Cronache del Tempo Medio di Emilio Balcarce e Juan Zanotto

Cronache del Tempo Medio di Emilio Balcarce e Juan Zanotto ritorna in una nuova edizione integrale per 001 Edizioni.

Il luogo è l’America, il tempo è il futuro. Una Terra devastata dalle bombe atomiche usata come un’immensa scacchiera; due giocatori, un supercomputer e un semi-umano dalle straordinarie doti cerebrali, che si contendono il dominio e il potere su un mondo ormai morente. In mezzo, sopravvissuti umani e mutanti, sacrificabili pedine in una tragica partita in cui la vita è solo un labile ricordo, portato via dal vento radioattivo.

Sotto la patina della fantascienza post-apocalittica, Emilio Balcarce (ai testi) e Juan Zanotto (ai disegni) dipingono un affresco su un’umanità che si ribella al potere dominante, rappresentato dall’intelligenza artificiale di sesta generazione Nerone, che si crede la reincarnazione dell’imperatore romano e combatte gli umani con macchine assassine addossando ai sopravvissuti la colpa dell’olocausto nucleare, e Brain, un esperimento militare finito male che ha dato vita a un supercervello capace di controllare telepaticamente la mente degli umani. Le due super-entità giocano una perenne partita a scacchi, che diventa la metafora stessa della vita, fatta di guerra, combattimenti e morte. Ma la trilogia di Cronache del Tempo Medio, presentata per la prima volta in edizione integrale, è anche la storia di una famiglia, di ribelli che combattono per la propria sopravvivenza e quella della specie umana: Oxido, uno schiavo ribelle; Random, figlio adottivo di Oxido e dotato di protesi cibernetiche; l’amazzone Safari, decisa ad uccidere Nerone.

James Joyce. Ritratto di un dublinese

La vita e l’opera di James Joyce, raccontate in un graphic novel che si rivolge tanto a chi si  avvicina per la prima volta allo scrittore quanto ai suoi lettori appassionati. Un fumetto appassionante che è anche una guida alla lettura dei libri di Joyce.  Frutto di anni di ricerche e di un lungo viaggio attraverso l’Europa sulle orme del popolare scrittore irlandese, il graphic novel James Joyce. Ritratto di un dublinese riesce a raccontare il più complesso e inafferrabile tra i grandi scrittori del Novecento. La storia ricostruita da Alfonso Zapico, punteggiata di aneddoti, è anche un viaggio affascinante attraverso le città abitate da Joyce: Dublino, Trieste, Parigi e Zurigo, delle quali ci vengono rivelati i tesori nascosti. Così, mentre la strada dello scrittore si incontra con quella degli altri protagonisti dell’epoca – Ezra Pound, HG Wells, Virginia Woolf, Marcel Proust, Ernest Hemingway, Samuel Beckett, Henri Matisse, Le Corbusier, Lenin, Jung – Zapico conduce la sua indagine e mette a confronto le diverse teorie degli studiosi. Una biografia esemplare, dal ritmo serrato, accurata nella ricostruzione e straordinariamente rivelatrice. Vincitrice del Premio Nacional del Comic 2012, assegnato dal Ministero della Cultura spagnolo.


Alfonso Zapico ha realizzato una biografia visivamente avvincente e assolutamente affascinante di uno degli scrittori più importanti della letteratura contemporanea mondiale. El Mundo ha dichiarato su di lui: “Alfonso Zapico è uno di quei narratori di grandi storie che non hanno bisogno di fare concessioni alle mode”. È una biografia complessa e tentacolare che ripercorre l’esistenza turbolenta vissuta dallo scrittore, dalla sua infanzia a Dublino fino ai suoi ultimi giorni a Zurigo. E che riesce a trasmettere al lettore il senso di una vita “oltre la morte”, in virtù del continuo successo che l’opera di Joyce ha riscosso.  Zapico instilla nuova linfa nel ricreare la figura dello scrittore. piuttosto che creare uno studio del suo lavoro. Descrive i molti alti e bassi di una vita vissuta a modo suo, e cattura perfettamente i tempi difficili affrontati dallo scrittore, costretto ad affrontare di povertà, la censura e le accuse di oscenità fino al dolore di assistere al decadimento della salute mentale di sua figlia Lucia, per esempio. La mano di Zapico, coglie sapientemente i dettagli psicologici, così come cura la ricostruzione storica e la descrizione degli ambienti. Molte di queste pagine sfruttano in modo esemplare la forza e la fluidità del romanzo grafico. Vincitore del National Comic Prize in Spagna e pubblicato con grande successo in Irlanda, l’opera di Zapico è una straordinaria biografia grafica di James Joyce e offre una nuova interpretazione della sua vita tumultuosa. Grazie anche ad aneddoti evocativi Alfonso Zapico invita il lettore a condividere il viaggio di Joyce, dai suoi primi giorni a Dublino alla vita con il suo grande amore, Nora Barnacle.Ribelle, anticonformista e severo critico della società irlandese, lasciò l’Irlanda in esilio autoimposto con Nora, trasferendosi a Parigi, Pola, Trieste, Roma, Londra e infine Zurigo. Joyce ha superato sfide monumentali creando e riuscendo a pubblicare opere che hanno cambiato il corso della letteratura occidentale come “Gente di Dublino”, “Ritratto dell’artista da giovane”, “Ulisse” e “Finnegan’s Wake”. Lungo la sua strada ha incontrato un cast colorato di personaggi, dai nazionalisti irlandesi Charles Parnell e Michael Collins ai grandi della letteratura Yeats, Proust, Hemingway e Beckett, e personaggi come Carl Jung e Vladimir Lenin. Figure che Zapico ritrae nelle sue pagine con grande efficacia.  Zapico ha creato un ritratto onesto e a tutto tondo di uno scrittore controverso ma geniale, il cui genio e temperamento artistico traspare in ogni pagina.

Pompei, il graphic novel di Frank Santoro

Pompei, il graphic novel di Frank Santoro diventato ormai un classico del nuovo fumetto americano, arriva finalmente in Italia. Marcus è un giovane apprendista giunto a Pompei per servire nella bottega del celebre e corrotto pittore Flavius. Nel poco tempo libero, Marcus realizza i propri me­ravigliosi disegni e incontra la ra­gazza che ama, ma sui loro sogni incombe l’ombra del Vesuvio, che lancia sem­pre più inquietanti segnali.

Storia d’amore e potere che si svolge sullo sfondo dell’eruzione del 79 a.C., Pom­pei è il capola­voro di Frank Santoro, figura di riferimento del fumetto indie ameri­cano. Un racconto antico e modernissimo, che è anche rifles­sione sulle origini della rappresentazione artistica occidentale. Narrato con ritmo implaca­bile, basato sullo studio della pittura pompeiana e sulla si­stematica sperimenta­zione delle tecniche del fumetto, Pompei è un’opera che infrange le barriere del genere.

Frank Santoro sarà in tour in Italia a maggio 2018. Dal 18 aprile al 31 maggio 2018 le tavole di “Pompei” saranno in mostra al MANN (Museo Archeologico Nazionale Napoli). La mostra sarà allestita in occasione della nuova edizione del Comicon, che vedrà Frank Santoro tra gli ospiti. Frank sarà protagonista di un incontro con il pubblico, presso il Museo Archeologico di Napoli, il 30 aprile, alle ore 12 e nei giorni del Comicon dedicherà il suo libro allo stand di 001 Edizioni. Il 5 maggio sarà, invece, protagonista a Bologna di un incontro con il pubblico presso l’Accademia di Belle Arti.

Frank Santoro è un poeta dello sguardo fugace e dell’istante chiave. I suoi romanzi grafici non descrivono ampi passaggi di tempo ma cristallizzano momenti: una decisione che definisce, un incidente che altera la vita. In Pompei è l’intreccio di aspirazioni e inganni che vedono protagonisti un pittore, il suo apprendista, la fidanzata dell’apprendista e la moglie e amante del pittore, nei giorni precedenti l’eruzione vulcanica che cancellò la città del titolo dai successivi sedici secoli di storia.  Con Pompei Santoro ha dichiarato di voler semplificare, limitandosi a disegnare a matita, nello stesso formato in cui l’opera sarebbe stata riprodotta. Scegliendo persino di utilizzare sottili fogli di carta, per evitare eccessive rielaborazioni. Pompei possiede la fisicità del blocco per schizzi d’artista, e a differenza del suo precedente lavoro, Storeyville, ricco di dettagli, rappresenta il punto di arrivo di una ricerca minimalista su cui l’autore ha lavorato negli ultimi anni. Pompei segue l’aspirante artista di ritratti Marcus impegnato non solo a preparare i colori per il suo maestro, Flavius, ma anche a impedire che sua moglie Alba e la sua amante (una principessa romana senza nome) incrocino i loro cammini. Lo squilibrio di potere tra maestro e allievo, gli oneri e le fatiche del ruolo riflettono un elemento autobiografico: Santoro fu, per diverso tempo, assistente di Francesco Clemente. Così come risulta familiare la tensione tra Marcus e la sua ragazza, Lucia, che prova nostalgia per la città più piccola, che entrambi hanno lasciato per permettere a Marcus di inseguire il sogno di una carriera artistica nella grande città.  Il lavoro di Santoro assomiglia ai bozzetti preliminari dei migliori pittori canonici. L’autore applica indicazioni testuali ad azioni ed elementi occasionali del racconto –  come l’etichetta di un colore di vernice o il movimento di una porta – e a volte queste annotazioni assomigliano a indicazioni di scena (come in teatro). La sicurezza dei riassunti ottici di Santoro, il notevole senso di sostanza nei suoi spazi semplici, è completata dalla geometria emotiva della sua narrazione. Il triangolo tra Flavius, sua moglie e il suo amante influisce sulla vita degli altri, e il contrappunto tra gli affetti divisi di Flavius e la chiarezza della devozione di Marcus e Lucia è commovente. Quando il famigerato vulcano inizia a soffiare, il suo pennacchio di fumo sembra congelato come il pilastro di un tempio panteistico, o, come osserva Flavius, “come un albero sempreverde”. E mentre le vite individuali sono cancellabili, comprendiamo il senso dell’eterna dinamica della servitù benevola, quella di Marcus per i capricci del suo capo e quella di Flavius per i suoi impulsi. Artista e assistente si sforzano di mantenere un senso di ordine nelle loro esistenze, inconsapevoli di ciò che il destino ha in serbo per loro.  Santoro mostra il nostro passaggio nel tempo e le tracce che lascia sulla nostra conoscenza di noi stessi usando, ad esempio, gli stadi cancellati della progressione di un braccio o di una gamba per un semplice senso di movimento stroboscopico, o il contorno trasparente di una figura contro un edificio, come se stessimo già vedendo il loro eco ottico dopo che hanno lasciato lo spazio. In una scena magistrale, Marcus incontra Flavius ​​e la principessa, il suo ritratto un contorno vuoto e il suo stesso volto una figura vuota; solo Flavius, fulcro dell’attenzione, è reso in toni pieni e con dettagli identificabili.

Santoro è un narratore consumato, e la sua opera parla tanto della carne quanto della forma. Le ironie che convergono e le tenerezze che emergono mentre il disastro vulcanico si avvicina e si manifesta, e il puro orrore della sua devastazione, innalzano la storia al livello dell’arte. Ma l’essenza della vita, ci insegna Pompei, è irriconoscibile; non c’è scultura della paura, nessuna registrazione storica di sentimenti fugaci, nessuna traccia di un milione di lacrime. Questo è ciò a cui serve l’immaginazione.  Santoro sembra volerci comunicare che possiamo imparare molto da quello che è successo prima e che dobbiamo tracciare i primi segni di ciò che può accadere dopo. Interi stili di vita si sono persi nella storia e le grandi città possono cadere senza lasciare traccia, ma la lavagna vuota è sempre in attesa. E l’odissea di Frank Santoro per trovare un modo di trasmettere tutto esprimendo l’essenziale non è una ricerca per abbattere, ma per ricostruire.

Frank Santoro, pittore, fumettista e critico, pubblica i suoi primi comic books nel 1988 e scrive di fumetti dal 1995, affer­mandosi subito come una delle voci più autorevoli della scena nordamericana. Si è formato nell’ambiente delle arti figurative, al fianco di pittori come Francesco Clemente, Dorothea Rockburne e Gary Panter. Storeyville, il suo primo libro, è stato indicato da Chris Ware come una pietra miliare nella storia del fumetto. Vive a Pittsburgh, dove dirige una scuola di fumetto e editoria.

Black River, tra la Strada e Walking Dead

In un distopico mondo in rovina, ma assai più realistico e minimale di quello ritratto in classici moderni del genere come Mad Max, un gruppo di donne, un uomo e due cani viaggiano alla disperata ricerca della salvezza. Black River (originariamente pubblicato negli Stati Uniti nel 2015) è un racconto, scritto e disegnato da Josh Simmons, che prende ispirazione dall’approccio spietato del romanzo La strada di Cormac McCarthy tanto quanto dal pop horror di The Walking Dead.

Il manipolo di protagonisti di Black River si ritrova ad affrontare una serie di strampalate e disturbanti avventure, tra sesso, droga, cabaret e violenza. Simmons ama ribaltare sapientemente certezze e consuetudini del genere horror e apocalittico. Tra morte e disperazione, non dimentica mai di inserire una buona dose di humor (nero), mentre al centro del suo racconto ci sono sempre le donne, ultime determinate portatrici di speranza e di salvezza. Con un dise­gno intrigante e acido, reminiscente del segno denso e nero di Gilbert Hernandez, l’incedere del racconto è costante e stupefacente, verso una escalation di violenza e un finale sorprendente.

Josh Simmons è una delle voci più significative del filone horror (The Furry Trap, House), che attraversa parte della produzione recente del graphic novel indipendente statunitense. E Black River è, forse, il suo migliore lavoro. Un’opera che riprende, da una parte, il ritmo perfetto del cinema di John Carpenter e, dall’altra, la liricità di maestri letterari dell’orrore come Shirley Jackson, l’autrice che, più di tutti, ha saputo trascendere il genere e trasformarlo in letteratura pura e semplice.  Black River è un lavoro straordinariamente teso, una sottile storia in bianco e nero di un gruppo di donne che si fanno strada attraverso un paesaggio post-apocalittico, lottando per la sopravvivenza e la speranza. Non ci sono zombie, come in The Walking Dead, e anche se si ritrovano tracce dell’horror pop della saga di Kirkman, il libro di Simmons è qualcosa di molto diverso, un racconto attraversato da un’ansia viscerale, privo di qualsiasi cliché eroico. Una cupa ma ipnotica visione del futuro che si insedia nella mente del lettore per non lasciarla più.  Un gruppo di donne, un uomo e due cani si stanno facendo strada in un mondo post-apocalittico alla ricerca di una città, Gattenburg, che presumibilmente ha ancora energia elettrica e una sorta di civiltà. Lungo la strada, finiscono in un disastrato e folle club di cabaret, prendono una droga chiamata Gumdrop che per un po’ trasfigura la loro dura realtà, incontrano bande di uomini che sono pazzi o sadici assassini. In altre parole, ogni sorta di terrore. In Black River il nichilismo prevale su tutto. È una storia nuda, cruda, di anime perse che vagano in una terra desolata, che l’autore descrive con grande efficacia.

Simmons è un artista attento al particolare e alla creazione di atmosfere: non sono solo gli avvenimenti che accadono nella pagina a suscitare orrore, ma è lo stesso paesaggio nel quale si muovono i protagonisti della storia a risultare ancora più spaventoso. L’autore è abile nel creare la giusta quantità di dettagli per descriverlo, sia questo un territorio ghiacciato illuminato da psichedeliche aurore boreali, o una città data alle fiamme. Ma è il cielo disegnato da Simmons ad assumere un ruolo preponderante: il cielo ha corpo e peso, e incombe spesso così basso sul nostro gruppo di eroi che sembra possa cadere su di loro da un momento all’altro.  Proprio come un buon film horror vecchio stile, Black River si basa sulla creazione di uno stato d’animo e di un ambiente interessanti. E Simmons, senza alcun dubbio, ci riesce. Scrivendo un racconto brutale nella sua violenza e semplice nella trama, l’autore mostra spesso sangue e viscere, ma allo stesso tempo anche il peso emotivo di ogni morte. Black River è un libro sulla sopravvivenza, e sulla sofferenza umana. Ma è anche un libro sui miti e le bugie che raccontiamo a noi stessi: la mitica città di cui il gruppo va in cerca, per esempio, e della cui esistenza molti di loro dubitano, oppure la bizzarra sequenza ambientata nel cabaret. Quando ero piccolo, c’erano film che raccontavano vari modi in cui il mondo sarebbe morto. Asteroide. Bomba nucleare. Terremoto. Virus. Singolarità. Il meglio del meglio. Che spasso quando è arrivato proprio tutto in pochi anni. Eehnnnh… che soddisfazione… e che sollievo che fosse finita… Una visione terrificante e indimenticabile.

Fagin l’Ebreo

In un momento in cui stereotipi, pregiudizi, fake news ed episodi di intolleranza occupano drammaticamente lo scenario civile e sociale, 001 Edizioni dà alle stampe Fagin l’ebreo, un graphic novel scritto e disegnato dal genio americano Will Eisner. In Fagin, l’ebreo Will Eisner, maestro del fumetto e riconosciuto padre del graphic novel, si confronta audacemente con un gigante della letteratura, Charles Dickens, rileggendo uno dei suoi romanzi più popolari, Oliver Twist, dal punto di vista di uno dei personaggi più famosi dell’opera, l’”ebreo” Moses Fagin.

Eisner realizza un’opera rigorosa, animata da un forte impegno civile, dando voce al disprezzato Fagin per mettere in luce le nefaste conseguenze dell’uso degli stereotipi, in questo caso di carattere razziale.

Un’edizione prestigiosa che è partita dalla riscansione ad alta qualità di tutti gli originali delle tavole disegnate e che ha permesso di recuperare tantissimi dettagli persi nelle precedenti edizioni. Dopo L’ultimo giorno in Vietnam, continua l’edizione in grande formato cartonato delle principali opere di Eisner dove grazie alla cura della stampa il bianco e nero del segno dell’autore emerge con forza e carattere.

L’edizione è arricchita da uno scritto di Eisner, da una prefazione di Brian Michael Bendis e da un saggio critico di Jeet Heer. Dalla parte dei vinti, ovvero “rileggere” una storia per raccontare la verità…

“Esaminando le illustrazioni dell’edizione originale di Oliver Twist, trovai indiscutibili esempi di diffamazione razziale all’interno della letteratura classica. Il ricordo dell’uso che ne fecero i nazisti durante la Seconda guerra mondiale, circa cento anni dopo, aggiunse prove alla persistenza di certi stereotipi negativi. Combatterli era diventato per me una sorta di ossessione, e non mi rimase scelta: dovevo realizzare un ritratto rispettoso di Fagin, raccontando la storia della sua vita nell’unico modo che mi si addicesse. Questo libro, dunque, non è un adattamento di Oliver Twist! E’ la storia di Fagin l’ebreo”.

(Will Eisner)

“Io sono Fagin, l’ebreo di Oliver Twist. Questa è la mia storia, rimasta sconosciuta e ignorata nel libro di Charles Dickens”.

(Moses Fagin)

La storia dimentica spesso le ragioni dei vinti, mentre le spregiudicatezze dei vincitori si trasformano di solito in abili strategie. Will Eisner non ci sta, vuole ribaltare le regole. Nel 2003 scrive Fagin L’Ebreo, decidendo di raccontare, utilizzando il fumetto, la storia di Oliver Twist dal punto di vista del perdente, ovvero di Fagin. Moses Fagin. Fagin “l’ebreo”.

Eisner immagina che Fagin e Dickens, il personaggio e il suo creatore, si incontrino, in carcere, la notte prima che Fagin sia impiccato. Fagin racconta la “sua” versione dei fatti allo scrittore, con la speranza che questi comprenda meglio le sue ragioni e che, finalmente, la verità venga alla luce.

Il libro di Dickens (pubblicato per la prima volta nel 1837) descriveva una Londra travolta dalla rivoluzione industriale, incapace di salvaguardare gli orfani e di frenare lo sfruttamento delle fasce deboli. E’ in questa storia di poveri che si colloca il personaggio di Fagin, lo sfruttatore ebreo, avido di ricchezza e incapace di amare, a meno che non sia per il proprio vantaggio. Fagin è il carnefice e il giovane e candido Oliver la sua vittima. Eisner prova, invece, a stravolgere l’immagine losca, ambigua e, tutto sommato, carica di malvagità del personaggio che Dickens offre ai suoi lettori. Lo fa semplicemente ponendosi una domanda: e se fosse Fagin a raccontarla, questa storia? Se fosse Fagin a spiegare come ha fatto a diventare quel turpe personaggio che corrompe l’innocenza di Oliver, avviandolo a una carriera criminale?

Su questo presupposto Eisner costruisce il suo romanzo (che è una vera e propria contro-narrazione), raccontando non solo del passato del vecchio ebreo, ma anche dello scenario storico in cui è ambientata la vicenda: i rapporti tra l’Inghilterra dell’800 e la comunità ebraica, specialmente quella degli Aschenaziti, e suoi tentativi d’integrazione. Eisner non tralascia, ovviamente, il racconto della storia di Oliver, l’incontro tra Fagin e il crudele Sikes, così come tutte le dolorose e tristi vicende che Dickens aveva messo sulla carta.

Eisner mescola didascalie esplicative con vignette in cui pochi segni bastano a restituire tutta l’emozione dei sentimenti. Le sue tavole non hanno gabbia, le vignette non conoscono spaziature e si possono collegare idealmente e contemporaneamente l’una con l’altra. Ma questa scelta grafica non comporta né caos, né inquadrature ardite. Piuttosto, spesso vi sono grandi vignette a tutta pagina, in cui i personaggi prendono la scena come fossero i protagonisti di una rappresentazione teatrale. Lo sguardo avvincente, nuovo e partecipato di Eisner verso la materia della narrazione sembra donare una straordinaria ricchezza alla sua arte, sempre complessa ed evocativa.

La sua sentita introduzione, così come il ricco apparato iconografico finale sulle rappresentazioni di Fagin nell’800, dimostrano il forte interesse dell’autore rispetto al pregiudizio e alla semplificazione del raccontare.

Dall’introduzione di Will Eisner a proposito di Fagin l’ebreo

“Stavo facendo ricerche sulla narrativa popolare, forse inconsciamente, perché sicuramente contengono il meglio della narrativa più duratura. E lentamente mi resi conto che in questi racconti ai malvagi o ai personaggi ci si riferiva sempre con una connotazione etnica. Per esempio, c’è un italiano? Subito veniva chiamato “l’italiano” o qualcosa del genere, per tutto il racconto, e si smetteva di usare il suo nome. Oppure “il negro”. E questo mi portò a rendermi conto che siamo tutti esposti a stereotipi creati da altri. E che questo ha delle ricadute sulla nostra stessa etica”.

Rileggendo Oliver Twist di Charles Dickens, con grande stupore scoprii che per tutto il libro Fagin veniva chiamato “l’ebreo”, senza che nessun altro venisse indicato o riconosciuto attraverso una categoria. Iniziai così a fare un po’ di ricerche e imparai che all’epoca, attorno al 1740, gli Ebrei immigrati in Inghilterra erano di una stirpe specifica. Le caricature, come quelle dell’epoca di Cruikshank, erano tutte sbagliate e contribuirono a creare un personaggio che in effetti non esisteva. È la stessa cosa che capita negli USA con la Mafia e i fuorilegge italiani; di solito, nella narrativa americana i malavitosi sono italiani. Il che è ingiusto, ma il punto è che abbiamo creato degli stereotipi che, come un virus, si iniettano nel nostro corpo intellettuale”.

“Nel libro, sono stato molto attento a non accusare Dickens di antisemitismo. Dickens non è stato antisemita, è stato cinico. E più tardi si è reso conto delle proprie responsabilità: in una edizione successiva di  Oliver Twist ha corretto alcuni dei riferimenti a Fagin. Sono convinto di avere lavorato in un ambito che in questo linguaggio non era mai stato trattato e spero di riuscire ancora a scoprire nuove strade.”

L’AUTORE

Will Eisner (1917-2005) è riconosciuto internazionalmente come una leggenda del fumetto e come il padre del graphic novel. Eisner è stato uno dei primi veri autori di fumetti, attivo sin dalla nascita dell’industria fumettistica americana, e i suoi traguardi professionali hanno segnato ogni passaggio significativo della maturazione del medium come espressione letteraria e artistica. E’ stato un innovatore nell’arte del fumetto, creando molti personaggi e serie memorabili, tra cui The Spirit, che debuttò nel 1940, e ha influenzato un’intera generazione di giovani fumettisti con il suo storytelling e il suo design innovativo. The Spirit, capitolo imprescindibile del canone letterario del fumetto, ha continuato a ispirare generazioni di lettori di fumetti. Nel 1978, il seminale graphic novel di Eisner, Contratto con Dio,  ha rivoluzionato il fumetto, aprendo la strada al cambiamento da intrattenimento periodico usa e getta a una forma culturale innovativa e duratura.

Eisner ha realizzato in seguito altri venti libri a fumetti durante i suoi anni di “pensionamento”, collezionando vari premi sia negli Stati Uniti che all’estero, e affermando il graphic novel come forma letteraria dalla vita propria. I premi più importanti del mondo del fumetto nordamericano, i Premi Eisner, sono intitolati in suo onore.

Nel 2002 Eisner ha ricevuto dalla Jewish Society il Lifetime Achievement Award per “avere contribuito all’apprezzamento della cultura ebraica nella società”.

Watchmen: il libro ufficiale del film

La casa editrice 001 Edizioni in concomitanza con l’uscita in contemporanea mondiale il 6 marzo prossimo del film Watchmen prodotto dalla Paramount, e distribuito dalla Universal Picture,e diretto da Zack Snyder (regista di 300) pubblica il volume: Watchmen: Il Libro Ufficiale del Film!

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