Nuove scoperte dai Papiri di Ercolano: svelato il luogo di sepoltura di Platone e altri segreti

Grazie a un progetto di ricerca innovativo, i Papiri di Ercolano continuano a svelare i loro segreti. Tra le ultime scoperte, di grande rilevanza storica e filosofica, vi è l’individuazione del luogo esatto della sepoltura di Platone.

La tomba del filosofo greco si trovava all’interno dell’Accademia di Atene, nel giardino a lui riservato, vicino al Museion, un sacello sacro alle Muse. Questa rivelazione, basata su nuove letture di frammenti papiracei, ridefinisce la conoscenza sulla vita e sulla morte di Platone.

Altri dettagli affascinanti emergono dai papiri, tra cui la conferma della vendita di Platone come schiavo sull’isola di Egina, avvenuta probabilmente nel 404 o 399 a.C. Si tratta di una datazione anteriore rispetto a quanto si credeva finora.

Il progetto di ricerca “Greek Schools”, condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha permesso di ottenere queste nuove informazioni grazie a innovative tecniche di analisi, come la tomografia a coerenza ottica e l’imaging iper spettrale a infrarossi.

Le nuove letture offrono anche un quadro più completo delle circostanze legate alla corruzione dell’oracolo di Delfi da parte del filosofo accademico Eraclide Pontico. Inoltre, è stato possibile correggere alcuni errori storici, come il nome di Filone di Larissa, erroneamente riportato in precedenza.

La scoperta di nuovi strati di testo all’interno dei papiri, grazie a sofisticate tecniche di analisi, ha permesso di recuperare informazioni che erano rimaste nascoste per secoli. Si tratta di un passo avanti fondamentale per la comprensione della filosofia antica e della storia del mondo greco.

Lo studio, finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC), rappresenta un salto di qualità notevole nel campo della papirologia e promette di svelare nuovi segreti in futuro. I ricercatori sono fiduciosi che nei prossimi anni, grazie all’analisi approfondita dei Papiri di Ercolano, la nostra conoscenza del mondo antico potrà essere arricchita in modo significativo.

Oltre alla scoperta del luogo di sepoltura di Platone, il progetto “Greek Schools” ha permesso di ottenere nuove informazioni su:

  • La vendita di Platone come schiavo
  • Le circostanze legate alla corruzione dell’oracolo di Delfi
  • La vita e l’opera di Filone di Larissa
  • Molti altri aspetti della filosofia e della storia del mondo greco

Queste nuove scoperte dimostrano ancora una volta l’immenso valore dei Papiri di Ercolano e il loro potenziale per contribuire alla nostra comprensione del passato. La ricerca continua e i progressi tecnologici aprono nuove strade per l’esplorazione di questi preziosi reperti, promettendo di svelare nuovi segreti affascinanti nei prossimi anni.

I Calchi di Pompei

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fu una delle più catastrofiche della storia, che seppellì sotto una coltre di ceneri e lapilli le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Tra le testimonianze più impressionanti di quella tragedia, ci sono le figure umane che sembrano pietrificate nella loro ultima espressione di vita. Ma cosa sono realmente questi reperti? Come sono stati realizzati e conservati? Qual è il loro valore storico e artistico?

In realtà, le figure umane che vediamo nei musei e nelle mostre non sono i corpi originali delle vittime, ma dei calchi in gesso o in resina delle loro spoglie. Questi calchi sono stati ottenuti grazie a una geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli, uno dei più importanti archeologi che operarono a Pompei nell’Ottocento. Fiorelli fu il primo direttore ad aprire al pubblico il sito archeologico nel 1861 e a introdurre un metodo scientifico e sistematico negli scavi. Fu lui a inventare la tecnica dei calchi, che consisteva nel versare una miscela di gesso e acqua nei vuoti lasciati dalla decomposizione dei corpi nella cenere solidificata. In questo modo, si poteva ricreare la forma esatta dei corpi, con i loro vestiti, i loro oggetti personali e le loro espressioni.

Fiorelli perfezionò questa tecnica nel 1863, quando riuscì a ottenere il calco di quattro persone trovate in una casa di Pompei. Da allora, furono realizzati poco più di un centinaio di calchi, che furono esposti nel primo “Museo Pompeiano” allestito da Fiorelli nel 1873-1874. I visitatori potevano così ammirare da vicino le immagini autentiche della catastrofe vesuviana, come scrisse Gaetano De Petra, uno dei successori di Fiorelli:

“La più fortunata delle sue invenzioni fu la immagine autentica che diede della catastrofe vesuviana, colando nel masso di cenere che copriva gli scheletri il gesso liquido, per cui questi rivivono nelle forme e nelle contrazioni della loro agonia”.

I calchi delle vittime dell’eruzione sono stati ritrovati in diverse zone di Pompei, a testimonianza delle diverse fasi dell’evento vulcanico e delle diverse reazioni degli abitanti. Alcuni cercarono di fuggire dalla città, altri si rifugiarono nelle case o nei luoghi pubblici, altri ancora si abbandonarono al destino. Tra i calchi più famosi, ci sono quelli dell’Orto dei Fuggiaschi, dove furono trovati tredici corpi in una vigna vicino alle mura della città. Queste persone erano probabilmente fuggite dalla città durante la prima fase eruttiva, quando una pioggia di pomici e lapilli aveva invaso gli ambienti e causato crolli. Di queste vittime, furono ritrovati solo gli scheletri, perché i loro corpi non furono coperti da un materiale sufficientemente compatto da lasciare un’impronta.

Pompei: due nuovi corpi recuperati con la tecnica dei calchi

Successivamente, un flusso piroclastico altamente caldo e veloce investì Pompei, riempiendo gli spazi non ancora occupati dai materiali vulcanici e uccidendo istantaneamente per shock termico chi era ancora in città. I corpi di queste vittime rimasero nella posizione in cui erano stati colpiti dal flusso piroclastico e il materiale cineritico solidificatosi ne conservò l’impronta dopo la decomposizione. Questi sono i casi in cui è stato possibile realizzare i calchi con il metodo di Fiorelli (sigillando, in alcuni casi, i resti organici ancora presenti).

I calchi delle vittime dell’eruzione non sono solo reperti archeologici, ma anche opere d’arte che hanno ispirato poeti e artisti di ogni epoca. Tra i più noti, possiamo citare Primo Levi, che dedicò una poesia alla “Bambina di Pompei”, un calco di una bambina abbracciata alla madre, e Roberto Rossellini, che inserì una scena dedicata alla scoperta di alcuni calchi nel suo film “Viaggio in Italia” .

Calchi Pompei. Intervista ad Amedeo Maiuri dopo il ritrovamento di 13 fuggiaschi - Super Quark

Purtroppo, molti dei calchi esposti a Pompei furono distrutti o gravemente danneggiati dai bombardamenti del 1943, durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, grazie al paziente lavoro di Amedeo Maiuri e dei suoi collaboratori, alcuni calchi furono parzialmente recuperati e restaurati. I calchi sopravvissuti agli eventi bellici non trovarono posto nel nuovo Antiquarium inaugurato nel 1948, ma furono conservati in depositi o in vetrine. Nel contesto del Grande Progetto Pompei, avviato nel 2012, è stata condotta una ricognizione che ha permesso di ritrovare calchi che si ritenevano dispersi o dimenticati ⁶. Inoltre, è stato previsto il rilievo dei calchi conservati tramite laser scanner per la realizzazione di copie tramite stampa 3D. Queste copie si aggiungono a quelle in gesso o in resina prodotte in passato e sono destinate al prestito per mostre temporanee in tutto il mondo . A Pompei, sarà curata una nuova esposizione di questi preziosissimi reperti, che ci restituiscono le immagini e le emozioni di persone che sono diventate testimonianze uniche della tragedia del 79 d.C.

Le terme degli scavi di Pompei

Quando pensiamo alla vita quotidiana degli antichi romani, una delle prime immagini che ci viene in mente è quella delle terme. Questi luoghi di divertimento, tra i più amati dai cittadini, non erano solo destinati alla cura del corpo e al relax, ma anche alla convivialità, agli affari, alla politica e all’amore. Le terme erano infatti il centro nevralgico della vita sociale romana, frequentate da uomini e donne di ogni ceto e condizione, spesso quotidianamente. Anche a Pompei, la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., possiamo ancora oggi ammirare le tracce di questa cultura termale, che ci racconta molto della mentalità e delle abitudini dei suoi abitanti.

A Pompei sono stati rinvenuti almeno tre stabilimenti termali pubblici: le Terme del Foro, le Terme Stabiane e le Terme Suburbane. Le prime erano le più grandi e prestigiose, situate nel cuore della città, vicino al foro, il luogo in cui si svolgevano le principali attività politiche, economiche e religiose. Le seconde erano le più antiche, risalenti al II secolo a.C., e si trovavano nella zona sud-orientale della città. Le ultime erano le più nuove, costruite poco prima dell’eruzione, e si affacciavano sul mare, nella zona nord-occidentale.

Le terme romane erano composte da diverse sale, ognuna con una funzione specifica.

La più importante era il calidarium, la sala calda, dove si faceva il bagno in una vasca di acqua calda, riscaldata da un sistema di tubature sotterranee chiamato hypocaustum. Qui si poteva anche sudare in una sorta di sauna, chiamata laconicum, e usufruire dei servizi di barbieri, massaggiatori e unguentari, che offrivano vari trattamenti di bellezza. Il calidarium era seguito dal tepidarium, la sala tiepida, dove si poteva fare un bagno in una vasca di acqua tiepida, e dal frigidarium, la sala fredda, dove si poteva fare un bagno in una vasca di acqua fredda, per tonificare il corpo e chiudere i pori. Altre sale erano il palaestra, il cortile per gli esercizi fisici, il natatio, la piscina all’aperto, e l’apodyterium, lo spogliatoio, dove si lasciavano i vestiti in appositi armadietti.

Le terme più antiche, come le Terme Stabiane, erano divise in una zona maschile e una femminile, per garantire la separazione dei sessi. Ma in un secondo momento, questa divisione architettonica fu abolita, e si passò probabilmente a una divisione per orario, che però non impediva gli incontri clandestini tra uomini e donne. Le terme, infatti, erano anche luoghi di corteggiamento e di trasgressione, dove si potevano consumare relazioni amorose, anche extraconiugali, o pagare i servizi di prostitute e prostituti. Le terme erano anche luoghi di cultura e di svago, dove si potevano leggere libri, ascoltare musica, assistere a spettacoli, giocare a dadi o a scacchi, o semplicemente chiacchierare con gli amici.

Le terme a Pompei erano terme pubbliche, cioè aperte a tutti e a pagamento. Il prezzo del biglietto era molto basso, di solito un quadrante, la moneta più piccola in circolazione, equivalente a un quarto di asse. Ma le ville romane più grandi e lussuose, come la Villa di Poppea di Oplonti, erano dotate di terme private, che indicavano il massimo del comfort e del prestigio. Queste terme erano spesso decorate con mosaici, affreschi e statue, che esaltavano la bellezza del corpo umano e la gioia di vivere.

Tra le terme più visitate oggi, ci sono le Terme del Foro, che ci offrono uno spaccato della vita termale romana. La zona meglio conservata è la sezione maschile, dove possiamo ancora ammirare le decorazioni in stucco del tepidarium e del calidarium, e la grande vasca del frigidarium, che poteva contenere fino a dieci persone. Delle terme Suburbane, è curioso e particolarmente interessante, scoprire le decorazioni sopra gli armadietti degli spogliatoi. Su ogni armadietto è dipinta una scena erotica abbastanza esplicita. Probabilmente il gestore delle terme, voleva aggiungere un elemento osè per richiamare i clienti.

Questa nuova moda si era diffusa in epoca imperiale e scandalizzava molti, ma come si è sempre detto, il commercio richiede innovazione e già allora l’ingegno dei proprietari, faceva la sua parte.

Il Fast Food secondo i Romani

A molte persone degli anni 2000 vien naturale pensare che i Fast Food siano stati inventati da Ronald McDonald, un pagliaccio vestito di rosso e giallo che serve panini in ristoranti economici ma gustosi (!),tutti uguali, in tutto il mondo. In realtà il cibo veloce, consumato per strada e rapidamente, è un’invenzione che affonda le proprie radici ai tempi dell’Impero Romano. Nel mondo antico i poveri non avevano infatti cucine attrezzate, fornelli adatti o numerose stoviglie e pentole nelle quali cucinare. Accadeva perciò che esistessero i Thermopolium, dei veri e propri fast food che servivano pasti caldi ad un prezzo accessibile.

Nei lunghi banconi erano ospitate delle Giare ricolme di cibo, cui i clienti si avvicinavano per mangiare al banco. La parola stessa Thermopolium significa “Luogo in cui si vende qualcosa di caldo“. I Dolia erano i nomi dei vasi che contenevano le pietanze, e venivano riempiti una volta terminati dal cliente. Durante gli scavi archeologici, in un Thermopolium è stato rinvenuto un sacchetto di tela contenente circo mille monete romane, un’indicazione importante sul grado di popolarità che potevano avere questo tipo di ristoranti durante il loro periodo di attività.

A Pompei si trova il Thermopolium di Asellina, uno degli esempi più completi e meglio conservati di antico Fast Food. Durante gli scavi vennero ritrovate brocche, piatti e persino un bollitore d’acqua. Il piano terra del locale veniva utilizzato dagli avventori per bere e mangiare, mentre alcune scale portavano alle stanze in affitto del secondo piano. Il locale aveva un’ampia porta aperta sulla strada, un banco con i fori per i Dolia e diversi santuari dedicati a Mercurio, Bacco e Lares.Le camere al piano superiore potevano esser utilizzate per dormire, ma in molti sono convinti che si trattasse di un vero e proprio bordello, anche a causa del ritrovamento di scritte con moltissimi nomi di donne. Un’altra teoria vede le donne come schiave che lavoravano come bariste.

Altri esempi di Thermopolium giunti sino a noi si trovano ad Ercolano e Ostia.

di Annarita Sanna

Pompei, il graphic novel di Frank Santoro

Pompei, il graphic novel di Frank Santoro diventato ormai un classico del nuovo fumetto americano, arriva finalmente in Italia. Marcus è un giovane apprendista giunto a Pompei per servire nella bottega del celebre e corrotto pittore Flavius. Nel poco tempo libero, Marcus realizza i propri me­ravigliosi disegni e incontra la ra­gazza che ama, ma sui loro sogni incombe l’ombra del Vesuvio, che lancia sem­pre più inquietanti segnali.

Storia d’amore e potere che si svolge sullo sfondo dell’eruzione del 79 a.C., Pom­pei è il capola­voro di Frank Santoro, figura di riferimento del fumetto indie ameri­cano. Un racconto antico e modernissimo, che è anche rifles­sione sulle origini della rappresentazione artistica occidentale. Narrato con ritmo implaca­bile, basato sullo studio della pittura pompeiana e sulla si­stematica sperimenta­zione delle tecniche del fumetto, Pompei è un’opera che infrange le barriere del genere.

Frank Santoro sarà in tour in Italia a maggio 2018. Dal 18 aprile al 31 maggio 2018 le tavole di “Pompei” saranno in mostra al MANN (Museo Archeologico Nazionale Napoli). La mostra sarà allestita in occasione della nuova edizione del Comicon, che vedrà Frank Santoro tra gli ospiti. Frank sarà protagonista di un incontro con il pubblico, presso il Museo Archeologico di Napoli, il 30 aprile, alle ore 12 e nei giorni del Comicon dedicherà il suo libro allo stand di 001 Edizioni. Il 5 maggio sarà, invece, protagonista a Bologna di un incontro con il pubblico presso l’Accademia di Belle Arti.

Frank Santoro è un poeta dello sguardo fugace e dell’istante chiave. I suoi romanzi grafici non descrivono ampi passaggi di tempo ma cristallizzano momenti: una decisione che definisce, un incidente che altera la vita. In Pompei è l’intreccio di aspirazioni e inganni che vedono protagonisti un pittore, il suo apprendista, la fidanzata dell’apprendista e la moglie e amante del pittore, nei giorni precedenti l’eruzione vulcanica che cancellò la città del titolo dai successivi sedici secoli di storia.  Con Pompei Santoro ha dichiarato di voler semplificare, limitandosi a disegnare a matita, nello stesso formato in cui l’opera sarebbe stata riprodotta. Scegliendo persino di utilizzare sottili fogli di carta, per evitare eccessive rielaborazioni. Pompei possiede la fisicità del blocco per schizzi d’artista, e a differenza del suo precedente lavoro, Storeyville, ricco di dettagli, rappresenta il punto di arrivo di una ricerca minimalista su cui l’autore ha lavorato negli ultimi anni. Pompei segue l’aspirante artista di ritratti Marcus impegnato non solo a preparare i colori per il suo maestro, Flavius, ma anche a impedire che sua moglie Alba e la sua amante (una principessa romana senza nome) incrocino i loro cammini. Lo squilibrio di potere tra maestro e allievo, gli oneri e le fatiche del ruolo riflettono un elemento autobiografico: Santoro fu, per diverso tempo, assistente di Francesco Clemente. Così come risulta familiare la tensione tra Marcus e la sua ragazza, Lucia, che prova nostalgia per la città più piccola, che entrambi hanno lasciato per permettere a Marcus di inseguire il sogno di una carriera artistica nella grande città.  Il lavoro di Santoro assomiglia ai bozzetti preliminari dei migliori pittori canonici. L’autore applica indicazioni testuali ad azioni ed elementi occasionali del racconto –  come l’etichetta di un colore di vernice o il movimento di una porta – e a volte queste annotazioni assomigliano a indicazioni di scena (come in teatro). La sicurezza dei riassunti ottici di Santoro, il notevole senso di sostanza nei suoi spazi semplici, è completata dalla geometria emotiva della sua narrazione. Il triangolo tra Flavius, sua moglie e il suo amante influisce sulla vita degli altri, e il contrappunto tra gli affetti divisi di Flavius e la chiarezza della devozione di Marcus e Lucia è commovente. Quando il famigerato vulcano inizia a soffiare, il suo pennacchio di fumo sembra congelato come il pilastro di un tempio panteistico, o, come osserva Flavius, “come un albero sempreverde”. E mentre le vite individuali sono cancellabili, comprendiamo il senso dell’eterna dinamica della servitù benevola, quella di Marcus per i capricci del suo capo e quella di Flavius per i suoi impulsi. Artista e assistente si sforzano di mantenere un senso di ordine nelle loro esistenze, inconsapevoli di ciò che il destino ha in serbo per loro.  Santoro mostra il nostro passaggio nel tempo e le tracce che lascia sulla nostra conoscenza di noi stessi usando, ad esempio, gli stadi cancellati della progressione di un braccio o di una gamba per un semplice senso di movimento stroboscopico, o il contorno trasparente di una figura contro un edificio, come se stessimo già vedendo il loro eco ottico dopo che hanno lasciato lo spazio. In una scena magistrale, Marcus incontra Flavius ​​e la principessa, il suo ritratto un contorno vuoto e il suo stesso volto una figura vuota; solo Flavius, fulcro dell’attenzione, è reso in toni pieni e con dettagli identificabili.

Santoro è un narratore consumato, e la sua opera parla tanto della carne quanto della forma. Le ironie che convergono e le tenerezze che emergono mentre il disastro vulcanico si avvicina e si manifesta, e il puro orrore della sua devastazione, innalzano la storia al livello dell’arte. Ma l’essenza della vita, ci insegna Pompei, è irriconoscibile; non c’è scultura della paura, nessuna registrazione storica di sentimenti fugaci, nessuna traccia di un milione di lacrime. Questo è ciò a cui serve l’immaginazione.  Santoro sembra volerci comunicare che possiamo imparare molto da quello che è successo prima e che dobbiamo tracciare i primi segni di ciò che può accadere dopo. Interi stili di vita si sono persi nella storia e le grandi città possono cadere senza lasciare traccia, ma la lavagna vuota è sempre in attesa. E l’odissea di Frank Santoro per trovare un modo di trasmettere tutto esprimendo l’essenziale non è una ricerca per abbattere, ma per ricostruire.

Frank Santoro, pittore, fumettista e critico, pubblica i suoi primi comic books nel 1988 e scrive di fumetti dal 1995, affer­mandosi subito come una delle voci più autorevoli della scena nordamericana. Si è formato nell’ambiente delle arti figurative, al fianco di pittori come Francesco Clemente, Dorothea Rockburne e Gary Panter. Storeyville, il suo primo libro, è stato indicato da Chris Ware come una pietra miliare nella storia del fumetto. Vive a Pittsburgh, dove dirige una scuola di fumetto e editoria.

Le eruzioni vulcaniche che hanno segnato la storia della Campania

La Campania è una regione ricca di bellezze naturali, ma anche di pericoli vulcanici. Due delle aree più note e studiate sono il Vesuvio e i Campi Flegrei, due vulcani attivi che hanno avuto eruzioni devastanti nel corso della storia. In questo articolo vedremo quali sono state le eruzioni più importanti e quali sono le conseguenze per il territorio e la popolazione.

Il Vesuvio: il vulcano più famoso del mondo

Il Vesuvio è un vulcano a forma di cono situato a sud-est di Napoli, che domina il golfo omonimo. Si tratta di uno dei vulcani più pericolosi al mondo, in quanto si trova in una zona densamente abitata, con circa 3 milioni di persone che vivono nel raggio di 20 km dal cratere. Il Vesuvio è famoso per la sua eruzione del 79 d.C., che distrusse le città romane di Pompei ed Ercolano, ma non è stata l’unica. Vediamo quali sono state le altre eruzioni significative.

L’eruzione del 79 d.C.: la distruzione di Pompei ed Ercolano

L’eruzione del 79 d.C. è stata la prima eruzione storica del Vesuvio, documentata da fonti scritte come le lettere di Plinio il Giovane, che assistette alla tragedia da Miseno. Secondo le fonti, l’eruzione avvenne il 24 agosto, con un’esplosione che causò la fuoriuscita di una nube di piroclastici (gas, ceneri e lapilli) che raggiunse i 30 km di altezza. La nube si divise in due rami, uno verso sud-est, che ricoprì Pompei, e uno verso nord-ovest, che investì Ercolano. Le due città furono sepolte da uno strato di materiale vulcanico che variava da 4 a 6 metri a Pompei e da 15 a 25 metri a Ercolano. Si stima che morirono circa 16.000 persone, tra cui Plinio il Vecchio, zio di Plinio il Giovane, che si recò in soccorso dei fuggitivi con una flotta navale. L’eruzione del 79 d.C. ha permesso di conservare le due città in uno stato eccezionale, con le loro case, i loro affreschi, i loro oggetti e i loro abitanti, che sono stati ritrovati grazie agli scavi archeologici iniziati nel XVIII secolo.

Le eruzioni medievali: il Vesuvio si risveglia

Dopo l’eruzione del 79 d.C., il Vesuvio entrò in un periodo di quiescenza che durò circa 700 anni. Nel 472 d.C. ci fu una nuova eruzione, ma di minore intensità, che produsse una nube di ceneri che raggiunse Costantinopoli. Il vulcano si risvegliò definitivamente nel 1036, quando eruttò dopo un forte terremoto che scosse la Campania. Da allora, il Vesuvio ha avuto una serie di eruzioni di tipo esplosivo, con intervalli di pochi anni o decenni, che hanno modificato la forma del cono e del cratere. Tra le eruzioni più importanti di questo periodo, possiamo ricordare quella del 1139, che causò la morte di 4.000 persone, quella del 1306, che distrusse la città di Resina (l’attuale Ercolano), quella del 1631, che provocò circa 4.000 vittime e la distruzione di numerosi villaggi, e quella del 1794, che danneggiò gravemente Torre del Greco e Torre Annunziata.

Le eruzioni moderne: il Vesuvio sotto controllo

Nel XIX secolo, il Vesuvio continuò ad avere eruzioni frequenti, ma di minore intensità, che attirarono l’attenzione di molti scienziati e turisti. Tra le eruzioni più spettacolari, possiamo citare quella del 1822, che modificò notevolmente il cratere, quella del 1855, che fu osservata da Alessandro Volta, e quella del 1872, che fu la più violenta del secolo e causò la morte di 26 persone. Nel XX secolo, il Vesuvio ha avuto solo due eruzioni, entrambe molto significative. La prima fu quella del 1906, che fu la più potente dal 1631 e che provocò circa 100 vittime e la distruzione di Boscotrecase, San Giuseppe Vesuviano e parte di Torre Annunziata. Questa eruzione ebbe anche un impatto politico, in quanto costrinse il governo italiano a rinunciare all’organizzazione delle Olimpiadi di Roma del 1908, che furono trasferite a Londra. La seconda eruzione fu quella del 1944, che avvenne durante la seconda guerra mondiale e che fu testimoniata da molti soldati alleati. Questa eruzione causò la morte di 57 persone e la distruzione di Massa di Somma, San Sebastiano al Vesuvio e parte di Ottaviano e di San Giorgio a Cremano. Fu anche l’ultima eruzione del Vesuvio, che da allora è in uno stato di quiete. Tuttavia, il vulcano non è spento, ma solo addormentato, e potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento. Per questo motivo, esiste un piano di emergenza per l’evacuazione delle zone a rischio, che coinvolge circa 600.000 persone.

I Campi Flegrei: il supervulcano più pericoloso d’Europa

I Campi Flegrei sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli. Si tratta di uno dei supervulcani (o grandi caldere) tra i più pericolosi al mondo ed è famoso per il fenomeno del bradisismo, un periodico innalzamento e abbassamento del livello del terreno causato dalla risalita di fluidi magmatici. I Campi Flegrei possono essere descritti come una grande area di origine vulcanica, da considerare attiva, che si trova nel golfo di Pozzuoli, con un’estensione di circa 180-200 km 2. L’area è delimitata dalla collina di Posillipo, dalla collina dei Camaldoli, dai rilievi settentrionali del cratere di Quarto, la collina di Sanseverino, l’acropoli di Cuma, e dal Monte di Procida. Nel circuito si contano numerosi crateri e piccoli edifici vulcanici, alcuni dei quali presentano manifestazioni gassose effusive o idrotermali.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei: un supervulcano in azione

L’inizio dell’attività eruttiva dei Campi Flegrei risale a circa 60-80 mila anni fa e l’insieme delle eruzioni ha originato la caldera che osserviamo oggi, con i suoi 12 km di diametro. I due eventi eruttivi principali sono sicuramente quello dell’ Ignimbrite Campana (circa 39 mila anni fa) e quello del Tufo Giallo Napoletano (circa 15 mila anni fa).

L’Ignimbrite Campana: l’eruzione più violenta dell’area mediterranea

La formazione dell’Ignimbrite Campana è il risultato dell’eruzione vulcanica più violenta dell’area mediterranea negli ultimi 200 mila anni. Un evento letteralmente epocale. Vennero emessi 150 km 3 di magma e la Campania venne seppellita da uno spesso strato di tufo. Più nel dettaglio, la ricostruzione ci suggerisce che l’eruzione pliniana sviluppò una colonna eruttiva di circa 44 km che, verso le fasi finali, collassò, creando nubi ardenti che raggiunsero i 50 km di distanza. Queste nubi depositarono uno strato di tufo che coprì un’area di circa 30.000 km 2, che comprendeva gran parte della

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