Gilgamesh attraverso i secoli

Dopo aver precedentemente accennato, del fumetto franco-belga, e in particolar modo di Valerian e Laureline, di cui presto nelle sale cinematografiche avremo modo di vedere un adattamento per il grande schermo; mi è venuta in mente un idea che da un po’ di tempo mi stava ronzando per la mente, riscoprire pian piano fumetti che non appartengono solo al panorama del manga Giapponese e del comics made in U.S.A. che la maggior parte dei lettori di fumetti conoscono, ma ogni tanto commentare anche opere provenienti anche da altri paesi, come i fumetti franco-belga, quelli sudamericani, e anche delle opere italiche per citarne alcuni. La serie a fumetti di cui vogliamo parlare oggi è quella di Gilgamesh, creata dalla matita di Lucho Olivera e dai testi della sceneggiatura del paraguaiano Robin Wood; pubblicata alla fine degli anni ’60 primi anni ’70 in Argentina e poi successivamente pubblicato in altri paesi  del Mondo tra cui l’Italia, nel nostro paese venne pubblicato diviso in episodi dal settimanale Skorpio e poi raccolto in un volume dalla casa editrice Euracomix. Il tema trattato di Gilgamesh si ispira liberamente alla leggenda del popolo dei Sumeri riguardante la storia di un Re divenuto Immortale per volere degli Dei, chiamato appunto Gilgamesh, anche se nata come serie di fantascienza, riesce con maestria a fondere anche altri generi, come il fantasy, l’horror il noir e il fumetto d’azione.

Alba dei tempi, nel pieno centro della regione della Sumeria, nella Città-Stato di Uruk governa con saggezza il Re Gilgamesh, grazie alla sua guida la città di Uruk conosce un lungo periodo di pace e di prosperità, ma essendo senza discendenza egli comincia a temere per il futuro del suo popolo. Un aiuto inaspettato giunge dalle stelle, infatti Gilgamesh per tutta una serie di circostanze, dopo aver aiutato un extraterreste, ottiene l’immortalità. Per un periodo, grazie a questo dono, Gilgamesh continua a regnare su Uruk, ma col passare degli anni, la popolazione comincia a temere questa sua “longevità”, infatti egli solo a pochissimi suoi fidati, ha confessato di essere divenuto immortale come gli Dei. Notando che il suo popolo lo stava guardando sia con timore reverenziale che con malcelato sospetto, egli abbandona la sua città e la popolazione al loro destino, cominciando a esplorare il mondo intero. Passano i secoli, Gilgamesh consapevole di questa sua condizione, non rivela a nessuno di essere un immortale, per evitare che la gente lo guardi come fosse un figlio del demonio e anche per evitare di diventare una specie di cavia da laboratorio. Per tutta la sua lunga vita egli si tiene ai margini della storia, come spettatore al fianco dei grandi personaggi che si sono via via susseguiti nel grande teatro della vita, a volte anche per consigliare. Lo vediamo così apparire in Francia, durante la rivoluzione francese, oppure durante la guerra civile americana, nel periodo rinascimentale europeo, e alla corte dei mandarini. I secoli si susseguono fino ad arrivare ai giorni nostri, quando le nazioni si scontrano in una terribile guerra nucleare, causando la completa distruzione del genere umano e di tutte le forme di vita del pianeta. Essendo immortale, Gilgamesh riesce a sopravvivere al terribile olocausto e, temendo di essere l’unico essere umano rimasto in vita sulla Terra, pian piano impazzisce di dolore, finché, nel suo girovagare solitario per i deserti radioattivi, incappa in una base di lancio inaspettatamente intatta con un’astronave pronta alla partenza, infatti alcuni scienziati avendo intuito che lo scoppio della guerra e il massiccio utilizzo di armi nucleari, avrebbe reso invivibile il pianeta Terra, avevano provveduto ad allestire un astronave in cui erano stati collocati alcuni neonati in ibernazione, che avrebbero provveduto a far rinascere l’umanità; cogliendo questa nuova opportunità, Gilgamesh si mette alla guida dell’astronave e lascia il pianeta ormai diventato una landa sterile e radioattiva, e dopo un lungo peregrinare atterra in un nuovo mondo incontaminato, qui risveglia i neonati ibernati e crea una colonia dove essi potessero poter vivere e crescere senza pericoli alcuni; con il passare degli anni, Gilgamesh assume il ruolo di “padre” della nuova umanità, ed è così che lo definiscono e lo chiamano non solo i primi umani risvegliati, ma anche i loro discendenti che si susseguono con l’avanzare delle generazioni. Però ad un certo punto Gilgamesh, si rende conto che, anche se grazie alla sua saggia guida la nuova umanità sta crescendo e sviluppandosi in armonia con tutto ciò che la circonda e senza incorrere negli errori degli abitanti della vecchia Terra, i figli della nuova umanità sono completamente dipendenti dalla sua guida e presenza. Egli decide così di partire e lasciare i “suoi figli” per poterli sorvegliare e proteggere a distanza così che finalmente possano cresce da soli. Mentre è impegnato nel suo ruolo di “custode”, scopre che nello spazio si sono formate due grandi fazioni comprendenti varie razze aliene, in lotta tra loro per il dominio completo della galassia. Gilgamesh, consapevole che tale conflitto potrebbe giungere anche sul pianeta dei suoi protetti, si schiera con una delle due fazioni, e dopo una lunga e sanguinosa guerra spaziale, riesce a sconfiggere tutti i suoi nemici, anche quelli interni e a fermare finalmente il conflitto, ma non volendo il potere che gli deriva da questa sua vittoria, come spinto da una specie di istinto o di voce interiore che lo reclama, Gilgamesh si dirige verso un pianeta completamente deserto, dove spicca una specie di enorme obelisco. Giunto davanti a tale costruzione, davanti a lui si palesano altri uomini, che gli confidano che anche loro sono immortali come lui e che da milioni di anni hanno assunto il ruolo di “Guardiani” dell’universo per vegliare su tutto il creato, e che, vedendo le sue gesta, lo hanno chiamato a sé per offrirgli di unirsi a loro e prendere il posto che gli spetta di diritto. Gilgamesh accetta e diviene così il guardiano e padre dell’umanità fino alla fine dei tempi.

 

Per ampliare l’idea di “Immortalità” del personaggio creato da Wood e Olivera, appaiono anche altri personaggi come Nippur di Lagash, Dago e Martin Hel, sia nella serie regolare di Gilgamesh, che nelle serie dedicate ai personaggi stessi, creati anche essi dalla maestra di Wood; così facendo, essendo serie ambientate in varie epoche storiche differenti, sono riusciti a rendere Gilgamesh “Immortale” sotto ogni punto di vista, grazie a una trama che parte dall’idea originale di sfruttare il mito dell’Immortale creato da Wood, e grazie anche ai meravigliosi disegni di Olivera che in ogni episodio ci regalano un’opera unica e mai ripetitiva, rendendo Gilgamesh una storia che, nonostante i decenni passati dalla sua prima edizione, resta un’opera tutt’ora odierna e intrigante sotto ogni aspetto.

By Marco Talparius Lupani

Il Mercenario di Vicente Segrelles

Vive sulle vette delle montagne, oltre le nuvole, dove l’aria è sottile. Cavalca terribili rettili alati che planano da rupe a rupe. Si guadagna da vivere con l’acciaio e col sangue, e col cervello di uno stratega. Non ha un nome. Non ne ha bisogno. È Il Mercenario, e tanto basta.

Questo eroe-archetipo nasce in Spagna nel 1980 dalla matita di Vicente Segrelles, già affermato disegnatore tecnico, grafico pubblicitario, illustratore e copertinista (sue le illustrazioni di una splendida edizione spagnola dei poemi omerici). Basta sfogliare qualche pagina di uno qualsiasi dei suoi albi per rendersi conto che la storia può benissimo passare in secondo piano, che vale la pena di smarrirsi nei disegni.

Eppure la storia e le storie del Mercenario, pur canoniche e fedelissime al genere, sono appassionanti e affascinanti. Segrelles utilizza in maniera particolarmente eloquente le basi della narrazione per immagini, lasciando che siano appunto le immagini a condurre il racconto, e facendo parlare i suoi personaggi o le didascalie solo quando proprio non può farne a meno.

Il mondo del Mercenario, fatto di isole di roccia in un mare di nubi e di dragoni da sella, di saggi alchimisti custodi dei segreti più pericolosi, e soprattutto di guerrieri impavidi e di bellissime e letali fanciulle dalla pelle d’avorio, ricorda in più d’un tratto l’Era Hyboriana di Robert E. Howard, a cui si mantiene più fedele di altre interpretazioni della heroic fantasy di stampo “spartano” (e sto pensando in particolare al pur ottimo DEN di Richard Corben). I personaggi che lo popolano sono, come il protagonista, poco più che topoi incarnati (“il saggio” Gran Maestro, “l’amazzone” Nan-Tay, “il mago malvagio” Claust), e allo stesso tempo restano molto umani, molto carnali nel loro vivere e nel loro morire. Non ci sono eroi senza paura, dalla forza e fortuna sovrannaturali, che sfuggirebbero anche all’Armageddon come in un action-movie hollywoodiano, ma eroi di statura più simile alla nostra, che rischiano la pelle sapendo di rischiarla, che vengono feriti e imprigionati e umiliati, che devono fare i conti con un’arma resa inservibile, con un’armatura inadatta o troppo costosa, con una cavalcatura azzoppata o gravida di prole.

Eppure è difficile, per me che vi scrivo queste due righe, concentrarmi sulla storia, togliermi dalla mente la semplice, incredibile bellezza delle tavole di Segrelles.

La prima cosa che colpisce, e che lascia incredulo chi non conosce El Mercenario e il suo autore, è che ogni tavola, ogni vignetta, è un dipinto ad olio. No, non sto scherzando: quelle che vedete sparpagliate per quasta pagina non sono tutte copertine o pin-up; anche perché andare a distinguere tra una copertina, una pin-up, una splash page o una qulasiasi vignetta è una bell’impresa. Dal punto di vista della mera qualità dell’immagine prodotta, del lavoro che si può dire artigianale che sta dietro ad ogni sequenza di primi piani, primissimi, dettagli, una pagina del Mercenario vale un’annata di spandex o un chilo e tre di retini nipponici.

Oltre ad essere tecnicamente ineccepibile (e mancherebbe altro, dopo vent’anni come disegnatore e illustratore professionista), Segrelles rivela una capacità straordinaria di visualizzare e fermare sulla carta non solo prospettive, movimenti e sequenze ma soprattutto ambienti, paesaggi, panorami di una varietà e di una bellezza sorprendenti, dalle distese rocce brulle che svettano dalle nubi alle panoramiche notturne sulle città e le fortezze arabeggianti, alle sequenze mozzafiato del Cratere, agli interni sempre diversi e sempre ricchissimi di dettagli. Anche i singoli oggetti, gli abbigliamenti dei personaggi, i particolari di contorno possiedono una ricchezza di dettaglio che ha dell’incredibile: dal realismo di ogni armatura, agli screzi sulle impugnature di una spada, alla precisione tecnica di leve e meccanismi, al modo in cui i dardi-rasoio di Nan-Tay sono fermati e allineati lungo la sella.

Le anatomie di Segrelles, infine, sono di un realismo studiato; e non solo nelle figure umane, dove i nerboruti eroi non arrivano agli eccessi da body-builder e le pur deliziose fanciulle non hanno le proporzioni disumane delle eroine di casa Marvel, e dove i volti hanno tutta l’espressività che la mano precisa di Segrelles garantisce. Sono soprattutto le anatomie “aliene”, fantastiche o comunque insolite, ad essere oggetto di un’attenzione certosina: ad esempio i grandi rettili alati, collages di anatomie di animali attuali ed estinti, mostrano una coerenza di proporzioni, posture e movimenti, con riconoscibili variazioni da specie a specie, che contribuisce paradossalmente alla loro verosimiglianza; o ancora gli occasionali cadaveri disseccati e mummificati, di un realismo a dir poco inquietante.

Rintracciare gli albi de Il Mercenario può non essere un’impresa facile. Se non avete la fortuna di avere in casa le prime annate de L’Eternauta (nel qual caso possedete alcuni gioielli del fumetto europeo e sudamericano che francamente vi invidio, anche perché chissà quando e se li si vedrà in ristampa), e non avete voglia di vendere i mobili di casa per acquistarle, potete cercare se trovate ancora i due cartonati “Il Mercenario” voll. 1 e 2, della Edizioni Produzioni Cartoons contenenti rispettivamente Il Popolo del Fuoco Sacro e La Formula, e i due albi della Collana Grandi Eroi della defunta Comic Art (in formato cartonato o brossurato) numero 31 e 35, contenenti rispettivamente Le Prove e Il Sacrificio (anche se purtroppo questi sono stampati su carta non lucida, a danno della bellezza delle tavole). Nonostante ci siano alcuni taglieggiatori capaci di chiedervi cifre astronomiche, un prezzo onesto non dovrebbe superare i dieci o quindici Euro per albo. Non dovrebbe invece essere non troppo difficile rintracciare il n. 49 della collana Euracomix dell’Eura Editoriale, intitolato semplicemente Il Mercenario e contenente La Fortezza e il breve Il Papiro.

Segrelles continua a scrivere e disegnare El Mercenario, oltre a lavorare ad altri progetti (tra questi un adattamento di alcuni racconti di Ray Bradbury). Nonostante le dichiarazioni piene di buona volontà, l’Eura Editoriale non ha ancora pubblicato nè le più recenti avventure del Mercenario nè altre opere di Segrelles. Se avete dimestichezza con lo spagnolo potete cercare gli originali (editi da Norma Editorial, se le cose non sono cambiate negli ultimi anni) o piuttosto l’edizione in lingua francese (edita da Glénat).

Giunto in fin di licenza, vi lascio con un elogio di Segrelles da parte di qualcuno che della suggestione della narrazione per immagini se ne intendeva parecchio di più di me, e che mille volte meglio di me può degnamente concludere questo viaggio nel passato.

“Ha una fantasia molto seducente, Segrelles, e un dato fascinoso: si esprime in racconti che ti coinvolgono completamente, che ti fanno aspettare con piacere e ansia infantili la puntata successiva. Ma nello stesso tempo ti porta a contemplare ogni tavola in se stessa, nei dettagli, come si spiea in un quadro ciascun particolare rivelatore […]. Il suo segno è così sapiente e nuovoda mettere, a chi ha qualche dimestichezza con matite e colore, voglia di rifare le sue tavole per scoprire qual è il segreto della loro malìa[…]. Insomma, è un bel tipo: uno che ti restituisce tutta l’emozione e la meraviglia, tutto il piacere di guardare immagini”.
Federico Fellini.

 

 

 

recensione di Matteo “Abe Zapruder” Scarabelli, tratto da blam.it
le parole di F. Fellini sono tratte dalla sua introduzione ad uno degli albi
recensiti, il primo volume de Il Mercenario delle edizioni E.P.C

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