la piramide romboidale, che deve il suo nome alla sua forma insolita, con due diverse inclinazioni delle facce. Si pensa che questa sia stata una soluzione di emergenza per evitare il crollo della piramide, che era stata inizialmente progettata con una pendenza troppo ripida. La terza è la piramide rossa, che è considerata la prima vera piramide a facce lisce dell’antico Egitto. Questa piramide ha una pendenza più moderata e una struttura più solida delle precedenti, ed è anche la più grande delle tre.
Il motivo per cui Snefru costruì tre piramidi diverse non è chiaro.
Forse era insoddisfatto delle sue opere precedenti e voleva raggiungere la perfezione architettonica. Forse voleva dimostrare il suo potere e la sua ricchezza con monumenti sempre più imponenti. Forse voleva assicurarsi una sepoltura adeguata per la sua vita ultraterrena. O forse voleva semplicemente sperimentare nuove tecniche e forme per le sue tombe reali.
Qualunque fosse la sua intenzione, Snefru lasciò un’eredità inestimabile per l’architettura egizia e per la storia dell’umanità. Le sue piramidi sono testimonianze della sua genialità e della sua ambizione, e sono ancora oggi fonte di ammirazione e di mistero per gli studiosi e i visitatori.
Meta sta lavorando a un nuovo strumento per identificare le immagini generate da intelligenza artificiale (IA) che vengono caricate sul social network.
Non c’è ancora un annuncio ufficiale, ma il ricercatore e sviluppatore italiano Alessandro Paluzzi, ha rivelato di aver trovato un nuovo menu nel codice dell’app che mostra un avviso quando viene visualizzato un post con contenuti generati da IA.
L’obiettivo è ridurre la diffusione del deep fake?
L’obiettivo di questa nuova funzionalità potrebbe essere quello di limitare la diffusione di fake news e deep fake, ovvero foto e video falsi che sembrano reali ma che vengono creati al computer, spesso utilizzando chatbot o altri programmi, o almeno avvisare gli utenti con un disclaimer.
Questo aiuterebbe a mitigare polemiche inutili riguardo a contenuti fake casualmente o volutamente diffusi in rete.
Secondo Paluzzi, Instagram potrebbe inviare un messaggio all’apertura di un post creato da IA, che avvisa l’utente della generazione artificiale del contenuto.
Meta, l’azienda madre di Instagram, non ha ancora specificato come riuscirà a individuare questi post, ma questa mossa segue gli impegni presi dalle grandi aziende tecnologiche nei confronti del governo americano nel documento “Ensuring Safe, Secure, and Trustworthy AI” (Garantire un’intelligenza artificiale sicura, protetta e affidabile). Il rapporto si focalizza principalmente sul miglioramento degli strumenti a disposizione dei consumatori per distinguere tra immagini e video reali e quelli creati digitalmente, al fine di evitare truffe e manipolazioni. Paluzzi ha anche scoperto segnali di altri strumenti generativi basati sull’IA su Instagram, come una funzione di riepilogo dei messaggi per creare sintesi delle conversazioni private sulla piattaforma e opzioni di editing per le storie.
Se stai cercando un po’ di brividi nella tua vita, ti consigliamo di visitare Vermicino, una piccola località tra Frascati e Roma, dove si trova una villa abbandonata che fa tramre persino i fantasmi. Conosciuta come Pericolo 81, questa vecchia dimora è infestata di presenze inquietanti e fenomeni paranormali a non finire.
Sei pronto a provare un’esperienza da brivido?
Basta cercare su Google la posizione esatta e lasciarti guidare dal navigatore GPS. Non è complicato, basta percorrere qualche chilometro tra campi e ruderi, parcheggiare la macchina a bordo strada e voilà, sei arrivato. L’ingresso è facilissimo, la rete di recinzione è piena di buchi come il Formaggio svizzero e la porta sembra un varco per l’inferno. Tutto sembra invitarti ad entrare… e noi, pazzi come siamo, entriamo.
Ma cosa c’è dietro la leggenda di Pericolo 81?
Le fonti sul web sostengono che il nome derivi dal numero civico dell’abitazione, ma in realtà siamo al numero 112 di Via Colle Pizzuto. La storia che circonda questa casa ha tutto il sapore del gotico più truculento. Negli anni ’80, un uomo, sua moglie e la loro bambina di 7 anni vivevano qui. Questo è l’unico punto su cui tutti concordano.
Ma ora arriviamo alla parte interessante. Cosa è successo successivamente?
Beh, ci sono diverse versioni, ma tutte concordano su un punto: il padre della bambina è scomparso nel nulla. Alcuni dicono che lui sia morto in guerra, altri sostengono che sia semplicemente scappato e non sia mai più tornato. Ma il bello viene dopo. La moglie, presa dalla disperazione più totale, ha perso la testa e ha commesso un gesto irreparabile. Mentre la figlia giocava beata sull’altalena in giardino, la madre si è avvicinata e l’ha uccisa. Non si sa bene se l’abbia strangolata o le abbia tagliato la testa (le due versioni sono altrettanto credibili, ovviamente). Dopo aver finito con la bambina, la madre ha tagliato il corpo a pezzi e ha seppellito i resti in angoli diversi del giardino. Ma le sorprese non sono finite qui. La donna, ossessionata dal rimorso, si è suicidata lanciandosi dalla finestra del secondo piano.
Da quel giorno, si dice che gli spiriti della madre e della figlia abbiano preso possesso di Pericolo 81, tormentando chiunque abbia il coraggio di avventurarsi all’interno. Grida, passi misteriosi, altalene che si muovono da sole, occhi rossi che brillano nel buio… le testimonianze sono numerose. Persone coraggiose (o folli) hanno riferito di aver avuto contatti con forze sovrannaturali maligne, camminando tra quei maledetti muri.
Ma non sono solo i fantasmi a essere attratti da questa casa.
Anche Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica, si è recato sul posto per investigare su questi avvenimenti paranormali. Con l’aiuto dei tecnici della RAI e di un’elettrosonda a filo, sono stati trasmessi in diretta televisiva 18 ore di “divertimento” supernatural. Sfortunatamente, non possiamo dirti il finale, perché si è perso il segnale. Ma non ti preoccupare, abbiamo il riassunto: tutto si è risolto con un finale molto… mortale.
Quindi, se sei in cerca di emozioni forti e non hai paura di incontrare fantasmi che ti straziano, vieni a visitare Pericolo 81 a Vermicino. Ma ricordati di portare una scorta extra di mutande perché potrebbe diventare una delle esperienze più spaventose della tua vita. E se non credi nella storia dei fantasmi, almeno avrai una bella scusa per andare a esplorare una vecchia villa abbandonata. Buona caccia alle ombre!
Il 20 luglio 1983 è una data che, per chi ama l’animazione giapponese e la cultura pop in generale, ha un posto speciale nel cuore: è il giorno in cui in Italia debuttava su Italia 1 la serie animata “I viaggi fantastici di Fiorellino”, accompagnata da quella meraviglia musicale che è la sigla de I Cavalieri del Re. Non si trattava solo di un nuovo cartone animato, ma di un vero evento per chi negli anni ’80 cresceva a pane e anime, in un’epoca in cui ogni nuova serie arrivata dal Giappone portava con sé un mondo di personaggi, storie, emozioni e, naturalmente, di sigle destinate a entrare nel mito.
Ma facciamo un salto indietro nel tempo. Prima ancora di diventare anime, “I fantastici viaggi di Fiorellino” nasce come manga shōjo, con il titolo originale ハニーハニーのすてきな冒険 (Hanī Hanī no suteki na bōken, traducibile come “Le meravigliose avventure di Honey Honey”), scritto e illustrato da Hideko Mizuno, autrice di culto nell’universo fumettistico giapponese. Il manga fu serializzato tra il 1966 e il 1967 sulla rivista Ribon, una delle bibbie per il pubblico femminile adolescente, e successivamente raccolto in due volumi da Kōdansha, casa editrice che nel mondo dell’editoria manga ha un peso paragonabile a quello della Marvel o della DC nei comics occidentali.
Il successo cartaceo portò, nel 1981, all’adattamento anime, prodotto dalla Kokusai Eigasha, in una serie di 29 episodi che arrivò due anni dopo sugli schermi italiani. E fu subito amore. La trama, semplice e al tempo stesso avventurosa, era quella perfetta per tenere incollati davanti alla TV bambini e adolescenti, ma anche per catturare l’attenzione di chi, già all’epoca, aveva un occhio attento per le narrazioni ben costruite.
La protagonista, Fiorellino (Honey Honey nel titolo originale e nel ridoppiaggio italiano), è una giovane cameriera che lavora a Vienna, nel cuore dell’Impero Asburgico. Vive una vita modesta, fatta di lavoro e piccole gioie quotidiane, finché il destino non bussa alla sua porta nella forma di un anello: il famigerato Sorriso dell’Amazzone (ribattezzato “Stella dell’Amazzonia” nel ridoppiaggio), che appartiene alla capricciosa e arrogante principessa Florence (Flora nel doppiaggio più recente). In un momento di infantile dispetto, la principessa infila l’anello in un pesce fritto e lo getta dalla finestra, promettendo la sua mano a chi riuscirà a recuperarlo. Ma ecco il colpo di scena: il prezioso gioiello viene inghiottito da Lili, la gattina bianca di Fiorellino. Da qui, ha inizio un inseguimento globale che trascina la protagonista e il suo micio in una serie di avventure rocambolesche per evitare i pretendenti e, nel frattempo, proteggere la vita della piccola Lili.
Tra gli inseguitori spicca Fenice, ladro gentiluomo alla Lupin, che pur sembrando interessato solo all’anello finirà per conquistare anche il cuore della giovane eroina. È proprio questa relazione, fatta di giochi di sguardi, tensioni romantiche e momenti di dolcezza ingenua, a dare un ulteriore strato di fascino alla storia. E come se non bastasse, l’avventura porterà Fiorellino e Fenice in un vero e proprio giro del mondo: Parigi, New York, Oslo, Londra, Monte Carlo, Tokyo, Gibilterra… uno spaccato romantico e avventuroso che incarna alla perfezione lo spirito del feuilleton, con atmosfere che oscillano tra il realistico e l’anacronistico, mischiate con quel tocco di magia e leggerezza che solo gli anime shōjo di quegli anni sapevano avere.
Ma “I viaggi fantastici di Fiorellino” non è solo trama. È anche, e soprattutto, atmosfera. Per chi l’ha visto da bambino, resta impressa l’idea di un mondo elegante, quasi d’altri tempi, fatto di balli nei saloni viennesi, fughe spericolate in mongolfiera, furti rocamboleschi, inseguimenti comici e duelli di intelligenza. Tutto questo incorniciato da una colonna sonora indimenticabile. La prima sigla italiana, “La ballata di Fiorellino” dei Cavalieri del Re, è un gioiello di nostalgia anni ’80, capace di evocare in poche note immagini di spensieratezza e sogni a occhi aperti. Negli anni ’90 arrivò la nuova sigla per le repliche Mediaset, cantata da Cristina D’Avena su musica di Enzo Draghi e testo di Alessandra Valeri Manera: altra pietra miliare della storia delle sigle TV italiane, amata da una nuova generazione di fan.
Il doppiaggio italiano merita un capitolo a parte. Nella versione originale degli anni ’80 sentivamo le voci di Liliana Sorrentino (Fiorellino), Carlo Cosolo (Fenice) e Anita Bartolucci (principessa Flora), mentre nel ridoppiaggio degli anni 2000, realizzato per le edizioni home video e le trasmissioni sui canali del gruppo Gold TV, le voci cambiarono, con Emilia Costa, Ivano Bini e Sara Onorato a dare nuova vita ai personaggi.
E poi c’è la distribuzione, che ha avuto una storia travagliata ma affascinante: dopo la messa in onda originale su Italia 1, la serie fu replicata più volte negli anni ’80 e ’90, e nel 2000 venne finalmente pubblicata in VHS dalla Avo Film, trovando nuova linfa vitale grazie alle trasmissioni su emittenti locali e nazionali. Negli anni successivi, con i titoli di “Honey Honey” o “Honey e il gatto birbone”, la serie è tornata a fare capolino nelle TV italiane, continuando ad appassionare spettatori vecchi e nuovi.
Ma perché, a distanza di quarant’anni, “I viaggi fantastici di Fiorellino” continua a occupare un posto così speciale nella memoria collettiva degli appassionati di anime e cultura pop? Forse perché rappresenta perfettamente quel mix unico di innocenza, avventura, romanticismo e comicità che ha segnato un’epoca. Forse perché il character design, lo stile grafico e le atmosfere musicali hanno saputo imprimersi a fuoco nell’immaginario di chi li ha vissuti in diretta. O forse perché, dietro la leggerezza della trama, ci parlava (e ci parla ancora) di temi universali: la fuga per proteggere ciò che amiamo, il desiderio di libertà, il coraggio di inseguire i propri sogni, anche quando tutto sembra perduto.
Per un appassionato nerd di cultura pop, “I viaggi fantastici di Fiorellino” non è soltanto un “cartone animato” trasmesso in TV: è un piccolo frammento di mitologia personale, un pezzo di quell’universo fatto di VHS consumate, pomeriggi d’estate davanti alla TV, sigle cantate a squarciagola, personaggi amati come vecchi amici. È, in poche parole, uno di quei rari racconti che, anche dopo decenni, continuano a brillare, come il Sorriso dell’Amazzone al dito di una principessa capricciosa, ma dal cuore fragile.
Avete mai sentito parlare degli antichi manufatti egiziani ritrovati in Arizona, nel Gran Canyon? Il 5 Aprile 1909 su un’articolo dell”Arizona Gazette il 5 aprile 1909, veniva riportata una scoperta eccezionale di una città sotterranea, abbastanza grande da ospitare circa 50.000 persone, fatta da un esploratore di nome GE Kinkaid, che l’ha trovata accidentalmente durante una discesa in rafting sul fiume Colorado.
L’ingresso ad cavità sotterranea che secondo gli appassionati di misteri americani porterebbe alla città sotterranea.
Durante un’esplorazione mineraria svolta assieme a dei ricercatori dello Smithsonian institute, Kincaid si accorse di alcune formazioni rocciose poste sulla parete del Gran Canyon che potevano nascondere vene minerarie.
Dopo aver cercato inutilmente un sentiero, decise di avvicinarsi alle formazioni risalendo i muraglioni.
Arrivato a destinazione scoprì la presenza di un terrazzamento artificiale che nascondeva l’ingresso ad un tunnel.
Era quasi inaccessibile, situato a circa 450 metri sotto la parete ripida del canyon e in una zona protetta dal governo.
Kinkaid scoprì un tunnel che si estendeva per più di 1600 metri sottoterra arrivando ad una città sotterranea. Assieme a lui c’era il professor S.A. Jordan dello Smithsonian.
Una scoperta eccezionale
L’architettura della città sotterranea suggeriva competenze ingegneristiche avanzate. L’asse centrale della città era una gigantesca camera da cui partivano passaggi simili ai raggi di una ruota.
Le pareti erano decorate con armi di rame e tavolette coperte di simboli e caratteri geroglifici simili a quelli egiziani.
Durante l’esplorazione sono stati trovati vari manufatti, inclusi attrezzi in rame così forti come l’acciaio e un metallo grigio simile al Platino.
In una delle grotte sono state trovate corpi mummificati, che hanno fatto subito pensare ad origine egiziana. Poi sono state ritrovate statue, monili ed artefatti.
Ulteriori esplorazioni hanno rivelato una stanza con una pianta a forma di croce, che conteneva un idolo simile a Buddha. Sono state anche scoperte ceramiche e altri manufatti con caratteristiche di fabbricazione provenienti da diverse parti del mondo.
Durante una delle esplorazioni sarebbe stato ritrovato un cunicolo profondo e senza prese d’aria che emanava il lezzo dei serpenti, forse un passaggio per una camera segreta protetta da un gas tossico di qualche tipo.
Questa scoperta sarebbe di importanza senza precedenti, in quanto potrebbe rappresentare una miscela di culture molto rare nei reperti archeologici.
Verità nascosta o Bufala?
Sarebbe davvero interessante poter esplorare la grotta, ma questa è inserita in un area militare protetta e difficilmente accessibile. Quindi questa strada non è percorribile.
Non ci sono riferimenti ufficiali o versioni ufficiali di questa scoperta. Lo Smithsonian Institute ha negato di averne mai sentito parlare. Molti ricercatori ritengono che questa sia la prova che la scoperta è stata occultata perché sconvolgerebbe la storia dell’umanità così come è stata scritta.
Le varie foto presenti nei siti di esperti di misteri americani sembrano non coincidere con la descrizione riportata da Kinkaid.
Alcuni sostenitori di questa teoria citano esempi di altri reperti e scoperte che sono stati occultati o distrutti dal governo o dallo Smithsonian Institute.
In rete si trovano foto come questa a fianco che testimonierebbero l’esistenza dei reperti egiziani scoperti ed in seguito nascosti dallo Smithsonian Museum.
Si tratterebbe di due busti in oro e pietre preziose rappresentati il faraone Akenathon e la regina Nefertiti risalenti al tempo di Ramsess II e alcune statuette di divinità egizie. Il che è di per sé abbastanza insensato.
Akenathon fu un faraone eretico che mosse guerra, assieme alla moglie Nefertiti che proveniva probabilmente dal Medio Oriente, ai culti delle divinità egizie promulgando per un breve tempo un monoteismo incentrato sul dio sole Athon.
Fece costruire una nuova capitale dell’Egitto, Amarna ed inaugurò un nuovo stile artistico in netto contrasto con le raffigurazioni tipiche egiziane del suo periodo.Alla morte del faraone i culti politeisti ripresero il potere, la memoria del faraone stesso fu cancellata, e Armana venne abbandonata.
In pratica il busto Akenathon è incompatibile con la presenza di statue di divinità. Inoltre si coglie immediatamente che i manufatti sembrano tutti troppo ben conservati per avere migliaia di anni: sembrano più souvenir per turisti.
Delle foto originali, le catalogazioni dei reperti e gli altri reperti tra cui alcune mummie, non si ha alcuna traccia nemmeno negli archivi.
Nessuno è finora riuscito a trovare delle informazioni su questo Kinkaid che sembra essere stato un avventuriero, nè del professore SA Jordan con cui l’esploratore avrebbe collaborato.
L’articolo dell’Arizona Gazette è l’unica prova documentata di questa scoperta, ma molti sono convinti che il governo americano stia nascondendo la verità sulle antiche civiltà e sulle scoperte archeologiche.
Cosa c’è di vero?
Sono state effettivamente trovate delle mummie umane nel Gran Canyon, ma in una località differente rispetto a quella identificata da Kinkaid. Erano cadaveri mummificati di uomini appartenenti a popolazioni indigene sepolti secondo usanze riferibili agli Anasazi, antico popolo americano che ebbe il suo maggior sviluppo attorno al X secolo.
Le avventure della giovane Jedi Savina Malagan, protagonista del fumetto di Dark Horse, Star Wars: The High Repubblic Adventures si sono concluse la settimana scorsa negli States. In queste ultime puntate, Savina Besatrix “Sav” Malagán ha vissuto un’avventura da ricordare a un equipaggio eterogeneo di pirati (compresa Maz Kanata) per vivere avventure attraverso i pianeti. Di conseguenza, ha lottato con bande di pirati, viaggiato tra le stelle e dovuto spiegare tutto al suo maestro.
Vi riportiamo l’intervista su StarWars.com con lo scrittore della serie Daniel J. Older che racconta la genesi e la conclusione dell’opera.
The High Republic Adventures è stato molto divertente, con un’atmosfera molto anni ’80 alla Amblin, dove Sav intraprende una grande avventura emozionante ma pericolosa. Quali sono Quali sono state le tue influenze e ispirazioni per la storia?
Grazie! Adoro I Goonies e l’avventura pirata divertente di quel film era sicuramente nella mia mente, ma ero anche molto consapevole che si trattava di una storia dal punto di vista dei pirati, e a tal proposito, Peaky Blinders è stata una grande ispirazione. Amo il senso di comunità e famiglia di quella serie e il modo in cui i personaggi fuori legge lottano con tutte le sfumature impossibili di grigio che la loro esistenza richiede. È l’idea che, per quanto disordinati siano, c’è ancora un codice in gioco e ci sono persone molto peggiori con cui confrontarsi.
Sav è stata un ottimo sostituto per i giovani lettori, è una Padawan ma sta davvero vedendo per la prima volta la galassia. Era questa la tua intenzione?
: Oh, sicuramente! È allo stesso tempo piena di meraviglia e molto scaltra (senza giochi di parole), e questo particolare crocevia della crescita può essere molto divertente e molto pericoloso allo stesso tempo. Trova un gruppo di persone fuori dalle righe, fuorilegge dal cuore buono, che sanno come lasciarla essere esattamente ciò che è, ed è questa la grazia salvifica di tutta l’avventura. Ma ovviamente ciò comporta cento altri problemi.
Come hai scelto chi sarebbe stato nel suo equipaggio assortito? Vedere insieme Therm Scissorpunch e Dexter Jettster non era qualcosa che si poteva prevedere.
Quella parte era già pianificata per questo ciclo, almeno nella mia testa. Ho sempre amato Therm e, ovviamente, Dex è Dex, cosa c’è da aggiungere? Sembrava una combinazione naturale avere entrambi nello stesso equipaggio. La parte complicata è arrivata quando mi sono reso conto di aver inserito così tanti personaggi divertenti e caotici in questa storia, sia ereditati che nuovi, e volevo assicurarmi di dare a ognuno di loro almeno un momento per brillare. Fortunatamente, è andata ancora meglio di quanto mi aspettassi!
Con la conclusione della serie, cosa speri che i fan giovani e adulti abbiano tratto da essa?
La cosa che mi ha sorpreso di più nel viaggio di Sav durante questa serie è stata quanto sia emotiva e personale. Ho iniziato a scrivere una storia avventurosa di pirati e caos, e sicuramente l’ho fatto. Ma ho scoperto che stavo anche scrivendo la storia di una giovane persona che lotta contro la corrente per essere esattamente ciò che è e scopre alleati e cattivi nei luoghi più inaspettati lungo il cammino. Sav sa di non essere in grado di spiegare le ali completamente all’inizio di questa storia, ed è quello che la spinge ad unirsi all’equipaggio di Maz e infine a tornare alla fonte dei suoi problemi. In definitiva, questa è una storia sulla ricerca della propria famiglia e, nel farlo, della scoperta di sé stessi.
Pensate ad una supercar, una macchina esagerata con cui battere Dominic Toretto per le strade di Los Angels o con cui girare per le strade di Sant’ Andreas.
Scommetto che avete pensato ad una Lamborghini.
Avete mai notato che in ogni video sui social in cui qualcuno voglia darsi le arie da “super ricco” prima o poi spunta fuori una Lamborghini? Per esempio, raramente vedrete i vari “guru” che offrono corsi per rendere chiunque un miliardario in meno di 24 ore, alla guida di una Ferrari, di una Bentley o di una Rolls. Però è probabile che vi mostrino la “loro” Lambo dai colori sgargianti, circondata da donne ammiccanti. il termine “Loro” è volutamente messo tra parentesi, perchè il dubbio che la macchina sia stata noleggiata ad hoc per l’occasione è assolutamente lecito.
Però vi siete mai chiesti perchè?
Come è nata la casa automobilistica
La casa automobilistica Lamborghini è nata come una sfida. La storia della sua fondazione ha una componente quasi leggendaria. Il suo fondatore, Ferruccio Lamborghini, aveva imparato l’arte della meccanica durante la guerra, smontando e rimontando mezzi militari nel Dodecaneso. Nel dopoguerra, mise a frutto le sue competenze modificando mezzi militari per trasformarli in macchine agricole. Il paese era infatti in piena ricostruzione, servivano macchinari, ma la produzione nazionale non era in grado di soddisfare la domanda. C’erano però in giro numerose eccedenze belliche che con le giuste modifiche potevano essere riconvertite adeguatamente. Nacque così la Lamborghini Trattori, che fece suo lo stemma del Toro, ossia il segno zodiacale di Ferruccio.
Nel 1958 la fabbrica di trattori Lamborghini era ormai bene lanciata, e Ferruccio potè investire i suoi soldi in una delle sue passioni: le macchine sportive. Tra tutte le sue preferite erano le Ferrari. Tuttavia, forse per lo stile di guida molto aggressivo di Ferruccio, le sue Ferrari tendevano sempre a rompere la frizione. Stanco di mandarle continuamente in riparazione a Maranello, decise di cercare di risolvere il problema da solo, montando un modello di frizione per trattori modificato. Soddisfatto della sua “invenzione” si recò dall’Ingegner Enzo Ferrari.
Da una parte il “Drake”, “L’ingegnere”, il mago di Maranello, dall’altra il meccanico bolognese arrivato dal nulla: Non poteva andare bene. Enzo Ferrari disse che le sue auto erano perfette, e che se Lamborghini non era capace di guidarle poteva farsi una macchina sportiva lui stesso. Nacque così la Lamborghini Automobili.
Per quanto oggi Lamborghini sia considerata un brand di Lusso, al tempo era tutta una scommessa. Ma la prima Lamborghini era davvero potente e performante.
Un simbolo di eccesso
Ma le Lamborghini non riuscirono davvero a rivaleggiare le Ferrari: mentre quest’ultime sfornavano continuamente nuovi modelli, Lamborghini poteva solo costruire un modello alla volta. Anche la produzione era davvero insignificante paragonata alla rivale, anche in un settore nel quale, per forza di cose, i numeri si assestano verso il basso.
Eppure, grazie a modelli davvero estremi come la Countach degli anni ’80 o la mitica Diablo degli anni ’90 la Lamborghini non è mai stata del tutto offuscata come era successo per altre case come la “De Tomaso”. Anzi, negli anni erano riuscite a conquistarsi una nicchia di mercato tra quei ricchi che amavano le super car potenti e meno “borghesi”.
Perchè mentre il marketing di Ferrari, Porsche, Aston Martin puntava ad una borghesia raffinata ed elegante, già dagli anni ’90 Lamborghini era diventato un simbolo di “eccesso”, stravaganza e “lusso fuori dal comune”.
Fu proprio grazie a questo “anticonformismo” che le Lamborghini ebbero un discreto successo negli USA, che era il principale mercato per la casa. Il nome Lamborghini era così conosciuto negli USA, da essere considerata da molti americani una casa automobilistica nazionale.
Tuttavia la vera “esplosione” del marchio sarebbe arrivata con l’acquisizione da parte di Audi – WW. E se all’inizio l’idea era di usare la tecnologia Lamborghini per rilanciare verso l’alto il marchio Audi, ben presto i vertici di Ingolstad si resero conto delle potenzialità del marchio
Il posizionamento
Il mercato statunitense delle supercar è storicamente molto differente rispetto a quello Europeo. Mentre gli europei apprezzano aspetti come l’eleganza nelle forme, i dettagli costruttivi, il pubblico americano è piu interessato alle performance “pure”. Questa differenza è evidente nelle “sportive” di fascia bassa, come le Mustang, le Firebird o le Camaro, radicalmente diverse come concezione rispetto a Porsche, ad Alfa Romeo o Audi.
Allo stesso modo anche le supercar di fascia alta devono essere “esagerate” per il mercato americano. Così mentre Ferrari, Aston Martin, Maserati puntavano ad un pubblico europeo legandosi a concetti di stile, eleganza e pulizia nelle linee, Lamborghini ha seguito il pubblico americano imponendosi come potenza, aggressività, eccesso.
Il mostrarsi anticonformista rispetto ad altri Brand blasonati ha spinto molte personalità dello spettacolo, della musica e dello sport che volevano imporre una visione di ricchezza più “sfrontata” a mostrarsi al volante di Lamborghini.
Da qui le Lamborghini sono diventate macchine perfette per gli arricchiti, che si sono sentiti “cullati” dal Brand. Da qui a diventare l’emblema della cosiddetta ” Riccanza” il passo era breve, ma non scontato.
Lamborghini ed i suoi clienti.
Un’altro aspetto importante è la differenza con cui Lamborghini tratta i propri clienti rispetto alla concorrenza. A questo si sono aggiunti altri due elementi importanti sulla concorrenza.
Prendiamo la concorrente per antonomasia, la fabbrica di Maranello. Ferrari inserisce i suoi clienti in un club molto esclusivo, da cui è piuttosto facile essere ” cacciati”. Far parte di questo Club è un blasone speciale per i ferraristi e gli appassionati, perchè alcuni modelli della casa non possono essere semplicemente “comprati”.
Quelli più esclusivi vengono venduti ancor prima di essere realizzati ai membri del club Ferrari, clienti selezionati e “speciali”.
Per entrarvi bisogna aver già posseduto e/o possedere una Ferrari e aver fatto ” i bravi”, ossia aver seguito le regole del club. Tra le attività che possono portare ad un esclusione c’è l’ aver modificato la propria auto, aver denigrato o criticato la marca, aver usato la propria auto per creare contenuti non autorizzati. Ma sopratutto bisogna astenersi da avere comportamenti nella vita privata giudicati non consoni per lo stile “Ferrari”.
La pena è finire in una Black list che impedisce di poter comprare un’altra auto della marca attraverso i canali ufficiali. E se pensate che se si è famosi o ricchi si possa godere di un’eccezione vi sbagliate: personaggi come Nicholas Cage, 50 cent, il pugile Mayweather, Kim Kardashian e Justin Bieber sono entrati nella black list e non ne usciranno probabilmente più.
Una politica simile è perseguita dal marchio Rolls Royce e consociate. Questo concetto nasce per rafforzare l’idea di far parte di una comunità esclusiva.
E Lamborghini?
Lamborghini invece ha sempre promosso la possibilità di “esprimersi liberamente” con la propria supercar.
“Per tutti gli spiriti coraggiosi, ecco alcune opzioni per personalizzare la tua livrea. Vogliamo che tu esprima il tuo vero io senza limiti”
Una mossa che ha spinto i vari appassionati di tuning “estremo” a considerare le Lamborghini il non plus ultra dello “sborone”.
La concorrenza di Lamborghini
In pratica Lamborghini è riuscita a crearsi un propri bacino d’utenza in costante crescita. Oggi è la marca di auto di fascia alta con una crescita maggiore assieme a Bentley grazie al suo posizionamento.
Infatti, come abbiamo visto il brand ha acquisito la fama di marchio “anticonformista” di fascia molto alta. Ed in questa “fascia” di pubblico non ha concorrenti: altri marchi blasonati, come Aston Martin, Ferrari, Maserati o la stessa Porsche,( che tuttavia rientra in una fascia di prezzo molto più “accessibile”) hanno un posizionamento ” diverso”, più elegante o sportivo. Ma d’altra parte è lo stesso posizionamento che WW cerca di presidiare (malamente) con Porsche ed Audi.
Altri marchi “inseguitori” che puntano allo stesso targhet di Lamborghini, si pongono su una fascia molto più cheap: pensiamo alle Muscle Car, la Ford Mustang Shelby, la Dodge Viper, ecc ecc. Oppure sono supercar-prototipi inarrivabili dal mercato limitato come le Pagani, le Mc Laren, o la Konisseg. Tutti modelli con una produzione talmente limitata da non aver nemmeno una vera e propria posizione di mercato: Aston Martin è l’Auto di James Bond, Ferrari l’auto sportiva per eccellenza, Lamborghini è il non plus ultra del mondo di “Fast N’ Furius”.
Una scelta di Marketing
Viene quindi spontaneo pensare che dietro l’utilizzo delle Lambo come simbolo dell’eccesso del “cafone arricchito” ci sia una precisa mentalità. Basta vedere i colori proposti per il lancio dei nuovi modelli: Se fino a pochi anni fa le Lambo sfoggiavano colori “accesi” ma tutto sommato accettabili, oggi hanno livree Quasi ” eccessive” : verde elettrico, viola opalescente, bianco con riflessi madreperla. Pensateci bene, quand’è l’ultima volta che avete visto una lamborghini “sfoggiare” un colore sobrio in un film?
Probabilmente vi verrà in mente il Cavaliere Oscuro di Nolan, quando Bruce Wayne, per non dare nell’occhio, utilizza la sua Lamborghini nera al posto della Batmobile, e provoca lo sprezzante commento di Alfred “La Lamborghini? Molto più discreta”.
Ma poi? Altre volte in cui avete visto una lambo sullo schermo di che colore era? Stroboscopico, pieno di led, cangiante? Un simbolo, un simbolo per dire “Guardami”, guarda come sono ricco, ossia proprio quel concetto di “riccanza coatta”, che piace a chi i soldi “veri” non li ha.
Guardami. Ed ecco allora che i social che vivono di visibilità hanno subito preso la palla al balzo. Ed è infatti su internet che le Lamborghini sono diffusissime, piu delle utilitarie.
E non è un caso se proprio una Lamborghini, precisamente una Ursus, sia stata scelta dal gruppo di youtuber ” The Borderline” per la loro challenge finita nel peggiore dei modi.
Un concetto di Sfrontatezza, Eccesso, sentirsi Iperpotenti che ora come non mai viene incarnato da molti ( ma non tutti) guidatori ( molto spesso non proprietari) del marchio di Sant’Agata.
Oggi parliamo di Samaritan, il film diretto da Julius Avery uscito nel 2022 e disponibile in streaming che vede Stlylvester Stallone vestire i panni di un super-eroe ritiratosi a vita privata.Un film cupo, dalla fotografia molto bella, ma che alla fine davvero non mi ha convinto, e, stando ai dati, non ha convinto anche altri spettatori.
Samaritan combattimento
Prima di continuare questo articolo, vi avverto che troverete numerosi spoiler del film. In altri casi, vi direi che se non volete rovinarvi la visione, vi direi di fermarvi qui. Ma in questo caso, potete anche proseguire al lettura perché le “rivelazioni” che vi farò sono più che altro dei “salvagenti” che vi aiuteranno a ricostruire la pellicola. Non certo perchè lo schema della trama sia “complesso”, anzi è molto, troppo, lineare, ma perchè il senso di quello che succede è talmente scollegato internamente da lasciarci da subito la sensazione che “qualcosa” non funzioni. Anche io per capire cosa non funzioni ci ho messo davvero molto, e vorrei condividere le mie idee con voi.
L’incipit
La storia iniziale è questa: ci troviamo a Granite City, vent’anni dopo lo scontro finale tra il super-eroe Samaritan ed il suo arcinemico Nemesis. Il primo era un ex-poliziotto tutore della legge e dell’ordine, l’altro un anarchico contro il sistema. Sin dall’inizio però si hanno degli indizi che portano a pensare che forse la chiave di lettura sia un’altra: da una parte un reazionario paladino dello status quo e dall’altra un rivoluzionario, paladino delle masse e del proletariato.
In questa ultima grande battaglia i due contendenti si sono “distrutti” a vicenda. Tuttavia, senza il suo “primo nemico” la società non appare affatto migliorata. Granite City è una città sporca, dove poveri e disperati lottano disperatamente per sopravvivere. Le strade sono invase da carcasse di auto, spazzatura e gente disperata, e la criminalità è l’unica strada attraverso cui i suoi abitanti riescono a mettere insieme un pezzo di pane.
Facciamo quindi la conoscenza del nostro co-protagonista, il piccolo Sam, interpretato da Javon Walton. E’ il figlio di questa società confusa ed in bilico: E’ un idealista, è molto sicuro di se, crede in un futuro migliore. E’ sicuro che il supereroe Samaritan, suo mentore morale, sia ancora vivo, si nasconda da qualche parte per tornare. Ha una morale apparentemente molto forte, ma, al contempo, non esista a collaborare con un gruppo di criminali di strada per guadagnare qualche dollaro.
Sua madre, che sembra essere un infermiera ( ma non sembra ricordarsene mai), condivide questo dualismo. Da una parte sembra aver un senso manicheo della giustizia, ma poi accetta senza molti problemi dei ” soldi sporchi” dal figlio.
Le premesse
Insomma si capisce che questa è una società di confine, dove non esiste il bene o il male incarnato dal binomio Samaritan/Nemesis. Anzi, molto spesso ci si rende conto che per molti Nemesis è l’eroe, mentre Samaritan è solo uno strumento di oppressione.
Presto Sam incontra Cyrus, il cattivo della storia, che sin da subito ci viene presentato come un criminale idealista, capace di capire le persone. Ovviamente Cyrus ha il suo eroe in Nemesis, che, nella sua convinzione, è stato fermato proprio prima di rovesciare l’ingiusto sistema.
Infine in questo triangolo si inserisce anche il vero protagonista, ossia Joe Smith, nome più falso del falso, sotto cui si nasconde un super-eroe invecchiato e stanco, senza fiducia in se stesso che non si ritrova nella società che ha attorno.
Vive ai bordi della società, in un quartiere molto degradato, occupandosi dello smaltimento dei rifiuti. Arrotonda ogni tanto lo stipendio riparando oggetti rotti e rivendendoli. In realtà quest’attività gli serve per ricordare “quanto sia facile distruggere il mondo, e quanto sia difficile rimetterne su i pezzi. “
Insomma un eroe tornato “umano”, o addirittura “Sub-umano”, dopo aver rinunciato al suo status. E’ in continuo turbamento, ripensa continuamente al passato, come se una volta sconfitto e distrutto la sua vera ed unica nemesi, che scopriremo essere suo fratello, non avesse più alcuno scopo.
In effetti è così: i suoi superpoteri non possono migliorare la società che ha difeso, possono solo servire ad abbatterla, come (forse) sognava di fare il villain Nemesis.
Ora, le premesse sono tutte giuste, i protagonisti perfetti:
C’è un bambino, Sam, inserito in una società dove, nel bene o nel male, è a suo agio, che però cerca scampo in un futuro utopico, grazie al ritorno di un “Deus Ex-machina”, ossia Samaritan. Nella sua ingenuità non si chiede come questo possa avvenire, e probabilmente dovrà imparare a sue spese, che la vita vera è molto diversa dai fumetti che lui stesso disegna.
C’è un cattivo, Cyrus, anche lui in bilico tra bene o male che sembra voler cambiare il mondo. E’ esattamente come Sam, ma cresciuto. Ha capito che solo uno sconvolgimento può migliorare la situazione. Per questo crede che solo il ritorno di “Nemesis” possa portare giustizia sociale.
C’è un eroe vecchio stampo, Joe: viene da un punto di vista manicheo dove la differenza tra bene e male sembra essere molto netta. Confrontandosi ogni giorno con una società che di manicheo non ha nulla, ha messo in dubbio il suo ruolo, la sua capacità di intervento, la propria morale, e forse lo scopo stesso della sua esistenza. Per questo si è auto-isolato.
Tutti e tre sembrano vere uno sfumato concetto di giusto e sbagliato, e sono in cerca di una redenzione che non può che venire dall’alto.
Tutto questo in un ambientazione dark e oscura, che mescola elementi di Gotham City, di Cyberpunk, e Mad Max.
Insomma una serie di elementi di grandissimo interesse. Le premesse sono buone, le aspettative a questo punto sono molto alte.
La produzione di Stallone, la Balboa, sembra aver fatto centro, riportando un film oscuro e complesso, che potrebbe essere un nuovo ” Rambo”.
Risultato: un film senza un senso
Peccato però che poi queste premesse vadano tutte a farsi benedire. Man mano che la storia si dipana, i protagonisti invece di subire un’evoluzione involvono diventando sempre più piatti e patetici.
Sam non ha alcuna evoluzione. Si dimentica di essere in qualche modo un complice di Cyrus, e si autoassolve di avere, in qualche modo, fatto parte di quell’organizzazione. Cyrus diventa sempre più pazzo e meno profondo incarnando alla fine il ruolo del villain da film anni 80. Joe invece si riscopre un eroe senza macchia e paura, bruciando ogni possibile spunto narrativo non completamente telefonato.
La trama: per farsi due risate.
Infatti la trama tradisce tutte le premesse. Cyrus riesce grazie ad un Mcguffin che non viene spiegato a mettere le mani su delle granate a grafite. Queste bombe sono in grado di mandare in cortocircuito gli impianti elettrici e quindi i dispositivi elettronici. Grazie a queste armi riesce ad entrare in uno sperduto magazzino delle prove della polizia, da cui recupera i costumi di Nemesis ed il suo “martello”. Questo è un’oggetto molto potente, creato dal cattivo vent’anni prima per uccidere suo fratello Samaritan. Non è chiaro perchè sia custodito all’interno di un archivio prove invece che in un bunker sotterraneo controllato dai militari. Il piano è semplice: togliere l’energia alla città e creare una rivoluzione. Forse troppo semplice: quale rivoluzione? Che idea c’è dietro a questo concetto? In che modo saccheggiare la città migliorerà il mondo futuro?
Nel frattempo Sam si è fatto notare da Cyrus che lo elogia dopo un colpo “finito” male per il suo coraggio. Quest’azione però accende una forte rivalità con altri membri giovani della gang che presto sfocia in odio. Quando questi soggetti si decidono fargli pagare questo “sgarro” interviene Joe a salvarlo. Sam allora si convince che Joe deve avere dei superpoteri: e forse Samaritan?
Presto la convinzione si fa certezza quando la gang, per vendicarsi, decide di uccidere Joe investendolo. Joe è a terra, Sam si dispera mentre sta apparentemente morendo. Non chiama aiuto, o un ambulanza, ma presto Joe si riprende.
Si scopre così che il protagonista, oltre ad avere forza e resistenza eccezionali, è in grado di rigenerarsi generando però calore. Siccome questo estremo calore, almeno in teoria, potrebbe ucciderlo, tiene in frigo numerosi chili di gelato per raffreddare il suo corpo velocemente cosi da evitare un surriscaldamento fatale.
Subito ci si chiede se gli capiti così di frequente di essere investito da giustificare tutto quel gelato, ma è una domanda che non avrà mai risposta.
In ogni caso, Sam insiste perchè Joe lo alleni per diventare un eroe. La cosa lascia un pò sorpresi. Sam non ha i suoi poteri, in che modo può ” essere addestrato”? Sarebbe come chiedere a Peter Parker di insegnarci a scalare i grattacieli.
Ma Joe finge di non sapere che i suoi pugni siano efficaci perchè è dotato di superforza e insegna a Sam a boxare. Come ci si aspetterebbe gli insegna anche che il modo migliore per affrontare uno scontro è scappare.
Siamo a metà film e da questo momento in poi tutti i personaggi subiscono un ulteriore appiattimento.
Cyrus prende il costume di Nemesis e diventa un completo Villain iniziando a gestire un’esercito di “rivoltosi” che lo seguono senza fiatare. Per convincergli è bastato presentarsi in strada vestito da Nemesis e dire due parole due.
C’è in questo un pò del Joker con Joaquin Phoenix, ma senza alcuna reale motivazione o vero obbiettivo, nè un’idea chiara. Come un cattivo da operetta, vuole solo creare scompiglio per “prendersi la città” o “fare una montagna di soldi”. Non è chiaro quali delle due.
Nel frattempo scopre l’identità segreta di Joe. I suoi scagnozzi gli riportano la notizia di averlo rivisto in piedi dopo l’investimento e Cyrus fa due piu due. Si dimentica però che Joe ha dei superpoteri e manda un gruppo di scagnozzi a prelevarlo. Non si capisce bene come questi dovrebbero poterlo “rapire” senza Kriptonite o cose simili.
A questo punto Joe/Samaritan potrebbe mettere fine a tutta la situazione. Potrebbe seguire di buon grado gli scagnozzi al loro covo, incontrare il finto Nemesis, convincerlo a desistere, arrestarlo o neutralizzarlo. Semplice.
Nessuno avrebbe saputo mai cosa sarebbe successo, Joe avrebbe mantenuto l’anonimato e salvato la città.
Invece sceglie di liberarsi degli inseguitori in modo plateale, schiantandoli contro automobili ed edifici, massacrandoli in modo fin troppo brutale.
La morale dello “scappare ed evitare di fare un casino” sembra proprio essere sfuggita di mano. Il capo del gruppetto riesce però a fuggire usando una delle granate alla grafite, creando ancora più scompiglio. Ovviamente lo show non è sfuggito ai vari astanti pronti a filmare tutto con i propri cellulari e a condividere i contenuti al mondo.
A quanto pare la bomba alla grafite non funziona sui cellulari e sulle telecamere ed il risultato è che adesso tutti sanno che Samaritan è tornato.
Nel frattempo anche Sam fa tesoro della morale del “fuggi” e affronta i soliti scagnozzi di bassa tacca intenti a bullizzare un suo amico. Non è chiaro quale sia il suo piano, visto che si trova ad affrontare cinque ragazzi armati fino ai denti, ma va malissimo: gli spezzano un braccio.
Sam torna a casa e la madre nemmeno si chiede chi lo abbia medicato e perchè, dimostrando di avere l’istinto materno di un blocco di marmo.
Contemporaneamente Cyrus si è presentato a casa di Joe, che vive di fronte al palazzo di Sam, per ucciderlo. Non trovandolo a casa, la devasta e poi decide di andare a rapire Sam.
Così senza alcun senso. Cyrus non sa nulla del rapporto tra Sam e Joe, ma lui decide comunque di rapirlo. Perchè abita di fronte a lui. Senza alcun senso se non quella di creare il motivo per far tornare in azione il super-eroe.
Quest’azione costringe ovviamente Joe ad intervenire. E come interviene il super eroe invisibile? Si reca dal cattivo per farlo ragionare? Decide di infiltrarsi di nascosto nel covo e salvare il bambino? Lo intercetta per gonfiarlo di botte?
Niente di tutto questo: sale su un camion della nettezza urbana e si apre la strada verso il suo covo, mettendo tutti in allarme. Se il nostro protagonista fosse stato Robocop avrebbe avuto anche senso. Ma Joe è un uomo come tanti altri, potrebbe facilmente intrufolarsi e non temere nulla grazie ai suoi super poteri.
Ma non basta: il camion è carico di esplosivo e viene fatto esplodere all’interno del covo, mettendo in gravissimo pericolo Sam stesso. Infatti i suoi carcerieri muoiono entrambi nell’esplosione, mentre lui, solo grazie alla plot armour, ne esce illeso e libero.
L’inutile colpo di scena
Ma ecco che a questo punto c’è il vero ed unico colpo di scena geniale del film: Joe non è Samaritan, Joe è il cattivo, è Nemesis.
Il protagonista è il cattivo, l’anti-eroe, l’anarchico. E’ un’inversione totale della trama.
Finalmente le carte si scoprono. Sam, il co-protagonista si trova davanti al suo incubo peggiore, Cyrus il cattivo scopre di stare affrontando il suo “eroe”. Tutti i rivoltosi adunatisi a centinaia per far scoppiare la rivoluzione scoprono che il vero Nemesis è li davanti a loro: il loro leader, la loro guida, il loro grande capo.
E’ come se, alle pendici del monte Fato, Sauron, Aragorn e Gandalf scoprissero che Frodo è in realtà Morgoth, l’antico signore oscuro di cui Sauron era un servitore.
E cosa succede direte voi a questo punto?
Joe prende il controllo dell’insurrezione? Parla ai rivoltosi per convincerli a cambiare la società in modo non violento? Cyrus si arrende e chiede scusa? Sam scappa in lacrime?
No. Non succede NULLA. Non cambia nulla. Cyrus continua nel suo plot, diventato ormai uccidere Sam e Joe, i rivoltosi continuano a lanciarsi contro Joe/nemesis per farsi massacrare “male”, Sam continua a credere che Joe sia Samaritan. Lo scontro finale dura anche troppo, al punto che, alla fine, si inizia a parteggiare con il cattivo che da umano cerca di sconfiggere un superuomo.
Certo Joe rischia di morire per via dell’alta temperatura, ma solo a causa dell’0incendio da lui stesso provocato. Sam tenta inutilmente di salvarlo: non c’è acqua e la temperatura sta salendo. I mille colpi presi da Joe dovrebbero aver portato il suo corpo alla temperatura di fusione… Ma.. Non c’è alcun ma. Non succede nulla, ma Joe si salva da solo. Poi porta Sam fuori e si dilegua.
Sam dichiara che Samaritan è tornato, e questo basta a fermare l’insurrezione. Il mondo non cambia signori, abbiamo scherzato. Viviamo nel migliore dei mondi possibili dopotutto. I cattivi sono stati massacrati, sono morti tutti, i buoni sono buoni e non importa il resto.
Sam, che rappresenta il punto di vista dello spettatore, incarna l’idea di social warrior moderno. E’ stupido, incapace di risolvere le situazioni, di capire il mondo attorno a se, ma è sempre pronto ad auto-assolversi. E’ incapace di vedere le contraddizioni implicite nel suo agire. Non mostra alcun cambiamento, alcuna nuova consapevolezza, nessun dubbio, nessun cedimento nemmeno davanti al crollo evidente di tutto quello in cui lui ha sempre creduto.
Insomma questa pellicola è un’occasione mancata di fare qualcosa di interessante, di creare un minimo dubbio nello spettatore, di lasciarci qualcosa. Una storia trita e ritrita, come una cena ad un sushi all you can eat con le solite quattro portate insipide.
Cosa succede quando dei giovani supereroi si scontrano tra di loro per conquistarsi la popolarità del pubblico?
Questo è il fulcro di Bastion, una serie animata curata dai BTS, il più famoso gruppo K-POP, che nel 2020, con il disco Map of the soul:7 è diventata la band più venduta nella storia della musica coreana.
Bastions è una miniserie anime della durata di 5 puntate, ma è anche un grande esperimento che vuole unire la musica K-POP alla fertile produzione animata del paese. Da qualche anno a questa parte abbiamo visto come l’animazione ed il cinema coreano sono stati in grado di regalarci dei prodotti di alto livello e certamente Bastion è uno di questi.
La storia è molto semplice: un gruppo di giovani supereroi salvano la terra dal “solito” nemico che la vuole distruggere. Ma poi scoprono di essere diventati, di fatto degli ” idols”: il pubblico li adora. Iniziano quindi a scontrarsi tra di loro pur di ottenere la massima popolarità possibile.Cosa succederà?
Dove vederlo?
Bastions è importato in Italia da Crunchyroll ed è disponibile in Stream sulla piattaforma a partire dal 13 Marzo 2023. Per chi non conoscesse la piattaforma, vi invitiamo a provarla. Crunchyroll offre infatti una delle più grandi collezioni di anime in licenza. Inoltre ma soprattutto è possibile avere accesso alle serie Giapponesi e Coreane in contemporanea alla loro uscita nei paesi d’origine.
La sfida di creare un personaggio memorabile richiede non solo abilità di scrittura, ma anche una buona dose di inventiva. In questo senso, i Sith del mondo di Star Wars sono stati senza dubbio una straordinaria creazione. Tra i tratti caratteristici che distinguono questi personaggi dell’universo di George Lucas spicca senza dubbio il colore degli occhi, giallo intenso e penetrante. Ma perché, esattamente, i Sith hanno gli occhi gialli?
Prima di tutto, va sottolineato che la storia dei Sith è molto articolata, e che ci sono diversi elementi che possono contribuire a spiegare la scelta del colore degli occhi di questi personaggi. Si tratta, quindi, di una questione che richiede una certa attenzione, e che non può essere risolta con una risposta semplice.
In primo luogo, gli occhi gialli possono rappresentare una sorta di simbolo esteriore del potere dei Sith. Questi personaggi sono noti per essere dotati di un grande fascino ipnotico, e il colore intenso degli occhi potrebbe essere utilizzato per ribadire questa caratteristica. Il giallo, infatti, è un colore che evoca energia, vitalità e intensità, e che può suggerire una personalità aggressiva e potente.
Inoltre, il giallo può essere associato all’oscurità e alla malvagità. Lo stesso George Lucas ha affermato di aver scelto il colore degli occhi dei Sith per sottolinearne la natura sinistra e corrotta. In tal senso, gli occhi gialli possono essere letti come una sorta di segno di allarme, un indicatore del pericolo che rappresentano questi personaggi per l’equilibrio della Forza e per la stabilità dell’universo.
C’è poi un altro possibile motivo alla base della scelta del colore degli occhi dei Sith. Secondo alcune fonti, gli occhi gialli potrebbero rappresentare una sorta di mutazione genetica dovuta all’uso intensivo del Lato Oscuro della Forza. In altre parole, il potere che i Sith hanno accumulato nel tempo potrebbe averli trasformati fisicamente, modificando il colore degli occhi e creando una sorta di segno distintivo che li rende riconoscibili a chiunque.
Tuttavia, va sottolineato anche che alcuni Sith della saga, avevano gli occhi di un colore diverso dal giallo in primis il conte Dooku. Si tratta di una scelta stilistica e creativa che dimostra quanto gli autori della saga si siano impegnati nel creare personaggi unici e credibili, senza essere obbligati a seguire regole rigide e predefinite.
Il Conte Dooku è un Sith a tutti gli effetti, dotato di una spada laser rossa e di abilità Sith come i fulmini di Forza. Ma a differenza di altri Sith, Dooku ha trascorso molti anni come maestro Jedi ed è riuscito a imparare a controllare le sue emozioni, come richiede l’Ordine Jedi. Inoltre, Dooku non è guidato dalla sete di potere o dalla bramosia di dominare la Forza o la Galassia. È un idealista che crede fermamente nel movimento separatista come alternativa alla corruzione della Repubblica e alla decadenza dell’Ordine Jedi. Per lui, il lato oscuro e l’Ordine Sith sono solo mezzi per raggiungere i suoi scopi. Un altro fattore da considerare è che Dooku è diventato un Sith da relativamente poco tempo. Quando lo incontriamo in “Episodio II – L’Attacco dei Cloni“, il Conte ha lasciato l’Ordine Jedi solo venti anni prima ed è diventato il capo dei separatisti solo di recente. Quindi, è possibile che il suo legame con il lato oscuro si sarebbe rafforzato nel tempo, portandolo anche ad avere gli inconfondibili occhi gialli che caratterizzano i Sith.In sintesi, l’assenza degli occhi gialli in Dooku non significa che non sia un vero Sith, ma semplicemente che il suo percorso potrebbe essere diverso da quello degli altri Sith. La sua personalità lucida e manipolatrice lo rende un Sith unico nella galassia di Star Wars.