Gli Audio Game: PlayNook porta il gioco nelle nostre orecchie!

Gli audio game sono una forma di intrattenimento digitale che sfrutta il potere evocativo del suono per coinvolgere i giocatori in storie interattive. Si tratta di una modalità di gioco innovativa, che si discosta dal paradigma dominante del gaming basato sulla grafica e che richiede una maggiore partecipazione immaginativa da parte dell’utente. La startup fiorentina PlayNook ha lanciato la sua app di audio game, che offre la possibilità di vivere delle avventure sonore ambientate in epoche e luoghi diversi. La prima proposta è “Marco Polo: Adventures”, una serie di capitoli che segue le vicende del celebre esploratore veneziano nel suo viaggio verso l’Oriente.

Gli audio game di PlayNook si ispirano ai libri game degli anni 80, ma li arricchiscono con elementi di podcast e di assistenti vocali. Il giocatore ascolta la voce di un attore che narra la storia e gli propone delle scelte a bivio, che influenzano lo svolgimento della trama e il destino del protagonista. Il giocatore può interagire con l’app tramite la voce o con un tocco sullo schermo. In alcuni momenti, il gioco richiede anche di tirare dei dadi, per aggiungere un fattore di casualità e di sfida. Ogni scelta ha delle conseguenze, non solo sul piano economico (i punti Gold indicano il denaro a disposizione), ma anche su quello etico (i punti Karma misurano il grado di moralità delle azioni compiute).

Gli audio game di PlayNook si rivolgono a un pubblico di giovani studenti e lavoratori, dai 18 ai 50 anni, che cercano un intrattenimento diverso, immediato ma anche coinvolgente. L’app è disponibile in italiano e in inglese, e presto lo sarà anche in altre lingue. Gli audio game sono adatti anche a persone non vedenti e ipovedenti, che possono godere appieno dell’esperienza sonora, e a chi ha problemi di dislessia, che può seguire la storia senza dover leggere. Inoltre, la startup ha in progetto di creare una sezione dedicata ai bambini, per stimolare la loro fantasia e il loro apprendimento.

La realizzazione degli audio game non è semplice, poiché richiede di coordinare diversi aspetti tecnici e creativi. PlayNook ha sviluppato dei tool e un portale per supportare gli autori nella fase di scrittura, aiutandoli con l’intelligenza artificiale a creare storie non lineari e ramificate. Per la parte audio, la startup ha ideato una struttura per gestire gli voiceover degli attori, il sound design, l’audio immersivo e la musica. Ogni ambientazione e azione ha dei suoni e delle musiche originali, che creano degli audio-mondi da esplorare.

Gli audio game di PlayNook rappresentano una novità nel panorama del gaming, sia a livello nazionale che internazionale. Si tratta di una forma di intrattenimento che recupera la tradizione della narrazione orale, ma la rinnova con le tecnologie digitali e vocali. Gli audio game stimolano la creatività e l’immaginazione dei giocatori, che possono immergersi in storie avvincenti e interattive, senza bisogno di guardare uno schermo. Gli audio game offrono anche una dimensione etica e inclusiva, che tiene conto delle conseguenze delle scelte e delle esigenze di diverse categorie di utenti. Gli audio game sono, insomma, una forma di gaming che punta sul suono, ma che parla a tutti i sensi.

Apollo Credici: un game book spaziale

Apollo Credici, il un game book spaziale di Adrian Fartade, Leo Ortolani e Luca Perri porta il lettore in un viaggio negli universi paralleli, tra fini ingloriose e rocambolesche fughe spaziali. Un game book a tema spaziale, giocabile grazie a un motore a improbabilità infinita: un dado. Il lettore si affida al cinico Perri e al più gioviale Fartade per viaggiare tra le galassie, attraversare wormhole, evitare buchi neri, supernove e asteroidi, entrare in loop temporali o esplorare lune e pianeti. Ad accompagnare i divulgatori, le illustrazioni di Leo Ortolani.

Anno in corso: 2101 dell’Era Comune

Temperatura esterna: 35 gradi centigradi

Caro lettore,

Questo libro esiste perché tu hai deciso di aprirlo. Forse potevi impiegare meglio il tuo tempo, ma… eccoti qui!

Io sono Schwa, raro esemplare di Pandalorian. La famiglia a cui appartengo vive indossando una soffice armatura a forma di panda e, per evitare che le discussioni degenerino, abbraccia tutti.

Bene: se dopo questa mia presentazione ancora non ti sei spaventato, sei pronto a partire insieme a me e ai miei coraggiosissimi compagni di avventura per un viaggio cosmico davvero elettrizzante.

Che cosa troverai in queste pagine? Loop temporali, immersioni tra galassie lontane anni luce, warmhole, buchi neri, supernove, asteroidi in collisione e pianeti sconosciuti.
Sarai tu a decidere in quale pasticcio cacciarti, finché non ti resterà solo un’opzione: il motore a improbabilità infinita. Ovvero… un dado.

 

Adrian Fartade (Bacau, Romania, 1987), laureato in Storia e Filosofia presso l’Università degli Studi di Siena, si occupa di storia dell’astronomia ed è un divulgatore scinetifico. Racconta da qualche anno, sulla pagina Facebook Link2universe e sul canale YouTube Link4universe, le più recenti scoperte in campo astronomico da tutto il mondo, presentandole in maniera accessibile e divertente. Spesso ospite in radio, in tv ha partecipato a due stagioni della trasmissione C’è Spazio su TV2000. Attore di teatro, tiene monologhi sull’esplorazione spaziale in planetari, scuole e teatri in giro per l’Italia. Rizzoli nel 2018 ha pubblicato il suo libro A piedi nudi su Marte. Viaggio nel sistema solare interno: 4 pianeti, 3 lune e una stella coi fiocchi. Così ha descritto questo volume:

La formula è semplice: c’è una storia dietro, della persona protagonista della storia, che si chiama Schwa (è senza genere tra l’altro), ed il sistema solare che è in gravissimo pericolo. Tutto sta per andare male ma in che modo e cosa riuscirete a salvare dipende tutto da voi e le decisioni che prendete per mandare avanti la trama. Ogni scelta vi manda a leggere ad una pagina diversa del libro! Potrete leggerlo decine di volte ed avere decine di storie diverse! In mezzo a tutto è pieno di divulgazione scientifica ma anche tantissime citazioni nerd da trovare per voi! Vediamo quante riuscirete a riconoscere!

Luca Perri è astrofisico e astronomo dell’Osservatorio di Merate, del Planetario di Milano e del Planetario di Lecco. Vincitore nazionale del talent scientifico Famelab (2015), è un appassionato divulgatore scientifico. Si occupa, infatti, di divulgazione su radio, televisioni, carta stampata, festival e social networks. Scrive e conduce rubriche all’interno di diversi programmi di Rai Cultura, per cui è anche autore e conduttore della trasmissione Nautilus. È inoltre autore e formatore per DeAgostini Scuola. Ha pubblicato per De Agostini Errori Galattici (2018) e Partenze a razzo. Tutto ciò che c’è da sapere prima di diventare un astronauta (2019).

Leo Ortolani è un fumettista italiano celebre per la serie Rat-Man. Studia geologia all’università di Parma, materia che diventerà un tormentone dei primi numeri di Rat-Man. Nel 1989 l’editore Rinaldo Traini pubblica la storia comica sul «Spot» (supplemento de «L’Eternauta» dedicato agli esordienti), segnando la nascita di Rat-Man. Nel 1990, Le sconvolgenti origini del Rat-Man vale a Ortolani il premio come migliore sceneggiatore esordiente al Lucca Comics. In questi anni le opere più importanti sono le quattro storie sui Fantastici Quattro, come ideale prosecuzione del lavoro di Jack Kirby e la collaborazione a «Starcomìx», rivista umoristica diretta da Luca Boschi. Sono gli anni in cui realizza anche le strisce della serie Quelli di Parma, pubblicate sulla «Gazzetta di Parma», che parlano della città di Parma e dei suoi abitanti. Nel maggio del 1995 Leo comincia a realizzare le storie brevi di Venerdì 12 per la rivista «L’Isola che non c’è» e in novembre parte la serie per librerie specializzate con protagonista Rat-Man, pubblicata dapprima dalle Edizioni Foxtrot e successivamente dalle Edizioni Bande Dessinée. Nel 1996 Rat-Man viene pubblicato sul mensile Marvel Magazine di Marvel Italia, e nel 1997 viene pubblicato anche su Rat-Man Collection, una serie trimestrale. Con l’acquisizione di Marvel Italia da parte di Panini Comics, la serie Rat-Man Collection diventa bimestrale, ed è tutt’ora prodotta. Nel 2006 Rat-Man approda in televisione, con i cartoni animati trasmessi su Rai Due. Nel 2011 Leo Ortolani stampa il suo primo libro, Due figlie e altri animali feroci a cui seguono numerosissimi lavori. Tra le sue pubblicazioni si ricorda: Andrà tutto bene (Feltrinelli, 2020).

 

Cosa sono i Giochi di Ruolo?

I giochi di ruolo godono di crescente popolarità, sia in Italia che nel  mondo, dove i titoli pubblicati sono ormai più di trecento; il capostipite dei giochi di ruolo, cosi come li conosciamo può essere considerato “Dungeons & Dragons”, pubblicato per la prima volta nel 1974. In Italia, dove vengono giocati da quasi centomila persone, ci sono almeno una quarantina di titoli a disposizione, scritti o tradotti nella nostra lingua.

Ma quanti, tra i non-giocatori, sanno cos’è davvero un gioco di ruolo? In questo articolo cerchiamo di rispondere agli interrogativi e ai dubbi correnti tra chi si approccia al gioco per la prima volta o, semplicemente, per chiunque sia curioso e voglia saperne di più.

Che cos’è un gioco di ruolo? È un gioco in cui i partecipanti fingono di essere i personaggi di una storia che essi stessi inventano mossa dopo mossa, sotto la guida di un Master (o “Narratore”). Quest’ultimo espone una situazione, mentre gli altri giocatori raccontano a turno che cosa farebbero se fossero davvero un gruppo di avventurieri che deve liberare la principessa prigioniera del drago, o uno sceriffo e i suoi aiutanti a caccia dei contrabbandieri di whisky nel selvaggio West, o i ribelli di Guerre Stellari che cercano di mettere in salvo i piani della più potente astronave della galassia, oppure coniglietti e maialini di un cartone animato in cerca delle loro leccornie preferite…

 Come nel “facciamo finta che io sono…” che si giocava da bambini? Sì. Ma attorno a un tavolo, senza bisogno di correre, saltare, inseguirsi. Se un giocatore vuole che il suo personaggio compia un’azione dall’esito incerto, come saltare giù da un treno in corsa o convincere il sospettoso custode di un museo a farlo entrare fuori orario, ricorre in genere al lancio dei dadi. L’azione riesce o fallisce, e dunque la storia procede in un modo o nell’altro, a seconda del risultato dei dadi.
 
Chi vince? Non vince nessuno. È un gioco di narrazione e di cooperazione. Lo scopo è divertirsi a inventare tutti insieme una storia.
 
E il Master gioca contro il gruppo? No. Si limita a descrivere le situazioni, a coordinare i giocatori nella creazione della storia, a gestire tutte le “comparse” della storia: cioè tutti quei personaggi secondari che non sono impersonati dai giocatori.
 
Chi è l’Arbitro di un gioco di ruolo? Chi è il Custode? Chi è il Regista? Non sono che tre dei tanti sinonimi con cui i diversi giochi di ruolo chiamano il Master, il Narratore.
 
È vero che il gioco di ruolo dura anni? Una singola storia, o “avventura”, può durare un paio d’ore o qualche pomeriggio. Ma i personaggi del gioco di ruolo sono come i protagonisti di una saga letteraria o di un serial televisivo: terminata una storia, li si può usare in altre avventure, affinandone i tratti psicologici, rendendoli più ricchi di sfumature. Come Sherlock Holmes e il dottor Watson, protagonisti di quattro romanzi e decine di racconti. O come Ridge, protagonista di centinaia di puntate di “Beautiful”.
 
Ma il gioco di ruolo non si fa al computer? Il vero gioco di ruolo si gioca attorno ad un tavolo. In questi ultimi anni si è sviluppato il gdr online, ma solo quello dove persone “reali” sono dall’altra parte dello schermo. Giochi per pc quali Baldurs’gate o The Elder Scrolls sono gdr ma in cui, anche se c’è la massima libertà di movimento (quasi) il tutto è meccanizzato, e non si interagisce con nessuna persona reale ma sono con una memoria computerizzata.
 
E non ci si deve travestire da guerrieri medievali, aggirarsi tra boschi e castelli? Di regola no: si gioca vestiti come sempre, seduti attorno a un tavolo. Alcuni appassionati hanno però inventato i “giochi di ruolo dal vivo”: organizzano delle avventure all’aperto, spesso in costume, che ricordano i “Grandi Giochi” della tradizione Scout. Quanto ai giochi in vendita in Italia, uno solo ricorda quelli “dal vivo”: é “Killer”, in cui i giocatori devono muoversi in una sorta di scherzoso guardie e ladri. È assai diffuso nelle università americane, dove ci si combatte utilizzando banane come pistole e palloncini pieni d’acqua come bombe. Ma a rigore non è un gioco di ruolo: non c’è alcuna trama, né i giocatori inventano dei personaggi.
 

“Magic – L’Adunanza“, e gli altri giochi simili, sono giochi di ruolo? No, sono giochi di carte collezionabili. In comune con i giochi di ruolo hanno spesso un’ambientazione fantastica, ma nulla di più. Non si creano storie: si gioca per vincere, come a briscola o a scala quaranta. Il mazzo, però, lo costruisce il giocatore, scegliendo tra le ormai migliaia di carte che vengono vendute in bustine assortite, come le tradizionali figurine: e molti si divertono anche a collezionarle, cercando di completare la raccolta una serie dopo l’altra.

E allora in che cosa si distinguono “Magic – L’Adunanza” e i suoi simili dagli altri giochi di carte? Come i pezzi degli scacchi ricordano due eserciti schierati a battaglia, mentre a dama giocano anonime pedine con regole più semplici, così “Magic – L’Adunanza®” ha regole più ricche e più tipi di carte rispetto al normale mazzo da briscola o da scala quaranta. Le carte di “Magic – L’Adunanza”, è vero, ricordano gli incantesimi di un mago. Ma non basta per definire gioco di ruolo quello che è e resta un “gioco di carte collezionabile” .
 

I libri-gioco sono giochi di ruolo? No. Sono racconti in cui ogni tanto si chiede al lettore di compiere una scelta: la storia prosegue in modo diverso, su pagine differenti a seconda di ciò che decide il lettore-protagonista. Al di là delle somiglianze, i libri-gioco si leggono da soli, e scegliendo fra due o più alternative prestabilite; il gioco di ruolo, invece, si fa in gruppo, e ciascuno sceglie liberamente le mosse e le azioni del suo personaggio.

È vero che molti enti pubblici inseriscono il gioco di ruolo tra le loro attività? Sì. Perché è un gioco socializzante. E perché sviluppa la creatività e la fantasia. In Francia viene usato da molti assistenti sociali con ragazzi che hanno problemi di integrazione, e la “Direction de la Jeunesse et des Sports” ne raccomanda l’utilizzo agli animatori delle Case di Quartiere. In Italia il gioco di ruolo viene impiegato da unità Scout, in attività ricreative nelle carceri, persino da alcune società di selezione del personale. Molte biblioteche, poi, ospitano e organizzano attività di gioco di ruolo.
 
Che cosa c’entrano le biblioteche? È semplice: il gioco di ruolo sprona alla lettura: spesso, infatti, i giocatori si documentano per definire meglio le ambientazioni del loro gioco preferito, o leggono i romanzi cui esso è ispirato: gli appassionati di giochi di ruolo, risulta da numerose ricerche sul campo, leggono mediamente di più dei loro coetanei.
 

In Italia hanno giocato persino nelle scuole, vero? Sì. Diverse scuole elementari e medie, sia inferiori che superiori, hanno utilizzato il gioco di ruolo nell’ambito dei loro programmi didattici. “Ludendo docere”, cioè “insegnare giocando”, è un motto antico: e il gioco di ruolo è assai adatto perché insegna a raccontare, a coordinare la propria creatività con quella degli altri. L’uso dei dadi abitua poi a stimare le probabilità di uscita di certi numeri o combinazioni, e dunque introduce a una certa dimestichezza con il calcolo delle probabilità. Molti Narratori amano inserire nelle loro avventure enigmi o problemi da risolvere, stimolando così le capacità logiche dei loro giocatori. E non scordiamone l’utilità per l’apprendimento delle lingue: gli appassionati, infatti, comprano spesso i giochi di ruolo stranieri prima che vengano tradotti in italiano: si esercitano così nella lettura dell’inglese, e talvolta del francese, del tedesco, dello spagnolo. Come ogni buon romanzo o film, infine, un buon gioco di ruolo di ambientazione storica o letteraria, e ce ne sono diversi, può insegnare facilmente e allegramente le più svariate nozioni e conoscenze.

Scuole e biblioteche usano gli stessi giochi che ci sono in commercio? Sì. Proprio il fatto di essere stati scritti per divertire, e non a scopi direttamente didattici, rende i giochi di ruolo particolarmente graditi ai ragazzi e quindi assai preziosi a fini educativi. Solo il Comune di Roma, per ora, ha pubblicato un suo gioco di ruolo, e l’ha distribuito gratuitamente a insegnanti e bibliotecari.
 

Insomma, il gioco di ruolo si rivolge soprattutto ai ragazzini? No. Ci sono giocatori di tutte le età: bambini che non hanno ancora imparato a leggere, adolescenti, adulti, anziani. Comunque i Narratori hanno, di solito, non meno di 10 anni.

Sono costosi, i giochi di ruolo? No. I più economici, tra quelli disponibili in italiano, costano 10 euro; i più cari non superano le 300. Dipende dalla lunghezza dei regolamenti, dalla ricchezza di dettagli sui “mondi” storici o fantastici in cui le avventure sono ambientate. Nel valutare la spesa bisogna inoltre tenere presente che lo stesso gioco si può usare per anni inventando storie sempre nuove, senza costi aggiuntivi se non quelli di qualche penna e foglio di carta. Gli appassionati di giochi di ruolo spendono mediamente meno, per il proprio hobby, di quanto i loro coetanei spendono per altri passatempi.
 

È vero che il gioco di ruolo è nato per scopi terapeutici? No. Il primo gioco di ruolo, “Dungeons & Dragons”, è stato pubblicato nel 1974 negli USA dalla TSR (Tactical Studies Rules): inventato da Gary Gygax e Dave Arneson, appassionati di giochi di simulazione, si rivolgeva a giocatori come loro e aveva come unico fine il divertimento. Alcune tecniche terapeutiche, come lo psicodramma, hanno una certa somiglianza con il gioco di ruolo. Ma in uno psicodramma vengono messi in scena problemi e conflitti della vita reale, che riguardano l’individuo e i suoi rapporti con gli altri; in un gioco di ruolo vengono interpretati personaggi di fantasia inseriti in un universo narrativo.

Qualche tempo fa, sui giornali, s’è scatenata una strana polemica sui giochi di ruolo e i loro presunti effetti negativi. Chi attacca i giochi di ruolo, e con quali ragioni? Di articoli, negli anni, ne sono stati pubblicati moltissimi, in genere assai favorevoli. Lo stesso vale per servizi e talk show in radio e tv. Con qualche eccezione, naturalmente. Le accuse vengono da gruppi fondamentalisti americani, gli stessi che attaccano cartoni animati come “Alice nel Paese delle Meraviglie” o film per ragazzi come “Casper” tacciandoli di violenza, e che per lo stesso motivo intendono far proibire in tv cartoni animati come “I Puffi” e “Bugs Bunny”. I più attivi sono stati i membri del NCTV (National Coalition on Television Violence) e del disciolto BADD (Bothered About Dungeons And Dragons).

Ma hanno qualche fondamento, queste accuse? No davvero. Non siamo noi a dirlo: lo documentano numerose ricerche e indagini di istituti autorevolissimi e indipendenti.

Quali ricerche? Cosa dicono? Che ne sono gli autori? Vediamo. La prima ricorrente accusa ai giochi di ruolo, lo abbiamo visto, è di essere violenti. Bene: i ricercatori americani Suzanne Abyeta e James Forest chiariscono con un’ampia documentazione che chi pratica giochi di ruolo ha invece meno tendenze violente e distruttive del resto della popolazione. Oltretutto, i personaggi più violenti ed egoisti vengono scelti da una minoranza dei giocatori, i più scelgono di interpretare eroi positivi, rispettosi delle regole e leali verso i compagni: lo rivela, in Italia, una ricerca di Alessandra Areni e Luca Giuliano, sociologi all’Università la Sapienza di Roma ed esperti di giochi di ruolo. Del resto, che la messa in scena della violenza abbia funzione catartica lo sosteneva già Aristotele, e le scene violente raccontate nell’avventura di un gioco di ruolo non sono più forti di quelle presenti in un qualsiasi romanzo d’avventure o in un film d’azione.
 

Quali altre accuse vengono mosse ai giochi di ruolo? La più grave, se avesse qualche minimo fondamento, sarebbe quella di istigazione al suicidio, sollevata “a effetto” su qualche giornale, l’anno scorso, quando si tolse la vita un ragazzo che era anche master di “Dungeons & Dragons”. Ma è un’accusa nettamente smentita da tutte le indagini sul campo. L’American Association of Suicidology di Denver, Colorado, e il Center for Disease Control di Atlanta, Georgia, dopo un approfondito studio dei casi di suicidio tra adolescenti, scrivono che non è stata evidenziata alcuna correlazione tra il suicidio nei teen-ager e i giochi di ruolo. Identiche considerazioni si ritrovano in calce ad analoghe indagini svolte dalla Association of Gifted and Creative Children di Dublin (California), dall’Albert Einstein College of Medicine (New York), dall’Health and Welfare di Ottawa, Canada. E il fascicolo inverno ‘94 dello “Skeptical Inquirer” conclude: La percentuale di suicidi tra i 15-24enni giocatori di ruolo è addirittura più bassa che in qualsiasi altro gruppo.

 

C’è una spiegazione a questa minore propensione al suicidio tra chi fa giochi di ruolo? Certo. Uno dei fattori determinanti per valutare la propensione al suicidio di un bambino o ragazzo, spiegano i ricercatori, è il fatto che sia o no una persona solitaria. E i giochi di ruolo spingono a stare con gli altri, a entrare in relazione con loro; l’esatto contrario della solitudine e assenza di comunicazione col mondo che possono indurre al suicidio. La partecipazione a un’attività di gruppo quale il gioco di ruolo abbassa drasticamente il potenziale autodistruttivo. Garantisce inoltre una cerchia di amici in grado di percepire comportamenti insoliti e di intervenire in caso di crisi. Uno studio degli americani Lisa A. DeRenard e Linda Mannik Kline ha infine dimostrato che chi pratica i giochi di ruolo tende ad avere una più alta considerazione di sé.

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