Distopia mediale: vivere o sopravvivere?

Siamo bloccati in casa da mesi a causa di una pandemia globale, quindi perché non distrarsi un po’ con un bel film o una serie post apocalittica? Sì, quei fantastici scenari in cui l’unica opzione è “morire o sopravvivere” sono diventati il pane quotidiano per molti di noi. Ma perché queste storie hanno un tale successo? Forse perché ci fanno rendere conto che potrebbe sempre andare peggio di così e ci fanno apprezzare di più i tempi tranquilli in cui possiamo andare al supermercato senza preoccuparci che ogni altro essere umano potrebbe volerci uccidere per una lattina di fagioli?

Prendiamo ad esempio “Squid Game”. Questa serie ci ha regalato uno sguardo sulla crisi economica e sociale che il mondo ha vissuto a causa del Covid-19. Ma guarda un po’, abbiamo bisogno di una serie televisiva per farci render conto di ciò che accade intorno a noi? Forse sì, perché quando qualcuno mezzi spiega la realtà in maniera romanzata, sembra tutto più interessante. Non c’è nulla di meglio di un po’ di brutalità e disperazione per accendere l’immaginazione del pubblico.

E poi c’è la questione della disumanità. Sì, siamo solo animali che cercano di sopravvivere in un mondo ostile, ma perché dobbiamo chiamarlo “disumano”? Non sarebbe meglio descriverlo come “immorale” o “moralmente discutibile”? Diciamoci la verità, ognuno di noi ha un po’ di bestia dentro, ma anche un po’ di bontà. Ecco perché in queste storie c’è sempre quel grande conflitto interiore, dove il protagonista è chiamato a scegliere tra il suo lato oscuro e il suo lato umano. È una lotta tra l’istinto brutale dei nostri antenati e l’ideale nobile suggerito da gente come Dante. Sai, il tipo che ha scritto “La Divina Commedia” mentre sperava di non essere mangiato da un gruppo di zombie medievali.

Insomma, in generale, il conflitto tra la bestia e l’umanità è un trucco che funziona sempre alla grande. Ma non dimentichiamoci dell’effetto suspense tipico dei survival. C’è qualcosa di più eccitante che vedere un gruppo di persone cercare di salvarsi la pelle in un mondo distrutto? Noi pensiamo di no. Perché affrontare problemi reali quando possiamo immergerci in un mondo post apocalittico e sentire il brivido della sopravvivenza? Mah, forse è solo un modo per distrarsi dai nostri piccoli problemi quotidiani e convincerci che le cose potrebbero sempre andare peggio.

Insomma, in un mondo dove le notizie reali sembrano un film dell’orrore, forse è solo questa inquietante realtà che ci spinge a cercare un po’ di distrazione nel genere post apocalittico. Certo, potremmo non avere un incantesimo magico che ci teletrasporti in un altro universo, ma almeno possiamo spegnere la TV e tornare alla nostra vita normale. Almeno finché una nuova serie post apocalittica non ci cattura di nuovo con le sue trame avvincenti e i suoi zombie affamati. Muori o sopravvivi, amici. Muori o sopravvivi.

Arma Infero: Il Mastro di Forgia

Quello che vi presento oggi è un libro in edizione Ebook scritto da un autore Italiano, ho avuto il piacere di leggerlo e vi posso assicurare che ne vale la pena. Qui di seguito, oltre a una mia personale considerazione, troverete tutte le informazioni sia sull’autore, Fabio Carta, che sulla sua opera, Arma Infero.

Su Muareb, un remoto pianeta anticamente colonizzato dall’uomo, langue una civiltà che piange sulle ceneri e le macerie di un devastante conflitto. Tra i pochi sopravvissuti v’è Karan, vecchio e malato, che narra in prima persona della sua gioventù, della sua amicizia con colui che fu condottiero, martire e spietato boia in quella guerra apocalittica. Costui è Lakon. Emerso misteriosamente da un passato mitico e distorto, piomba dal cielo, alieno ed estraneo, sulle terre della Falange, il brutale popolo che lo accoglie e che lo forgia prima come schiavo, poi servo e tecnico di guerra, ossia “mastro di forgia”, e infine guerriero, cavaliere di zodion, gli arcani veicoli viventi delle milizie coloniali. Ed è subito guerra, giacché l’ascesa di Lakon è il prodromo proprio di quel grande conflitto i cui eventi, lui è destinato a cavalcare, verso l’inevitabile distruzione che su tutto incombe.

Dopo averlo letto tutto, non posso ora  che darvi il mio parere personale e incondizionato, ammetto che, visto il numero di pagine, può sembrarvi lungo come libro, e in certi punti della trama vi sono alcune divagazioni un pochino prolisse e a volte le descrizioni dei luoghi o degli eventi passati possano sembrare lunghe e sul momento poco inerenti alla storia, ma, fidatevi, non è così perché alla fine tutti i nodi vengono al pettine, infatti la trama è così intrigante che ti tiene incollato fino alla fine. La mia ragazza mi doveva bastonare per staccare gli occhi dal tablet, per ricordarmi sia di cenare che di andare a lavorare, sì, lo ammetto, negli ultimi giorni a colazione mangiavo pane e Arma Inferno. Il bello di tale storia, è che la descrizione dei personaggi, non solo l’aspetto, ma anche i loro stati d’animo sono così ben descritti che sembra di viverli in prima persona. È vero che in alcuni punti la trama sembra assomigliare ad altre opere o saghe, però se ci pensate, è normale, visto che negli ultimi decenni con tutto quello che è stato scritto fino a ora sarà difficilissimo non incontrare un’opera che non somigli, in alcuni punti, con altre. Però, dal mio punto di vista, visto anche il prezzo, vi suggerirei di dargli una possibilità, in quanto io l’ho trovato davvero bellissimo e non vedo l’ora di leggere il secondo capitolo della saga e spero che ce ne saranno altre in futuro.

Fabio Carta, romano del 1975 è appassionato di fantascienza ma anche dei classici della letteratura, come i romanzi del ciclo bretone e cavallereschi in generale; dipendente pubblico, sposato con due figli, è laureato in Scienze Politiche con indirizzo storico. Ha  pubblicato con la Inspired Digital Publishing la saga fantascientifica “Arma Infero”, una serie che a oggi conta due romanzi (Arma Infero – Il mastro di forgia  e  Arma Infero – I cieli di Muareb). Inoltre per la Delos Digital ho scritto un racconto lungo unitamente alla finalista del premio Urania 2016, Emanuela Valentini, intitolato “Megalomachia”. Ha avuto l’onore di partecipare con diverse, importanti firme della fantascienza italiana all’iniziativa “Penny Steampunk” del 2016 da cui è nato un volume di racconti fantastico-weird a tema steampunk a cura di Roberto Cera (ed. Vaporosamente). Ha infine pubblicato di recente il romanzo cyberpunk “Ambrose”per i tipi di Scatole Parlanti.

 

Film e romanzi per esplorare il futuro distopico

In questi ultimi anni il cinema americano ci propone, costantemente, una ricca offerta di film tratti dai “Popular Young Adult Science Fiction Books“: The Hunger Games, trilogia di fantascienza per ragazzi scritta da Suzanne Collins che comprende Hunger Games (2008), La ragazza di fuoco (2009) e Il canto della rivolta (2010).

Divergent, primo racconto della trilogia creata dalla scrittrice americana Veronica Roth. Pubblicato negli Stati Uniti il 3 maggio 2011 è diventato in breve tempo un best-seller con più di un milione di copie vendute. Successi come anche Il mondo di Jonas (Quartet of The Giver) o The Giver – Il donatore (1993), di Lois Lowry , primo capitolo di una fortunata serie di cui fanno parte anche i romanzi La rivincita (2000), Il messaggero (2004) e Il figlio (2012), uscito in Italia con il titolo Il mondo di Jonas, (Mondadori, 1995)  e come The Giver – Il donatore (Giunti, 2010). Senza dubbio queste pellicole segnalano il riemergere dell’interesse del pubblico giovanile verso un genere che ha più di cent’anni di vita: il romanzo distopico. La letteratura ci fornisce innumerevoli esempi di società distopiche: già nel primo Novecento incontriamo narrazioni fantapolitiche e antitotalitarie. Precursore del genere è forse H.G. Wells, che nel 1895, nel suo romanzo La macchina del tempo aveva immaginato un futuro in cui i discendenti della classe dirigente vittoriana, gli Eloi, venivano allevati come carne da macello dai Morlocchi, discendenti della classe operaia.

Il padrone del mondo di Hugh Robert Benson, scritto nel 1907, è un romanzo profetico che racconta l’ascesa del grande filantropo Giuliano Felsemburgh, democratico e rassicurante fautore della pace mondiale, realizzerà un mondo ideale con l’avvento di un nuovo umanitarismo volto a  stemperare le differenze fra le religioni e predica la tolleranza universale ma che sfocerà in violenze e persecuzioni nei confronti della Chiesa cattolica.

Il mondo nuovo (Brave New World) altro romanzo di fantascienza di genere distopico scritto nel 1932 da Aldous Huxley anticiperà temi quali lo sviluppo delle tecnologie della riproduzione, l’eugenetica e il controllo mentale, usati per forgiare un nuovo modello di società. Difatti Il romanzo distopico è caratterizzato dalla presenza nella storia di una società che è la peggiore possibile. Il termine distopia nasce nel 1868 a opera del filosofo John Stuart Mill, anche se un termine diverso ma dallo stesso significato (cacotopia – dal greco kakós ovvero cattivo e tòpos – luogo) era già stato usato nel 1818 da Jeremy Benthan.

Questi racconti hanno molte caratteristiche comuni ma anche alcuni tratti distintivi: la rappresentazione di società futuristiche distopiche, la presa di coscienza della realtà da parte di giovani “eroi”, la presenza di adulti guida e/o antagonisti e il capovolgimento dello status quo. L’ambientazione del romanzo distopico è sostanzialmente un lontano futuro, o un presente che si è evoluto in modo diverso – e peggiore – da quello reale e che rifiuta fortemente il passato, ogni forma di emozione e di libero pensiero e l’evidenza dei fatti storici.

Siamo sicuri che le realtà descritte in questi romanzi siano davvero peggiori di quelle odierne? Esistono giovani “comuni” disposti a cambiare le regole del gioco? Capaci di far risvegliare le coscienze collettive? La visione di questi film da parte dei ragazzi rappresenta solo una moda, un trend passeggero? Oppure sortisce qualche effetto producendo anche qualche spunto di riflessione?

Invero, oggi mi sembra davvero di vivere in un romanzo distopico: naturalmente, le condizioni di vita e le prospettive dei giovani cambiano da paese a paese: da un lato, in alcune zone del mondo, i bambini e i ragazzi sono vera e propria “carne da macello” utilizzati da governi e organizzazioni politiche e paramilitari ( Isis, Al – Quaeda, etc.) per folli piani che celano e hanno sempre celato da secoli la bramosia del potere e lo spirito di sopraffazione. Dall’altro lato nelle aree cosiddette “democratiche” e “civili” o “industriali” dove essi sembrano rotelline di un ingranaggio illusorio che promette di creare felicità, benessere, abbondanza, autodeterminazione ma che rende perlopiù questi ultimi depressi e impotenti.

Ma per quale motivo bisogna stravolgere lo status quo? Mi chiedo se i giovani cinesi vogliano cambiare la propria realtà, oppure i giovani russi, i giovani palestinesi e israeliani, i giovani arabi, i giovani europei, i giovani africani etc. Magari si, secondo una propria visione del mondo o della realtà nella quale essi vivono. Oppure no. Perché dovrebbero? Tutti uniti per quale tipo di società? Tutti uniti per quali bisogni, sogni e interessi da soddisfare o da realizzare? Questo potrebbe essere concepito come il migliore dei mondi possibili. Scusate sono andata fuori tema. Mi sono lasciata trasportare da un altro genere di film o di romanzo, quello utopico. In effetti l’utopia e la distopia sembrano raffigurare le due facce estreme della stessa medaglia come d’altronde queste realtà poc’anzi descritte che possono apparire distanti, ma che in realtà risultano essere talvolta fortemente concatenate e legate indissolubilmente, rappresentando le due facce estreme di uno stesso male.

di Danila Iacomino

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