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Resident Evil: il ritorno dell’incubo – il reboot Sony arriva al cinema nel 2026

C’è qualcosa di ironico nel fatto che Resident Evil, il franchise più virale della storia del videogioco, continui a risorgere come una delle sue stesse creature. Ogni volta che pensiamo di aver chiuso la porta della Spencer Mansion per sempre, ecco che qualcuno la riapre. Stavolta tocca a Sony Pictures, che ha annunciato ufficialmente la data d’uscita del reboot cinematografico: 18 settembre 2026, una scelta non casuale che coincide con il 30° anniversario del primo capitolo Capcom. E sì, sarà di nuovo Raccoon City a diventare teatro dell’incubo, innevata e spettrale come mai prima d’ora. Le prime foto dal set, scattate a Praga, mostrano interi quartieri trasformati nella città simbolo del disastro Umbrella: autobus con targhe del Colorado, auto della polizia, vetrine abbandonate e una coltre di neve artificiale che amplifica il senso di isolamento. Dietro la macchina da presa troviamo Zach Cregger, già autore del disturbante Barbarian e del recente Weapons. Il suo nome non è una semplice scelta di stile: è una dichiarazione d’intenti. Cregger vuole riportare Resident Evil alle sue radici survival horror, restituendogli quella paura claustrofobica e quella tensione psicologica che i film di Paul W.S. Anderson avevano sostituito con fiumi di proiettili e acrobazie digitali.


Un ritorno alle origini (senza nostalgia sterile)

“Non voglio raccontare la storia di Leon o Jill, quella esiste già nei giochi”, ha dichiarato Cregger in un’intervista a Variety. “Il mio film sarà fedele alla lore, ma racconterà qualcosa di completamente nuovo”.

Una frase che suona come una presa di posizione netta contro il fan service vuoto. Resident Evil (2026) non sarà un remake né una cronaca di eventi noti, ma una storia inedita immersa nello stesso universo narrativo. Un mondo in cui l’Umbrella Corporation continua a giocare con la biotecnologia e l’etica, e in cui l’orrore nasce prima di tutto dal controllo e dalla manipolazione.

La pellicola promette quindi un equilibrio tra rispetto e rinnovamento, e questa potrebbe essere la chiave del successo. Dopo l’esperimento del 2021, Welcome to Raccoon City, che cercò di comprimere due giochi in novanta minuti con risultati modesti, Sony punta a un approccio più autoriale e più atmosferico.


Sony contro tutti: la guerra dei diritti

Il ritorno di Resident Evil non è stato un percorso lineare. Per assicurarsi il franchise, Sony ha dovuto combattere su più fronti, evitando che colossi come Warner Bros. e Netflix ne acquisissero i diritti. Una mossa che dimostra quanto la saga Capcom resti ancora un asset culturale e commerciale di enorme valore.

Dal debutto del primo gioco nel 1996, Resident Evil ha ridefinito l’horror videoludico e ispirato generazioni di sviluppatori, artisti e registi. I nomi di Leon S. Kennedy, Jill Valentine e Chris Redfield sono diventati archetipi, eroi tragici in un mondo dove la scienza ha superato la morale.

Eppure, il nuovo film farà a meno di loro: Cregger preferisce esplorare nuovi personaggi, nuovi orrori, nuove prospettive. “Il terrore nasce quando non conosci le regole”, ha spiegato in un panel a Los Angeles. “E voglio che lo spettatore torni a sentirsi vulnerabile, proprio come la prima volta che ha varcato la porta della villa Spencer.”


La squadra dietro l’incubo

A scrivere la sceneggiatura, insieme a Cregger, c’è Shay Hatten, già autore di John Wick 4 e Army of the Dead: due garanzie di ritmo e tensione visiva. La produzione coinvolge Vertigo Entertainment, PlayStation Productions e Constantin Film, la stessa casa che produsse la saga con Milla Jovovich.

Il presidente di Sony Pictures Motion Picture Group, Sanford Panitch, ha definito Cregger “uno dei registi emergenti più promettenti” e l’unico capace di “ridare vita a un franchise che si era trasformato in un cadavere ambulante”. Una definizione perfettamente in linea con lo spirito del progetto.


Un’eredità di sangue e pixel

Dal 2002 al 2016, i sei film diretti da Paul W.S. Anderson hanno incassato oltre 1,2 miliardi di dollari, consacrando Resident Evil come la saga videoludica più redditizia di sempre. Ma il prezzo fu alto: nel passaggio dal videogioco al cinema, l’essenza del survival horror si diluì in una spettacolarità ipertrofica, più vicina a Matrix che a Capcom.

Negli anni successivi, il franchise ha continuato a vivere attraverso serie animate, film CGI come Resident Evil: Death Island (2023) e reboot vari, ma senza mai ritrovare quella miscela di paura e curiosità che aveva reso il titolo originale un’esperienza quasi sensoriale.

Cregger, in questo senso, si trova davanti alla missione più difficile: riportare la paura vera. Quella fatta di passi che si avvicinano nel silenzio, di munizioni contate, di porte che scricchiolano troppo lentamente.

Vuole un horror intimo, non pirotecnico; un incubo che non esplode, ma si insinua.


L’incubo secondo Cregger

Le riprese notturne, previste tra il 29 ottobre e il 2 novembre, dalle 15 alle 3 del mattino, sembrano un manifesto estetico. Lavorare nel buio, nella neve finta e tra le luci spente di una città fantasma, è quasi un rituale per evocare l’atmosfera giusta.

Secondo i rumor, Cregger avrebbe chiesto agli attori di girare alcune scene senza colonna sonora, per enfatizzare il suono ambientale: il vento che fischia tra i vicoli, i passi sull’asfalto ghiacciato, il ronzio elettrico delle insegne. Tutto contribuisce a restituire quella sensazione di isolamento e minaccia costante che definisce Resident Evil da quasi trent’anni.


Un rischio (e una speranza) da 30 anni

Il reboot di Resident Evil è più di un nuovo film: è un esperimento di memoria collettiva. Un tentativo di riscoprire la paura nell’era degli effetti speciali onnipresenti.

Il 18 settembre 2026, quando le luci in sala si spegneranno, non vedremo solo l’ennesimo adattamento da videogioco: assisteremo a un ritorno alle origini dell’orrore, un viaggio nella mente di chi ha imparato che la curiosità può essere letale e che aprire una porta, a volte, è la peggiore delle scelte.

E tu? Sei pronto a tornare a Raccoon City?
Scrivilo nei commenti… ma ricordati: la Umbrella osserva sempre.

PlayStation Portal: l’ibrido che nessuno aspettava ma di cui tutti avevamo bisogno

Dopo anni di tentativi onorevoli ma spesso amari nel campo del gaming portatile – chi non ricorda la PSP, gloriosa ma incompresa, o l’enigmatica PS Vita, una vera piccola leggenda mai davvero digerita dal grande pubblico – il colosso PlayStation ha finalmente messo a punto la sua ricetta per il gioco in mobilità. Ma, attenzione, questa volta la mossa non è una “console 3.0”, bensì un accessorio che, con la sua evoluzione, sta riscrivendo le regole dell’ecosistema. Il suo nome, evocativo e preciso, è PlayStation Portal.

Quando, nel novembre del 2023, questo strano ibrido è sbarcato sul mercato, le reazioni furono un misto di curiosità e marcato scetticismo. Un dispositivo costoso che non esegue giochi nativamente? Un lussuoso “terminale” confinato allo streaming domestico? Eppure, come spesso accade con le vere rivoluzioni, il Portal ha saputo cambiare la narrazione, trasformandosi lentamente da gadget di nicchia a vera e propria nuova interfaccia per il gaming. Non è più solo un monitor con i pulsanti; è diventato, letteralmente, un portale verso una filosofia di gioco che esalta non più il luogo, ma la libertà di scegliere come giocare.


La Svolta Epocale del 6 Novembre: Quando il Cloud Libera la PS5

La vera metamorfosi, quella che accende l’entusiasmo degli appassionati e infiamma i forum dedicati alla cultura nerd, è arrivata oggi, 6 novembre, con l’aggiornamento più significativo dalla nascita del dispositivo: il supporto ufficiale allo streaming cloud dei giochi PS5.

L’annuncio, firmato da figure chiave come Takuro Fushimi di PlayStation, non è solo una feature tecnica, ma una dichiarazione d’intenti chiara: superare i confini dell’esperienza di gioco. Con questa iniezione di potenza, gli abbonati a PlayStation Plus Premium vengono catapultati in una nuova era: potranno giocare in streaming a migliaia di titoli PS5 – dai colossi come Astro Bot e Final Fantasy VII Rebirth fino ai mondi aperti di Cyberpunk 2077 e God of War Ragnarök – senza che la console di casa debba essere accesa.

La PS5 può restare in modalità riposo o addirittura spenta, mentre il Portal si erge a finestra personale e indipendente sull’universo PlayStation, pronto a seguirti ovunque tu abbia una connessione Wi-Fi stabile. Il Remote Play, nato come funzione di contorno, sta diventando il cuore pulsante di una strategia che unisce continuità e innovazione.


Un Ecosistema Ripensato: Interfaccia e Funzionalità al Centro

L’aggiornamento di Sony non si limita all’introduzione del cloud. L’azienda ha ripensato l’intera esperienza utente, introducendo una schermata iniziale più strutturata e funzionale, ora divisa in tre aree chiave: Riproduzione remota (per la classica connessione locale alla PS5), Streaming nel cloud (per l’accesso diretto ai server) e una funzione Cerca avanzata, dotata di ricerca rapida, codici QR e collegamenti diretti alla PlayStation App.

Questa rivisitazione è arricchita da una miriade di novità che rendono il Portal più “vivo” e completo: l’implementazione dell’Audio 3D anche in streaming per le cuffie compatibili, l’introduzione di un blocco con codice d’accesso per la sicurezza, la visualizzazione in tempo reale della qualità di rete, uno store integrato, nuove opzioni di accessibilità e la possibilità, comodissima, di gestire gli inviti multigiocatore direttamente dal menu rapido.

Queste migliorie non sono casuali. Dietro c’è l’idea che il Portal non sia un semplice gadget, ma il vero nodo centrale di un ecosistema che fonde perfettamente l’esperienza locale con quella cloud. È la sintesi perfetta della filosofia PlayStation 5: potenza, comfort e assoluta libertà di gioco.


Il Trionfo Silenzioso di una Filosofia Ibrida

Quando fu presentato, molti lo avevano etichettato come un costoso esperimento destinato a soccombere di fronte a giganti del gioco nativo come Nintendo Switch e Steam Deck. Ma i numeri, si sa, raccontano una storia diversa e spesso sorprendente. Oggi, circa il 5% della base installata di PS5 negli Stati Uniti possiede un Portal. Tradotto in linguaggio da fan: un giocatore su venti ha scelto di portare la propria console nel palmo della mano.

Questa non è una rivoluzione fragorosa, ma un trionfo inatteso e silenzioso. Sony ha intercettato una verità fondamentale: la forza del dispositivo non risiede nella potenza bruta, ma nel suo essere l’estensione perfetta del DualSense e, dunque, dell’esperienza sensoriale che definisce la PS5. Il Portal non solo conserva il display LCD da 8 pollici a 1080p e 60 fps con una latenza quasi impercettibile, ma mantiene intatti il feedback aptico e i grilletti adattivi, restituendo quella sensazione fisica che rende l’esperienza di gioco PlayStation unica. Non è un nuovo hardware; è la forma tangibile della connessione.


Un Enigma che Punta al Futuro: Cloud Gaming Indipendente?

E poi c’è il mistero che ha infiammato Reddit e i forum di settore. Alcuni detective del web hanno scovato, in pagine di pre-ordine di titoli attesi, la dicitura ambigua: “Pre-ordina per giocare in streaming al lancio su PS Portal o PS5 (solo con PS Plus Premium)”.

Se non si tratta di un errore di battitura, l’indizio svela un nuovo, audace paradigma: un futuro in cui il Portal potrebbe non essere più vincolato alla PS5 domestica, ma diventare la piattaforma di cloud gaming primaria di Sony. In altre parole, la PlayStation “fisica” potrebbe presto diventare un punto di accesso opzionale, non più un requisito vincolante.

La versione beta per gli utenti Premium ha già aperto la strada, consentendo l’accesso a un catalogo di oltre 120 titoli PS5 in streaming diretto. Nessuna PS5 accesa, nessun download, solo il Portal come dispositivo indipendente.

Sony, in sostanza, ha scelto una via opposta a quella di Microsoft. Non una rivoluzione di sistema immediata, ma un approccio graduale, quasi zen, costruendo un solido ponte tra il presente del Remote Play e il futuro del Cloud Play.


Il Futuro del Gioco Portatile è Qui, ma con un Twist

Certo, il Portal non è per tutte le tasche, con un prezzo che supera quello di un buon smartphone di fascia media, e la concorrenza offre soluzioni più versatili. Ma per chi vive l’universo PlayStation come una seconda casa, il dispositivo è già un oggetto di culto. È il modo più puro, potente e comodo per portare la PS5 fuori dalla PS5.

Con l’arrivo del cloud, la distanza tra il giocatore e la sua console si assottiglia fino a scomparire. Il Portal non è più un semplice accessorio: è un’estensione dell’identità del giocatore. Sony, maestra nel coniugare hardware e visione, ha compreso che il futuro non sarà una guerra di console, ma una guerra di ecosistemi. E questo dispositivo ne è la prima, inattesa, avanguardia.

Perché, in fondo, il sogno del gamer incallito non è avere più potenza, ma poter giocare ovunque, senza compromessi sul feeling che solo il DualSense sa dare. E se basta una connessione stabile, un DualSense tra le mani e la voglia di perdersi in mondi virtuali, allora sì: Portal è davvero il suo nome perfetto.


Cosa ne pensi di questa mossa di Sony? Credi che il Portal, con il Cloud Streaming, possa davvero competere con console portatili come Steam Deck e Nintendo Switch, pur restando un dispositivo da streaming?

Sonic Racing: CrossWorlds – SEGA e Red Bull accendono i motori a Lucca Comics & Games 2025

Lucca Comics & Games 2025 si prepara a un’esplosione di adrenalina videoludica grazie alla partnership tra SEGA e Red Bull, che portano nel cuore del festival un’esperienza di gioco unica nel suo genere. Dal 29 ottobre al 2 novembre, i visitatori potranno sfrecciare nell’universo vorticoso di Sonic Racing: CrossWorlds, il nuovo capitolo della leggendaria saga racing di SEGA, già disponibile in versione fisica e digitale per PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox Series X|S, Xbox One, PC e Nintendo Switch (in tutte le sue varianti). La versione per Nintendo Switch 2 debutterà in digitale durante le festività natalizie e in formato fisico all’inizio del 2026, perfetta per i fan che vogliono vivere la velocità anche in mobilità.

Un viaggio tra le dimensioni del ring

Il titolo stesso, CrossWorlds, è una dichiarazione di intenti. Al centro del gioco c’è una nuova meccanica chiamata Ring di trasferimento, un’idea geniale che trasforma i celebri anelli dorati di Sonic in veri e propri portali interdimensionali. Durante una gara, un semplice circuito di Green Hill può improvvisamente spalancarsi su un mondo sospeso tra le nuvole o un fondale oceanico abitato da creature misteriose. Ogni corsa diventa così un’avventura in tempo reale, dove il tracciato cambia sotto le ruote del giocatore, costringendolo ad adattarsi a nuovi ostacoli e fisiche variabili. È come se Mario Kart incontrasse Doctor Strange, con un pizzico di follia adrenalinica in pieno stile SEGA.

Una delle chicche più gustose è la varietà di CrossWorlds. Il gioco presenta 23 piloti già disponibili — tra cui gli immancabili Sonic, Tails, Knuckles e Amy — insieme a leggende provenienti da altri universi SEGA, in un crossover che farà impazzire i fan di vecchia data. E le sorprese non finiscono qui: sono già previsti DLC espansivi con nuovi personaggi e circuiti, confermando l’intento di SEGA di creare un ecosistema in continua evoluzione. Per gli amanti della vecchia scuola, torna anche una chicca amatissima: gli Extreme Gear, gli hoverboard volanti che fecero impazzire i fan di Sonic Riders. A questi si affiancano oltre 45 veicoli personalizzabili e più di 70 gadget da equipaggiare per trasformare ogni mezzo in un’estensione del proprio stile di guida. Vuoi un bolide tecnico e preciso o una macchina da guerra pronta a travolgere chiunque? La libertà di scelta è totale.

CrossWorlds: dove la fisica incontra la fantasia

Ogni gara è un’esperienza dinamica. I 24 tracciati principali si intersecano con 15 mondi paralleli, ognuno dotato di regole e fisiche proprie: gravità alterata, acqua che rallenta o potenzia, propulsori aerei, tunnel spazio-temporali. Qui il realismo si fonde con la fantasia più sfrenata, in un carosello di trovate che spinge il concetto stesso di racing game verso nuove dimensioni.

La modalità single player offre opzioni per tutti: dalle classiche gare e Grand Prix ai time trial fino alla modalità Frenesia, pensata per chi vuole azione pura e immediata. Ma è nel multiplayer che il gioco mostra i muscoli: fino a 4 giocatori in split screen per chi ama la competizione da divano e crossplay online completo tra tutte le piattaforme. Che tu sia su PlayStation, Xbox, Switch o PC, troverai sempre qualcuno da sfidare in tempo reale.

Edizioni da collezione e bonus esclusivi

SEGA ha pensato anche ai collezionisti e agli irriducibili del brand. La Standard Edition sarà proposta a 69,99 € (59,99 € su Switch), mentre la Digital Deluxe Edition — a 89,99 € — includerà il Pass Stagionale, tre giorni di accesso anticipato (tranne su Switch), piloti esclusivi ispirati a Sonic Prime come Rusty Rose e Tails Nine e il bonus pre-ordine Sonic the Werehog da Sonic Unleashed, completo di veicolo e adesivo dedicato. Per i giocatori che passeranno a Switch 2, sarà disponibile un upgrade digitale dedicato.

Durante il festival, Sonic Racing: CrossWorlds avrà un quartier generale d’eccezione: la Red Bull Energy Zone, situata nel giardino dell’Ostello San Frediano. Questo spazio tematico trasformerà Lucca in una vera e propria speed dimension, un’esperienza multisensoriale tra container scenografici, postazioni da gioco e ambientazioni a tema. All’interno del container retro-style dedicato a Sonic, i visitatori potranno sfidarsi su otto postazioni PlayStation 5, vivendo la potenza della console in tutta la sua gloria: grafica spettacolare, caricamenti rapidissimi e una fluidità che rende ogni curva un piccolo capolavoro di adrenalina. Red Bull e SEGA invitano tutti a entrare nell’universo di Red Bull Unforeseen, dove ogni visita diventa un’avventura inattesa. E quando al centro della scena c’è Sonic, la promessa è una sola: velocità senza limiti.

Un’ode alla velocità e alla fantasia

Più che un semplice titolo racing, Sonic Racing: CrossWorlds è un manifesto videoludico dedicato alla sperimentazione e al divertimento puro. Un gioco che unisce la mitologia di Sonic — i suoi personaggi, il suo ritmo, la sua ironia — a un mondo nuovo fatto di dimensioni parallele e corse trasformative. È un’esperienza pensata per tutte le generazioni di giocatori, dagli storici fan di SEGA ai nuovi arrivati, e che a Lucca Comics & Games promette di diventare uno degli eventi più iconici dell’anno.

Sfreccia sull’asfalto, nell’acqua, nel cielo e persino nello spazio: i mondi si intrecciano, i confini si spezzano, la velocità diventa arte.
Sonic ti aspetta a tutta potenza, dal 29 ottobre al 2 novembre 2025, nel giardino dell’Ostello San Frediano — pronto a farti attraversare i mondi… a tutta velocità.

Crash Bandicoot: la serie animata in arrivo su Netflix? Tutti gli indizi sul progetto di WildBrain

C’è aria di caos, risate e frutta Wumpa nei corridoi di Netflix. Dopo aver trasformato in oro pixelato saghe come Castlevania, Tomb Raider e Sonic Prime, la piattaforma streaming sembra pronta a far esplodere un’altra cassa di TNT nel cuore dei nostalgici anni ’90: una serie animata dedicata a Crash Bandicoot, prodotta da WildBrain Studios, gli stessi dietro il successo del porcospino blu più veloce del web.

Il ritorno di un’icona PlayStation

Per chi è cresciuto a colpi di spin attack e livelli impossibili, la notizia è una vera scarica di energia N. Brio. Secondo le prime indiscrezioni riportate da What’s On Netflix, il progetto sarebbe già in fase di sviluppo, anche se per ora regna il più totale silenzio su trama, doppiatori e data d’uscita. Ma basti pronunciare il nome “Crash Bandicoot” per evocare un’ondata di nostalgia collettiva: il marsupiale arancione, mascotte ribelle della prima PlayStation, è da quasi trent’anni un simbolo di libertà, comicità e follia videoludica.

Era il 1996 quando Naughty Dog, lo stesso studio che ci avrebbe poi regalato Uncharted e The Last of Us, lanciò Crash come risposta irriverente a Mario e Sonic. Un personaggio più anarchico e surreale, armato solo di sneakers, pantaloncini e una risata contagiosa. In pochi anni divenne la mascotte non ufficiale di Sony, protagonista di una trilogia leggendaria e di uno spin-off che ancora oggi infiamma le console: Crash Team Racing.

Poi arrivarono gli anni turbolenti del passaggio di licenze: da Universal Interactive a Vivendi, fino ad Activision, che oggi – sotto l’ombrello di Microsoft – custodisce la sua eredità. Il marsupiale non è mai davvero sparito, ma ha vissuto un altalenante rapporto con i fan, tra esperimenti e versioni meno ispirate. La rinascita è arrivata nel 2017 con la N. Sane Trilogy e nel 2021 con Crash Bandicoot 4: It’s About Time, che ha riacceso la miccia dell’amore collettivo.

Dalla Wumpa Island agli studi di WildBrain

A dare vita all’adattamento animato ci sarà, secondo i rumor, proprio WildBrain Studios, già responsabile di Sonic Prime e Carmen Sandiego. Una scelta che sembra perfetta per catturare l’energia slapstick e la comicità fisica di Crash: un mondo fatto di trappole, cadute rovinose e risate contagiose.

La sfida sarà trovare un equilibrio tra azione e umorismo, senza snaturare l’essenza del personaggio. Crash non è mai stato un gran chiacchierone (il suo leggendario “Whoa!” basta a raccontare tutto): e ogni volta che qualcuno ha provato a dargli una voce vera – come nella serie Skylanders Academy – i fan hanno gridato allo scandalo. Forse Netflix lo sa, e lascerà parlare il caos al posto suo.

Netflix e la nuova età dell’oro delle trasposizioni videoludiche

Con Arcane e Cyberpunk: Edgerunners, Netflix ha dimostrato che i videogiochi possono diventare la nuova frontiera narrativa dell’animazione. La piattaforma ha ormai un vero “videogameverse” in espansione, con progetti dedicati a Tomb Raider, Splinter Cell e persino Minecraft.

In questo contesto, Crash è un tassello ideale: un personaggio universalmente riconoscibile, capace di far sorridere adulti e bambini, vecchi gamer e nuovi curiosi. E in un periodo dominato da anti-eroi tormentati e mondi oscuri, il ritorno di un folle marsupiale che distrugge casse e corre a ritmo di bonghi potrebbe essere il colpo di freschezza che mancava.

Tra nostalgia e follia: l’eredità del Bandicoot

A quasi trent’anni dal suo debutto, Crash Bandicoot resta il simbolo di un’epoca in cui il videogioco era soprattutto divertimento puro. Nessun moralismo, nessuna complicazione narrativa: solo riflessi, risate e una voglia incontrollabile di saltare sulla prossima cassa esplosiva.

Una serie animata potrebbe riscoprire proprio questo spirito, fondendo l’estetica dei cartoni anni ’90 con le tecniche d’animazione moderne. Se Sonic Prime ha saputo reinterpretare il suo mito per un pubblico nuovo, non c’è motivo di pensare che Crash non possa fare altrettanto — anzi, la sua comicità visiva lo rende ancora più adatto al piccolo schermo.

Per ora non ci sono trailer, teaser o immagini ufficiali. Solo una certezza: Netflix sta scommettendo sul potere della nostalgia e sulla vitalità della cultura videoludica. E quando, un giorno non troppo lontano, apriremo la piattaforma e sentiremo risuonare quel familiare “Whoa!”, sapremo che è successo di nuovo: Crash è tornato, pronto a far esplodere il mondo, una cassa alla volta.

MOUSE: PI for Hire, lo sparatutto in prima persona che unisce violenza e cartoon

In un panorama videoludico dominato da realismo estremo e pixel perfetti, c’è chi ha deciso di tornare alle origini, a un’epoca in cui le linee erano di gomma e i protagonisti sorridevano persino in mezzo al caos. Lo studio indipendente Fumi Games, in collaborazione con PlaySide Studios Limited, ha pubblicato un nuovo, esilarante video-annuncio durante il Galaxies Showcase, confermando finalmente la data d’uscita ufficiale di Mouse: P.I. for Hire: 19 marzo 2026. L’annuncio, accolto con entusiasmo dalla community indie, non si limita a svelare la finestra di lancio: mostra anche nuove e inedite sequenze di gameplay, in cui si intravedono colpi di pistola, salti acrobatici e il ritorno di un’estetica perduta — quella dei cartoni animati in stile rubber hose, tipica degli anni ’30.

Un noir animato tra Cuphead e DOOM

Mouse: P.I. for Hire si presenta come un first-person shooter 2.5D dal cuore retrò e dal ritmo moderno. I giornalisti di settore lo hanno già definito un incrocio tra Cuphead e DOOM, e in effetti la definizione calza a pennello: da un lato la grafica “vecchio stile”, con personaggi che si muovono come elastici antropomorfi, dall’altro un gameplay veloce, brutale, senza respiro.

L’ambientazione è quella di Rattopoli, una città corrotta e in rovina, dove neon e fumo si mischiano all’odore del bourbon e alla puzza di piombo. Qui si muove Jack Pepper, un detective con un passato da eroe di guerra e un presente fatto di debiti, cicatrici e casi disperati. Tutto inizia con un classico del noir: una misteriosa donna in pericolo bussa alla porta del nostro topo investigatore. Ma, come ogni fan del genere sa, le cose non sono mai come sembrano.

Ben presto l’indagine di Jack si trasforma in un intrigo più grande di lui, tra gang criminali, tradimenti e inseguimenti che sembrano usciti da un incubo jazz.

Quando il noir incontra l’animazione “rubber hose”

Esteticamente, Mouse: P.I. for Hire è un gioiello d’animazione digitale. Ogni frame è un omaggio ai cortometraggi di Ub Iwerks e ai primi lavori di Walt Disney, quando Topolino e Oswald il coniglio ballavano tra ingranaggi e fantasmi. Il tratto è volutamente vintage, con colori desaturati, bordi irregolari e un leggero effetto di pellicola rovinata che rende l’esperienza visiva nostalgica e magnetica allo stesso tempo.

La colonna sonora jazz, realizzata con strumenti autentici dell’epoca, amplifica l’immersione: sax e contrabbassi accompagnano sparatorie e inseguimenti come in una jam session infernale. Il risultato è un FPS che si gioca come un concerto swing, dove ogni proiettile ha il suo ritmo e ogni nemico danza prima di cadere.

Azione, esplorazione e formaggio potenziato

Sotto la superficie stilistica, però, Mouse: P.I. for Hire è anche un omaggio al gameplay old-school, con una struttura non lineare e livelli pieni di segreti. Jack Pepper può usare un arsenale classico – pistole, fucili, lanciarazzi – ma anche potenziamenti decisamente fuori di testa: i “cheese power-up”, per esempio, conferiscono bonus temporanei come forza, resistenza o velocità.

E poi c’è la sua coda multifunzione, che funge da rampino e arma secondaria, permettendo di raggiungere zone elevate o immobilizzare i nemici. Un’idea geniale che trasforma la verticalità delle mappe in parte integrante della strategia.

Ogni distretto di Rattopoli – dai cortili piovosi del porto ai casinò illuminati dai neon, fino alle fognature infestate – è stato progettato con un’attenzione maniacale ai dettagli. Si potranno trovare missioni secondarie, collezionabili nascosti e minigiochi che ricordano i vecchi arcade da sala.

Una love letter alla cultura pop vintage

Al di là dell’azione, Mouse: P.I. for Hire è una vera dichiarazione d’amore alla cultura pop del primo Novecento. Ogni personaggio è un rimando a un’epoca in cui i cartoon erano surreali, disturbanti e irresistibili. I fan più attenti noteranno citazioni che spaziano da Betty Boop a Bendy and the Ink Machine, passando per Sin City e persino Who Framed Roger Rabbit?.

Il tono è ironico ma non parodistico: Fumi Games non vuole prendere in giro quel mondo, vuole riportarlo in vita, in tutta la sua follia ritmica e malinconica.

L’attesa per il 19 marzo 2026

Con l’uscita prevista su PlayStation 4 e 5, Xbox One e Series X/S, Nintendo Switch e PC, Mouse: P.I. for Hire si prepara a diventare uno dei titoli indie più attesi del 2026. Secondo alcuni rumor, il gioco sarà disponibile anche sulla futura Nintendo Switch 2, rendendolo una delle prime esperienze cross-gen a cavallo tra due generazioni di console.

Il trailer mostrato al Galaxies Showcase si conclude con un’inquadratura emblematica: Jack Pepper, sigaretta tra i baffi, guarda la pioggia cadere su Rattopoli mentre la voce narrante mormora: “In questa città, anche il formaggio ha un retrogusto di polvere da sparo.”

E con quella frase, l’hype è servito.

SteelSeries Arctis Nova 7 Wireless Gen 2 — Il potere del suono che evolve con te

Nel multiverso del gaming, dove ogni dettaglio può fare la differenza tra la vittoria e la disfatta, SteelSeries torna a dettare le regole del suono con un nuovo capolavoro tecnologico. Le Arctis Nova 7 Wireless Gen 2, appartenenti alla serie audio più premiata nel settore, non sono semplici cuffie: sono un manifesto di potenza, precisione e libertà.

Il brand che ha ridefinito l’audio competitivo negli eSport e nel gaming di alto livello torna con una nuova generazione che non si limita a migliorare — rivoluziona.


Un nuovo standard di controllo e potenza

SteelSeries ha introdotto nelle Arctis Nova 7 Gen 2 una funzione che farà impazzire gli amanti della personalizzazione estrema: il “controllo audio in tempo reale”. Grazie all’app Arctis, disponibile per ogni piattaforma (PC, PlayStation, Xbox, Nintendo), il giocatore può modificare con precisione chirurgica le impostazioni audio di oltre 200 giochi. Parliamo di esperienze calibrate per colossi come Call of Duty, Fortnite, Grand Theft Auto e molti altri.

L’app consente di bilanciare frequenze, voci, ambienti e dinamiche sonore istantaneamente, offrendo un’esperienza immersiva e personalizzata in tempo reale. Non più compromessi tra chat e gioco: ogni dettaglio è sotto controllo, esattamente come un DJ al comando della propria console sonora.


Un’evoluzione che si sente — e si vive

La seconda generazione delle Nova 7 alza ulteriormente l’asticella con una batteria potenziata del 40% rispetto alla precedente, garantendo fino a 54 ore di autonomia continua. E per chi vive di maratone videoludiche, basta una ricarica rapida di 15 minuti per ottenere 6 ore extra di energia.

Non mancano i driver magnetici al neodimio, progettati per restituire un suono spaziale tridimensionale di altissima qualità, e il microfono ClearCast Gen 2, già amato dai pro gamer per la sua capacità di cancellare i rumori di fondo e restituire una voce limpida, come se fosse un canale radio dedicato.

Le nuove Arctis Nova 7 non sono solo più potenti: sono più intelligenti. Capiscono le esigenze del giocatore moderno, diviso tra mille schermi e universi digitali.


Il multitasking diventa arte

Una delle caratteristiche più amate della linea Arctis — e che in questa nuova generazione raggiunge la perfezione — è l’audio simultaneo su 2,4 GHz e Bluetooth. Questo significa che puoi, per esempio, giocare su PS5 o Xbox mentre rispondi a una chiamata sullo smartphone, oppure chattare su Discord mentre scorri un video su TikTok in attesa della prossima partita.

In un mondo dove la vita è una costante alt-tab tra realtà e pixel, SteelSeries offre la libertà di muoversi senza limiti. Il passaggio da una sorgente all’altra è immediato, senza drop di connessione né ritardi sonori. È il tipo di versatilità che ogni gamer — e streamer — sogna.


Design e comfort da leggenda

Le Arctis Nova 7 Gen 2 nascono da un design che ha già fatto scuola. Leggere, robuste e con padiglioni ergonomici avvolgenti, queste cuffie sono costruite per accompagnare sessioni di gioco di ore senza affaticare. L’archetto sospeso, ispirato alle cuffie professionali da studio, distribuisce il peso in modo uniforme, mentre i materiali traspiranti riducono la pressione e il calore.

Il risultato è un equilibrio perfetto tra comfort e performance, una sinergia che trasforma ogni partita in una sinfonia.


Multiverso sonoro: una cuffia per ogni piattaforma

Le Arctis Nova 7 Wireless Gen 2 sono disponibili in tre versioni dedicate:

  • Arctis Nova 7P Wireless Gen 2 (PlayStation) – €199.99

  • Arctis Nova 7X Wireless Gen 2 (Xbox) – €199.99

  • Arctis Nova 7 Wireless Gen 2 (PC) – €199.99

Ogni modello è perfettamente ottimizzato per la propria console, ma tutte le varianti condividono la stessa anima: un suono cristallino, una costruzione premium e una compatibilità totale anche con Nintendo Switch (e con la futura Switch 2). Disponibili in tre colori — nero, bianco e magenta — queste cuffie diventano anche un oggetto di design, perfetto per ogni setup da streamer o gamer professionista.


L’eredità di un mito

SteelSeries non produce semplici periferiche: costruisce esperienze. La linea Arctis Nova rappresenta un’icona nel mondo dell’audio gaming, un punto di riferimento che fonde ingegneria, estetica e cultura pop.

La Gen 2 non è un aggiornamento, ma una dichiarazione d’intenti. In un’epoca dove l’audio è parte integrante della narrativa videoludica — basti pensare a capolavori come Cyberpunk 2077, Elden Ring o Starfield — SteelSeries rinnova la promessa di portare il suono là dove nasce: nel cuore del giocatore.


Conclusione: il futuro si ascolta

In un panorama sempre più affollato di accessori tech, le SteelSeries Arctis Nova 7 Wireless Gen 2 si impongono come una sinfonia perfetta di potenza e controllo. Ogni nota, ogni sparo, ogni battito diventa un frammento di realtà.

Che tu sia un competitivo incallito, uno streamer o un semplice esploratore di mondi virtuali, queste cuffie sono la chiave per attraversare il confine tra gioco e immersione totale.

Come direbbe un vero gamer: non senti solo il gioco — lo vivi.

PlayStation 6: il futuro del gaming comincia nel 2027

Quando il sipario cala su un ciclo e l’eco della parola “next-gen” inizia a farsi sentire, ogni vero appassionato di cultura nerd e videogiochi avverte quel familiare fremito elettrico, la scarica adrenalinica che solo la prospettiva di una nuova console sa dare. È l’odore di plastica fresca, il click di un controller mai impugnato e la promessa di mondi digitali inesplorati. E in questo momento storico, il nome che infiamma l’immaginario di milioni di gamer in tutto il mondo è uno solo: PlayStation 6.

Non si tratta più di semplici voci di corridoio, ma di indiscrezioni talmente insistenti e dettagliate da disegnare un orizzonte ben definito per il futuro del gaming. Secondo i leaker più influenti della scena, l’era della PS6 non è un lontano miraggio, ma un appuntamento fissato con il destino videoludico per la seconda metà del 2027. Un lancio strategico, che non mira solo a spingere i limiti dell’hardware, ma a integrare concetti rivoluzionari come l’Intelligenza Artificiale nel cuore dell’esperienza di gioco.

L’Orizzonte è Chiaro: La Timeline Svelata dai Guru Tech

La data del 2027 non è stata scelta a caso. A rivelarla è stato il noto insider Moore’s Law Is Dead, che ha affermato di aver visionato documenti interni che tracciano la timeline di produzione di Sony. L’obiettivo? Imparare dagli errori del passato. La crisi delle scorte di PS5 ha lasciato un’amara lezione, e il colosso giapponese punterebbe a garantire una distribuzione globale massiccia e senza intoppi fin dal day one della PlayStation 6.

Questa finestra temporale trova perfetta coerenza nel naturale ciclo vitale di circa sette anni che da sempre caratterizza l’evoluzione della linea PlayStation. La PS5, pur essendo una console matura e performante, si avvicina al suo mid-life. L’imminente PS5 Pro appare, in questa ottica, come la classica ultima grande danza tecnologica, il canto del cigno prima del grande salto verso una potenza di calcolo senza precedenti.

Design Modulare: Il Fascino del Fisico Incontra l’Età del Digitale

Uno dei rumor più intriganti riguarda l’approccio al design. Si vocifera di una console modulare con la possibilità di agganciare e sganciare un lettore ottico esterno. Questa scelta, apparentemente minore, è in realtà un gesto di grande intelligenza strategica e rispetto per la community.

Permettere al giocatore di scegliere se acquistare la console in versione puramente digitale o con il lettore disco non è solo un modo per abbattere i costi e diversificare l’offerta, ma è un ponte gettato tra l’abitudine moderna e il rito sacro del gamer. Diciamocelo chiaramente: aprire una custodia, ammirare la cover art e sentire il click del disco che viene inghiottito dalla console è un’emozione che nessun download potrà mai replicare. La PS6 sembra voler celebrare questa tradizione pur accogliendo l’era dello store online.

Il Cervello Elettronico: L’AI al Cuore dell’Esperienza Gaming

Se le specifiche tecniche sono il muscolo della next-gen, l’Intelligenza Artificiale sarà il suo cervello. Il focus più rivoluzionario di Sony sembra essere proprio l’integrazione di un sistema AI capace non solo di potenziare la grafica, ma di trasformare l’interazione e l’adattabilità del gioco stesso.

Immaginate un’AI che apprende dalle vostre abitudini di gioco, che anticipa i vostri desideri ludici. Se siete esploratori instancabili, la PS6 potrebbe svelare percorsi segreti e lore nascosta con maggiore frequenza. Se al contrario siete predatori di boss fight epiche, l’AI potrebbe rendere i vostri avversari più reattivi e imprevedibili, calibrando la difficoltà non su un livello fisso, ma sulla vostra crescita come giocatori. Non si tratta di semplici script predefiniti, ma di un vero e proprio partner digitale che evolve con voi, rendendo ogni sessione di gioco un’esperienza irripetibile. Questa è la vera rivoluzione next-gen, ben oltre i semplici teraflops.

Retrocompatibilità Totale: Un Omaggio alla Storia PlayStation

Questo è il punto che infiamma di più l’animo dei fan storici di PlayStation. Le voci sulla retrocompatibilità totale della PS6 con i titoli PS4 e PS5 (sia fisici che digitali) sembrano sempre più concrete. Ma c’è di più: l’Intelligenza Artificiale potrebbe intervenire per dare nuova vita ai vecchi capolavori.

Pensate alla possibilità di rigiocare Bloodborne o The Last of Us Part II non solo con frame rate più stabili, ma con un upscaling dinamico della risoluzione a 4K, texture migliorate in tempo reale e Ray Tracing applicato retroattivamente. Non più remake o patch a pagamento, ma una console che rispetta e celebra la sua intera storia videoludica. Se confermato, questo sarebbe un game changer di portata storica, un ponte tra il glorioso passato e il futuro.

Specifiche da Fantascienza e il Ritorno del Portatile (Serio)

Le specifiche tecniche trapelate sembrano uscite da una tavola sinottica cyberpunk: si parla di una CPU Zen 5, unificata a 24 GB di RAM e una GPU che, per potenza, si avvicinerebbe a una RTX 9070 XT. Numeri che porterebbero la console a rivaleggiare seriamente con i PC da gaming di fascia enthusiast, rendendo l’esperienza visiva e prestazionale qualcosa di mai visto prima su un sistema home console.

Ma la sorpresa non finisce qui. Un altro leak suggerisce che Sony stia lavorando a un handheld di nuova generazione, non un semplice device per lo streaming come il PS Portal, ma una vera e propria console portatile con una potenza paragonabile a una Xbox Series S. Un ritorno alle origini che farà battere forte il cuore di chi ha amato PSP e PS Vita, con l’ambizione di portare i tripla A ovunque. Il gaming in mobilità è pronto a una nuova rinascita.

Il Costo dell’Innovazione e l’Ultima Console “Fisica”

Tutta questa meraviglia tecnologica, ovviamente, avrà un prezzo. Gli analisti stimano che il costo della PS6 possa superare la soglia degli 800 euro al lancio. Un salto quantico inevitabile, considerando i costi di sviluppo di AI, hardware di altissima gamma e ricerca e sviluppo. Tuttavia, in un mercato dove le schede video top di gamma costano una fortuna, è probabile che il pubblico core sia disposto a investire in un sistema così promettente.

C’è chi sussurra che la PlayStation 6 potrebbe essere l’ultima console fisica di Sony, prima di un futuro totalmente in cloud. Ma per noi, che viviamo di rituali nerd, l’attesa del logo PlayStation che si accende, il rumore della ventola e il peso del controller tra le mani non è solo tecnologia. È emozione, appartenenza e magia.

L’hype è già qui, palpabile, e non vediamo l’ora di premere “Start” verso il futuro del gaming firmato Sony.


E voi, CorriereNerdiani? Qual è la feature della PlayStation 6 che vi esalta di più? Siete pronti a sborsare la cifra per l’AI e la retrocompatibilità totale? Oppure credete che il futuro sia già nel cloud?

Commentate qui sotto per aprire il dibattito e condividete questo articolo sui vostri social network per far partire la discussione definitiva sulla prossima generazione di console! La community è la nostra forza!

Ratchet & Clank: Clone Home – Il ritorno impossibile del gioco perduto che i fan hanno riportato in vita dopo 20 anni

C’è qualcosa di commovente e quasi poetico nel vedere un gruppo di appassionati restituire alla luce un frammento dimenticato della storia videoludica. Stavolta è toccato a Ratchet & Clank: Clone Home, un titolo mobile sviluppato nel 2006 da JavaGround e mai ufficialmente pubblicato da Sony. Per quasi vent’anni è stato una leggenda sussurrata tra i fan, un “Santo Graal per quattordici persone”, come qualcuno lo definì ironicamente. Eppure, contro ogni previsione, quel piccolo gioco per telefoni con tastiera fisica – sì, parliamo dell’era pre-smartphone – è tornato a vivere grazie alla determinazione della community.

Tutto comincia nel 2005, quando Ratchet & Clank: Going Mobile riesce a portare l’ironia e il dinamismo della saga di Insomniac Games persino sui cellulari Java. Un esperimento curioso ma riuscito. Un anno dopo, Clone Home avrebbe dovuto rappresentarne il seguito, ampliando le meccaniche e introducendo una novità folle per l’epoca: la possibilità di controllare due Lombax diversi in un’avventura comica e surreale. Ma il gioco sparì prima ancora di nascere davvero. Le uniche tracce sopravvissute erano poche immagini promozionali e un paio di descrizioni apparse su riviste specializzate. Poi, il nulla. Per anni, gli appassionati si chiesero se Clone Home fosse mai esistito davvero o se fosse rimasto un prototipo mai completato.

L’incredibile recupero

La svolta è arrivata nel 2019, quando il YouTuber The Golden Bolt – già noto per i suoi approfondimenti enciclopedici sulla saga – pubblicò un video con nuove informazioni fornite da uno degli sviluppatori originali. Da lì è partita una caccia degna di Indiana Jones in versione nerd: una lunga indagine durata sei anni che ha coinvolto collezionisti, programmatori e archeologi digitali.

La missione? Recuperare il file di gioco da un vecchio Sony Ericsson W880i, un telefono che conteneva ancora una copia installata di Clone Home. Per riuscirci, i fan hanno dovuto violare la crittografia del dispositivo, decodificare i dati e ricostruire il pacchetto Java originale. Dopo mesi di tentativi, il miracolo: il gioco è risultato completo, perfettamente funzionante e interamente giocabile dall’inizio alla fine.

Una gemma dimenticata

Non si tratta di un semplice prototipo o di qualche frammento incompleto. Clone Home è un titolo vero e proprio, con livelli curati, un gameplay più fluido rispetto al predecessore e un tono narrativo completamente folle.
Gli sviluppatori avevano sperimentato idee che anticipavano persino alcune meccaniche viste nei Ratchet & Clank moderni, tra cui la collaborazione tra due personaggi giocabili.

A quanto pare, il gioco era stato inviato ai provider mobili nel 2006, ma rilasciato per errore solo su pochi network per un brevissimo periodo, prima di essere ritirato e dimenticato nei server aziendali. È probabile che il file sopravvissuto provenga proprio da uno di quei rarissimi telefoni che, per puro caso, avevano scaricato la versione definitiva.

Il valore della preservazione videoludica

Oggi Ratchet & Clank: Clone Home è disponibile su Archive.org, completamente giocabile e scaricabile come qualsiasi altra reliquia digitale salvata dall’oblio. Alcuni piccoli bug suggeriscono che il titolo non fosse ancora del tutto rifinito, ma resta un’opera sorprendentemente completa, degna di essere affiancata ai capitoli ufficiali della saga.

La sua riscoperta non è solo una curiosità per collezionisti, ma un manifesto della passione dei fan e della necessità di preservare il patrimonio videoludico. In un’epoca in cui tutto passa per servizi cloud e store digitali effimeri, il lavoro di questi “archeologi dei bit” ci ricorda che i videogiochi sono cultura, memoria, identità collettiva.

Ratchet & Clank, ancora amati dopo vent’anni

L’ultimo capitolo ufficiale, Rift Apart, risale al 2021 e mostrava la saga al massimo splendore tecnico su PlayStation 5. Da allora, Insomniac Games si è concentrata su altri progetti, e un nuovo episodio della serie principale potrebbe richiedere anni. Ma l’amore dei fan per i due improbabili eroi non si è mai spento. Anzi, Clone Home dimostra che l’universo di Ratchet & Clank continua a vivere anche lontano dai riflettori, custodito nel cuore dei giocatori.

In fondo, non servono sempre grafica 4K e Ray Tracing per emozionarsi. A volte basta un vecchio telefono, una comunità determinata e un pizzico di follia nerd per riportare in vita un piccolo pezzo di storia.

Project Amethyst: Il Futuro Neurale di PlayStation si è Rivelato – L’AI non è un Accessorio, è il Cervello della PS6

Da Austin, in Texas, è arrivata una scossa sismica che ridisegna l’orizzonte del gaming: Project Amethyst. Sony e AMD, due colossi storici dell’industria, hanno gettato sul tavolo un progetto di collaborazione così ambizioso e intriso di futuro da far impallidire qualsiasi evoluzione incrementale. Non stiamo parlando di una semplice partnership hardware, ma di una vera e propria alleanza strategica per co-progettare il DNA della prossima console PlayStation, un sistema in cui l’Intelligenza Artificiale non sarà un optional, ma il cuore pulsante.

In un video ufficiale che ha fatto il giro della community, le leggende si sono incontrate: Mark Cerny, l’architetto visionario di PlayStation, e Jack Huynh, vicepresidente e general manager di AMD. Hanno svelato il nome in codice di questa rivoluzione, Project Amethyst (Ametista), usando una metafora poetica: due frammenti della stessa pietra, a simboleggiare l’unità di intenti e la visione condivisa che va “dalla stessa fonte” per creare “due rami” tecnologici. E anche se Cerny non ha mai pronunciato la sigla “PS6”, è chiaro che ogni singola parola e innovazione descritta sia destinata a forgiare il suo scheletro.


Il Cervello del Futuro: Addio Teraflop, Benvenute Neuroarrays

Il messaggio principale è cristallino: l’era della sola forza bruta di calcolo è finita. La corsa ai “più teraflop” cede il passo a una filosofia basata sul machine learning e le reti neurali. Cerny ha spiegato che Sony e AMD intendono ridefinire il realismo su schermo integrando l’AI direttamente nel processo di rendering, un approccio che combina la rasterizzazione tradizionale con l’accelerazione neurale per ottimizzare ciò che vediamo in tempo reale.

Da questa profonda co-ingegnerizzazione nasce l’evoluzione delle tecnologie di upscaling: il già noto FSR (FidelityFX Super Resolution) si trasforma in PSSR (PlayStation Super Resolution). Questa sarà la versione “pienamente realizzata” dell’attuale FSR 4, destinata già a beneficiare la PS5 Pro, ma è solo l’antipasto. La vera rivoluzione risiede nelle Neuroarrays: una nuova architettura pensata per permettere ai core della GPU di “collaborare” tra loro come neuroni in un cervello artificiale. Invece di lavorare su problemi separati, le unità di calcolo condividono dati e risorse, creando veri e propri cluster intelligenti. Huynh e Cerny hanno descritto tutto questo come una “coscienza collettiva” per le GPU, capace di gestire modelli di machine learning di una complessità finora impensabile, trasformando il processore grafico in un vero e proprio motore neurale in tempo reale.


La Luce che Racconta Storie: Radiance Cores e Ray Tracing Intelligente

Se cinque anni fa il ray tracing era una promessa, con Project Amethyst si appresta a diventare una colonna portante, non solo un effetto accessorio. AMD e Sony hanno introdotto i Radiance Cores, blocchi hardware completamente dedicati al calcolo del trasporto della luce. Queste unità specializzate saranno capaci di gestire simultaneamente i processi più esigenti, ovvero ray tracing e path tracing, grazie anche all’ausilio della Neuro Radiance Caching.

Il risultato promesso è una resa cinematografica della luce: riflessi realistici, illuminazione globale dinamica e ombre che si adattano al comportamento fisico dell’ambiente in modo intelligente e scalabile. Per gli sviluppatori, questo significa la libertà di creare mondi più emotivi e artisticamente ricchi, dove “ogni fotone racconta una storia” ai giocatori. Inoltre, l’alleanza sta già lavorando a innovazioni come il Frame Generation e il Ray Regeneration basati su machine learning, tecnologie che confluiranno nell’evoluzione denominata FSR Redstone.


Efficienza Totale: Universal Compression e L’Hardware che Impara

Ma il salto concettuale non riguarda solo la grafica. Project Amethyst mira a superare i limiti dell’efficienza con la Universal Compression. Questa tecnologia innovativa va oltre la classica compressione utilizzata su PS5, estendendo la capacità di comprimere non solo texture e immagini, ma qualsiasi tipo di dato inviato alla memoria. Cerny ha spiegato che, in questo modo, “vengono inviati solo i byte essenziali”, riducendo drasticamente l’uso della banda e migliorando il consumo energetico.

Ciò significa, in pratica, più dettaglio e frame rate più alti a parità di specifiche, perché l’hardware stesso impara a ottimizzare il proprio linguaggio. È una filosofia che vede nell’efficienza e nella scalabilità del machine learning la chiave per raggiungere performance che la sola potenza bruta non potrebbe garantire, allineandosi alle voci che suggeriscono l’arrivo di un dispositivo handheld assieme alla PS6 e spiegando i lavori di Sony su una nuova modalità a basso consumo per l’attuale PS5.


Un Orizzonte Chiamato PS6: L’Attesa del Pioniere

Nonostante Cerny abbia ribadito che queste tecnologie “esistono oggi solo in simulazione”, il tono è quello di un pioniere entusiasta: “I risultati sono promettenti. Non vedo l’ora di vederle prendere vita in una futura console”. Queste parole non lasciano spazio a dubbi: Project Amethyst è la promessa tecnologica del domani, che per la community PlayStation significa l’attesa di una console il cui rilascio è ancora “a pochi anni di distanza”, con voci di corridoio che suggeriscono anche il ritorno di un lettore disco staccabile.

Huynh ha concluso riassumendo la filosofia della partnership: “Non stiamo costruendo solo chip. Stiamo costruendo strumenti per i creatori e le community”. Project Amethyst non è una corsa alla potenza, ma una rivoluzione filosofica che sposta l’attenzione sulla co-creazione tra hardware, sviluppatori e intelligenze artificiali. Il futuro del gaming è neurale, e la prossima PlayStation si appresta a diventare il suo primo, affascinante palcoscenico.

Absolum: il “rogue ’em up” di Dotemu diventa anche una serie animata

Ci sono annunci che ti fanno alzare un sopracciglio curioso, e altri che ti fanno saltare dalla sedia come quando, in un beat ’em up anni ’90, scoprivi un livello segreto pieno di power-up. L’ultima mossa di Dotemu rientra nella seconda categoria. Il publisher francese, celebre per aver riportato in auge classici come Streets of Rage 4 e Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder’s Revenge, ha deciso di giocare in grande con Absolum, la sua prima IP originale. Il gioco, sviluppato insieme ai talenti di Guard Crush Games, debutterà su Switch, PlayStation e PC il 9 ottobre, ma non sarà solo un videogioco. In parallelo, infatti, è stata annunciata una serie animata che porterà la lore del titolo ben oltre i confini del joypad.


Un “rogue ’em up”: il mash-up che non sapevamo di volere

Absolum appartiene ad un genere tutto nuovo, che unisce la frenesia coreografica dei beat ’em up arcade con la struttura imprevedibile dei roguelike. Il risultato è stato battezzato “rogue ’em up”: nemici a ondate, combo spettacolari, progressione modulata dalla permadeath e mappe sempre diverse. Ogni run promette di essere una nuova storia da raccontare, un po’ come se Final Fight avesse incontrato Hades in un vicolo cyber-fantasy. Dotemu non ha mai nascosto la sua intenzione di fare di Absolum un esperimento narrativo e stilistico. Non un titolo usa e getta, ma l’inizio di un vero universo fantasy costruito pezzo dopo pezzo, in grado di reggere sia il peso della sfida arcade che la profondità del worldbuilding.


Supamonks: gli alchimisti dell’animazione

Se c’è un dettaglio che rende l’annuncio ancora più interessante, è la presenza di Supamonks, studio francese che non solo curerà l’animazione della serie, ma che ha già messo le mani nell’estetica del gioco fin dalle prime fasi di sviluppo. Non si tratta quindi di un adattamento commissionato in corsa, ma di un’evoluzione naturale di un percorso creativo condiviso. Come ha dichiarato Julien Bagnol-Roy, CEO di Supamonks:

trasformare Absolum in una serie animata è il passo logico di un viaggio che abbiamo intrapreso insieme a Dotemu sin dall’inizio. È un mondo che conosciamo intimamente, e ora possiamo raccontarlo da un’angolazione nuova”.

Una promessa che lascia intendere non solo coerenza visiva, ma anche un’espansione organica della narrazione, dove ciò che vedremo su schermo piccolo andrà a dialogare con le scelte compiute pad alla mano.


Dal joypad allo schermo: un franchise in costruzione

Cyrille Imbert, CEO di Dotemu, non ha nascosto l’entusiasmo:

“Absolum è la nostra prima produzione originale, e abbiamo voluto trattarla con la stessa cura con cui affrontiamo i grandi classici. La serie animata sarà la prosecuzione naturale del lavoro sul gioco e ci permetterà di raccontare storie che altrimenti non avremmo potuto esplorare”.

Non è difficile leggere tra le righe: Dotemu non vuole solo pubblicare un titolo di successo, ma dare vita a un franchise transmediale. In un’epoca in cui Arcane e Cyberpunk: Edgerunners hanno dimostrato quanto un’ottima serie animata possa ridefinire la percezione di un videogioco, Absolum si candida a diventare il prossimo fenomeno crossmediale.


Hype mode: ON

Certo, al momento i dettagli sulla serie sono ancora avvolti nella nebbia del “coming soon”. Non ci sono date, non ci sono trailer. Ma l’annuncio a ridosso del lancio del gioco è un segnale chiaro: Dotemu vuole che i giocatori vedano Absolum non come un semplice titolo indie, ma come l’incipit di un universo narrativo destinato a crescere. E a giudicare dagli artwork e dai trailer già diffusi, tra ambientazioni gotiche, personaggi dal design accattivante e un gameplay che sembra un flusso ininterrotto di adrenalina e stile, le premesse sono più che incoraggianti. Absolum non è ancora uscito, ma già respira l’aria dei cult title. Ha l’ambizione di essere un gioco da rigiocare all’infinito, un progetto con l’anima arcade e il cuore narrativo, e al tempo stesso un laboratorio creativo pronto a esplodere in altri media. Il 9 ottobre sarà il primo passo, il battesimo del fuoco per il “rogue ’em up”. Ma forse, col senno di poi, lo ricorderemo come l’inizio di un nuovo universo condiviso. Preparatevi: Absolum non vuole restare chiuso dentro il pad.

Rematch: il calcio arcade senza regole che conquista milioni di giocatori, ora anche in versione fisica

Se il calcio, quello con righe bianche perfettamente tracciate e fischietti pronti a interrompere ogni azione, vi sembra ormai troppo ingessato, preparatevi a una rivoluzione che arriva dritta dal mondo videoludico. Si chiama Rematch, è firmato dagli stessi sviluppatori di Sifu e sta conquistando milioni di giocatori in tutto il mondo. E ora si prepara a fare un passo in più: abbandonare il digitale per sbarcare anche sugli scaffali con una versione fisica che promette di diventare un must per chiunque ami l’adrenalina senza fronzoli. L’idea nasce da Sloclap, il talentuoso studio francese che aveva già sorpreso critica e pubblico con il suo picchiaduro a base di arti marziali. Ma se Sifu era un’esperienza di vendetta e rigore, Rematch si presenta come il suo opposto: colorato, frenetico e liberato da qualsiasi regola che ingabbi il gioco del calcio tradizionale. Niente falli, niente fuorigioco, niente arbitri. Solo pura azione arcade. Una scelta che ha premiato, visto che in appena tre mesi dal lancio il titolo ha radunato una community impressionante di oltre sei milioni di giocatori.

Uscito ufficialmente il 19 giugno su PC, PlayStation e Xbox, Rematch era stato annunciato ai The Game Awards 2024 con l’ambizione di stravolgere un genere che sembrava ormai bloccato tra simulazioni iperrealistiche e formule annuali sempre uguali. Qui non si tratta di gestire schemi tattici o statistiche: il gioco ribalta la prospettiva e mette il controller direttamente nelle mani di un singolo atleta in terza persona. Non siete allenatori, siete protagonisti. Ogni dribbling, ogni passaggio e ogni tiro diventa una questione di riflessi, precisione e sangue freddo.

Le partite, strutturate in frenetici match cinque contro cinque, esplodono in un susseguirsi di azioni spettacolari. Scivolate, dribbling acrobatici, colpi di classe: tutto avviene senza pause, in un flusso costante che elimina la lentezza e trasforma il calcio in un duello quasi da picchiaduro sportivo. La mancanza di statistiche preimpostate rende ogni partita una sfida di pura abilità: non ci sono scappatoie, la vittoria dipende interamente dal talento e dalla coordinazione dei giocatori.

Il cuore di Rematch è naturalmente il multiplayer online, pensato per garantire sfide bilanciate e reattive. Il ritmo serrato, le arene virtuali e le modalità stagionali assicurano varietà continua: ogni stagione porta con sé nuovi contenuti, sfide e personalizzazioni che mantengono vivo l’interesse della community. Un approccio dinamico che ha già fatto capire una cosa: Rematch non è un fuoco di paglia, ma un titolo destinato a crescere e a reinventarsi nel tempo.

E proprio in questa direzione guarda la nuova edizione che debutterà il 14 novembre 2025. Si chiama Rematch: Elite Edition ed è distribuita da Bandai Namco per PlayStation 5, Xbox Series X e PC tramite Steam. La grande novità? Arriva in versione fisica e con supporto al cross-play, così da abbattere definitivamente le barriere tra console e computer. Ma non solo: l’Elite Edition porta con sé una cascata di bonus estetici che trasformano il campo da gioco in una passerella digitale. Scarpe futuristiche che brillano mentre scatti verso la porta, cappelli e gioielli per personalizzare il tuo avatar, sfondi e decorazioni in realtà aumentata per celebrare i gol con effetti spettacolari. Un pacchetto che non punta solo a migliorare l’esperienza, ma a renderla memorabile.

Il concetto alla base resta sempre lo stesso: un calcio reinventato in salsa arcade, con match in arene virtuali da 3v3, 4v4 o 5v5, in cui l’unica regola è segnare. Ogni partita è un condensato di adrenalina che cancella le attese e sostituisce la tensione della simulazione con la gioia immediata dell’azione. Un approccio che lo rende accessibile a chiunque, ma capace di premiare i giocatori più abili con un margine di crescita infinita.

Rematch non è quindi solo un videogioco, è un manifesto contro la rigidità del calcio tradizionale. È lo sport più amato del mondo riletto attraverso il filtro dell’entertainment digitale, in cui spettacolo, stile e community diventano parte integrante della partita.

E voi, siete pronti a scendere in campo senza arbitri, senza limiti e senza scuse? Perché in Rematch non basta saper calciare: bisogna brillare, sorprendere e reinventarsi a ogni azione.

Rayman compie 30 anni: viaggio nella Radura dei Sogni che ha fatto grande Ubisoft (e noi)

C’è un compleanno che profuma di inchiostro, zucchero filato e pentagrammi in tempesta. Il 9 settembre 1995, mentre il mondo dei videogiochi si preparava al salto definitivo nel 3D, un eroe senza braccia né gambe ma con un sorriso capace di spaccare l’oscurità arrivava su PlayStation, Atari Jaguar, Sega Saturn e MS-DOS. Si chiamava — si chiama — Rayman. Oggi, 9 settembre 2025, spegne 30 candeline, e noi, popolo nerd che cresce a pane e joystick, non possiamo che celebrarlo come si deve: raccontando una storia fatta di sfide impossibili, estetica visionaria e musica che resta in testa come il ritornello della nostra infanzia. Non è nostalgia, è geografia dell’immaginario: la Radura dei Sogni esiste perché ci abitiamo ancora.

Rayman è il primo, glorioso capitolo di una saga che avrebbe insegnato a Ubisoft a volare alto. Arrivò con il passo felpato dei platform classici, ma con un’identità grafica così audace da sembrare una pellicola animata interattiva. In un’epoca che inneggiava al poligono come soluzione a ogni male, Rayman rispose con fondali illustrati a mano, palette cromatiche acide e animate come un film di fantasia europeo, animazioni talmente fluide da sembrare elastiche. La critica se ne innamorò subito, il pubblico pure: prima 900.000 copie in due anni, poi un crescendo fino a toccare l’incredibile traguardo di milioni di unità vendute complessivamente. Gli anni successivi lo portarono ovunque: su Game Boy Color nel 2000, su Game Boy Advance nel 2001, nei servizi digitali di PlayStation dal 2008 e persino preinstallato sulla PlayStation Classic nel 2018. Nel mezzo, un’onda lunga fatta di porting, espansioni, riedizioni e, più recentemente, una promessa che accende gli occhi: nell’ottobre 2024 Ubisoft ha annunciato un remake, affidandolo al team di Ubisoft Milano. Il cerchio, per una volta, non si chiude: si allarga.

La trama è una fiaba che profuma di foreste umide e cieli carichi di elettricità. Nella Radura dei Sogni tutto vive in equilibrio attorno al Grande Protone. Quando Mr. Dark lo ruba, gli Electoon — minuscole essenze di armonia — si scompaginano come note sparse su uno spartito strappato. Betilla, la fata guardiana, prova a fermare lo stregone e cade, lasciando a Rayman il compito di rimettere ordine: recuperare gli Electoon, riportare a casa il Protone e ridare al mondo il suo respiro. È un racconto semplice, archetipico, ma raccontato con una delicatezza che non invecchia. Ogni mondo è un capitolo di un libro illustrato: la Foresta Incantata che sussurra, la Terra della Musica che si arrampica sugli strumenti, le Montagne Blu scavate nel ghiaccio e nella roccia, Immaginopoli che trasforma l’atelier in campo di battaglia, le Caverne di Skops dove la luce è un favore concesso, e il Candy Chateau, paradiso glicemico e inferno di precisione. L’epilogo, con Mr. Dark che ribalta regole, direzioni e meccaniche, è uno di quei finali che si incidono nella memoria muscolare prima ancora che in quella narrativa.

È però nella grammatica del gioco che Rayman diventa davvero Rayman. Il corpo modulare del protagonista non è un vezzo estetico: è level design incarnato. Il pugno telescopico, prima scintilla concessa da Betilla, definisce la distanza come spazio d’azione; la presa agli spigoli dà ritmo alle arrampicate; gli anelli agganciabili trasformano l’aria in un ponte di possibilità; l’elicottero — i capelli che roteano, l’idea che diventa meccanica — introduce la verticalità controllata; la corsa sblocca l’ultimo tassello, l’inerzia, quella sensazione di poter “stare nel tempo” del livello. Il bello è che questi doni non arrivano mai come tutorial pedanti, ma come progressioni poetiche: ti dicono chi sei mentre impari a usarli. E poi ci sono i poteri temporanei, piccole parentesi che diventano momenti di teatro giocabile. Il seme magico di Tarayzan che fa spuntare la via di salvezza come una scala di edera, il super-elicottero del Musicista che spinge oltre il confine del planare, la lucciola di Joe che illumina la caverna come un cursor balenante negli anni Novanta. Sono micro-storie, cameo di design che raccontano un mondo vivo, popolato, affettuoso.

I mondi di Rayman sono memorie sensorie. Nella Foresta Incantata il tanto temuto Moskito ruggisce e punge, ma prima di diventare boss è compagno di volo, complice di una sequenza onirica che insegnava — e insegna — che i platform migliori non sono solo salti, ma relazioni. La Terra della Musica è un parco giochi sinestetico in cui tamburi e trombe non sono fondali, sono trampolini e minacce, mentre Mr. Sax governa con autorità da big band andata a male. Le Montagne Blu sono una prova di resistenza, con Mr. Stone che mette alla frusta la logica del peso e del rimbalzo; Immaginopoli è il luogo in cui i materiali d’artista si ribellano, e Space Mama, prima pirata poi astronauta, si concede il lusso di una doppia performance; le Caverne di Skops sono un buio stratificato in cui la luce è design e i suoni rimbombano come in una sala prove sotterranea; il Regno dei Dolci, infine, è una dissociazione zuccherina: padelle, biscotti, gelati, sorbetti e budini messi al servizio di un platform cattivo, ingannevolmente morbido all’occhio e di granito nelle tempistiche. Quando Mr. Dark decide di invertire i comandi o di metterti contro Bad Rayman, non è un trucco: è la dichiarazione d’intenti di un gioco che non ha paura di essere esigente. E sì, Rayman è difficile. Non “punitivo” nel senso moderno del termine, ma rigoroso. Ti chiede di ascoltarne il ritmo, di rispettarne la coreografia.

La colonna sonora merita un altare a parte. È una partitura che fonde melodia e diegesi, capace di accompagnare il gesto senza sovrastarlo. In Rayman la musica non è “sfondo”, è respiro. Le percussioni della Band Land non sono semplici atmosfere, risuonano nei tuoi pollici quando premi il salto in sync con il rimbalzo. È quel tipo di design sonoro che sembra anticipare il gusto per il platform musicale di decenni dopo.

Una delle magie del primo Rayman è la sua capacità di esistere allo stesso tempo come opera d’autore e prodotto internazionale. Lo si vede già nelle differenze tra versioni: su Jaguar, dove l’avventura ha preso forma in una stagione in cui Atari cercava ancora la sua rinascita, alcuni livelli e il famigerato Bad Rayman non trovano posto, ma l’ossatura è lì, solida, quasi a fare da manifesto delle potenzialità della macchina. Su PlayStation e Saturn la resa audiovisiva esplode, con animazioni e fondali che assumono sfumature diverse e perfino giochi di specularità negli sfondi che rimescolano la percezione. La versione MS-DOS su PC gioca il suo campionato, con doppiaggi e installazioni ingombranti per l’epoca, ma anche con un’eleganza tecnica che la rendeva sorprendentemente accessibile alle macchine meno potenti. Poi arrivano i portatili, e la lezione diventa un’altra: compressione senza snaturamento. Il Game Boy Color stringe la cinghia e semplifica, il Game Boy Advance ribalta qualche equilibrio per incontrare il giocatore on the go, aumentando vite e tolleranza, pompando luminosità e contrasto per vincere la battaglia contro schermi non retroilluminati. Nel 2016, persino il tocco mobile di Rayman Classic tenta la carta della preservazione tascabile, con salvataggi automatici e difficoltà selezionabili, a dimostrazione di quanto quella grammatica del salto sia, nel tempo, più elastica del suo eroe.

Prima che “user generated content” diventasse parola d’ordine, Rayman giocava con la sua community. Nel 1997 e nel 1998, con Rayman Designer e Rayman par ses fans, Ubisoft regalava un editor e poi una selezione curata di livelli creati dalla comunità. Era un atto d’amore e un’intuizione: la Radura dei Sogni è un luogo che vive se lo abitiamo insieme. Non stupisce, allora, che la storia dello sviluppo suoni come una ballata di bottega. Michel Ancel, illustratore, musicista, programmatore, visionario, immaginò Rayman da ragazzo, mentre “inseguiva insetti strani” e studiava il ray tracing; con Frédéric Houde e l’artista Alexandra Steible plasmò un personaggio che è lettera d’amore alla grafica 2D e al cinema d’animazione europeo. Il percorso tecnico passò da corridoi in cui lo SNES su cartuccia non riusciva a contenere l’ambizione del progetto, da un Jaguar che offriva potenza 2D e cartucce capienti, fino all’approdo su una PlayStation che — ironia della storia — doveva convincere il mondo che i side-scroller avevano ancora molto da dire. Lo disse Rayman, con una chiarezza disarmante.

La critica rispose con una standing ovation. Voti altissimi, premi per musica e animazione, la sensazione condivisa che quel platform “alla vecchia” parlasse una lingua nuova. Certo, qualcuno storceva il naso per la severità di certe sezioni; ma era una severità elegante, mai gratuita, che trasformava la vittoria in rito. Ed è forse per questo che la sua eredità pesa così tanto. Senza Rayman non avremmo avuto la via maestra che conduce agli splendori di Origins e Legends, due opere che hanno riportato la saga nei territori del 2D con una maturità sbalorditiva, né quella fiducia ritrovata di Ubisoft nel potere dell’animazione disegnata e dell’humor fisico.

Arriviamo così al presente, dove anniversari e annunci si stringono la mano. Nel 2024 Ubisoft ha svelato il remake in lavorazione presso Ubisoft Milano, un gesto che ha il sapore della promessa mantenuta: riportare a casa un classico non come fossile lucido, ma come organismo vivo, capace di parlare a nuove generazioni senza tradire chi c’era già trent’anni fa. La domanda, ovvia, è una soltanto: come si rimette mano a un’icona che ha fatto della precisione, dell’arte e del ritmo la sua triade sacra? La risposta migliore, forse, l’ha già data Rayman trent’anni fa: scegli una visione chiara, circondala di musica, chiedi rispetto al giocatore, ma restituiscigli meraviglia a ogni salto.

Trent’anni dopo, rientrare nella Radura dei Sogni significa ricordare perché amiamo i videogiochi. Perché a volte, per raccontare il futuro, bisogna tornare in una foresta di liane che oscillano, in una città fatta di gomme e matite, in una terra dove i sassofoni brontolano e gli scorpioni dormono male. Rayman è questo: un patto tra occhi e mani, tra immaginazione e disciplina. Un sorriso che non invecchia, un mondo che aspetta solo che qualcuno lo rimetta in moto. E allora sì: buon compleanno, eroe senza braccia. Che il tuo pugno telescopico ci indichi ancora la strada.

Ti va di condividere il tuo ricordo più vivido di Rayman? Il livello che ti ha fatto impazzire, la musica che non ti è più uscita dalla testa, la boss fight che ancora oggi ti fa stringere il pad? Raccontacelo nei commenti: la festa, qui, continua.

Uncharted 5: il ritorno dell’avventura secondo le voci da Naughty Dog

Le mappe ingiallite che credevamo ormai parte del passato potrebbero presto condurci verso un nuovo, inatteso, tesoro. E se quel tesoro fosse Uncharted 5? L’indiscrezione è di quelle che fanno tremare le fondamenta del nostro santuario da gamer, e a lanciarla è un nome che nel mondo degli insider ha un certo peso: DanielRPK. Stando alle sue fonti, Naughty Dog, lo studio che ci ha regalato capolavori indimenticabili come The Last of Us e, ovviamente, la saga di Uncharted, starebbe lavorando a un progetto segreto. E la voce di corridoio più insistente sussurra proprio il titolo che tutti, nel profondo, sognavamo di sentire.

Se questa notizia venisse confermata, non si tratterebbe di un semplice ritorno, ma di una vera e propria resurrezione. Dal lontano 2007, quando il nostro amato Nathan Drake ha fatto il suo ingresso in scena, la serie ha saputo incantarci con una formula magica: un mix esplosivo di narrazione cinematografica, azione mozzafiato e scenari che sembrano cartoline pronte a prendere vita. Non si è mai trattato solo di trovare un tesoro, ma di vivere un’avventura degna di un blockbuster, con colpi di scena, un ritmo forsennato e un’ironia irresistibile. Uncharted è più di un videogioco; è un’esperienza che ci ha fatto esplorare templi perduti e città sepolte, facendoci sentire veri e propri cacciatori di tesori. E diciamocelo, ha conquistato un posto speciale nel nostro cuore di nerd.


Un’eredità d’oro e un nuovo capitolo

Per capire la portata di questo annuncio, dobbiamo fare un passo indietro e ripercorrere la storia di questa saga. Abbiamo vissuto quattro avventure epiche al fianco di Nathan Drake: Drake’s Fortune, Il Covo dei Ladri, L’Inganno di Drake e l’addio commovente di Fine di un Ladro. Ma la serie non si ferma qui, e ha saputo reinventarsi con due spin-off che hanno esplorato nuove prospettive. L’Abisso d’Oro, per PS Vita, e soprattutto L’Eredità Perduta, che ci ha messo nei panni delle incredibili Chloe Frazer e Nadine Ross. E proprio qui sta la chiave di lettura più intrigante di questo rumor: l’insider DanielRPK indica che il misterioso nuovo progetto sarebbe diretto da Shaun Escayg, l’uomo che già ha saputo guidare con maestria L’Eredità Perduta. Escayg conosce il DNA di Uncharted e ha già dimostrato di poterlo espandere, portando in scena personaggi femminili di una profondità e di un carisma pazzeschi, senza mai tradire lo spirito della serie.


Strategia o semplice desiderio?

Le indiscrezioni parlano di uno sviluppo che sarebbe iniziato addirittura tre anni fa, procedendo in parallelo con l’altro titolo in lavorazione presso Naughty Dog, Intergalactic: The Heretic Prophet. Se il rumor fosse fondato, significherebbe che il gioco è già a uno stadio di sviluppo avanzato, anche se non abbastanza da poterlo vedere domani. Non facciamoci illusioni, probabilmente ci vorranno ancora un paio d’anni, o forse più. Questa tempistica, però, potrebbe spiegare un’altra voce di corridoio: quella secondo cui The Last of Us Part III non sarebbe in sviluppo attivo. Una scelta strategica, insomma, per diversificare l’offerta e tornare al genere che ha reso Naughty Dog un colosso dell’industria: l’action-adventure puro e semplice. E poi, diciamocelo, sarebbe anche una mossa di marketing geniale. Se uniamo i puntini, non possiamo dimenticare che Sony Pictures ha confermato il secondo film di Uncharted. Immaginate il tempismo: l’uscita di un nuovo capitolo videoludico che coincide con quella cinematografica. Un’operazione cross-mediale che, nel mondo dell’intrattenimento, è ormai una prassi consolidata, e che in questo caso potrebbe replicare quel successo che già abbiamo visto in altre occasioni.


L’incertezza che ci fa sognare

Nonostante tutti questi indizi, dobbiamo mantenere i piedi per terra. Siamo nel reame dei rumor, e in un’industria così fluida e imprevedibile, i progetti possono cambiare forma o, in alcuni casi, scomparire nel nulla. Né Sony né Naughty Dog hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali. Eppure, il solo fatto che il nome Uncharted 5 sia tornato a circolare è bastato a riaccendere la fiamma dell’entusiasmo. Le teorie fioccano, le fan art impazziscono e le discussioni sui forum si moltiplicano a dismisura. C’è chi spera nel grande ritorno di un Nathan Drake più maturo, magari nel ruolo di mentore per una nuova generazione di avventurieri. Altri, invece, vedono un passaggio di testimone definitivo, magari alla sua figlia Cassie, che abbiamo visto nel finale di Uncharted 4, o a volti già amatissimi come Sam, Chloe o Nadine. La forza di questa saga è sempre stata la sua capacità di mescolare il familiare con l’inaspettato, e i fan si aspettano che, qualunque strada si scelga, si mantenga quella miscela unica di ironia, azione e colpi di scena che ci ha fatto innamorare.

In fondo, l’attesa è già parte dell’avventura. Come un indizio appena decifrato su una mappa segreta, questi rumor sono il primo passo di un viaggio che ci porterà, forse, a scoprire un nuovo tesoro. Nel frattempo, non ci resta che riascoltare i diari di Nathan Drake, rigiocare i capitoli che ci hanno rubato il cuore e alimentare il dibattito. Perché nelle grandi avventure, metà del divertimento sta nel percorso che ci porta alla meta.

E voi, se poteste scegliere, preferireste rivedere un Drake invecchiato ma ancora pronto all’azione, o vorreste che una nuova generazione di cacciatori di tesori scrivesse il prossimo capitolo della leggenda?

“Mafia: Terra Madre” – Il ritorno della Famiglia alle sue radici: tra sangue, onore e polvere di Sicilia

L’8 agosto 2025 non sarà una data come le altre per chi ha sangue siciliano che scorre nelle vene videoludiche e un debole per le storie criminali raccontate con potenza cinematografica. Mafia: Terra Madre, il nuovo e attesissimo capitolo della saga firmata Hangar 13 e pubblicata da 2K Games, è pronto a scendere in campo su PS5, Xbox Series X e PC. Ma questa volta, non ci troveremo nei vicoli nebbiosi di Lost Heaven o fra i palazzi art déco della criminalità americana. No. Stavolta si torna a casa. Alla Terra Madre. In un Sud Italia ruvido, bruciato dal sole e piegato dal destino. Un viaggio tra passato, violenza e identità. Un ritorno alle radici più profonde – e più oscure – della mafia.

Una nuova era per una leggenda videoludica

Il titolo internazionale del gioco è Mafia: The Old Country, e già da questo si percepisce il tono epico e malinconico del racconto. Siamo agli albori del Novecento, in una Sicilia immaginaria ma straordinariamente fedele alla realtà storica, sociale e culturale del tempo. Lontani dagli stereotipi hollywoodiani, Terra Madre non vuole solo intrattenere: vuole raccontare. Vuole mettere il giocatore di fronte a un mondo dove la mafia non è uno sfondo esotico, ma un ecosistema spietato, regolato dal giuramento, dal sangue e da leggi non scritte.

Hangar 13 ha definito questo progetto non come un semplice prequel, ma come una “lettera d’amore (o forse di morte) alle origini del crimine organizzato”. Una dichiarazione d’intenti che risuona potente già dal primo trailer ufficiale, in cui le atmosfere ricordano visivamente “Il Padrino: Parte II” e “Quei bravi ragazzi”, ma con un’identità propria, feroce e vibrante. Una storia di famiglia, tradimenti e redenzione, in cui nessuno è innocente.

Enzo Favara: il volto della tragedia

Il cuore pulsante di Mafia: Terra Madre è Enzo Favara, giovane uomo strappato alla terra per diventare uomo d’onore. La sua è una parabola tragica: cresciuto nella miseria dei campi, vede nella Famiglia Torrisi non solo un’opportunità di riscatto, ma l’unica via d’uscita da un destino già segnato. L’iniziazione non è solo un rito, è una trasformazione. Ma il prezzo è altissimo.

Enzo non è un eroe. È un uomo spezzato che sceglie il male credendo sia l’unico bene possibile. Più sale nella gerarchia criminale, più sprofonda in una spirale di compromessi, vendette e perdite. Il suo viaggio è un pugno nello stomaco, una discesa negli inferi raccontata con un linguaggio narrativo adulto, denso, cinematografico. I volti parlano, i silenzi gridano. La Sicilia respira, brucia, sussurra vendetta.

San Celeste: un mondo da vivere, non da visitare

La città fittizia di San Celeste non è solo un’ambientazione: è un personaggio. Ricreata con una precisione quasi maniacale grazie all’Unreal Engine 5, fonde le architetture barocche con l’aridità contadina, le cripte sepolcrali con i mercati chiassosi. È una Sicilia sospesa tra mito e realtà, dove ogni pietra ha sentito una confessione o un colpo di lupara.

Uno dei tratti distintivi più coraggiosi è il doppiaggio interamente in dialetto siciliano. Una scelta audace, profondamente immersiva, che abbandona la standardizzazione linguistica per abbracciare una fedeltà rara, totale. Non ci sono compromessi: Mafia: Terra Madre vuole che tu senta l’odore del mosto, il peso del lutto, il suono graffiante delle parole.

Un gameplay narrativo, brutale, necessario

Dimenticatevi l’open world invaso da icone e missioni irrilevanti. Mafia: Terra Madre opta per una narrazione lineare, compatta e potente, capace di restare addosso come il sudore di luglio in una masseria siciliana. Il gioco alterna sezioni stealth, combattimenti corpo a corpo e sparatorie con armi d’epoca. Ma la vera forza è nel peso delle scelte, in quella moralità ambigua che non concede redenzione facile.

Ogni scontro è letale, ogni pugnalata è una condanna. Le armi non sono futuristiche gadget da super soldato, ma strumenti grezzi e spietati: bastoni, coltelli, fucili a canne mozze. Anche il sistema di trasporto riflette la realtà storica: ci si sposta a piedi, a cavallo, in carrozza o con le prime automobili scoppiettanti. La mappa è vasta ma non dispersiva: ogni luogo ha un senso, ogni angolo è un frammento di storia da scoprire.

Una ricostruzione storica da far tremare i polsi

Hangar 13 ha collaborato con Stormind Games, studio siciliano già noto per il suo legame col territorio, per costruire un mondo che fosse autentico fino al midollo. Foto d’epoca, registrazioni sul campo, interviste con storici locali e artigiani: nulla è stato lasciato al caso. Costumi, rituali, architetture e persino i canti popolari raccontano un’epoca in cui l’onore era una maledizione e la vendetta una religione.

In Terra Madre, la mafia non è glamour: è disperazione, sopravvivenza, povertà trasformata in potere tramite la violenza. E questa verità fa male. Ma è anche ciò che rende il gioco così potente.

Edizioni speciali, bonus e il patto con i fan

Due le versioni disponibili: Standard e Deluxe. Preordinando si riceve il Soldato Pack, con bonus estetici come il cavallo “Tesoro” e l’abito “Soldato”. La Deluxe Edition è un vero tesoro per i fan: include armi leggendarie, skin esclusive, un artbook digitale e la colonna sonora orchestrata da BT e dalla Czech National Symphony Orchestra.

E non finisce qui: chi collega il proprio account 2K ai precedenti capitoli della saga sbloccherà bonus cross-game. Un modo elegante per premiare la fedeltà. Perché, si sa, nella Famiglia la lealtà è tutto.

La sfida dei titani: GTA VI, Borderlands 4… e poi lei

Il 2025 sarà un anno infuocato per Take-Two: l’attesissimo GTA VI, il ritorno di Borderlands 4, e ora Mafia: Terra Madre. Un trittico da brivido. Ma attenzione: Terra Madre non cerca di primeggiare in grandezza. Cerca di colpire nel cuore. Vuole essere il gioco più vero, non il più vasto. E forse, proprio per questo, sarà anche il più memorabile.

Una ferita, un giuramento, un destino

Mafia: Terra Madre non è solo un videogioco. È un’opera narrativa intensa, un film interattivo, un dramma umano in salsa mediterranea. È un ritorno alle origini, ma anche una sfida al presente. È il grido di una terra che non dimentica, e di uomini che non possono redimersi.

E tu, sei pronto a fare il giuramento? Perché in questa Famiglia non si entra per caso. E soprattutto, non se ne esce.


Mafia: Terra Madre sarà disponibile dall’8 agosto 2025, al prezzo di 49,99 euro. Un prezzo onesto per un viaggio che vi lascerà il segno.

🌿 La Sicilia vi chiama. E la mafia torna a casa.
🎮 Voi risponderete?
Diteci nei commenti cosa ne pensate, raccontateci la vostra esperienza con i vecchi capitoli, e condividete l’articolo con chi, come voi, sa che certe storie non finiscono mai.
La Famiglia vi osserva. Sempre.

Final Fantasy IX: 25 anni di magia, ricordi e avventure nel cuore dell’ultimo grande classico Square

Correva l’anno 2000. Eravamo all’alba di un nuovo millennio, tra il timore del Millennium Bug e il fermento per un futuro tutto da scrivere. Ma in Giappone, sotto le luci al neon delle sale giochi e tra scaffali pieni zeppi di capolavori videoludici, c’era un nome che echeggiava ovunque: Final Fantasy. Dopo l’enigmatico e divisivo ottavo capitolo, che aveva portato la saga verso atmosfere più mature e tecnologiche, Square – all’epoca ancora priva della fusione con Enix – compì una scelta controcorrente, un vero e proprio colpo di teatro. Il 7 luglio del 2000 arrivò Final Fantasy IX, un capitolo che nessuno si aspettava, ma che molti avrebbero imparato ad amare profondamente. Oggi, venticinque anni dopo, Final Fantasy IX è più vivo che mai. Non solo nei nostri ricordi, ma anche in una community attivissima che continua a celebrarlo, a reinterpretarlo, a sperare in un remake che – chi lo sa – potrebbe essere dietro l’angolo. Ma cos’ha reso questo gioco così speciale da meritarsi un posto d’onore nel cuore di milioni di fan? Scopriamolo insieme, ripercorrendo le atmosfere, le emozioni e le magie di un’avventura che ha saputo farci ridere, piangere, riflettere… e soprattutto vivere.

Un inaspettato ritorno alle origini: quando il fantasy era ancora pura meraviglia

Nel momento in cui la saga sembrava ormai saldamente ancorata a scenari futuristici e trame sempre più complesse, Final Fantasy IX compì una virata decisa verso il passato. Addio megalopoli cibernetiche e armi nucleari, benvenuti regni medievali, foreste incantate, draghi e magie antiche. Gaia, il mondo in cui si svolge l’avventura, è un omaggio vivente all’epic fantasy, un mosaico di terre magiche e città sospese tra steampunk e fiaba classica.

E se da un lato la direzione artistica – curata da Toshiyuki Itahana e Shukou Murase – ci regala ambientazioni da libro delle favole, dall’altro la trama, scritta dal trio Sakaguchi-Kitagawa-Nojima, ci sorprende con una profondità inaspettata. Il protagonista, Gidan Tribal, è tutto tranne che l’eroe tormentato a cui ci aveva abituati Cloud o Squall: è un ladro dal cuore d’oro, impulsivo, affettuoso, spesso buffo ma mai banale. La sua missione? Rapire la principessa Garnet. Ma come in ogni grande storia che si rispetti, niente va secondo i piani.

Personaggi memorabili per un viaggio indimenticabile

Quello che davvero distingue Final Fantasy IX dagli altri capitoli della saga è il suo cast corale. Ogni personaggio ha una voce unica, un passato denso di emozioni, un arco narrativo che evolve in modo coerente e coinvolgente. Vivi Ornitier, il piccolo mago nero, è forse il simbolo stesso del gioco. Con i suoi occhi luminosi e il suo cappello sproporzionato, sembra uscito da una fiaba per bambini, ma dietro al suo aspetto tenero si nasconde una delle riflessioni più profonde mai affrontate in un videogioco: cosa significa vivere? Cosa significa morire? E che valore ha la nostra esistenza, anche se destinata a finire?

Accanto a Vivi troviamo personaggi altrettanto straordinari: Steiner, il cavaliere impacciato ma fedele; Freija, l’amazzone tragica alla ricerca dell’amore perduto; Eiko, l’ultima dei suoi, testarda e vulnerabile; Amarant, il guerriero solitario dal cuore incatenato. E poi lei, Garnet – o Daga, come preferisce farsi chiamare – una principessa in fuga, che attraversa il dolore della perdita e la scoperta della libertà. È difficile non affezionarsi a ciascuno di loro. E, cosa ancora più rara, è difficile dimenticarli.

Gaia: un mondo costruito con amore e meraviglia

Visitare Gaia è come sfogliare un libro illustrato dove ogni pagina è un’opera d’arte. Alexandria, con i suoi castelli e i teatri; Lindblum, una città industriale sospesa tra torri meccaniche e tradizioni secolari; Burmesia e Cleyra, regni gemelli di pioggia e sabbia; il misterioso Continente Esterno, le lande innevate, i templi perduti. Ogni luogo racconta una storia, ogni villaggio ha le sue leggende, ogni scorcio è pensato per stupire.

E non dimentichiamo Tera, il mondo parallelo che ci proietta verso una dimensione onirica e decadente, e infine il Luogo dei Ricordi, dove realtà, sogno e memoria si fondono in un’esperienza quasi metafisica. Final Fantasy IX riesce là dove molti RPG falliscono: farci sentire parte di un mondo vivo, che respira, che cambia insieme a noi.

Un gameplay classico con il cuore nuovo

Dal punto di vista del gameplay, Final Fantasy IX sceglie la via della semplicità senza rinunciare alla profondità. Il sistema di combattimento a turni torna in tutto il suo splendore, arricchito da un’interfaccia elegante e da meccaniche ben rodate. Il sistema delle abilità, legato all’equipaggiamento, aggiunge un elemento strategico interessante: più usi un’arma o un’armatura, più interiorizzi le sue abilità. Una scelta che premia chi esplora, sperimenta e non ha paura di cambiare.

Innovativa anche l’introduzione degli Active Time Events (ATE), che permettono di assistere a scene opzionali in cui altri personaggi vivono eventi paralleli. Non solo un modo per arricchire la lore, ma anche uno strumento narrativo potente, che crea empatia e senso di comunità. E poi c’è il Tetra Master, il minigioco di carte che – pur non raggiungendo la popolarità del Triple Triad di FFVIII – ha saputo appassionare moltissimi fan con il suo sistema di regole criptiche e collezionismo sfrenato.

La sinfonia d’addio di Nobuo Uematsu

Se c’è un elemento che eleva Final Fantasy IX a opera d’arte, è senza dubbio la colonna sonora. Nobuo Uematsu, storico compositore della saga, firma qui la sua ultima OST completa per un capitolo principale. E lo fa regalando al mondo una delle più belle partiture mai scritte per un videogioco.

Ogni brano è una pennellata d’emozione: dalla malinconia dolce di “Vamo’ alla Flamenco” alla maestosità di “You’re Not Alone”, fino alla struggente “Melodies of Life”, che ancora oggi riesce a far venire i brividi a chiunque l’abbia ascoltata durante i titoli di coda. Uematsu ha dichiarato che con Final Fantasy IX voleva trasmettere un messaggio semplice, ma potente: Vivere! – con il punto esclamativo. E c’è riuscito.

Una leggenda che continua a brillare

Nel tempo, Final Fantasy IX ha saputo scrollarsi di dosso l’etichetta di “fratello minore” rispetto al settimo e ottavo capitolo. Con quasi dieci milioni di copie vendute, un Metacritic da urlo e una fanbase agguerrita, è diventato uno dei titoli più amati dell’intera saga. Un successo costruito nel tempo, con pazienza, con amore. E oggi, più che mai, il gioco continua a vivere grazie a iniziative della community.

La più celebre è sicuramente Moguri Mod, una mod fan-made sviluppata da “snouz” che trasforma la versione PC in un’edizione definitiva. Sfondi ridisegnati grazie all’intelligenza artificiale, migliorie audio, menù ripuliti e una fluidità che rende giustizia all’esperienza originale. Una vera dichiarazione d’amore che ha riportato Final Fantasy IX sotto i riflettori anche per le nuove generazioni.

Remake in vista? Il sogno che potrebbe diventare realtà

E ora veniamo alla domanda che tutti si pongono: Final Fantasy IX avrà mai un remake? Le voci si fanno sempre più insistenti. Secondo l’insider NateTheHate, Square Enix starebbe lavorando a un rifacimento completo, previsto addirittura prima della conclusione della trilogia remake di FFVII. Si parla del 2026, anno in cui potremmo – forse – tornare a volare tra le navi di Lindblum con grafica moderna e doppiaggio integrale.

Ma c’è un ostacolo non da poco: la vastità del contenuto originale. Naoki Yoshida ha lasciato intendere che un remake completo potrebbe richiedere un formato episodico, una scelta che divide i fan. Alcuni sarebbero pronti a tutto pur di tornare a Gaia, altri temono che si possa perdere l’unità narrativa che rende Final Fantasy IX così speciale. Square Enix, per ora, tace. Ma a volte il silenzio è più eloquente di mille annunci.

Un’eredità eterna. Un invito a sognare, ancora

In un panorama videoludico sempre più frenetico, realistico e cinico, Final Fantasy IX resta un baluardo di poesia, fantasia e umanità. È l’ultima grande fiaba della saga classica, un racconto che ci accompagna da un quarto di secolo senza perdere un briciolo della sua magia. Non è invecchiato: è cresciuto insieme a noi. Come i ricordi migliori, quelli che custodiamo in fondo al cuore, tra le note di una canzone e le lacrime di un finale indimenticabile.

E ora che il gioco compie 25 anni, non resta che tornare a Gaia. Che sia con un vecchio salvataggio su PS1, con la versione rimasterizzata o, chissà, con un remake futuro, l’importante è non dimenticare mai il messaggio che Final Fantasy IX ci ha lasciato: vivere! Con il punto esclamativo.


E tu? Hai giocato Final Fantasy IX quando uscì? O l’hai scoperto più tardi? Hai un ricordo speciale legato a Vivi, Gidan, Garnet o alla tua prima partita a Tetra Master? Raccontacelo nei commenti qui sotto o condividi l’articolo sui tuoi social: riviviamo insieme la magia di questo capolavoro senza tempo.