Le Tartarughe Ninja tifano l’Inter?

In occasione di Inter-Genoa la squadra di Simone Inzaghi è scesa in campo con la jersey limited edition che celebra “Le Tartarughe Ninja”. Gli amatissimi character, che proprio quest’anno compiono 40 anni, hanno inaugurato i festeggiamenti con questa speciale iniziativa per festeggiare l’arrivo su Paramount+ del loro ultimissimo film d’azione: “Tartarughe Ninja Caos Mutante”.

Nate nel 1984 dalla matita di Kevin Eastman e Peter Laird, nelle pagine di una serie a fumetti indipendente, sono diventate in breve tempo un vero e proprio fenomeno cult tra gli anni ’80 – ’90. Per quanto riguarda la serie animata, nel 2003 è andato in onda il primo reboot, intitolato semplicemente “Tartarughe Ninja”. Nel 2012 e nel 2018 Nickelodeon, il brand di Paramount per ragazzi e famiglie, ha prodotto invece due serie molto diverse tra loro. La prima, in computer grafica, era intitolata “Teenage Mutant Ninja Turtles”, conosciuta anche semplicemente come TMNT, seguita nel 2018 da “Il destino delle Tartarughe Ninja”, che tornava all’animazione tradizionale. Anche al cinema le Tartarughe Ninja hanno avuto lunga vita, con cinque film in live action usciti tra il 1990 e il 2016 e cinque film d’animazione, tra cui l’ultimo “Tartarughe Ninja Caos Mutante”, e uscito lo scorso agosto 2023.

Raffaello, Leonardo, Donatello e Michelangelo sono i 4 fratelli ciascuno con una propria personalità. Raffaello è il più grande e determinato, ha poca pazienza per le operazioni delicate. Leonardo, considerato il leader del gruppo aspira ad essere il perfetto eroe. Donatello è il solitario, abilissimo ad inventare veicoli e ogni genere di arma anche usando materiali di scarto. Michelangelo è pieno di vita, anche se si distrae facilmente, ama la cultura pop, e cerca sempre di essere all’ultima moda.

La firma, La Madonna adolescente, Il dente del peccato: in due parole… La Pietà Vaticana

La Pietà vaticana è l’unica opera che Michelangelo abbia mai firmato. C’è un episodio piuttosto fantasioso riportato dal Vasari nel suo “Le vite”, in cui viene rivelata la ragione di questa firma, incisa su una fascia trasversale sopra il petto della Vergine. Alcuni gentiluomini lombardi stavano ammirando la bellezza della statua della Pietà e, dopo averne tessuto le lodi, cercarono di identificarne l’autore. Alla fine si convinsero che fosse opera di un loro conterraneo, il Gobbo di Milano. Michelangelo, che aveva ascoltato la discussione, si nascose nella chiesa e di notte intagliò il suo nome sulla statua:

MICHEL.A[N]GELVS BONAROTVS FLORENT[INVS] FACIEBAT

(Lo fece il fiorentino Michelangelo Buonarroti)

È più probabile che in realtà Michelangelo avesse seguito l’usanza dei pittori toscani dell’epoca, che successivamente decise di abbandonare. Nonostante la Pietà avesse destato fin da subito un’enorme ammirazione, vennero mosse delle critiche all’aspetto giovanile del volto della Vergine, che sembra un’adolescente. Questa fu una scelta consapevole del Michelangelo, che come specificato dai suoi biografi, fu di natura teologica. La Vergine incorrotta, l’Immacolata Concezione, è il simbolo di una giovinezza cristallizzata, che non può appassire; l’artista si rifà anche ai versi del paradiso di Dante: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”. La statua della Pietà ha un’altra particolarità, più difficile da notare: il Cristo ha un dente in più, un quinto incisivo. Questo dente è soprannominato “il dente del peccato” e nelle opere di altri artisti rinascimentali è prerogativa di personaggi negativi. Il Cristo della Pietà, invece, dovrebbe esserne stato dotato perché, con la sua morte, prende su di sé tutti i peccati del mondo.

Il ventuno maggio del 1972 un geologo ungherese di passaporto australiano, Laszlo Toth, eluse la sorveglianza della Basilica di San Pietro e colpì ripetutamente con un martello la Pietà vaticana. Spaccò il braccio sinistro della Vergine e provocò numerosi danni al volto, staccando il naso e la palpebra sinistra. L’uomo fu fermato prima che potesse continuare a infierire sul Cristo. Giudicato insano di mente, fu prima rinchiuso in un manicomio italiano e poi rimpatriato in Australia. Ci fu un lungo dibattito in Vaticano riguardo al tipo di restauro da effettuare: una corrente suggeriva di lasciare il volto della Madonna sfigurato, come testimonianza di un’epoca dominata dalla violenza; una seconda propendeva per un restauro critico, in cui cioè venissero messe in evidenza le parti mancanti o rifatte; la terza proposta, quella di un restauro integrale, alla fine ebbe la meglio. Si concluse, difatti, che anche la più piccola lesione nella perfezione splendente della Pietà di Michelangelo Buonarroti sarebbe stata intollerabile

di Annarita Sanna

Le Terme di Diocleziano

Le Terme di Diocleziano, le più grandi del mondo romano, furono erette da Massimiano e Diocleziano in soli otto anni, tra il 298 e il 306 d.C. nella zona tra i colli Viminale e Quirinale. Per la costruzione del complesso furono demoliti numerosi edifici pubblici e privati. Le Terme, che si estendevano su una superficie di oltre 13 ettari, erano delimitate da un ampio recinto con ingresso principale nel lato nord-orientale e, al centro del lato opposto, da una grande esedra con gradinate, corrispondente all’odierna piazza della Repubblica.
 
 
Ai lati dell’esedra si trovavano due biblioteche affiancate ai margini del recinto, da due sale circolari, una trasformata nel 1598 nella chiesa di san Bernardo, l’altra tuttora visibile all’inizio di via del Viminale. Gli ambienti principali, frigidarium, tepidarium e calidarium, erano posti in successione lungo un asse centrale ai lati del quale si articolavano simmetricamente tutte le altre aule: accanto al frigidarium erano poste due grandi palestre scoperte, delle quali quella occidentale è parzialmente visibile nell’area archeologica lungo via Cernaia. Allineate con il calidarium, erano due sale ottagone una delle quali fu utilizzata dal 1928 agli anni 80 come come planetario.
 
 
 
Il complesso fu restaurato all’inizio del V secolo e rimase probabilmente in uso per pochi altri decenni. Dopo quasi mille anni di abbandono, nel 1561 papa Pio IV decise di realizzare all’interno delle Terme una basilica con annessa Certosa dedicata alla Madonna degli Angeli e alla memoria dei martiri cristiani che, secondo la leggenda, erano morti durante la costruzione delle Terme. Il progetto fu affidato a Michelangelo che, rispettoso dell’edificio antico, utilizzò il frigidarium e il tiepidarium senza alterarne le caratteristiche e ideò il Chiostro grande; negli stessi anni fu realizzato anche il Chiostro piccolo, adiacente al presbiterio della chiesa, che occupa circa un terzo della grande piscina delle Terme (natatio). A partire dal 1575 con Gregorio XIII, le grandi aule delle Terme furono trasformate in granai e depositi per l’olio. Nel 1889 il Complesso delle Terme di Diocleziano e della Certosa divenne la sede del Museo Nazionale Romano.
 

L’elefantino a Piazza della Minerva

“Ci vuole una mente robusta per sostenere una solida intelligenza”.
 
Questa la risposta di Papa Alessandro VII a chi chiedeva cosa ci facesse un elefantino sotto l’obelisco di piazza della Minerva. La si può leggere nel basamento della statua.
 
La piazza prende il nome dal “Tempio di Minerva Chalcidica”, situato all’interno dei “Saepta Iulia” ed eretto da Domiziano. Nei frammenti della pianta marmorea severiana il tempio appare di pianta circolare, probabilmente con un giro di colonne, su base quadrata provvista di gradini su tutti e quattro i lati e sorgeva dove oggi si trova la chiesa di S.Marta, ma la chiesa che domina la piazza, S.Maria sopra Minerva esisteva, secondo la tradizione, al tempo di papa Zaccaria (741-752) e fu concessa da quel pontefice alle suore basiliane provenienti da Costantinopoli; nel secolo IX viene citata dall’Anonimo di Einsiedeln. L’antica chiesa, denominata “S.Maria in Minervium”, era di piccole dimensioni e così lasciò il posto ad un’altra più grande nel 1280, allorché i Domenicani subentrarono alle suore Basiliane.
 
 
L’interno della chiesa presenta tre navate, divise da 12 pilastri, e termina nel transetto, che ha una cappella ed un coro. Poche altre chiese possono vantare una raccolta così imponente e ricca di opere d’arte italiane. Lo stile monumentale del Rinascimento romano è evidente nelle tombe del XVI secolo dei papi della famiglia Medici, Leone X e Clemente VII, opere di Antonio da Sangallo, e nella preziosa Cappella Aldobrandini. Vicino ai gradini del Coro si trova la famosa statua di “Cristo risorto”, commissionata a Michelangelo nel 1514. In fase di ultimazione apparve però sul viso del Cristo una sgradevole venatura nera, per cui Michelangelo decise di eseguire una seconda versione, al compimento della quale collaborarono anche gli allievi Pietro Urbano (poi sostituito) e Federico Frizzi.
 
 
La statua venne qui collocata il 27 dicembre 1521: da notare che originariamente il Cristo era nudo e che il panneggio dorato fu aggiunto soltanto in seguito, dopo il Concilio di Trento (1545-63). Numerosi i sepolcri, da quello di Fra’ Giovanni da Fiesole detto “Beato Angelico” a quelli di Andrea Bregno, da Giovanni Vigevano alla beata Maria Raggi: quest’ultimo, in particolare, è opera di Gian Lorenzo Bernini eseguita nel 1647. Un sontuoso drappo funebre nero bordato di giallo, fissato ad uno dei pilastri gotici della navata, è mosso dal vento che increspa anche l’epigrafe; due angioletti reggono faticosamente un grande medaglione dorato dove è ritratta suor Maria Raggi, mentre una grande croce, seminascosta dal drappo, corona l’opera.
 
 
Sotto l’altare maggiore spicca la tomba di S. Caterina da Siena, patrona d’Italia: la statua giacente della santa, scolpita nel XV secolo, è opera di Isaia da Pisa. Caterina morì nel 1380 in un edificio posto nella vicina piazza di S.Chiara, ma la camera dove morì è stata qui ricostruita, con le medesima mura, dietro la sacrestia, nel 1637. Forse il pezzo più interessante è il Crocefisso ligneo che si trova nel transetto, attribuito a Giotto e databile tra il XIV ed il XV secolo. La chiesa della Minerva fu teatro della più fastosa delle cerimonie per la consegna della dote alle “povere zitelle” che volevano sposarsi o entrare in convento: alla cerimonia partecipava il papa che qui giungeva in fastoso corteo ogni 25 marzo, festa dell’Annunciazione.  Le ragazze, in corte a due a due, biancovestite e con un velo pure bianco che a malapena lasciava scoperti gli occhi (infatti, erano chiamate “le ammantate”), andavano a prosternarsi con un cero in mano dinanzi a Sua Santità, che, dopo averle ammesse al bacio della Sacra Pantofola, consegnava loro una borsa bianca con una dote di 50 scudi per quelle che intendevano prendere marito e di 100 scudi per quelle che intendevano prendere il velo.
 
 
Innanzi alla chiesa, al centro della piazza, sorge il piccolo obelisco della Minerva , in granito rosso, alto 5,47 metri, eretto originariamente dal faraone Aprie (589-570 a.C.), di cui reca i geroglifici insieme ai nomi degli dei Atum e Neit (da notare che Neit era una dea egizia corrispondente alla Minerva della mitologia greco-romana). Si ignora quando fu trasportato a Roma per essere innalzato nel vicino Iseo Campense: lo trovarono i domenicani di S.Maria sopra Minerva all’interno del giardino del monastero e vollero che venisse eretto nella loro piazza. L’elefantino che sorregge l’obelisco fu disegnato dal Bernini e scolpito da Ercole Ferrata e venne eretto l’11 luglio 1667. Il curioso monumento apparve subito più un “porcino” (ossia, un piccolo porco) che un elefantino e, difatti, così lo soprannominarono, anche se, con il tempo, il termine si fece più aggraziato e divenne un “pulcino”.
 

La casa romana di Michelangelo

C’è una rientranza all’ imbocco dei Fori Imperiali, vicino ai ruderi del Foro Traiano. Proprio lì viveva il pittore della Cappella Sistina, e una targa lo ricorda:

« Qui era la casa consacrata dalla dimora e dalla morte del divino Michelangelo. SPQR 1871».

Si noterà la sintesi estrema: all’ artista più immenso che la città eterna abbia mai avuto bastano poche parole. Ma la targa in fondo dice tutto. Michelangelo abitò in quella casa per cinquant’ anni (salvo i periodi che trascorse lontano da Roma, a Firenze, a Venezia, sulle Apuane). Gliela misero a disposizione nel 1513 gli eredi di Giulio II, affinché, dopo la morte di questi, potesse completare l’ ambizioso progetto del papa: la scultura delle statue della sua tomba. Quel progetto, che inizialmente prevedeva 40 statue ma che si ridusse via via, e che Michelangelo non riuscì mai a realizzare, fu una delle grandi tragedie della sua vita di artista.

La casa – situata in una zona popolare della città, allora chiamata Macel de’ Corvi – era modesta: comprendeva due camere da letto, la bottega al pianterreno, un tinello e la cantina. C’ erano anche una loggia, la stalla e l’ orto. Secondo quanto scrisse lui stesso, Michelangelo ci visse« povero e solo come spirito legato in un’ ampolla », rinchiuso in quelle stanze « come la midolla da la sua scorza». La zona circostante era puzzolente, perché la gente che lavorava nei dintorni la usava come discarica, buttandoci carogne di gatti e di altri animali, e come latrina: purtroppo « non vanno altrove a cacar tutti quanti», commentò scherzosamente Michelangelo in un sonetto burlesco. Eppure in quella « scura tomba» si trovò bene.

Ci abitò negli anni eroici in cui dipinse il Giudizio Universale, e in quelli amari della Cappella Paolina e della fabbrica di San Pietro. Anni di trionfi e turbamenti, battaglie e umiliazioni, inquietudini spirituali e teologiche, nel corso dei quali realizzò capolavori che lo resero «divino» agli occhi del mondo, ma in cui dovette anche subire sconfitte e fallimenti, rinunciare ai suoi sogni più grandiosi, lottare contro l’ invidia e la gelosia dei suoi umanissimi colleghi. Anni che fecero di lui l’ artista più pagato e più ricercato di tutti i tempi- il più celebre e il più temuto per le sue collere violentissime e per il suo orgoglio smisurato. Eppure, l’ artista dei papi e del potere non traslocò mai. Anche quando divenne uno degli uomini più ricchi di Roma continuò a vivere come un artigiano qualunque, senza concedersi comodità, ostentando il suo disprezzo per ogni lusso esteriore. Le ordinarie mura della casa di Macel de’ Corvi assistettero al dipanarsi di una vita straordinaria. Fu lì che il maestro rimase folgorato dalla bellezza di Tommaso Cavalieri, lì che scriveva i sonetti o le lettere a Vittoria Colonna, lì che scolpiva i suoi marmi, progettava chiese, cupole e piazze. Nella casa di Macel de’ Corvi lo scorbutico Michelangelo non abitava in realtà solo, ma con la sua bizzarra famiglia. Non si sposò mai e non prese a vivere con sé nessuno dei parenti, o nipoti, che lo afflissero tutta la vita con le loro richieste di denaro.

La sua quotidianità e il suo affetto li concesse solo al suo garzone, Francesco di Bernardino detto Urbino – che non aveva nessun talento artistico e nulla imparò vivendo per 26 anni accanto al più grande artista di tutti i tempi, ma che Michelangelo amò come un figlio, permettendogli di diventare non solo il suo servitore e assistente, ma anche il padrone di casa e, talvolta, di lui stesso. La morte prematura di Urbino addolorò Michelangelo più della morte dei suoi veri parenti. A Macel de’ Corvi visse anche una sgangherata ridda di serve – fra cui la figlia di un pizzicarolo, che fu rapita dal fratello sotto gli occhi dell’ attonito Michelangelo ottantenne. Tutte queste donne del popolo, giovani e di costumi disinvolti, furono sopportate a malapena dal misogino padrone di casa, che spesso le scacciava dopo poche settimane, maledicendo il giorno in cui le aveva assunte. Giudicava aspramente le serve «tutte puttane e porche».

Alla fine, solo una certa Caterina riuscì a resistere, ed era con lui nei suoi ultimi giorni. Nel febbraio del 1564, l’ artista novantenne fu sorpreso dal discepolo Tiberio Calcagni mentre si aggirava sotto la pioggia. Confusamente, farfugliando, gli disse che stava male, e che non trovava quiete in nessun luogo, e Calcagni lo riportò a casa. L’ ultima malattia fu breve. Michelangelo trascorse tre giorni febbricitante accanto al camino,e tre giorni a letto. Tommaso Cavalieri – ormai invecchiato padre di famiglia ma sempre devoto al geniale maestro che l’ aveva amato – l’ allievo Daniele da Volterra, Diomede Leoni e il servo Antonio gli lessero la Passione di Cristo. Poche ore dopo, nelle stanze di Macel de’ Corvi entrò il notaio e compilò l’ inventario dei beni del defunto. Michelangelo, che aveva acquistato innumerevoli proprietà immobiliari per elevare lo status sociale dei suoi parenti, possedeva solo vestiti frusti e fazzoletti logori, una lettiera di ferro, tre materassi, due coperte di lana e una di pelle d’ agnello, vasi di rame ammaccati. Nessun mobile di pregio, nessuna stoffa preziosa; né suppellettili dorate, specchi o quadri arredavano le stanze spoglie. C’ erano però sacchetti pieni di monete d’ oro – ricchezze che l’ avido maestro aveva ossessivamente voluto ma che non aveva mai speso né goduto. E di tutte le opere che aveva sognato e mai finito aveva lasciato poco: qualche disegno, due o tre cartoni, tre marmi abbozzati (fra cui la Pietà Rondanini). Tutto il resto lo aveva bruciato, nell’ ultimo rogo delle vanità della sua vita.

La casa di Macel de’ Corvi non esiste più, come ci ricorda una seconda targa, posta proprio sotto la prima:

«Questa epigrafe apposta dal comune di Roma nella casa demolita per la trasformazione edilizia è stata collocata nello stesso luogo per cura delle Assicurazioni Generali di Venezia».

La casa di Michelangelo è sparita nel 1902, quando la zona intorno a piazza Venezia fu stravolta per la costruzione dell’ Altare della Patria. La casa del maestro della bellezza fu distrutta per far posto all’ edificio che ospita le spoglie del Milite Ignoto. Quale miopia: migliaia di turisti oggi si metterebbero in fila per visitare le stanze del maestro della Cappella Sistina, per vedere il suo letto, i vestiti, gli oggetti d’ uso quotidiano, le carte, il paesaggio che vedeva ogni giorno mentre scolpiva o disegnava. E la frugalità di quest’ uomo divino sarebbe una indimenticabile lezione di etica e di umiltà. Oggi ce ne sarebbe un estremo bisogno.

di Annarita Sanna

Brawlhalla – Teenage Mutant Ninja Turtles Crossover

Turtle Power! Ubisoft in collaborazione con ViacomCBS, annuncia che Raffaello, Michelangelo, Leonardo e Donatello dalla serie di Nickelodeon Tartarughe Ninja, sono disponibili su Brawlhalla come Crossover Epici. L’arrivo degli Eroi col guscio darà inizio a un evento in-game che includerà una nuova modalità di gioco chiamata Battaglia tra squadre. Un nuovo effetto KO con Shredder e il Clan del Piede e nuovi attacchi speciali delle Tartarughe con apparizioni del Maestro Splinter e Casey Jones. Ci sarà anche una nuova mappa che raffigura le fognature verdi dalla serie Tartarughe Ninja con versioni Free-for-all e 1v1 disponibili. Inoltre, saranno disponibili quattro avatar completamente nuovi che raffigurano il simbolo del Clan del Piede, Krang, il Tecnodromo e un avatar animato con i volti di tutte le Tartarughe. Tutti gli oggetti potranno essere acquistati e giocati dopo la fine dell’evento. Questo è quello che chiamiamo tarta-meraviglioso!

Brawlhalla - Teenage Mutant Ninja Turtles Crossover Trailer | PS4

È l’ora dei Ninja! Affonda i denti in questi quattro nuovi crossover Tartarughe Ninja.

  • Raffaello – Crossover epico per Ragnir – Raffaello usa il suo skateboard, la pizza calda e gli shuriken nei suoi attacchi speciali. Le sue armi principali comprendono il suo classico doppio Sai e il cartello di attraversamento tartarughe. Ragazzi, che bello essere una Tartaruga!
  • Michelangelo – Crossover epico per Val – Con l’aiuto del maestro Splinter, i suoi attacchi speciali comprendono il suo skateboard e le pizze al formaggio. Michelangelo è pronto al combattimento con il suo ineguagliabile Nunchaku e dei pizzosi guanti da boxe. Cowabunga!
  • Leonardo – Crossover epico per Jiro – Con Casey Jones e il Maestro Splinter al suo fianco, gli attacchi speciali di Leonardo comprendono il suo skateboard e dei tranci di pizza. Leonardo è armato con le sue spade e il suo fedele bastone da hockey, donatogli dallo stesso Casey Jones.
  • Donatello – Crossover epico per Mirage – Il cervellone del gruppo usa ologrammi di se stesso nei suoi attacchi speciali. Le sue armi comprendono una nuova Falce con una testa M.O.U.S.E.R. e il suo classico bastone da Bo: garantito che i cattivoni non sapranno più da dove prenderle.

Ogni Crossover Epico è disponibile per 300 Mammoth Coins nello store in-game. Tutti gli oggetti saranno acquistabili e giocabili dopo la fine dell’evento. La modalità di gioco e la mappa saranno giocabili anche dopo la fine dell’evento: questo è il momento buono per battere un tre.

Sviluppato da Blue Mammoth, Brawlhalla è un epico gioco di combattimenti free-to-play che vede oltre 65 milioni di giocatori impegnati a combattere per la gloria nelle arene del Valhalla. Scegliendo tra oltre 50 personaggi diversi, è possibile optare per modalità giocatore singolo o in cooperativa, oltre a scegliere tra varie competizioni online e in locale. Brawlhalla supporta anche il gioco multipiattaforma tra Nintendo Switch™, PlayStation®4 e PlayStation®5, PC, dispositivi iOS e Android, e la famiglia di dispositivi Xbox One, tra cui Xbox One X e Xbox Series X|S, dove i giocatori possono partecipare a partite personalizzate e prendere parte al matchmaking online tutti insieme. Per maggiori informazioni su Brawlhalla, visitare:  brawlhalla.com. Per tutte le ultime novità su Brawlhalla e gli altri giochi Ubisoft, visitare Ubisoft News: ubisoft.com.

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