Nuove scoperte dai Papiri di Ercolano: svelato il luogo di sepoltura di Platone e altri segreti

Grazie a un progetto di ricerca innovativo, i Papiri di Ercolano continuano a svelare i loro segreti. Tra le ultime scoperte, di grande rilevanza storica e filosofica, vi è l’individuazione del luogo esatto della sepoltura di Platone.

La tomba del filosofo greco si trovava all’interno dell’Accademia di Atene, nel giardino a lui riservato, vicino al Museion, un sacello sacro alle Muse. Questa rivelazione, basata su nuove letture di frammenti papiracei, ridefinisce la conoscenza sulla vita e sulla morte di Platone.

Altri dettagli affascinanti emergono dai papiri, tra cui la conferma della vendita di Platone come schiavo sull’isola di Egina, avvenuta probabilmente nel 404 o 399 a.C. Si tratta di una datazione anteriore rispetto a quanto si credeva finora.

Il progetto di ricerca “Greek Schools”, condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha permesso di ottenere queste nuove informazioni grazie a innovative tecniche di analisi, come la tomografia a coerenza ottica e l’imaging iper spettrale a infrarossi.

Le nuove letture offrono anche un quadro più completo delle circostanze legate alla corruzione dell’oracolo di Delfi da parte del filosofo accademico Eraclide Pontico. Inoltre, è stato possibile correggere alcuni errori storici, come il nome di Filone di Larissa, erroneamente riportato in precedenza.

La scoperta di nuovi strati di testo all’interno dei papiri, grazie a sofisticate tecniche di analisi, ha permesso di recuperare informazioni che erano rimaste nascoste per secoli. Si tratta di un passo avanti fondamentale per la comprensione della filosofia antica e della storia del mondo greco.

Lo studio, finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC), rappresenta un salto di qualità notevole nel campo della papirologia e promette di svelare nuovi segreti in futuro. I ricercatori sono fiduciosi che nei prossimi anni, grazie all’analisi approfondita dei Papiri di Ercolano, la nostra conoscenza del mondo antico potrà essere arricchita in modo significativo.

Oltre alla scoperta del luogo di sepoltura di Platone, il progetto “Greek Schools” ha permesso di ottenere nuove informazioni su:

  • La vendita di Platone come schiavo
  • Le circostanze legate alla corruzione dell’oracolo di Delfi
  • La vita e l’opera di Filone di Larissa
  • Molti altri aspetti della filosofia e della storia del mondo greco

Queste nuove scoperte dimostrano ancora una volta l’immenso valore dei Papiri di Ercolano e il loro potenziale per contribuire alla nostra comprensione del passato. La ricerca continua e i progressi tecnologici aprono nuove strade per l’esplorazione di questi preziosi reperti, promettendo di svelare nuovi segreti affascinanti nei prossimi anni.

I Calchi di Pompei

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. fu una delle più catastrofiche della storia, che seppellì sotto una coltre di ceneri e lapilli le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Tra le testimonianze più impressionanti di quella tragedia, ci sono le figure umane che sembrano pietrificate nella loro ultima espressione di vita. Ma cosa sono realmente questi reperti? Come sono stati realizzati e conservati? Qual è il loro valore storico e artistico?

In realtà, le figure umane che vediamo nei musei e nelle mostre non sono i corpi originali delle vittime, ma dei calchi in gesso o in resina delle loro spoglie. Questi calchi sono stati ottenuti grazie a una geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli, uno dei più importanti archeologi che operarono a Pompei nell’Ottocento. Fiorelli fu il primo direttore ad aprire al pubblico il sito archeologico nel 1861 e a introdurre un metodo scientifico e sistematico negli scavi. Fu lui a inventare la tecnica dei calchi, che consisteva nel versare una miscela di gesso e acqua nei vuoti lasciati dalla decomposizione dei corpi nella cenere solidificata. In questo modo, si poteva ricreare la forma esatta dei corpi, con i loro vestiti, i loro oggetti personali e le loro espressioni.

Fiorelli perfezionò questa tecnica nel 1863, quando riuscì a ottenere il calco di quattro persone trovate in una casa di Pompei. Da allora, furono realizzati poco più di un centinaio di calchi, che furono esposti nel primo “Museo Pompeiano” allestito da Fiorelli nel 1873-1874. I visitatori potevano così ammirare da vicino le immagini autentiche della catastrofe vesuviana, come scrisse Gaetano De Petra, uno dei successori di Fiorelli:

“La più fortunata delle sue invenzioni fu la immagine autentica che diede della catastrofe vesuviana, colando nel masso di cenere che copriva gli scheletri il gesso liquido, per cui questi rivivono nelle forme e nelle contrazioni della loro agonia”.

I calchi delle vittime dell’eruzione sono stati ritrovati in diverse zone di Pompei, a testimonianza delle diverse fasi dell’evento vulcanico e delle diverse reazioni degli abitanti. Alcuni cercarono di fuggire dalla città, altri si rifugiarono nelle case o nei luoghi pubblici, altri ancora si abbandonarono al destino. Tra i calchi più famosi, ci sono quelli dell’Orto dei Fuggiaschi, dove furono trovati tredici corpi in una vigna vicino alle mura della città. Queste persone erano probabilmente fuggite dalla città durante la prima fase eruttiva, quando una pioggia di pomici e lapilli aveva invaso gli ambienti e causato crolli. Di queste vittime, furono ritrovati solo gli scheletri, perché i loro corpi non furono coperti da un materiale sufficientemente compatto da lasciare un’impronta.

Pompei: due nuovi corpi recuperati con la tecnica dei calchi

Successivamente, un flusso piroclastico altamente caldo e veloce investì Pompei, riempiendo gli spazi non ancora occupati dai materiali vulcanici e uccidendo istantaneamente per shock termico chi era ancora in città. I corpi di queste vittime rimasero nella posizione in cui erano stati colpiti dal flusso piroclastico e il materiale cineritico solidificatosi ne conservò l’impronta dopo la decomposizione. Questi sono i casi in cui è stato possibile realizzare i calchi con il metodo di Fiorelli (sigillando, in alcuni casi, i resti organici ancora presenti).

I calchi delle vittime dell’eruzione non sono solo reperti archeologici, ma anche opere d’arte che hanno ispirato poeti e artisti di ogni epoca. Tra i più noti, possiamo citare Primo Levi, che dedicò una poesia alla “Bambina di Pompei”, un calco di una bambina abbracciata alla madre, e Roberto Rossellini, che inserì una scena dedicata alla scoperta di alcuni calchi nel suo film “Viaggio in Italia” .

Calchi Pompei. Intervista ad Amedeo Maiuri dopo il ritrovamento di 13 fuggiaschi - Super Quark

Purtroppo, molti dei calchi esposti a Pompei furono distrutti o gravemente danneggiati dai bombardamenti del 1943, durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia, grazie al paziente lavoro di Amedeo Maiuri e dei suoi collaboratori, alcuni calchi furono parzialmente recuperati e restaurati. I calchi sopravvissuti agli eventi bellici non trovarono posto nel nuovo Antiquarium inaugurato nel 1948, ma furono conservati in depositi o in vetrine. Nel contesto del Grande Progetto Pompei, avviato nel 2012, è stata condotta una ricognizione che ha permesso di ritrovare calchi che si ritenevano dispersi o dimenticati ⁶. Inoltre, è stato previsto il rilievo dei calchi conservati tramite laser scanner per la realizzazione di copie tramite stampa 3D. Queste copie si aggiungono a quelle in gesso o in resina prodotte in passato e sono destinate al prestito per mostre temporanee in tutto il mondo . A Pompei, sarà curata una nuova esposizione di questi preziosissimi reperti, che ci restituiscono le immagini e le emozioni di persone che sono diventate testimonianze uniche della tragedia del 79 d.C.

Quali sono i vulcani attivi in Italia?

L’Italia è un paese ancora attivo dal punto di vista vulcanologico. Sebbene non siano pochi coloro che considerano spenti i nostri vulcani, tuttavia essi non mancano, periodicamente, di attirare l’attenzione con manifestazioni più o meno evidenti e macroscopiche. Il problema, dunque, è a monte, è insito nel concetto di vulcanismo o, meglio, di attività vulcanica, che i più considerano tale esclusivamente riferendosi ad esplosioni e colate laviche. Innanzitutto spieghiamo quanto più brevemente possibile cosa è un vulcano. Per vulcano (termine che deriva dal nome del dio del fuoco Vulcano, di etimologia etrusca) si intende un’apertura nella superficie terrestre da cui fuoriescono gas, lave e materiali piroclastici. Non soltanto, quindi, eruzioni esplosive e fiumi di lava. Un vulcano, per potersi definire spento, estinto, non deve mostrare alcun tipo di attività nell’arco di migliaia di anni. Ecco una panoramica del vulcanismo italiano, che comprende 10 complessi vulcanici che presentano tuttora attività, alcuni di livello esplosivo, con fuoriuscita di materiali piroclastici e colate laviche, altri caratterizzati da esalazioni gassose e di vapore.

Campi Flegrei

E’ sconosciuta l’età del vulcanismo di questa zona. Sono stati rivenuti materiali risalenti a circa due milioni di anni fa, eseguendo delle perforazioni, sebbene in superficie affiorino prodotti più recenti, risalenti a circa 60.000 anni fa.
La zona vulcanica chiamata Campi Flegrei, che proviene dal verbo greco flego (infiammo) si trova a nord-ovest di Napoli. E’ disseminata da crateri, alcuni dei quali divenuti laghi. L’ultima eruzione si è avuta nel 1538, dando vita al Monte Nuovo. Attualmente si verificano attività secondarie, legate all’attività vulcanica, come fuoriuscita di gas, solfatare, mofete e sorgenti termali.

Colli Albani

L’attività vulcanica della zona conosciuta ora con questo nome risale a circa 600.000 anni fa, ed è caratterizzata da un grande numero di eruzioni. Nella sua cronologia si riscontrano 3 fasi principali, che abbracciano un arco di tempo compreso fra 600.000 e 20.000 anni fa.
I Colli Albani fanno parte del cosiddetto vulcanismo laziale e sono un’area montuosa situata a sud-est di Roma. L’ultima eruzione si è verificata diverse migliaia di anni fa, sono quindi considerati un vulcano quiescente, non estinto. La fase di quiescenza implica che il tempo trascorso dall’ultima attività eruttiva è inferiore rispetto alla media fra un’eruzione e la successiva.

Etna

La sua attività inizia fra i 700.000 e i 500.000 anni fa, con eruzioni sottomarine in un golfo ora scomparso, riempito dai materiali vulcanici. Si forma quindi il Monte Calanna, quindi il monte Trifoglietto, vulcano molto pericoloso, nasce quindi una seconda bocca, detta Trifoglietto II. L’intero sistema è poi collassato, fino alla nascita dell’odierno cono vulcanico.
L’Etna è situato a nord di Catania, la sua ultima eruzione è avvenuta nel maggio 2008, che ha prodotto emissione di ceneri e fontane di lava. L’Etna è quindi un vulcano attivo. Il suo nome deriva dal verbo greco aitho (brucio). E’ uno dei più grandi vulcani della terra ed il più alto d’Europa. La sua attività continua con manifestazioni stromboliane e lanci di materiale piroclastico.

Ischia

L’attività più antica si registra circa 150.000 anni fa. L’eruzione più importante fu quella avvenuta circa 55.000 anni fa, chiamata del Tufo Verde dell’Epomeo, che ha portato alla formazione di una caldera e allo sprofondamento della parte centrale dell’isola. A questa sono susseguite eruzioni esplosive e il sollevamento del fondo della caldera fino alla formazione del Monte Epomeo.
Ischia è un’isola vulcanica del Mar Tirreno, di fronte al golfo di Napoli. E’ la parte emersa di un rilievo vulcanico sottomarino di grandi dimensioni. L’ultima eruzione si è verificata nel 1302, che ha portato alla formazione del vulcano Arso. Attualmente la zona è interessata da attività di vulcanismo secondario, con fumarole e sorgenti termali.

Isola Ferdinandea

Si tratta di un’isola vulcanica che emerse in seguito ad un’eruzione avvenuta nel 1831. L’isola è situata fra la Sicilia e Pantelleria. L’isolotto fu poi eroso dalle onde, per riapparire l’anno dopo e inabissarsi nuovamente. La sua cima si trova attualmente a circa 6 metri sotto il livello marino. Si è verificata un’attività sismica nel 2002, ma l’isola continua a restare inabissata e il vulcano a dormire.

Lipari

Il vulcanismo delle isole Eolie risale a circa 1.000.000 di anni fa, nella prima fase del quale si è formata l’isola di Lipari, completatasi nella fase successiva. La sua origine è cominciata 223.000 anni fa. Nella sua storia vengono riconosciute due fasi dell’attività vulcanica: una prima fase che ha portato alla formazione del Monte Sant’Angelo ed una seconda che ha portato alla formazione dei crateri a sud e a nord dell’isola.
Lipari è la più grande delle isole Eolie, la cui ultima eruzione è avvenuta nel 729 d.C., ad opera del monte Pelato, considerato l’ultimo dei vulcani attivi delle isole, costituito da pomici e da colate ossidianiche, il vetro nero. Sebbene oggi la sua attività sia ridotta alla presenza di fumarole, solfatare e sorgenti termali, il vulcano non può essere considerato estinto, ma piuttosto in fase quiescente.

Pantelleria

E’ difficoltoso ricostruire la storia geologica dell’isola, per mancanza di affioramenti. I prodotti più antichi, risalenti a circa 325.000 anni fa, si rinvengono in vicinanza della località di Scauri. Una forte attività esplosiva ha portato, circa 45.000 anni fa, alla formazione del Tufo Verde, in cui si forma la caldera dei Cinque Denti.
L’isola di Pantelleria si trova nel Mediterraneo centrale, a sud-ovest della Sicilia. La sua ultima eruzione si è verificata nel 1891 ad opera del vulcano Foerstner. Il suo picco più alto si chiama Montagna Grande. Ora le attività sono quelle relative al vulcanismo secondario: emissione di gas ed anidride carbonica, sorgenti termali, saune naturali.

Stromboli

Le sue attività hanno inizio circa 200.000 anni fa, con l’emersione di un vulcano, di cui ora resta soltanto il condotto eruttivo (lo Strombolicchio). Si forma poi, circa 100.000 anni fa, un vulcano chiamato Paleostromboli I, la cui attività cessa col collasso della caldera. Cominciano poi l’attività il Paleostromboli II e III, rispettivamente 64.000 e 34.000 anni fa. Circa 13.000 anni fa nasce il Neostromboli. 6.000 anni fa comincia l’attività dello Stromboli attuale.
Altra isola dell’arcipelago delle Eolie, nel mar Tirreno. Il nome deriva dal termine greco strongulos (rotondo), ma anche strombos (trottola), per le sue forme sinuose. Il vulcano è perennemente attivo, con continue manifestazioni, sia esplosive, con lanci di materiale piroclastico e ceneri, che sottoforma di colate laviche. Con la sua persistente attività, lo Stromboli è considerato uno dei più attivi vulcani della terra.

Vesuvio

Il Vesuvio è il risultato del collasso di un edificio vulcanico ben più grande, il monte Somma, che ha portato alla formazione di una caldera e, successivamente, del monte Vesuvio. L’attività della zona risale a circa 400.000 anni fa. Il Somma-Vesuvio ha invece iniziato la sua storia circa 25.000 anni fa, mentre l’edificio del Vesuvio è nato circa 19.000 anni fa. Il vulcano, situato sulla costa est del golfo di Napoli, è divenuto celebre per la distruttiva esplosione avvenuta nel 79 d.C., che ha sepolto le città di Ercolano e Pompei. La sua ultima eruzione si è verificata nel 1944. L’etimologia del nome è tanto oscura quanto discussa. Potrebbe derivare dal latino ves (fiamma). I romani chiamavano il vulcano Iuppiter Vesuvius. Attualmente si trova in fase di quiescenza, ma dal momento che è stato scoperto un fiume di lava recentemente il vulcano è monitorato continuamente.

Vulcano

L’attività ha inizio circa 120.000 anni fa, con eruzioni che hanno portato alla formazione di una caldera. Si susseguono quindi attività eruttive che portano alla formazione di altri edifici vulcanici e caldere (complesso di Lentia-Mastro Minico e Caldera della Fossa, cono de La Fossa, Vulcanello). Altra isola delle Eolie, Vulcano ha avuto l’ultima eruzione nel 1888-1890. Il suo nome deriva dal dio Vulcano e il termine è stato poi utilizzato per indicare tutte le montagne con attività eruttiva. La sua attività era caratterizzata prevalentemente da fasi esplosive con abbondanza di materiale piroclastico. Oggi le manifestazioni di Vulcano si esplicano sottoforma di fumarole, ossia attraverso l’emissione di gas e vapori.

Informazioni sull’Autore

Daniele Imperi  – articolista su Article-Marketing.it. Sono un web writer freelance, scrivo articoli per blog e testi per pagine web aziendali.

Fonte: Article-Marketing.it

Le eruzioni vulcaniche che hanno segnato la storia della Campania

La Campania è una regione ricca di bellezze naturali, ma anche di pericoli vulcanici. Due delle aree più note e studiate sono il Vesuvio e i Campi Flegrei, due vulcani attivi che hanno avuto eruzioni devastanti nel corso della storia. In questo articolo vedremo quali sono state le eruzioni più importanti e quali sono le conseguenze per il territorio e la popolazione.

Il Vesuvio: il vulcano più famoso del mondo

Il Vesuvio è un vulcano a forma di cono situato a sud-est di Napoli, che domina il golfo omonimo. Si tratta di uno dei vulcani più pericolosi al mondo, in quanto si trova in una zona densamente abitata, con circa 3 milioni di persone che vivono nel raggio di 20 km dal cratere. Il Vesuvio è famoso per la sua eruzione del 79 d.C., che distrusse le città romane di Pompei ed Ercolano, ma non è stata l’unica. Vediamo quali sono state le altre eruzioni significative.

L’eruzione del 79 d.C.: la distruzione di Pompei ed Ercolano

L’eruzione del 79 d.C. è stata la prima eruzione storica del Vesuvio, documentata da fonti scritte come le lettere di Plinio il Giovane, che assistette alla tragedia da Miseno. Secondo le fonti, l’eruzione avvenne il 24 agosto, con un’esplosione che causò la fuoriuscita di una nube di piroclastici (gas, ceneri e lapilli) che raggiunse i 30 km di altezza. La nube si divise in due rami, uno verso sud-est, che ricoprì Pompei, e uno verso nord-ovest, che investì Ercolano. Le due città furono sepolte da uno strato di materiale vulcanico che variava da 4 a 6 metri a Pompei e da 15 a 25 metri a Ercolano. Si stima che morirono circa 16.000 persone, tra cui Plinio il Vecchio, zio di Plinio il Giovane, che si recò in soccorso dei fuggitivi con una flotta navale. L’eruzione del 79 d.C. ha permesso di conservare le due città in uno stato eccezionale, con le loro case, i loro affreschi, i loro oggetti e i loro abitanti, che sono stati ritrovati grazie agli scavi archeologici iniziati nel XVIII secolo.

Le eruzioni medievali: il Vesuvio si risveglia

Dopo l’eruzione del 79 d.C., il Vesuvio entrò in un periodo di quiescenza che durò circa 700 anni. Nel 472 d.C. ci fu una nuova eruzione, ma di minore intensità, che produsse una nube di ceneri che raggiunse Costantinopoli. Il vulcano si risvegliò definitivamente nel 1036, quando eruttò dopo un forte terremoto che scosse la Campania. Da allora, il Vesuvio ha avuto una serie di eruzioni di tipo esplosivo, con intervalli di pochi anni o decenni, che hanno modificato la forma del cono e del cratere. Tra le eruzioni più importanti di questo periodo, possiamo ricordare quella del 1139, che causò la morte di 4.000 persone, quella del 1306, che distrusse la città di Resina (l’attuale Ercolano), quella del 1631, che provocò circa 4.000 vittime e la distruzione di numerosi villaggi, e quella del 1794, che danneggiò gravemente Torre del Greco e Torre Annunziata.

Le eruzioni moderne: il Vesuvio sotto controllo

Nel XIX secolo, il Vesuvio continuò ad avere eruzioni frequenti, ma di minore intensità, che attirarono l’attenzione di molti scienziati e turisti. Tra le eruzioni più spettacolari, possiamo citare quella del 1822, che modificò notevolmente il cratere, quella del 1855, che fu osservata da Alessandro Volta, e quella del 1872, che fu la più violenta del secolo e causò la morte di 26 persone. Nel XX secolo, il Vesuvio ha avuto solo due eruzioni, entrambe molto significative. La prima fu quella del 1906, che fu la più potente dal 1631 e che provocò circa 100 vittime e la distruzione di Boscotrecase, San Giuseppe Vesuviano e parte di Torre Annunziata. Questa eruzione ebbe anche un impatto politico, in quanto costrinse il governo italiano a rinunciare all’organizzazione delle Olimpiadi di Roma del 1908, che furono trasferite a Londra. La seconda eruzione fu quella del 1944, che avvenne durante la seconda guerra mondiale e che fu testimoniata da molti soldati alleati. Questa eruzione causò la morte di 57 persone e la distruzione di Massa di Somma, San Sebastiano al Vesuvio e parte di Ottaviano e di San Giorgio a Cremano. Fu anche l’ultima eruzione del Vesuvio, che da allora è in uno stato di quiete. Tuttavia, il vulcano non è spento, ma solo addormentato, e potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento. Per questo motivo, esiste un piano di emergenza per l’evacuazione delle zone a rischio, che coinvolge circa 600.000 persone.

I Campi Flegrei: il supervulcano più pericoloso d’Europa

I Campi Flegrei sono una vasta area di origine vulcanica situata a nord-ovest della città di Napoli. Si tratta di uno dei supervulcani (o grandi caldere) tra i più pericolosi al mondo ed è famoso per il fenomeno del bradisismo, un periodico innalzamento e abbassamento del livello del terreno causato dalla risalita di fluidi magmatici. I Campi Flegrei possono essere descritti come una grande area di origine vulcanica, da considerare attiva, che si trova nel golfo di Pozzuoli, con un’estensione di circa 180-200 km 2. L’area è delimitata dalla collina di Posillipo, dalla collina dei Camaldoli, dai rilievi settentrionali del cratere di Quarto, la collina di Sanseverino, l’acropoli di Cuma, e dal Monte di Procida. Nel circuito si contano numerosi crateri e piccoli edifici vulcanici, alcuni dei quali presentano manifestazioni gassose effusive o idrotermali.

La storia eruttiva dei Campi Flegrei: un supervulcano in azione

L’inizio dell’attività eruttiva dei Campi Flegrei risale a circa 60-80 mila anni fa e l’insieme delle eruzioni ha originato la caldera che osserviamo oggi, con i suoi 12 km di diametro. I due eventi eruttivi principali sono sicuramente quello dell’ Ignimbrite Campana (circa 39 mila anni fa) e quello del Tufo Giallo Napoletano (circa 15 mila anni fa).

L’Ignimbrite Campana: l’eruzione più violenta dell’area mediterranea

La formazione dell’Ignimbrite Campana è il risultato dell’eruzione vulcanica più violenta dell’area mediterranea negli ultimi 200 mila anni. Un evento letteralmente epocale. Vennero emessi 150 km 3 di magma e la Campania venne seppellita da uno spesso strato di tufo. Più nel dettaglio, la ricostruzione ci suggerisce che l’eruzione pliniana sviluppò una colonna eruttiva di circa 44 km che, verso le fasi finali, collassò, creando nubi ardenti che raggiunsero i 50 km di distanza. Queste nubi depositarono uno strato di tufo che coprì un’area di circa 30.000 km 2, che comprendeva gran parte della

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