Le sigle televisive in Italia

Per comporre una sigla televisiva in Italia ci si imbatte in una serie di vincoli e regole empatiche, alcune delle quali davvero incomprensibili. Ad esempio secondo una di queste regole empatiche, c’è un elenco di parole che non può essere usato in una sigla televisiva. Parole come droga, strega ecc. sono vietate, motivo per cui spesso si usa ad esempio il termine “fatina” al posto di quello di “strega”. Un’altra regola empatica vieta suoni che non rientrano nella nostra cultura musicale.

Tuttavia quando le sonorità della sigla originale sono abbastanza vicine alla nostra cultura musicale, vengono mantenute nell’adattamento. Ma non è così semplice, visto che rispetto al passato, in cui vigeva una libertà più ampia sia nei suoni che nelle parole, oggi strumenti come il tamburo non possono essere usati, perché a detta di qualcuno, provocano strani effetti collaterali (assurdi) nei bambini. Anche il suono della chitarra elettrica deve essere usato solo in frequenze molto basse.

Da sempre inoltre (tranne che per gli anni in cui c’è stato un monopolio assoluto di Cristina D’Avena) le canzoni per bambini devono essere cantate da uomini e quelle per bambine da donne. In passato, anche se erano uomini a cantare sigle di cartoni per bambine, lo facevano usando il falsetto (come ad esempio nella sigla televisiva di Candy Candy), assumendo così una tonalità più adatta alle bambine. Oggi invece i ruoli sono nettamente separati, le donne cantano sigle di cartoni per bambine e uomini quelle di cartoni per bambini (per mediaset infatti le sigle di cartoni per bambine sono cantate da Cristina D’Avena, quelle di cartoni per bambini da Giorgio Vanni).

Nelle sigle televisive c’è anche un vincolo di durata
, infatti la sigla non deve durare meno di 30 secondi e non più di 1,30 minuti. Nel comporre il motivo che poi darà vita alla sigla televisiva, l’autore parte da alcune immagini oppure dal suono del titolo, come ad esempio in “Guru Guru il batticuore della magia” per i Raggi Fotonici, dove già la parola “guru guru” aveva in sé un suono che è stato utile al motivo della sigla. Il titolo deve essere ripetuto varie volte nella sigla e soprattutto quasi all’inizio della sigla stessa. Altro strumento che viene fornito all’autore della sigla televisiva di un cartone è un riassunto della storia chiamato sinossi. In cartoni come quelli prodotti dalla Warner Bros o dalla Hanna and Barbera invece, c’è il cosiddetto “Light motive”, una frase musicale strumentale che ricorre e che indica l’arrivo del protagonista. Famosi sono quelli di Looney toones e di Braccio di ferro. In questo tipo di cartoni infatti non c’è una sigla televisiva cantata come per i cartoni giapponesi trasmessi dalla Rai o da Mediaset, ma il classico stacchetto musicale che ricorre spesso anche nel cartone e che indica un’azione classica del protagonista (vedi Braccio di ferro) o l’entrata in scena del protagonista stesso.

Tutte queste regole e questi vincoli ci fanno capire come oltre alle tantissime censure che vediamo spesso nei cartoni giapponesi in onda sulle nostre reti televisive, troviamo altrettante censure nelle sigle televisive, censure in parole spesso “ingenue”, visto che i bambini al cinema, o spesso anche in alcuni cartoni, vedono e sentono parole e imparano gesti che in quei cartoni non sono permessi. I vincoli e le parole non ammesse sono ormai da superare, dovrebbero essere altre le censure da fare nella televisione in generale. Di certo non è il suono di uno strumento musicale che crea effetti collaterali reali nei bambini, non è il sentire la voce di una donna per la sigla di un cartone animato per un pubblico di bambine, o la voce di un uomo per la sigla di un cartone animato per un pubblico di bambini. Non è il vedere o sentire certe cose in un cartone (parole come strega, droga ecc) che non è adatto per i bambini, poiché ci sono molte altre cose che davvero dovrebbero essere evitate in orari in cui i bambini sono davanti al televisore. E’ vero che ai bambini rimangono molto impresse le sigle dei loro cartoni animati preferiti e che quindi bisogna stare attenti in quello che le sigle dicono o i cartoni rappresentano, ma allo stesso modo ai bambini rimangono impresse tante altre parole o immagini che sentono e vedono in altre cose, come film, canzoni, pubblicità.

Inutile quindi censurare in modo assurdo e sciocco cartoni animati, lasciare vincoli o regole empatiche che in alcune parti non hanno senso, se poi quei bambini che cerchiamo di “proteggere” in questo modo, sono esposti a parole e a gesti che non dovrebbero copiare, e non parliamo di certo di parole come “strega” o “droga” o “drogato” ecc. Sarebbe più giusto cambiare regole di anni fa, proporre nuove regole nella stesura di una sigla televisiva e censurare ciò che realmente dovrebbero essere evitato agli occhi di un bambino. Sicuramente in tante cose, rispetto al passato, siamo tornati indietro anziché progredire e sicuramente una di queste cose è nelle censure di parole o in suoni musicali nei cartoni animati. I cartoni animati sono da sempre una compagnia e uno svago per i bambini, perché “distruggerli” con regole assurde in cui di assurde di cose ormai ce ne sono anche troppe?!

Pregiudizi sugli anime

Quando regnava ancora la semplicità, la capacità di stupirsi, la gioia di chi ha meno di dieci anni e tutto un mondo da scoprire… quando guardare la TV non era una semplice evasione dalla realtà, ma un momento importante dove apprendere i valori più importanti della vita attraverso il linguaggio della fantasia… quando guardare i semplici (si fa per dire) cartoni animati significava per molti inoltrarsi in un mondo adulto e bambino contemporaneamente e non solo di magìa e stupore fini a sé stessi… io ero lì… grazie a Dio!

Goldrake, Heidi, Ryu, Kimba, Remì, Jeeg Robot, Candy Candy, Daitarn III, fino ad arrivare a centinaia di storie indimenticabili di altrettanti personaggi che tuttora persistono nel cuore di milioni di adulti: quanti dischi, robot, giochi, fumetti, magliette e quant’altro ho fatto comprare ai miei genitori… e com’era bello mostrarli agli altri, ma soprattutto sapere di possederli.

Era come avere accanto il tuo eroe preferito in carne ed ossa, o quasi. E poi… si cresce. Gli anni passano, i problemi aumentano (a chi più, a chi meno), gli amici cambiano e con loro cambia il nostro spirito puro; la vita non ci dà tregua ed oggi molta della magìa che si aveva dentro si è dissolta nel quotidiano agire. Molti la chiamano maturità, o crescita, o divenire adulti attraverso le difficoltà… io la chiamo follìa! Bisogna semplicemente avere equilibrio; bisogna che il bambino che è in noi (custode di creatività, di passione, di sensibilità e quant’altro di positivo) non muoia mai schiacciato dalla quotidianità, ma attraverso di essa si esalti e, di conseguenza, ci esalti. Eppure eminenti psicologi, saggi di svariate etnìe e periodi storici e… i nostri eroi preferiti ce lo ricordano da sempre! Mah!

Vi sembra impossibile? Guardate (tanto per fare un esempio) qualche serie televisiva giapponese come Jeeg Robot, Remì, L’Uomo Tigre, Sampei, Ken il guerriero, Tommy la stella dei Giants; ripuliteli poi di tutti gli elementi prettamente fantastici ed andate oltre quello che vedete… avrete molto da imparare! Per molti come me la passione per le tematiche del fantastico non è solo un’evasione dalla realtà attraverso il passato o un semplice commercio (per chi lo pratica); conoscere altri appassionati, riscoprire vecchi e nuovi eroi, possedere rarità, significa principalmente mantenere vivo il bambino che è in noi, quindi noi stessi e la nostra vitalità… alla faccia di tutto lo schifo e la falsità che ci circonda.

Significa inoltre ricordarci di non perdere mai di vista quello che siamo in realtà, mantenere il più possibile intatta una propria integrità morale e spirituale, avere la forza di rialzarci nei momenti difficili anche (…e soprattutto…) senza l’aiuto di nessuno, saper prendere la vita in tutte le sue sfaccettature senza chiedersi perché.
Per chi non lo sapesse, tutte queste opere sono sempre state catalogate come “rigorosamente per bambini”: niente di più falso. I giapponesi hanno sempre alternato le situazioni dei loro cartoons passando attraverso vari generi: fantascienza, horror, romanzi storici, soap opera, avventura, commedia comica e demenziale, sport, favole e leggende, sia per grandi che per i più piccoli (per non parlare del genere sexy o splatter). Eppure, nonostante siano passati decenni e siano state spese miriadi di parole, sviluppate molteplici testate, organizzati dibattiti e manifestazioni, creato scuole e tanto altro ancora, qui in Italia abbiamo ancora una cultura altamente retrograda e piena di pregiudizi nei confronti di queste tematiche.

Inoltre, per anni queste serie TV hanno subìto censure, alterazione dei dialoghi e quant’altro di osceno affinché non venisse tutelata l’opera in sé, ma solo l’impatto emotivo con i minori, badando ad accrescere il merchandising e nulla più (vendite di diari scolastici, cartelle, gadgets, giocattoli, carte, videogiochi,etc…). Per cercare di sensibilizzare il più possibile i “non addetti ai lavori”, affinché possano ricevere un’educazione cinematografica a tutela della propria cultura e della propria sensibilità nel lasciare un minore davanti al cartone animato adatto alla propria fascia di età, dal 1999 ho realizzato un sogno in lenta e costante crescita: l’Associazione Culturale Japanimation di Ostia Lido.

Chi vuole collaborare con noi può contattarci al sito www.japanimation.it (info@japanimation.it), oppure su www.myspace.com/japanimationweb.

Vincenzo D’Amico
www.japanimation.it

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