La leggenda del Natale gallese: Mari Lwyd

Mari Lwyd è una tradizione del folclore natalizio/invernale gallese (in particolare del Glamorgan e del Gwent che consiste nel far girare per le strade un teschio di cavallo (od una riproduzione di esso) addobbandolo con dei nastrini.La mascella era provvista di cardini, che le consentivano di aprirsi e chiudersi. La figura veniva portata in giro da un uomo vestito con un lenzuolo bianco.
 
Gli uomini che partecipano alla “processione” bussano poi alle porte del villaggio, intonando poesie o canti. In seguito, aveva luogo il cosiddetto pwnco, una sfida a base di versi/insulti tra i componenti del corteo e gli abitanti del villaggio: la prima persona che non riusciva a comporre un verso in risposta era ritenuta sconfitta e nel caso in cui lo “sconfitto” fosse il padrone di casa, egli doveva far entrare il mari lwyd.
 
In alcuni villaggi, un uomo che partecipava al corteo poteva interpretare le parti delle marionette Punch e Judy e il corteo poteva essere accompagnato da un suonatore di violino!
 
 

Joulupukk: il Babbo Natale finlandese

In Finlandia, Joulupukki è un demone che premiava, certo, i bambini buoni, ma con quelli cattivi non si limitava al carbone. È credenza comune che Babbo Natale, il caro nonnino che si diverte a portare i regali volando su una slitta trainata da renne, abbia la sua fabbrica di giocattoli a Korvantunturi, nel Nord della Finlandia. Ma in questa località viveva, in antichità, Joulupukki, un Babbo Natale molto meno generoso.

La leggenda vuole che discendesse da caproni, che trainavano il carro del dio Thor. Joulupukki era quindi mezzo umano e mezza capra. Come il Babbo Natale odierno, tendeva a distinguere i bambini buoni da quelli cattivi anche se in modo più estremo. Joulupukki non si muoveva su una slitta per il globo, ma girava per la Finlandia e bussava alle porte.

Se gli apriva un bambino buono, gli dava un dono. Mentre quelli cattivi venivano da lui frustati e rapiti. Con il tempo, grazie al cristianesim, ha perso le corna e ha assunto un aspetto più simpatico, mantenendo però la sua caratteristica “di capra” per via delle capre che trainavano la slitta, capre poi divenute renne.

Notare come ricordi notevolmente la figura del Krampus e delle Perchten!

 

di Alessandro “Thaurwath” Ahrens

La leggenda di Natale in Islanda

Secondo la tradizione islandese esiste una creatura di sesso femminile, sempre affamata di bambini, di nome Grýla, che abita assieme al marito Leppalúði a Bláfjöll (“Montagna Blu”), nei pressi di Reykjavík,e che fa la sua comparsa durante il periodo natalizio per cercare i bambini cattivi e rapirli. Figli di Grýla e di Leppalúði sono gli Jólasveinar ovvero i “ragazzi di Natale”, tredici elfi chiamati rispettivamente Stekkjarstaur, Giljagaur, Stúfur, Þvörusleikir, Pottaskefill, Askasleikir, Hurðaskellir, Skyrgámur, Bjúgnakrækir, Gluggagægir, Gáttaþefur, Ketkrókur e Kertasníkir, e che ogni notte a partire dal 12 dicembre, vigilia di Santa Lucia, scendono ad uno ad uno dalla montagna per rubare del cibo o per fare scherzi ai bambini prima di fare ritorno a casa, sempre uno ad uno, durante i tredici giorni che intercorrono tra Natale e l’Epifania.

  • Il 12 dicembre scende il primo, Stekkjastaur, facile da ricordare e da riconoscere per le sue gambe di legno, e dispettoso soprattutto nei confronti delle pecore. Per cui, va lasciato perdere, in quanto alla fine appare come un vecchio strambo che si diverte a correre dietro a quelle povere bestie.
  • Il 13 dicembre arriva Giljagaur, un po’ più sobrio del fratello. Lui, infatti, si nasconde aspettando il momento adatto per entrare nelle stalle e rubare del latte fresco.
  • Il 14, invece, scende Stúfur che ha una particolare passione per le stoviglie sporche: nel senso che si intrufola nelle case degli islandesi, rubando le padelle usate per leccare i residui di cibo rimasti su di esse.
  • Il 15 dicembre scende Þvörusleikir. Matto come Stekkjastaur, magro, malnutrito, anche lui si intrufola nelle case delle persone. Ma al contrario di Stúfur, non ruba le pentole, ma i cucchiai di legno sporchi anche in questo caso per leccarli.
  • Il 16 è il turno di Pottaskefill. Lui è particolarmente subdolo: infatti, quando i genitori, a fine cena, danno come premio al loro figlio l’ultima porzione rimasta della cena, improvvisamente Pottaskefill bussa alla porta. Il bimbo, ignaro, apre, ma non appena lo fa, ecco che Pottaskefill irrompe in casa e ruba la pentola con gli avanzi!
  • Il 17 arriva Askasleikir, che si nasconde sotto il letto e aspetta che a terra venga appoggiata la askur, una ciottola che in passato gli islandesi lasciavano ai piedi del letto con gli avanzi per gli animali domestici per rubarseli.
    Il 18 dicembre compare Hurðaskellir, uno dei più fastidiosi. Egli non ruba niente, ma ha la sua passione è quella di sbattere le porte tutta la notte.
  • Il 19, dalla montagna scende Skyrgámur. Grosso, burbero e particolarmente ghiotto dello skyr, un formaggio islandese. Skyrgámur si intrufola nelle cantine per cercare la botte dove lo si conserva e, quando la trova, ne mangia il più possibile, fino a scoppiare.
  • Il 20 dicembre arriva Bjúgnakrækir, che ghiotto di salsicce che ruba dalle case dove vengono tradizionalmente appese!
  • Il 21 dicembre arriva Gluggagægir, che si piazza fuori dalla finestra e spia all’interno per vedere se ci sono oggetti, che poi ruberà successivamente.
  • Il 22 compare Gáttaþefur, facilmente riconoscibile per il suo naso enorme con cui annusa le porte delle case per capire se c’è del pane appena sfornato di cui lui è ghiotto e quindi rubarlo.
  • Il 23 dicembre arriva Ketrókur, che preferisce la carne affumicata e che ruba dalle dispense utilizzando un lungo uncino che fa passare dal camino.
  • Alla vigilia di Natale, il 24, arriva Kertasníkir, l’ultimo dei figli di Grýla e Leppalúð. Lui è attratto dalle luci delle candele. Infatti spia i bambini che giocano la sera aspettando il momento più opportuno per rubarlee mangiarle. Questo perchè le candele venivano fatte con grasso animale e non con c’era d’api.

La leggenda, infine, vuole che dopo la loro comparsa i 13 Jólasveinar passino la notte di Natale a guardare da lontano le luci della città, tornando, uno alla volta, nella loro grotta. Senza alcun tipo di rimorso o pentimento per le loro scorrerie. Grýla e Leppalúði possiedono inoltre un animale domestico terrificante, il Gatto di Natale chiamato Jólaköttur, che secondo la tradizione rapisce e/o divora i bambini e gli adulti che la notte di Natale non indossano o non hanno ricevuto un abito nuovo. Pare che questa leggenda del gatto fosse finalizzata allo spingere le persone ad impegnarsi nella lavorazione della lana e dei filati. A seguito di un decreto del 1746 che vietava la narrazione ai bambini di storie spaventose aventi come protagonisti gli elfi queste figure assunsero caratteristiche più bonarie e gli Jólasveinar sono così diventati dei portatori di doni, tanto che i bambini lasciano fuori una scarpa con la speranza di trovarla riempita. Ovviamente soltanto i bambini buoni riceveranno però un dolcetto o un altro regalo, mentre i bambini cattivi riceveranno una patata rinsecchita.

 

di Alessandro “Thaurwath” Ahrens

Julemanden – Il Babbo Natale danese

Julemanden, il Babbo Natale danese, è un vecchio, con una barba lunga e bianca, una grossa pancia ed è vestito di rosso. E, naturalmente, porta sempre con sé un grosso sacco in spalla pieno di regali per tutti i bambini. Descritto così, Julemanden, il Babbo Natale danese, non è diverso dal Babbo Natale che tutti conosciamo. Questo perché lui stesso ha influenzato la leggenda di Babbo Natale oggi diffusa in tutto il mondo. Ma il Babbo Natale dei danesi ha delle peculiarità uniche, che lo distinguono dalle leggende del resto d’Europa. E i danesi ci sono così affezionati, che lo appendono sui loro alberi insieme alle bandierine della Danimarca, oppure sopra i caminetti o i tavolini, come decorazione natalizia.
 
Il nome “Julemanden” è una parola composta da “Jul” (“Natale”) e “Manden” (“L’uomo”): L’uomo del Natale. A differenza del Babbo Natale più blasonato, non viene dalla Lapponia ma rimane all’interno del territorio danese: infatti, Julemanden viene dalla Groenlandia, terra di renne, e ama il risengrød e la cannella.
 
Insieme a lui ci sono i Nisse, degli elfi che si comportano come api operaie e che in questo periodo dell’anno si occupano di smistare le lettere, di costruire giocattoli in legno, e di impacchettare i regali. Chiunque vada in Groenlandia in questo periodo, e parli ai locali di Julemanden, si sentirà dire da loro che l’uomo è sempre felice di aprire casa sua a chi lo cerca, anche solo per esprimere un desiderio.
 
L’origine di Julemanden deriva dalla leggenda di San Nicola, molto popolare in Danimarca come in molti altri paesi d’Europa, tra cui in Italia. Tuttavia, in Danimarca, in seguito alla conversione al luteranesimo, alle persone fu proibito di credere ai santi. Come spesso succede in casi di imposizione dome questa, la Chiesa di Danimarca non poteva estirpare la figura di San Nicola dalle menti dei danesi, motivo per cui ha introdotto Julemanden, una figura simile al Santo, ma priva del cappello di vescovo.
 
Ma non è carino lasciare Julemanden senza qualcosa da mangiare, quando arriva a consegnarci i regali. Per i danesi, e in generale per tutti gli scandinavi, il giorno più importante e più festeggiato è quello della vigilia, dove si organizzano le cene e dove si aspetta il suo arrivo. Quando entra nelle case, Julemanden vedrà per lui una ciottola di risengrød, il budino di riso di cui lui (e i danesi) va matto, la speciale juleøl, la birra di Natale che ogni birrificio del Paese produce in questo periodo e, volendo, può anche “rubare” qualche biscotto alla cannella appeso all’albero di Natale. Oltre a lasciare i regali, Julemanden decora l’abete dei danesi con una ghirlanda interamente coperta di bandiere della Danimarca, mentre i suoi Nisse danzano intorno all’albero mentre cantano brani natalizi.
 
Il giorno di Natale, invece, lo julefrokost (Pranzo di Natale) dei danesi prevede arrosto di maiale, cavolo rosso e una salsa di salmone e aringhe, il tutto accompagnato dalla birra natalizia. Come antipasto, non è raro (anzi!) avere gli smørrebrød, i tipici toast aperti farciti con qualsiasi cosa.
 

La tradizione natalizia in Etiopia

Anche in Etiopia viene ancora utilizzato il calendario giuliano, quindi il Natale viene celebrato il 7 gennaio. Qui durante la vigilia di Natale molte persone digiunano fino all’alba, preparando l’anima e il corpo per la celebrazione.
 
La festa di Genna inizia alle 4:00 del mattino in chiesa. Per andare a messa ci si veste di bianco o, come per la maggior parte delle etiopi, si indossa un abito tradizionale chiamato shamma, formato da un tessuto di cotone bianco con strisce dai colori vivaci alle estremità e indossato come un mantello. La messa dura circa tre ore e poi il digiuno viene finalmente interrotto con un piatto chiamato doro wat che viene accompagnato da injera e tej, un vino locale a base di miele.
 
In Etiopia si racconta che quando i pastori udirono la notizia della nascita di Cristo, furono così felici che iniziarono a giocare con dei bastoni, per questo motivo nel pomeriggio si gioca a Yágenna Chewata, un gioco simile all’hockey. Anche se i regali hanno un peso culturale decisamente minore che in Europa, i bambini possono ricevere da Yágena Abãt (Babbo Natale) dei vestiti nuovi.
 

Le leggende natalizie nei paesi Slavi

In Serbia La tradizione prevede che due domeniche prima del 25 dicembre, i bambini debbano rapire la madre e legarla a una sedia e chiederle in cambio della libertà dei regali. Dopo si fa la stessa cosa con il padre. Ora sappiamo quali sono i bambini che ricevono per primi i regali natalizi.
 
In Russia esiste Ded Moroz, che può essere tradotto come “il nonno gelo” o “il nonno delle nevi”, ed è colui che porta i regali ai bambini in Russia e negli altri paesi dell’Est Europa. A differenza di Babbo Natale, indossa vestiti blu (in alcuni casi anche rosso e bianco); al posto delle renne viene trainato da tre cavalli e non scende da nessun caminetto, ma suona il campanello e aprendo i bambini devono cantare altrimenti userà il suo bastone per congelarli. Questo nonno è nato a Veliki Ustiug, una città della provincia di Vologda che si trova al nord del Paese. Non viene aiutato degli elfi ma ha al suo fianco la sua nipotina Snegúrochka, ovvero “la principessa delle nevi”. Insieme distribuiranno i doni il 31 dicembre.
 
Se siete in Repubblica Ceca non vi spaventate se vedete delle scarpe che volano. Qui, durante la vigilia di Natale, le donne single si mettono con le spalle verso la porta della loro casa e gettano una scarpa all’indietro. Se la scarpa atterra con la punta rivolta verso la porta, significa che troveranno l’amore, ma se cade in direzione della casa, significa che chi l’ha lanciata rimarrà single per un altro anno. Invece per capire chi avrà la vita più lunga, i cechi fanno delle barchette con dei gusci di noce, mettono una piccola candela sopra e aspettano che si spenga. Il proprietario della barca la cui candela impiega più tempo a spegnersi sarà colui che vivrà di più.
 
 
L’Ucraina è un paese in cui la religione più diffusa è quella ortodossa e quindi, seguendo il calendario giuliano (noi usiamo quello gregoriano), si celebra il Natale il 7 gennaio. Per decorare lo “Yalynka” ovvero l’albero di Natale, gli ucraini – dopo aver appeso le palline, luci e altre decorazioni – lo ricoprono con una ragnatela. Questa tradizione ha avuto origine da un’antica leggenda popolare, di cui circolano molte versioni. La più famosa è quella che racconta la storia di una povera vedova con bambini piccoli che non avendo i soldi per comprare le decorazioni da mettere sullo Yalynka, lo decorò usando alcune cose che aveva in casa, come noci e frutti. Quella notte, mentre tutti dormivano, un gruppo di ragni che erano sull’albero tessette un’enorme ragnatela che ricoprì tutto l’albero. La mattina dopo, il primo raggio di sole trasformò la ragnatela in fili d’oro e d’argento.
 

Rauhnächte: le tradizioni natalizie in Germania

In Germania, le dodici notti tra il 25 dicembre e il 6 gennaio sono dette Rauhnächte. Durante queste notti il passato e il futuro si incontrano ed interagiscono, e il nostro mondo e l’Aldilà collidono. Secondo la tradizione, questa finestra temporale è teatro di mistici avvenimenti.
 
Il Wilde Heer, l’esercito dei cacciatori soprannaturali, semina terrore sulla Terra, folletti, spiriti e streghe creano scompiglio e disordine, e gli oracoli comunicano con i mortali per svelare loro il futuro. Sono notti intrise di magia e superstizione, che affondano le radici in tempi lontani.
 
Le Rauhnächte sono accompagnate da rituali affascinanti che variano da regione a regione, dalla purificazione delle case con il fumo al divieto di stendere il bucato. Pare che le tradizioni legate alle Rauhnächte abbiano avuto origine nelle tribù celtiche e germaniche. Gli undici giorni – e dodici notti – di differenza tra l’anno lunare (354 giorni) e l’anno solare (365 giorni) erano considerati fuori dal tempo: dei giorni “morti” in cui il nostro mondo si apriva ad altre dimensioni. L’etimologia della parola Rauhnächte è controversa. Secondo alcuni, risale all’aggettivo alto-tedesco medio rûch, “peloso”. Si riferirebbe a demoni vestiti di pelliccia che vagherebbero per la terra in questo periodo, o a rituali volti a proteggere il bestiame.
 
Altri studiosi credono invece che la parola faccia riferimento al fumo dell’incenso che soprattutto i contadini cospargevano nelle stalle per purificarle e benedirle. Una delle tradizioni più diffuse è quella di non stendere il bucato durante le Rauhnächte, e in particolare durante la notte di Capodanno. Si dice che chi lasciava il bucato all’aperto correva il rischio che il Wilde Jagd, l’orda di cacciatori selvaggi composta da creature “mostruose”, ci finisse dentro, portando sventura. Oppure, una delle creature spettrali poteva rubare un lenzuolo – di solito bianco – che trovava steso, e utilizzarlo come sudario per il suo proprietario. Secondo le credenze popolari, il dio germanico Wodan (ovvero Wotan / Odino) guidava la Wilde Jagd, composto da esseri soprannaturali, corvi e lupi.
 
In alcune leggende della Germania centrale, anche Frau Holle – l’anziana signora che regola il tempo atmosferico – fa parte di questo minaccioso esercito.
 
Durante le Rauhnächte, si diffondeva l’incenso in tutte le stanze delle case per tenere lontani gli spiriti maligni, per allontanare la sfortuna e scongiurare le malattie. È probabile che il nome del periodo derivi proprio da questa usanza. Per questo rituale di purificazione potevano essere utilizzati vari tipi di erbe ed essenze: artemisia, resina di abete rosso, lavanda, sambuco, vischio, salvia, alloro, timo e ginepro. Anche il bestiame veniva considerato particolarmente a rischio nel corso delle Rauhnächte. Si credeva che gli spiriti avessero il potere di uccidere gli animali o di danneggiarli: le mucche potevano smettere di produrre latte o le galline di deporre uova. Per questo le stalle venivano attentamente sorvegliate e, come le case, protette con l’incenso o l’acqua santa.
 
Soprattutto a questa credenza potrebbe risalire la figura del Krampus, ovvero umani che travestiti da creature mostruose (per non farsi riconoscere dalla Wilde Jagd) con il suono dei campanacci miravano ad allontanare le figure maligne confondendosi tra loro per poter proteggere il bestiame.
 

Le Rauhnächte per prevedere il futuro

Il numero dodici gioca un ruolo importante nelle Rauhnächten. Secondo la leggenda, le dodici notti dal 25 dicembre al 6 gennaio rappresentano ognuna un mese dell’anno che sta per cominciare. Si credeva che in questo periodo fosse possibile prevedere l’andamento del nuovo anno, così come il futuro tempo atmosferico. Ad esempio, tutto ciò che si sognava durante le Rauhnächten, doveva avverarsi nel mese corrispondente. Inoltre, se il sogno aveva luogo prima di mezzanotte, allora si sarebbe avverato nella prima metà del mese, se invece aveva luogo dopo la mezzanotte, si sarebbe avverato nella seconda metà.
 
Lo storico Adrian Rossner, originario dell’Alta Franconia, afferma che alcune persone tengono ancora un diario accanto al loro letto per prendere nota dei loro sogni.
 
L’Albero di Natale deriva dalla tradizione contadina di portare in casa dei rami profumati di abete da addobbare con candele.Con la riforma protestante di Martin Lutero l’albero diventa il simbolo del Natale per i fedeli protestanti, mentre il presepe (come ideato dal S. Francesco d’Assisi nel XIII secolo) rimane il simbolo del Natale per i cattolici. Tra le decorazioni di Natale più comuni ci sono gli angeli e gli schiaccianoci, che servono la casa dagli spiriti. Per tradizione l’Albero di Natale viene fatto tutti insieme il 24 dicembre.
 
La zona della Germania deputata per eccellenza alla costruzione di oggettistica decorativa è l’Erzgebirge, che si trova in Sassonia a sud di Chemnitz ed al confine con la Repubblica Ceca. La regione vanta una lunga tradizione artigianale e da qui provengono diversi famosi manufatti lavorati in legno, tra cui i presepi e altre decorazioni natalizie quali:
 
– Nussknacker: lo schiaccianoci, ossia il famoso omino di legno decorato che schiaccia le noci nella bocca;
– Bergmannfigur: l’uomo che viene dalle montagne con una candela;
– Reifendrehen: delle figurine in legno che possono essere animali, casette altre piccole figure;
– Spieldose: da noi conosciuti come carrilon;
– Weihnachtspyramiden: piramidi di natale, delle costruzioni piramidali ruotanti decorate con figure natalizie e luci;
– Schwibbogen: candelieri di legno ad arco con alla base decorazioni come casette o scene delle natività.
 
La tradizione della corona dell’Avvento, una ghirlanda di abete con delle candele colorate che rappresentano l’attesa per la venuta di Gesù (ovvero la luce) , venne ideata dal pastore protestante Johann Hinrich Wichern per spiegare il significato del Natale ai bambini di un orfanotrofio. Si narra che esemplari della corona vennero venduti da quel momento in poi per raccogliere fondi per i bambini bisognosi a Natale. Successivamente si diffuse anche il calendario dell’Avvento.
 
In Germania è il Bambino Gesù che porta i regali il 24 dicembre e a deciderlo è stato Martin Lutero. Per alcuni, in realtà, non si tratta proprio di Gesù bambino quanto di un angelo o di una figura simile a quella di S. Lucia, molto sentita nei paesi nordici, che il 24 dicembre lascia i regali sotto l’albero di Natale. Nella tradizione cattolica i doni venivano portati il 6 gennaio con l’arrivo dei Re Magi (o della Befana, per i secolari). Partendo dalla figura di San Nicola, protettore dei bambini, in diverse regioni della Germania del Nord si diffonde il mito di Der Weihnachtsmann che porta regali. Anche qui, come nel caso di S. Nicola, o Nonno gelo dei paesi slavi, dovrebbe aver avuto origine la figura ripresa dal marchio Coca Cola per creare il celebre Babbo Natale. A differenza di Cristkindl, Weihnachtsmann è una figura laica.
 
La leggenda di San Nicola narra di un vecchio genitore che non aveva i soldi per far sposare le sue figlie; per evitare che dovessero prostituirsi, Nicola le aiutò lasciando dell’oro nel camino. Si salvarono dal loro destino, trovando l’oro nei calzini e negli stivali appesi ad asciugare. L’usanza natalizia di San Nicola si basa quindi sulla leggenda delle vergini. Si rinnova questa usanza ogni anno, attraverso la storia che ogni 6 dicembre i bambini aspettano i regali dal camino.
 
Il ciocco natalizio è chiamato Christklotz, Christbrand, Christblock, Julklotz o Julblock, si usava, in particolare in Assia e in Vestfalia, far bruciacchiare il ceppo lentamente per poi toglierlo e gettarlo di nuovo sul fuoco come protezione dai fulmini. Abbiamo poi la figura folkloristica tedesca del Belsnikel, una controparte di Babbo Natale. Porta anche lui i regali ai bambini buoni, ai cattivi però non si limita a dare del carbone, ma ha sempre con sé una bella frusta da usare come meglio crede. Da non confondere con il Krampus e le Perchten, nonostante i punti in comune.
 
La piramide natalizia (Weihnachtspyramide), una costruzione in legno a più piani con all’interno la Sacra Famiglia e altre figure, con candele o luci alla base e con in cima un’elica che la fa girare. Se ne trovano di gigantesche anche nei mercatini di Natale.
 
Il 4 dicembre, il giorno di Santa Barbara, è usanza portare a casa un ramo di un albero da frutta (Barbarazweig) e preparare il dolce alle pere, nocciole, uva sultanina e scorze di arancia candita chiamato Kletzenbrot.
 
La leggenda del ragno di Natale narra dinuna casa in Germania nella quale, la madre di una bella famiglia si era sempre adoperata per tenerla pulita e renderla come uno specchio per celebrare il giorno più melodioso dell’anno. Era il giorno della nascita del Bambin Gesù, il giorno di Natale. La donna puliva e puliva affinché non si vedesse il minimo granello di polvere. Spolverava anche gli angoli, dove di solito non si arriva con la scopa, e dove normalmente appaiono minuscole ragnatele. I piccoli ragni, vedendo i loro tessuti distrutti, fuggirono e salirono in altri pertugi meno facilmente raggiungibili. Finalmente giunse la vigilia di Natale. In quella casa collocarono e decorarono con molto orgoglio ed allegria l’albero, mentre la madre rimase vicino al camino, sperando che i figli scendessero dalle loro stanze. Tuttavia, i ragni, che erano stati confinati in invisibili fessure dai lavori domestici della madre, erano disperati perché non sarebbero stati presenti la mattina di Natale. Il ragno più vecchio e saggio suggerì di godersi la scena attraverso una piccola fenditura appena sopra le scale. Silenziosamente, uscirono dal rifugio, e si nascosero nella piccola crepa. Improvvisamente la porta si aprì e i ragni spaventati si dispersero per tutta la stanza. Si nascosero nell’albero di Natale strisciando di ramo in ramo, salendo e scendendo, e cercando di rimpiattarsi tra gli addobbi più belli. Quando, finalmente, Babbo Natale quella notte scese per il camino e si avvicinò all’albero, si rese conto con spavento che era pieno di ragni. Però, allo stesso tempo, provò pena per loro, essendo anch’essi creature di Dio; tuttavia pensò che la padrona di casa non avrebbe certo pensato la stessa cosa in merito a quel nutrito gruppo. Immediatamente, con uno schiocco di dita fece tentennare leggermente l’albero e trasformò i ragni in lunghe strisce di seta brillanti e luminose. Da allora, in Germania, tutti gli anni, i nonni raccontano ai loro nipoti la leggenda dei Ragni di Natale, e appendono dei piccoli ragnetti di legno, vetro o plastica assieme alle ghirlande, brillanti di sfumature, all’albero. E la tradizione inoltre narra che bisogna sempre includere un ragno al centro di ogni decorazione.
 
 

La leggenda di Hulda

Si narra che nelle foreste della Norvegia viva una stupenda Troll, con vestito bianco e lunghi capelli biondi, il cui nome è Hulda. La troll è uno spirito dell’acqua, che rimane spesso intrappolata sotto uno spesso strato di ghiaccio quando, nel lungo inverno norvegese, l’acqua si ghiaccia completamente.
 
Un giorno di Natale, un pescatore decise di portare a Hulda un dolce ma, poiché non trovava il lago dove Hulda viveva e non voleva lasciare il dolce sulla superficie, decise di fare un foro nel ghiaccio, usando il suo piccone.
 
Il ghiaccio, però, era veramente duro e il pescatore ottenne solamente un piccolo foro. Mentre cercava una soluzione, dal foro uscì una piccolissima manina bianca, che prese il dolce. Quest’ultimo, come per magia, si rimpicciolì, riuscendo a passare dentro il buco.
 
Da quel momento, ogni Natale si usa portare allo spirito dell’acqua dei dolcetti piccoli piccoli, in grado di passare attraverso qualsiasi foro nel ghiaccio.
 

Alessandro “Thaurwath” Ahrens: un talento vivo e costante

Alessandro “Thaurwath” Ahrens nasce a Milano nel lontano 30/06/1970 e poi inizia il suo viaggio per l’Italia trasferendosi dapprima in provincia di Ancona e poi nel 1975 in Abruzzo. Qui inizia e completa i suoi studi sino ad avviare la sua professione sanitaria di Odontoiatra e Protesista Dentale, attività che svolge tutt’ora dopo essersi trasferito nuovamente nelle Marche, per la precisione a Gradara dove attualmente risiede. Sin dalla tenera età di 5 anni manifestava una innata tendenza alla fantasia che si è manifestata nella scrittura con poesie, racconti e romanzi che sono ora disponibili su Amazon ed i cui proventi vengono devoluti in beneficenza. 

Dal 2012 è poi entrato in punta di piedi nel mondo del cosplay portandovi, primo fra tutti, la tradizione dei Krampus e che ancora continua a portare con maschere e costumi sempre nuovi. Parallelamente si è dedicato, assieme alla sua compagna, alla realizzazione di eventi horror come la Zombie Walk Gradara od il Dans Macabre per assecondare la sua horrorfilia, ad eventi Steampunk come il Gradara 800 a Vapore, Altrofuturo e Urbinottocento per dar pieno sfogo alla sua passione per i personaggi original che proprio nel mondo Steampunk possono trovare una delle massime forme di espressione. Sempre con la sua amata compagna si dedica a poi a realizzare anche eventi a tema fantasy, medievale e pirata.  Il suo nickname è semplicemente la traduzione in elfico il suo nome di battesimo.

 

Una passione innata nella costumistica e nel performing è sempre stata insita in Thaurwath  e spesso si manifestava, in adolescenza, con costumi di Carnevale originali realizzati i proprio o fatti realizzare su precise indicazioni. Il primo vero e proprio cosplay, inteso come non original e non attinente al mondo Krampus, Thaurwath lo propose impersonando i Visitor dell’omonima serie tv ed un Centurion della Umbrella Corporation per rendere omaggio a quelle serie. E Subito dopo sono seguiti i cosplay di Sandokan e de Il Corsaro Nero per rendere omaggio ad Emilio Salgari. Dire quanti e quali cosplay abbia realizzato Thaurwath, tra original e non, è impresa ardua. Sicuramente sono oltre i cinquanta considerando che solo i suoi Krampus sono dieci, poi abbiamo Sandokan, Il Corsaro Nero, tre versioni dei Visitors, 3 versioni Umbrella corporation, il crociato Atanvaro da Gubbio, Guglielmo di Baskerville de “il nome della Rosa, Albus Silente, Lo Snaso, il bradipo Flash, una quindicina di zombie original, ed una ventina di original legati al mondo fantasy / medievale ed una decina di cosplay legati al mondo horror. Con tutti i suoi personaggi Thaurwath sente un vivo e forte legame che rende difficile stabilire una particolare preferenza. Ma forse quello a lui più caro è quello che gli ha permesso di entrare in contatto con Edoardo, il figlio con disturbo dello spettro autistico della sua compagna e che ha permesso poi la nascita di una bella storia d’amore.

 Thaurwath, quando possibile e se nelle sue corde, preferisce realizzare in proprio i suoi costumi e accessori come per il suo elfo dei boschi Feonor Telperien ma quando ciò non è possibile si occupa della ideazione e commissiona la creazione pratica a coloro che più ritiene in grado di soddisfarlo. Alessandro crede che gli original siano una componente essenziale del cosplay, quella che può fornire spunti creativi ad illustratori, scrittori, filmmaker oltre che contribuire alla realizzazione di fanart a cui altri possano ispirarsi.

Alessandro, seguendo il suo talento, non si è ispirato a nessun modello ma semplicemente segue la propria passione dedicandosi a personaggi in cui si riconosce senza seguire un filone mainstream giusto per apparire o farsi notare. Crede che si possa diventare “bravi” cosplayer seguendo e vivendo il proprio personaggio senza farsi condizionare da terzi ma semmai accettando consigli.

Negli anni Thaurwath ha partecipato a tanti eventi anche se ultimamente a causa di impegni sta riducendo la sua partecipazione alle manifestazioni. Tra gli eventi che preferisce ci sono sicuramente quelli curati dai BHC, da Mara Pelizza con la quale collabora anche come presentatore / ospite /coorganizzatore, ed alcuni eventi Epicos. Diciamo che la sua partecipazione è più legata alla logistica ed agli altri impegni lavorativi.

Alessandro non trova stressante di imbattersi in persone che  criticano il suo stile Cosplay semplicemente perchè ha la capacità di ignorare certi atteggiamenti conscio di fare ciò che fa per passione e per regalare emozioni ad altri. Di aneddoti ne avrebbe tanti Alessandro da raccontare, piacevoli o meno, ma preferisce tenerli per sé anche per per non scatenare flames e mettere in difficoltà terze persone. Alla fine sono proprio questi “eventi particolari” che contribuiscono a tener viva la passione.

Thaurwath vive la sua creatività a 360° portando i suoi personaggi non solo durante degli eventi ma talvolta anche quotidianamente. Inoltre si dedica alla scrittura dei suoi racconti e romanzi ed alla organizzazione di eventi. La sua creatività Cosplay si connetta moltissimo nella sua vita sociale, privata e professionale: basti pensare che nel suo Studio Dentistico in Pesaro, Thaurwath ha una area dedicata al mondo cosplay. Spesso usa proprio questo mondo anche per aumentare la compliance dei pazienti, specialmente pediatrici o disabili cognitivi.

Personalmente negli ultimi anni Alessandro ha notato, da un lato, un notevole miglioramento della parte “scenica” del Cosplay, con costumi ed accessori di alta qualità ma talvolta un decadimento della parte “interpretativa” con un sempre più frequente ricorso al playback a discapito di una interpretazione “Live” del proprio personaggio. Quasi un dedicarsi più all’apparenza che alla sostanza. Purtroppo inoltre ha visto negli anni accrescersi una accesa e malsana competitività che talvolta ha assunto toni esasperati, con taluni cosplayer che vivono questa passione più come rivalsa sociale che come passione e divertimento fine a sé stesso.

Secondo Thaurwath si può decisamente parlare di Industria legata al mondo cosplay per il volume di affari che vi gira attorno e di tutto l’indotto che si è creato grazie a valenti costumisti, propmaker. Sul guadagnare con la propria passione non si arroga il diritto di giudicare perchè ognuno deve essere libero di fare ciò che ritiene giusto per sé stesso. Thaurwath pensa che i Social, se da un lato hanno permesso un allargamento della platea ed una diffusione del mondo cosplay dall’altro lo hanno contaminato portandovi all’interno influenze negative che lo stanno corrodendo e talvolta dandogli una accezione negativa. Non crede esista trasgressione nel cosplay ma la libera espressione della propria individualità. Semmai sono gli altri a non percepirla come tale e attribuirle un concetto di trasgressione perchè al di fuori dei propri canoni. Essere sé stessi è sempre stato e sempre sarà difficile se non si ha la forza di resistere a critiche ed attacchi; purtroppo i pregiudizi son sempre esistiti e sempre esisteranno perchè insiti nella natura umana.

 

L’unico consiglio che si sente di dare a coloro che vogliono iniziare il proprio percorso creativo nel Cosplay è:

“Siate sempre voi stessi, vivete il personaggio che vi piace senza farvi condizionare o tarpare le ali da chi si arroga il diritto di giudicarvi invece di elargire semmai consigli utili. Non permettete a nessuno di dirvi NON PUOI FARLO. Vi piace? Fatelo e basta. Dovete solo divertirvi!”.

Per scoprire l’affascinante talento di Alessandro “Thaurwath” Ahrens non vi resta che seguirlo nei suoi canali ufficiali: Facebook, InstagramTikTok.

 

Exit mobile version