C’è qualcosa di ironico nel fatto che Resident Evil, il franchise più virale della storia del videogioco, continui a risorgere come una delle sue stesse creature. Ogni volta che pensiamo di aver chiuso la porta della Spencer Mansion per sempre, ecco che qualcuno la riapre. Stavolta tocca a Sony Pictures, che ha annunciato ufficialmente la data d’uscita del reboot cinematografico: 18 settembre 2026, una scelta non casuale che coincide con il 30° anniversario del primo capitolo Capcom. E sì, sarà di nuovo Raccoon City a diventare teatro dell’incubo, innevata e spettrale come mai prima d’ora. Le prime foto dal set, scattate a Praga, mostrano interi quartieri trasformati nella città simbolo del disastro Umbrella: autobus con targhe del Colorado, auto della polizia, vetrine abbandonate e una coltre di neve artificiale che amplifica il senso di isolamento. Dietro la macchina da presa troviamo Zach Cregger, già autore del disturbante Barbarian e del recente Weapons. Il suo nome non è una semplice scelta di stile: è una dichiarazione d’intenti. Cregger vuole riportare Resident Evil alle sue radici survival horror, restituendogli quella paura claustrofobica e quella tensione psicologica che i film di Paul W.S. Anderson avevano sostituito con fiumi di proiettili e acrobazie digitali.
Un ritorno alle origini (senza nostalgia sterile)
“Non voglio raccontare la storia di Leon o Jill, quella esiste già nei giochi”, ha dichiarato Cregger in un’intervista a Variety. “Il mio film sarà fedele alla lore, ma racconterà qualcosa di completamente nuovo”.
Una frase che suona come una presa di posizione netta contro il fan service vuoto. Resident Evil (2026) non sarà un remake né una cronaca di eventi noti, ma una storia inedita immersa nello stesso universo narrativo. Un mondo in cui l’Umbrella Corporation continua a giocare con la biotecnologia e l’etica, e in cui l’orrore nasce prima di tutto dal controllo e dalla manipolazione.
La pellicola promette quindi un equilibrio tra rispetto e rinnovamento, e questa potrebbe essere la chiave del successo. Dopo l’esperimento del 2021, Welcome to Raccoon City, che cercò di comprimere due giochi in novanta minuti con risultati modesti, Sony punta a un approccio più autoriale e più atmosferico.
Sony contro tutti: la guerra dei diritti
Il ritorno di Resident Evil non è stato un percorso lineare. Per assicurarsi il franchise, Sony ha dovuto combattere su più fronti, evitando che colossi come Warner Bros. e Netflix ne acquisissero i diritti. Una mossa che dimostra quanto la saga Capcom resti ancora un asset culturale e commerciale di enorme valore.
Dal debutto del primo gioco nel 1996, Resident Evil ha ridefinito l’horror videoludico e ispirato generazioni di sviluppatori, artisti e registi. I nomi di Leon S. Kennedy, Jill Valentine e Chris Redfield sono diventati archetipi, eroi tragici in un mondo dove la scienza ha superato la morale.
Eppure, il nuovo film farà a meno di loro: Cregger preferisce esplorare nuovi personaggi, nuovi orrori, nuove prospettive. “Il terrore nasce quando non conosci le regole”, ha spiegato in un panel a Los Angeles. “E voglio che lo spettatore torni a sentirsi vulnerabile, proprio come la prima volta che ha varcato la porta della villa Spencer.”
La squadra dietro l’incubo
A scrivere la sceneggiatura, insieme a Cregger, c’è Shay Hatten, già autore di John Wick 4 e Army of the Dead: due garanzie di ritmo e tensione visiva. La produzione coinvolge Vertigo Entertainment, PlayStation Productions e Constantin Film, la stessa casa che produsse la saga con Milla Jovovich.
Il presidente di Sony Pictures Motion Picture Group, Sanford Panitch, ha definito Cregger “uno dei registi emergenti più promettenti” e l’unico capace di “ridare vita a un franchise che si era trasformato in un cadavere ambulante”. Una definizione perfettamente in linea con lo spirito del progetto.
Un’eredità di sangue e pixel
Dal 2002 al 2016, i sei film diretti da Paul W.S. Anderson hanno incassato oltre 1,2 miliardi di dollari, consacrando Resident Evil come la saga videoludica più redditizia di sempre. Ma il prezzo fu alto: nel passaggio dal videogioco al cinema, l’essenza del survival horror si diluì in una spettacolarità ipertrofica, più vicina a Matrix che a Capcom.
Negli anni successivi, il franchise ha continuato a vivere attraverso serie animate, film CGI come Resident Evil: Death Island (2023) e reboot vari, ma senza mai ritrovare quella miscela di paura e curiosità che aveva reso il titolo originale un’esperienza quasi sensoriale.
Cregger, in questo senso, si trova davanti alla missione più difficile: riportare la paura vera. Quella fatta di passi che si avvicinano nel silenzio, di munizioni contate, di porte che scricchiolano troppo lentamente.
Vuole un horror intimo, non pirotecnico; un incubo che non esplode, ma si insinua.
L’incubo secondo Cregger
Le riprese notturne, previste tra il 29 ottobre e il 2 novembre, dalle 15 alle 3 del mattino, sembrano un manifesto estetico. Lavorare nel buio, nella neve finta e tra le luci spente di una città fantasma, è quasi un rituale per evocare l’atmosfera giusta.
Secondo i rumor, Cregger avrebbe chiesto agli attori di girare alcune scene senza colonna sonora, per enfatizzare il suono ambientale: il vento che fischia tra i vicoli, i passi sull’asfalto ghiacciato, il ronzio elettrico delle insegne. Tutto contribuisce a restituire quella sensazione di isolamento e minaccia costante che definisce Resident Evil da quasi trent’anni.
Un rischio (e una speranza) da 30 anni
Il reboot di Resident Evil è più di un nuovo film: è un esperimento di memoria collettiva. Un tentativo di riscoprire la paura nell’era degli effetti speciali onnipresenti.
Il 18 settembre 2026, quando le luci in sala si spegneranno, non vedremo solo l’ennesimo adattamento da videogioco: assisteremo a un ritorno alle origini dell’orrore, un viaggio nella mente di chi ha imparato che la curiosità può essere letale e che aprire una porta, a volte, è la peggiore delle scelte.
E tu? Sei pronto a tornare a Raccoon City?
Scrivilo nei commenti… ma ricordati: la Umbrella osserva sempre.
