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“Dangerous Animals”: squali, follia e sopravvivenza nell’horror australiano che scuote Cannes

C’è un brivido particolare che percorre la schiena quando ti rendi conto che il vero predatore non è quello con le pinne, i denti a sega e gli occhi neri come la notte. No, il vero orrore ha volto umano. E “Dangerous Animals”, l’attesissimo ritorno di Sean Byrne, ce lo sbatte in faccia con una brutalità chirurgica. Dimenticatevi i classici shark movie dove la minaccia emerge dalle profondità marine: qui, a terrorizzarci davvero, è l’uomo. Un uomo disturbato, sadico, metodico. Un killer che trasforma l’oceano in un palcoscenico di morte, e gli squali nei suoi strumenti di tortura preferiti.

In uscita nei cinema italiani dal 20 agosto grazie a Midnight Factory (etichetta di Plaion Pictures) e Blue Swan Entertainment, “Dangerous Animals” è un thriller psicologico che affonda i denti nel cuore stesso del genere horror, sporcandosi le mani con il sangue delle emozioni più primitive: la paura, la sopravvivenza, l’ossessione.

Dalla mente contorta che ci ha regalato perle come The Loved Ones e The Devil’s Candy, Sean Byrne torna dietro la macchina da presa dopo un lungo silenzio creativo e lo fa con una pellicola che ha fatto il suo debutto nella prestigiosa Quinzaine des Cinéastes al Festival di Cannes 2025. Un ritorno in grande stile, che ci fa capire da subito una cosa: stavolta non si scherza.

La protagonista è Zephyr, interpretata da una convincente Hassie Harrison (che i fan di Yellowstone conoscono bene), una giovane surfista alla deriva, in fuga dalla vita e forse da sé stessa. Zephyr è il tipo di personaggio che nei fumetti diventerebbe un’eroina disillusa, una guerriera solitaria scolpita dal vento e dalle onde. Durante un viaggio nella Gold Coast australiana, tra cieli infuocati dal tramonto e mare che sembra promettere libertà, incontra Moses (un credibile Josh Heuston), con cui vive un’avventura notturna intensa quanto fugace. Ma dietro quell’idillio si nasconde il vero volto del film: l’incubo che prende forma con Tucker.

Tucker – interpretato da un glaciale e inquietante Jai Courtney (The Suicide Squad, Die Hard – Un buon giorno per morire) – è un serial killer ossessionato dal cinema horror e dagli squali. Cresciuto nel culto del terrore dopo essere sopravvissuto a un attacco squalo durante l’infanzia, ha sviluppato un vero e proprio rituale sanguinario. Organizza escursioni in mare per turisti ignari, ma il suo scopo è uno solo: creare snuff movie in cui le sue vittime vengono divorate vive da squali affamati, il tutto immortalato con una vecchia cinepresa analogica. Un sadico regista di morte, un profeta della carneficina marina, un assassino convinto di agire per volere delle oscure divinità dell’oceano.

La storia si sviluppa tra momenti di tensione crescente e sequenze di puro terrore. La barca di Tucker, da apparente rifugio turistico, si trasforma in una prigione galleggiante, una vera “stanza delle torture marina”. In questo ambiente chiuso, soffocante e instabile, Zephyr dovrà trovare in sé la forza di trasformarsi da vittima designata a combattente indomita. Il suo percorso ricorda quello delle migliori final girl del cinema horror, ma con un’intensità fisica e psicologica che lascia il segno. È ferita, sola, drogata, ma mai spenta.

Byrne dimostra una regia matura e consapevole: evita i facili jumpscare per concentrarsi sulla costruzione del terrore. Le scene sull’acqua sono girate con una tensione palpabile, le inquadrature sono strette e studiate, la colonna sonora di Michael Yezerski accompagna ogni momento con un battito ritmico che ti entra sotto pelle. E quando il sangue scorre – e scorre eccome – lo fa con una crudezza realistica, grazie anche a un ottimo lavoro di make-up e effetti pratici che richiamano il miglior body horror.

Uno degli aspetti più affascinanti del film è proprio il modo in cui capovolge lo schema classico dello shark movie. Qui lo squalo non è più il villain, ma l’arma. Il vero mostro è umano. Un uomo che ha trasformato il trauma in ideologia, il dolore in spettacolo. Ed è proprio questa riflessione a rendere “Dangerous Animals” più di un semplice film horror: è una metafora feroce sull’umanità che perde la bussola, sull’intrattenimento che diventa malattia, sul voyeurismo che divora l’empatia.

Il confronto finale tra Zephyr e Tucker è di quelli che non si dimenticano. Ogni colpo è reale, ogni ferita fa male. Fino a quel climax catartico, liberatorio, in cui il carnefice diventa vittima, gettato in pasto alle creature che tanto ha venerato. La vendetta di Zephyr non è solo una questione di sopravvivenza, ma un vero e proprio rito di passaggio, un’esplosione di rabbia e forza che sigilla il film con un urlo muto sotto le onde.

Certo, il film non è perfetto. La parte iniziale si prende un po’ di tempo per ingranare, e il finale si concede qualche falso climax di troppo. Ma sono dettagli che svaniscono di fronte all’impatto complessivo di un’opera che riesce a intrattenere, turbare e far riflettere. Perché “Dangerous Animals” non è solo una pellicola d’estate da vedere con i popcorn in mano. È un horror intelligente, potente, capace di scavare nei nostri istinti più profondi e di trasformarli in puro cinema.

E a questo punto, la domanda è inevitabile: avete ancora voglia di fare una gita in barca? O magari un’immersione in gabbia con gli squali? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto e condividete le vostre impressioni sui social con l’hashtag #DangerousAnimalsFilm. Perché, in fondo, il vero pericolo non è mai quello che viene dal mare… ma quello che si nasconde dietro un sorriso umano.

“Dexter Resurrection”: Dexter Morgan è tornato. Di nuovo. E questa volta… non è più solo.

Se c’è un personaggio televisivo che sembra incapace di morire — non solo in senso letterale — è proprio lui: Dexter Morgan. Il killer etico, il tecnico della scientifica di giorno e giustiziere omicida di notte, torna ancora una volta sotto i riflettori con Dexter: Resurrection, una nuova, attesissima serie targata Paramount+ con SHOWTIME che promette di ridefinire tutto ciò che pensavamo di sapere su questo oscuro antieroe.E mentre Hollywood continua a cavalcare l’onda della nostalgia, riportando in vita icone del piccolo schermo con revival, reboot e prequel, Dexter sembra aver trovato il modo di rimanere eternamente attuale. Come una fenice che risorge dal sangue — più che dalle ceneri — il nostro assassino preferito si prepara a riaprire i suoi strumenti chirurgici, ma con una nuova consapevolezza e, soprattutto, con un nuovo contesto: la metropoli caotica e insonne di New York City.

Sin dalla sua prima apparizione nel 2006, Dexter ha catturato l’immaginazione collettiva. Era una serie che infrangeva le regole del racconto televisivo, presentando come protagonista un serial killer… che amavamo. Era disturbante e affascinante al tempo stesso, una narrazione che ci costringeva a guardare dentro noi stessi, a chiederci se davvero potevamo simpatizzare con un uomo che uccide — ma solo quelli che “se lo meritano”. Dopo otto stagioni originali, un finale che ha lasciato l’amaro in bocca, e il controverso sequel Dexter: New Blood, in cui il nostro protagonista veniva apparentemente eliminato proprio da suo figlio Harrison, ci si sarebbe potuti aspettare la parola “fine”. E invece no. Perché l’oscurità, come ci insegna lo stesso Dexter, non si può mai davvero seppellire.

Resurrection: un ritorno, una rinascita, o solo un nuovo inizio?

Dexter: Resurrection parte da dove ci eravamo lasciati: con Dexter in fin di vita, ferito gravemente dal colpo di pistola sparato da Harrison. Ma l’ex tecnico della scientifica non è così facile da uccidere. Si risveglia da un coma solo per scoprire che il figlio è scomparso nel nulla, portandosi via ogni possibilità di redenzione. Ecco dunque l’inizio di un nuovo viaggio — interiore ed esteriore — che lo condurrà a New York, dove il passato è pronto a reclamare ciò che è suo.

Ma attenzione: questa volta Dexter non sarà l’unico mostro in città.

I “Murder-vengers” e la nuova era del crimine seriale

Sì, hai letto bene. In quella che potrebbe tranquillamente essere definita la versione horror-thriller degli Avengers, Dexter si troverà coinvolto in una sorta di cabala di serial killer. Un supergruppo del crimine che, stando alle indiscrezioni e al primo trailer, includerà volti noti come Neil Patrick Harris, Krysten Ritter, Eric Stonestreet e David Dastmalchian. A guidare questo macabro team ci sarà niente meno che Peter Dinklage, in una sorta di ruolo à la Nick Fury, con Uma Thurman nei panni della versione deviata di un’Agente Coulson.

È una scelta narrativa coraggiosa, forse folle, ma che potrebbe portare la saga a livelli completamente nuovi. Dexter non è più un solitario cacciatore notturno. È parte di un ecosistema più grande, una società segreta che eleva l’omicidio a rituale condiviso. Una Gotham senza Batman, dove i mostri non si nascondono: si organizzano.

Il ritorno dei fantasmi e dei padri

Tra i ritorni annunciati nel cast troviamo volti storici che hanno contribuito a plasmare la mitologia della serie. David Zayas riprenderà il ruolo di Angel Batista, e — colpo di scena — anche James Remar tornerà nei panni di Harry Morgan, il defunto padre adottivo e guida morale del giovane Dexter. La sua presenza, presumibilmente sotto forma di allucinazione o ricordo, promette di essere centrale nello sviluppo psicologico del protagonista, ormai costretto ad affrontare le proprie colpe senza più scuse.

E poi c’è Harrison, il figlio che si porta dentro l’ombra del padre e che adesso dovrà decidere se seguire le sue orme o liberarsene. Sarà davvero possibile spezzare il ciclo, o l’oscurità è un’eredità genetica che non si può evitare?

Redenzione o condanna?

La grande domanda che si pone Dexter: Resurrection è la stessa che aleggia da anni: un mostro può davvero cambiare? Può trovare la pace chi ha costruito la propria identità sul sangue e la menzogna? Se Original Sin ci aveva mostrato le origini dell’oscurità, Resurrection promette di affrontarne le conseguenze più profonde.

Con una sceneggiatura che sembra voler esplorare l’evoluzione morale del protagonista più che giustificarne le azioni, e con una nuova ambientazione che cambia completamente le regole del gioco, questa nuova incarnazione della serie potrebbe essere non solo un nuovo inizio, ma anche la fine definitiva di un lungo cammino.

Quando arriva e cosa ci aspetta

La premiere è fissata per l’11 luglio 2025, con i primi due episodi subito disponibili su Paramount+ con SHOWTIME. L’attesa è febbrile, e con un cast stellare e una premessa tanto assurda quanto intrigante, Dexter: Resurrection potrebbe essere la stagione che ridefinirà non solo la saga, ma il modo stesso in cui raccontiamo l’oscurità.

Una cosa è certa: Dexter è tornato. Ma questa volta, forse, non è più lo stesso. O forse lo è sempre stato, e siamo noi a essere cambiati.

E voi, siete pronti a rientrare nella mente disturbata ma irresistibile di Dexter Morgan? Pensate che meriti davvero una seconda possibilità… o una punizione definitiva? Fateci sapere cosa ne pensate nei commenti e condividete l’articolo con i vostri compagni di binge-watching: la discussione è appena cominciata, e non vediamo l’ora di sentire le vostre teorie!

Damaged: Il thriller con Samuel L. Jackson che prometteva tensione e mistero, ma si perde nei meandri del déjà-vu

Ci sono film che, già dalla locandina, ti guardano dritto negli occhi e ti dicono: “Guardami, sono quello che stavi aspettando”. E tu, povero spettatore nerd, che hai passato gli ultimi vent’anni ad annusare ogni possibile declinazione del crime thriller, ci caschi come un cosplay con il tacco 12 sul selciato della fiera. Ecco, Damaged è esattamente quel tipo di film. Un’esca visiva, intrigante e apparentemente promettente, che però finisce per impantanarsi nella mediocrità più grigia. Disponibile su Prime Video dal 12 aprile 2024, il film diretto da Terry McDonough si presentava con un pedigree di tutto rispetto: Samuel L. Jackson e Vincent Cassel nel cast, una trama che profuma di mistero e serial killer, una doppia ambientazione Chicago–Edimburgo e quel tocco dark alla Se7en che manda in brodo di giuggiole gli appassionati del genere. Insomma, sulla carta sembrava il pacchetto perfetto. Ma come ben sappiamo noi del CorriereNerd.it, tra la carta e lo schermo ci passa un mondo.

La storia ruota attorno a Dan Lawson, un detective americano caduto in disgrazia, tormentato dai fantasmi del passato e da una bottiglia che sembra il suo unico conforto. Quando una serie di omicidi rituali scuote Edimburgo – giovani donne fatte a pezzi con un modus operandi degno di un manuale dell’orrore – Lawson viene richiamato in servizio per dare manforte alla polizia scozzese. Il legame con un vecchio caso irrisolto di Chicago è troppo forte per essere ignorato. A fianco dell’ispettore Glen Boyd (interpretato da Gianni Capaldi, anche co-sceneggiatore del film), Lawson si immerge in un’indagine tra culti religiosi, simbolismi oscuri, vecchie conoscenze e il gelo della città scozzese, con i suoi vicoli nebbiosi e l’atmosfera gotica che sembra gridare “thrillerone in arrivo”

Ma dopo i primi dieci minuti di suggestione, Damaged inizia a mostrare le crepe. Il primo segnale d’allarme è la regia. Terry McDonough, veterano della televisione con serie solide alle spalle (sì, stiamo parlando anche di Breaking Bad), sembra non riuscire a trovare il ritmo giusto per il grande schermo. Le sequenze scorrono lente, quasi anestetizzate, come se qualcuno avesse premuto il tasto “slow motion dell’emozione”. I momenti più intensi vengono sprecati in inquadrature scolastiche, e la tensione – quella vera, quella che ti tiene incollato alla poltrona mentre ti mangi le unghie – resta solo una promessa non mantenuta. E non è solo un problema di regia. Anche la sceneggiatura, firmata da Paul Aniello, Koji Steven Sakai e lo stesso Capaldi, sembra voler citare a tutti i costi i grandi del passato, ma senza riuscire a rendere omaggio. I richiami a Seven, Il collezionista di ossa e persino Il silenzio degli innocenti sono talmente scoperti da risultare quasi fastidiosi, trasformando ogni colpo di scena in una previsione azzeccata dallo spettatore più sgamato.

E veniamo al cast, perché qui il nodo si fa ancora più doloroso. Quando leggi nomi come Samuel L. Jackson e Vincent Cassel, ti aspetti fuochi d’artificio. Ti aspetti sguardi intensi, dialoghi taglienti, esplosioni emotive. E invece Jackson sembra interpretare il suo personaggio in modalità “pilota automatico”, rifugiandosi nel cliché del detective alcolizzato senza mai metterci davvero l’anima. Cassel, pur mantenendo il suo innegabile carisma, appare così poco sullo schermo da sembrare quasi un cameo esteso. Capaldi prova a mettere pathos nel suo personaggio di padre distrutto, ma fatica a trasmettere autenticità. L’unico che si salva è John Hannah, con una performance più misurata e credibile che riesce, seppur brevemente, a restituire un briciolo di dignità narrativa all’insieme.

Dal punto di vista visivo, Damaged fa del suo meglio per sedurre l’occhio. Le ambientazioni scozzesi sono ben fotografate, le scenografie curate e i dettagli macabri dei crimini non mancano. Ma manca il cuore. Manca la sostanza. È come guardare una bellissima action figure di Batman con zero punti di articolazione: affascinante, ma immobile. I personaggi sembrano scolpiti nel legno, i colpi di scena si susseguono senza vero peso, e le sottotrame religiose si perdono in un mare di false piste e dialoghi inutili. La trama, anziché stringersi come una morsa attorno allo spettatore, si annoda su sé stessa, tra scelte narrative discutibili e svolte che sanno di soap opera in salsa noir.

E poi arriva il finale. Ah, il famigerato finale. Quello che dovrebbe ribaltare tutto, sconvolgerti, lasciarti senza fiato. E invece ti lascia solo a bocca aperta per lo sgomento. Scopriamo infatti che il killer è proprio Dan Lawson. Sì, proprio lui, il nostro Jackson sbronzo e tormentato. Un twist potenzialmente potente, ma gestito con una superficialità disarmante. Cassel, pur ferito e consapevole della verità, sceglie di lasciarlo andare. Nessun arresto, nessuna giustizia. Solo una dissolvenza finale che ti fa venire voglia di riscrivere l’intero terzo atto. Perché Damaged aveva tutte le carte in regola per essere un noir psicologico avvolgente, ma finisce per sembrare il sogno sfocato di un cinefilo distratto.

In definitiva, Damaged è uno di quei film che ti fa riflettere su quanto sia facile costruire hype e quanto sia difficile mantenerlo. Un thriller che doveva essere cupo e viscerale, ma si accontenta di essere un compitino stiracchiato. Una promessa tradita, un’occasione sprecata. E per noi nerd appassionati di crime, misteri e serial killer ben scritti, è quasi un affronto.

Hai già visto Damaged su Prime Video? Anche tu sei rimasto deluso dal finale o hai trovato qualcosa da salvare? Raccontacelo nei commenti qui sotto e condividi la tua opinione con gli altri lettori del CorriereNerd.it! E se ti piacciono le analisi dettagliate e un po’ taglienti sul cinema di genere, seguici anche sui nostri social: perché il vero thriller… è non perdersi nessuna recensione!

#Justkilling – Il lato oscuro dei social nel nuovo, disturbante fumetto italiano

Eccomi qui, con il cuore che batte ancora forte dopo aver sfogliato l’ultima pagina di #Justkilling, un graphic novel che mi ha completamente assorbita, sconvolta, e – lo ammetto – anche un po’ turbata. Ma d’altronde, cosa ci si può aspettare da una storia che ti catapulta senza anestesia nel lato più oscuro del deep web, dove il confine tra realtà e perversione digitale si dissolve in un click?Firmato a sei mani da tre autori italiani con la A maiuscola – Giacomo “Keison” Bevilacqua, Giulio Antonio Gualtieri e il giovane talento Vincenzo Puglia – #Justkilling è una di quelle opere che ti si attaccano addosso come una seconda pelle. Non è solo un thriller adrenalinico e dal ritmo serrato, ma anche una vera e propria radiografia sociale della nostra epoca più disturbata e distopica.

La premessa è tanto semplice quanto disturbante: un social network nascosto tra le pieghe del deep web – quel ventre digitale oscuro e inaccessibile ai più – ospita una challenge mortale tra serial killer. Dieci omicidi, dieci bersagli scelti dalla piattaforma stessa, e in palio l’immunità totale: il sogno proibito di ogni assassino, ma anche il simbolo di una società dove tutto, anche la morte, può diventare gamificato. E quando arrivi a cinque vittime, scatta un “malus”. Una complicazione. Una svolta imprevista che spezza le gambe ai protagonisti e al lettore, costringendoli a rivedere tutto il senso del gioco.

Ma parliamoci chiaro: #Justkilling non è solo sangue, violenza e suspense. È anche (e soprattutto) un romanzo di formazione malato, una riflessione cruda e crudelmente onesta sul disagio adolescenziale, sulle identità fluide e fragili dei più giovani, risucchiati in una spirale che mescola voglia di riscatto, solitudine e fame d’amore. I due protagonisti – ragazzi intrappolati in un sistema più grande di loro – sono lo specchio dei dubbi e delle insicurezze di un’intera generazione. Si cercano, si sfidano, si trasformano. E in questa metamorfosi, ci raccontano cosa significa diventare adulti in un mondo che non lascia scampo.Il tratto di Vincenzo Puglia, intenso, diretto, a tratti quasi allucinato, è il veicolo perfetto per una storia che vive di contrasti: il digitale contro il reale, l’adolescenza contro la brutalità, l’anonimato contro la necessità di esistere davvero, anche solo per un attimo. C’è qualcosa di ipnotico nelle sue tavole: ogni vignetta è una ferita aperta, ogni espressione un urlo silenzioso. E poi c’è la critica sociale, potentissima. #Justkilling è una denuncia chiara e precisa della nostra ossessione per i social, per il like facile, per l’apparenza. Viviamo in un’epoca in cui tutto deve essere visto, condiviso, valutato. E quando questa dinamica viene applicata alla violenza estrema, cosa resta della nostra umanità? È davvero così assurdo pensare che, in un futuro non troppo lontano, l’assassinio possa diventare contenuto virale? È proprio questo che fa più paura: non la brutalità in sé, ma quanto essa sembri plausibile. Attuale. Reale.

Star Comics, con la sua collana Astra, si conferma ancora una volta come uno dei baluardi della fumettistica italiana più coraggiosa e innovativa. Dare spazio a opere come questa significa credere nel potenziale del fumetto come forma d’arte e strumento di critica culturale.

#Justkilling è una lettura che consiglio a tutti, ma non a cuor leggero. Serve stomaco, ma anche mente aperta e voglia di lasciarsi provocare. Perché non è solo una storia da leggere: è un’esperienza da vivere. E da raccontare. E voi? Avete il coraggio di entrare nel lato oscuro dei social network? Di scoprire fin dove può arrivare la mente umana quando viene spinta oltre ogni limite?Parliamone. Condividete le vostre impressioni, postate, commentate, taggate: fate vivere questa storia anche fuori dalle pagine. Perché #Justkilling non è solo un fumetto. È uno specchio. E a volte, quello che riflette fa davvero paura.

Il mostro della laguna nera: il ritorno della creatura in un’avventura mozzafiato nel nuovo graphic novel Universal Monsters

Nel vasto universo delle storie dell’orrore che hanno segnato la storia del cinema e della letteratura, i “Universal Monsters” rappresentano una pietra miliare che continua a influenzare generazioni di appassionati. SaldaPress, sempre pronta a offrire ai lettori italiani nuove emozioni nel mondo del fumetto, presenta con orgoglio Il mostro della laguna nera, il nuovo graphic novel che si inserisce nell’acclamata collana Universal Monsters. Questo volume, scritto dal talentuoso duo Dan Watters e Ram V, con i disegni di Matthew Roberts, si propone di espandere e arricchire l’universo già conosciuto della creatura che ha fatto la storia dell’orrore, portando con sé un nuovo capitolo della sua inquietante saga.

Sequel diretto dell’iconico film Creature from the Black Lagoon del 1954, questo graphic novel si inserisce perfettamente nel contesto di una serie che, fino ad ora, ha visto protagonisti altri mostri leggendari come Dracula e Frankenstein. L’intento di questo progetto è chiaro: mantenere viva l’essenza dei classici, ma rinnovandola attraverso un racconto che si sviluppa decenni dopo gli eventi narrati nel film originale. Con un tono che mescola l’horror puro alla suspense e all’avventura, Il mostro della laguna nera si propone di risvegliare nei lettori quel senso di terrore e mistero che i film di mostri sono riusciti a suscitare per decenni.

La trama del graphic novel è tanto avvincente quanto inquietante. Anni dopo la presunta distruzione della leggendaria creatura, riemersa dai fondali paludosi della Laguna Nera, una nuova minaccia fa la sua comparsa. I fondali del Rio delle Amazzoni diventano teatro di un’avventura che mette in gioco il destino di chi si avventura nelle sue acque torbide. Kate Marsden, giornalista investigativa e protagonista del fumetto, si trova immersa in una delle storie più terrificanti della sua carriera. Decisa a risolvere un caso legato a un serial killer che terrorizza l’Amazzonia, la sua indagine prende una piega inaspettata quando si imbatte in un’entità che, pur non essendo né pesce né umano, incarna la definizione stessa di orrore. Ma chi è questa creatura? Un nemico che riemerge dal passato, o una sorta di alleato ambiguo che potrebbe cambiarle la vita per sempre?

In un crescendo di tensione narrativa e visuale, Il mostro della laguna nera riesce a restituire l’atmosfera opprimente del film del 1954, espandendo al contempo il lore della creatura e delle sue origini. I disegni di Matthew Roberts, insieme alla sceneggiatura coinvolgente di Watters e Ram V, danno vita a una storia che non solo soddisfa le aspettative degli amanti dell’horror classico, ma offre anche nuovi spunti di riflessione sul ruolo del mostro nelle storie moderne. La creatura, che un tempo era simbolo di paura incontrollata, diventa ora un’ombra oscura che tormenta la protagonista, costringendo il lettore a porsi domande sul confine tra il bene e il male, e su cosa sia realmente il “mostro” in una narrazione che oscilla tra realtà e mito.

Il graphic novel non è solo un tributo al cinema horror degli anni ’50, ma anche un’opera che, grazie alla sua narrazione tesa e alla caratterizzazione complessa dei protagonisti, offre una riflessione più profonda sul nostro rapporto con il terrore. La presenza della giornalista Kate Marsden, protagonista indiscussa della storia, rappresenta una forza dinamica che spinge la narrazione verso nuove direzioni, mettendo in evidenza temi come il coraggio, la determinazione e la lotta contro il male.

Per gli appassionati di cinema, di fumetti e di horror in generale, Il mostro della laguna nera è un volume imperdibile, capace di catturare l’essenza dei classici Universal Monsters mentre arricchisce la mitologia della creatura con nuove sfumature, nuove storie e, soprattutto, nuovi orrori. In un’epoca in cui il ritorno dei classici horror sembra essere sempre più apprezzato da nuovi e vecchi fan, SaldaPress dimostra ancora una volta di saper trattare con rispetto e passione questi mostri leggendari, offrendoci un’opera che sa essere moderna e al contempo fedele alle radici del genere.

Happy Face: La Storia della Figlia del Serial Killer in Arrivo su Paramount+

“Happy Face”, la nuova serie true crime di Paramount+, si prepara a catturare l’attenzione degli spettatori con una trama inquietante e un’interpretazione eccezionale, offrendo uno sguardo intenso e coinvolgente sulla vera storia di Melissa G. Moore, la figlia del serial killer noto come Happy Face. Disponibile dal 21 marzo 2025, la serie si ispira al podcast omonimo e all’autobiografia Shattered Silence, scritta dalla stessa Moore, che esplora l’incredibile storia di un’adolescente che scopre, a soli 15 anni, che suo padre è un assassino spietato. Un racconto che è tanto straziante quanto affascinante, e che porta a riflettere sui temi della colpa, della vergogna e dell’identità.

La trama si snoda intorno alla vita di Melissa Reed (interpretata da Annaleigh Ashford), che da adulta cerca di lasciarsi alle spalle il peso di un passato che non può cancellare. Sposata e madre di due figli, Melissa lavora come truccatrice per il programma televisivo del dottor Greg (David Harewood), un talk show che si occupa di traumi e crimini. La sua vita, apparentemente tranquilla, è stravolta quando il suo padre, Keith Hunter Jesperson (un Dennis Quaid straordinario nella sua interpretazione del mostro mascherato da padre affettuoso), un serial killer noto come Happy Face, si rifà vivo. Dopo decenni di silenzio, Keith riesce a infiltrarsi nuovamente nella vita della figlia, costringendola a confrontarsi con un segreto che ha tenuto nascosto per tutta la sua esistenza.

La serie, che è un mix di verità e fiction, prende spunto dai veri eventi della vita di Melissa G. Moore, ma arricchisce la storia con una trama che aumenta la suspense e l’impegno emotivo. La vicenda di Melissa, una donna che ha vissuto la sua infanzia con il terribile sospetto che qualcosa non andasse con suo padre, è segnata dal dramma psicologico, dalla lotta interiore e dalla necessità di affrontare un futuro incerto. Un elemento centrale della serie è il tema della “maschera” – simboleggiato dal trucco che Melissa usa nel suo lavoro – che funge da metafora della duplicità e della difficoltà di nascondere una realtà dolorosa.

La performance di Dennis Quaid nel ruolo di Keith Hunter Jesperson è tanto inquietante quanto affascinante. L’attore, noto per i suoi ruoli più affabili, dimostra una capacità straordinaria nel cambiare registro, passando da un padre apparentemente affettuoso a un assassino gelido e manipolatore. Il suo utilizzo della voce, la modulazione dei toni, e il contrasto tra il comportamento paterno e la spietatezza del killer sono magistrali, rendendo il personaggio ancora più sinistro e complesso. Al suo fianco, Annaleigh Ashford offre una performance altrettanto potente, portando sullo schermo una Melissa che è la personificazione del dolore e della frustrazione, ma anche della speranza e della forza di chi ha lottato contro il proprio passato, cercando di proteggere la sua famiglia da un segreto troppo grande.

Il cast di supporto non è da meno: James Wolk nei panni di Ben Moore, il marito di Melissa, rappresenta il punto fermo nella vita di una donna che deve affrontare una verità devastante. La sua interpretazione è quella di un uomo che si trova impotente di fronte a una situazione che nessuno vorrebbe mai dover affrontare, ma che è costretto a condividere con sua moglie, unita al suo passato in un legame che nessuno avrebbe mai immaginato. Tamera Tomakili, nei panni della produttrice Ivy, aggiunge un elemento di curiosità e tensione, mentre David Harewood, con il suo ruolo di conduttore del talk show, incarna l’aspetto più morboso e voyeuristico della cultura dei crimini mediatici.

Il racconto di Happy Face non si limita a esplorare la vita di una figlia di un serial killer, ma ci invita a riflettere sul dolore che le famiglie di tali individui sono costrette a sopportare. La serie affronta tematiche difficili, come il bullismo, lo stigma sociale e la paura di diventare come i propri genitori. Melissa non solo deve fare i conti con la scoperta di ciò che suo padre ha fatto, ma deve anche affrontare le conseguenze di quella verità, che la perseguitano ogni giorno della sua vita, anche dopo aver cambiato identità e cercato di costruirsi una nuova famiglia.

L’approccio narrativo di Happy Face si muove tra la verità storica e l’intensità drammatica, senza mai dimenticare di focalizzarsi sulla psicologia dei personaggi. La trama si arricchisce di colpi di scena che mantengono alta la tensione, e ogni episodio è una nuova scoperta, una nuova chiave che apre la porta verso un ulteriore strato di questa storia complessa. La serie riesce a farci vivere l’angoscia di Melissa, la cui vita è segnata non solo dalla paura di essere associata al crimine di suo padre, ma anche dalla necessità di proteggere i suoi figli da una verità che li minaccia.

In un contesto moderno, dove la cronaca nera è spesso trattata come un intrattenimento morboso, Happy Face ci ricorda quanto sia facile manipolare l’opinione pubblica e come, in certi casi, la realtà superi di gran lunga la fantasia. Concludendo ogni episodio con un twist narrativo, la serie ci lascia con il fiato sospeso, desiderosi di sapere come si evolverà la storia e come la protagonista riuscirà a vivere con il “marchio” che suo padre le ha imposto. Con una chiara premessa per una possibile seconda stagione, Happy Face si conferma come una delle serie più coinvolgenti e provocatorie della stagione.

The Whisper Man: Il Thriller Psicologico con Robert De Niro che Ti Terrà Incollato allo Schermo

Netflix è pronta a portare sullo schermo una nuova e intrigante produzione che ha già suscitato l’interesse di molti appassionati di thriller psicologici e crime story. Parliamo di The Whisper Man, un adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Alex North, un bestseller del New York Times. Questo attesissimo film avrà come protagonista niente meno che Robert De Niro, che torna a fare da protagonista in una pellicola che promette tensione, mistero e, soprattutto, un profondo legame familiare.

La trama ruota attorno alla figura di un padre vedovo e scrittore di romanzi gialli, che si trova a vivere un incubo quando suo figlio di soli otto anni scompare misteriosamente. In cerca di risposte e nel disperato tentativo di ritrovare il ragazzo, il protagonista si rivolge al padre, un ex detective della polizia in pensione. Insieme, i due si immergeranno in un caso inquietante, legato a un serial killer noto come The Whisper Man, il cui nome è ormai sinonimo di omicidi irrisolti che risalgono a decenni prima. Un thriller che non è solo una caccia al colpevole, ma anche un’indagine nelle dinamiche familiari e nei demoni interiori che ciascuno dei protagonisti deve affrontare.

A dirigere The Whisper Man troviamo James Ashcroft, già noto per il suo lavoro su Coming Home in the Dark. La sceneggiatura è affidata a Ben Jacoby, autore di The First Omen, e Chase Palmer, che ha scritto il celebre It. La produzione, invece, è firmata da AGBO, la casa di produzione dei fratelli Russo, che hanno già firmato produzioni di successo come The Gray Man e la saga di Extraction. Il capo creativo di AGBO, Angela Russo-Otstot, ha dichiarato di essere entusiasta del progetto, lodando non solo la trama avvincente e il forte legame tra padre e figlio, ma anche la presenza di Robert De Niro nel ruolo del protagonista. L’attore, vincitore di numerosi premi Oscar, darà vita a un personaggio segnato dal dolore, che deve fare i conti con il passato, ma che è anche spinto dalla necessità di proteggere e redimere il suo figlio scomparso.

The Whisper Man si preannuncia come un film che esplorerà temi profondi, come la lotta contro i fantasmi del passato, la riconciliazione familiare e la tensione emotiva derivante da eventi drammatici e imprevisti. Ashcroft, con il suo stile preciso e affilato, saprà fondere il mistero del serial killer con le dinamiche intime e complesse che legano i protagonisti.

Per i fan di Robert De Niro, The Whisper Man non è l’unico progetto in arrivo. Prima di questo film, gli abbonati Netflix potranno vederlo nella serie Zero Day, in cui l’attore interpreta un ex presidente degli Stati Uniti coinvolto in un attacco informatico devastante. Ma De Niro ha ancora molte sorprese in serbo per i suoi fan, con la partecipazione a The Alto Knights, un film biografico sui leggendari boss mafiosi italo-americani Vito Genovese e Frank Costello.

La produzione di The Whisper Man inizierà nella primavera del 2025 e, sebbene non sia stata ancora annunciata una data di uscita, gli appassionati possono rimanere sintonizzati per gli aggiornamenti. Con un cast di prim’ordine, una regia esperta e una trama avvolgente e densa di emozioni, The Whisper Man ha tutte le carte in regola per diventare uno dei thriller più attesi della stagione.

In attesa di scoprire quando il film sarà finalmente disponibile su Netflix, i fan possono continuare a seguire i progressi della produzione, con la speranza di altre rivelazioni e sorprese legate a questo adattamento cinematografico. The Whisper Man promette di essere una storia intensa e coinvolgente, che terrà gli spettatori con il fiato sospeso, ansiosi di scoprire il destino del piccolo protagonista e il misterioso segreto che si nasconde dietro il nome del serial killer che terrorizza la trama.

Gone Girls: The Long Island Serial Killer – La Docu-Serie Netflix Che Racconta Una Caccia Durata 13 Anni

Nel 2025, Netflix arricchirà il suo catalogo con una docu-serie dal forte impatto emotivo e investigativo: “Gone Girls: The Long Island Serial Killer”. Diretto dalla talentuosa Liz Garbus, il documentario in tre episodi esplora uno dei casi criminali più inquietanti della storia americana recente: gli omicidi di Gilgo Beach, una serie di delitti perpetrati negli anni ‘90 e rimasti irrisolti per oltre un decennio. Il caso ha finalmente avuto una svolta nel 2023 con l’arresto di Rex Heuermann, un rispettabile architetto di New York che si è rivelato essere il mostro che per anni ha terrorizzato la comunità.

La storia inizia nei primi anni 2000, quando una serie di resti umani viene scoperta lungo l’Ocean Parkway nella contea di Suffolk, Long Island. Tra il 2010 e il 2011, le autorità rinvengono i corpi di più vittime, rivelando un agghiacciante modus operandi: il killer selezionava le sue prede tra giovani donne, molte delle quali operavano nell’industria del sesso, rendendole bersagli vulnerabili. Quattro di queste vittime sono state successivamente denominate le “Gilgo Four”, un gruppo il cui destino segnò profondamente l’opinione pubblica e alimentò la caccia all’assassino.

Per oltre 13 anni, le indagini si sono arenate tra errori investigativi, mancanza di prove e una rete di misteri che sembrava impossibile da districare. Solo grazie all’evoluzione delle tecnologie forensi e all’uso delle più moderne analisi del DNA, la polizia è riuscita a risalire a Rex Heuermann, che nel 2023 è stato arrestato e incriminato per sette omicidi. La serie approfondisce proprio questa lunga e sofferta indagine, evidenziando il ruolo delle nuove tecnologie nel risolvere casi rimasti in sospeso per decenni.

Ma “Gone Girls: The Long Island Serial Killer” non si limita a raccontare i fatti: la docu-serie affronta anche il tema del pregiudizio nei confronti delle vittime. Per anni, la loro professione e il loro stile di vita hanno contribuito a un’ingiustificabile trascuratezza da parte delle autorità, che inizialmente non hanno dato al caso l’attenzione che meritava. Il documentario dà voce a giornalisti, forze dell’ordine, amici e parenti delle vittime, ma anche ai conoscenti dell’accusato, delineando un quadro complesso e stratificato di un’indagine tormentata.

Liz Garbus non è nuova a storie di questo genere: nel 2020 aveva già diretto “Lost Girls”, un dramma basato sulla storia di una madre che lotta per ottenere giustizia per sua figlia, una delle vittime di Heuermann. Con “Gone Girls”, la regista torna sullo stesso caso con un approccio documentaristico, combinando immagini d’archivio, interviste e ricostruzioni per creare un’esperienza immersiva e sconvolgente.

Questa docu-serie si preannuncia come un appuntamento imperdibile per gli appassionati di true crime e per chiunque sia interessato alle dinamiche di un’indagine che ha richiesto oltre un decennio per giungere alla verità. Con un taglio narrativo coinvolgente e una regia esperta, “Gone Girls: The Long Island Serial Killer” promette di gettare nuova luce su uno dei misteri criminali più oscuri d’America, offrendo finalmente giustizia alle vittime e rispondendo alle domande rimaste irrisolte per troppi anni.

Jack Lo Squartatore: il mistero del serial killer più famoso della storia

Londra, 1888. Un’ombra si aggira tra le strade buie e nebbiose di Whitechapel, nel cuore dell’East End. Un’ombra fatta di sangue, terrore e mistero, destinata a diventare leggenda. Jack lo Squartatore – un nome che evoca paura, curiosità e un’incessante ricerca della verità. Più di un secolo dopo, il suo spettro continua a infestare la memoria collettiva, alimentando teorie, romanzi, film e saggi che cercano di risolvere uno dei più celebri enigmi della storia criminale.

I delitti del 1888 hanno segnato una svolta nell’immaginario della cronaca nera: cinque donne brutalmente assassinate, mutilate con un metodo tanto efferato quanto chirurgicamente preciso. Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly, vittime di un carnefice che non lasciò tracce tangibili, se non l’orrore nei vicoli di Whitechapel e una serie di lettere, tra cui la famigerata missiva firmata “Jack the Ripper”, che contribuì a cementare la sua leggenda. La polizia dell’epoca, priva degli strumenti scientifici moderni, navigò a vista in un mare di sospetti e supposizioni, incapace di identificare il colpevole.

Il mistero attorno alla vera identità dello Squartatore ha generato decine di teorie, alcune più plausibili di altre. Tra i sospetti figurano Montague John Druitt, un insegnante dall’esistenza tormentata terminata in un apparente suicidio; Francis Tumblety, un medico americano dal discutibile interesse per l’anatomia femminile; Walter Sickert, il noto pittore con inclinazioni macabre; e Aaron Kosminski, un barbiere polacco con disturbi mentali, internato nel 1891. Ed è proprio Kosminski a essere recentemente tornato al centro dell’attenzione grazie a un’analisi del DNA prelevato da uno scialle che si ritiene appartenuto a Catherine Eddowes. Lo studio, condotto dal ricercatore Russell Edwards, ha individuato tracce genetiche riconducibili a un discendente vivente del barbiere polacco. Una prova definitiva? Non proprio.

Il problema con la cosiddetta prova del DNA è duplice: da un lato, il metodo impiegato permette solo di escludere la non-correlazione tra due campioni, senza identificare con certezza assoluta un individuo; dall’altro, il rischio di contaminazione dopo oltre un secolo è altissimo. Gli scettici sottolineano che il DNA potrebbe essere stato depositato sullo scialle in un momento successivo, alterando qualsiasi pretesa di certezza scientifica. E così, mentre alcuni sostengono che l’enigma sia finalmente risolto, altri vedono in questa scoperta solo un ulteriore colpo di scena nel lungo romanzo di Jack lo Squartatore.

Il profilo psicologico del killer, delineato sia all’epoca che in tempi moderni, aggiunge ulteriori sfumature a un quadro già complesso. Il medico forense Thomas Bond lo descrisse come un uomo solitario, audace, con una forte misoginia e una probabile deviazione sessuale. L’FBI, nel suo studio retrospettivo, lo identificò come un individuo bianco, tra i 28 e i 36 anni, intelligente, organizzato, sadico e affetto da disturbi della personalità. Tuttavia, al di là delle analisi e delle ipotesi, resta il fatto che il suo vero volto continua a sfuggire alla storia.

Jack lo Squartatore non è solo un assassino: è un simbolo. Un simbolo del fallimento della giustizia, della paura del caos urbano, del fascino per l’ignoto. La sua figura ha dato vita a un intero filone letterario e cinematografico – il cosiddetto “squartamentale” – che continua ad alimentare la sua leggenda. Da Sherlock Holmes a From Hell, da studi storici a romanzi gotici, la sua ombra si proietta ben oltre il XIX secolo, come se il mistero, più che la verità, fosse la vera essenza della sua esistenza.

Forse non sapremo mai chi fosse veramente Jack lo Squartatore. Forse, in fondo, non vogliamo davvero saperlo. Il fascino del mistero risiede proprio nella sua irrisolvibilità, nell’eterno enigma che continua a sfidare la nostra voglia di capire. Perché, dopotutto, è questa la forza delle leggende: sopravvivere alla storia, scolpendo il proprio nome nel tempo.

Notte Infinita: La Miniserie sul Mostro di Firenze Esordisce in Fumetteria

Zen Comics ha recentemente annunciato l’uscita del primo volume della miniserie “Notte Infinita”, un’opera che si ispira ai sanguinosi eventi legati alla vicenda del Mostro di Firenze, uno dei casi di cronaca nera più inquietanti e dibattuti della storia italiana. Con il coinvolgimento di una squadra di autori e disegnatori di tutto rispetto, la serie promette di esplorare la tragedia con un approccio fresco e innovativo, arricchendo la narrazione con un taglio di approfondimento psicologico e storico.

La sceneggiatura di “Notte Infinita” è affidata a Gianluca Testaverde, già noto per lavori come BrainStorming e Black Salvation. Testaverde, con la sua esperienza, si fa portavoce di una storia che ha segnato nel profondo l’immaginario collettivo italiano, quella del Mostro di Firenze. Per quanto riguarda il lato visivo, l’albo è un vero e proprio evento, grazie alla collaborazione di diversi disegnatori di talento: Francesco Canterelli, giovane esordiente, e i più esperti Alessio Monaco (Fem Force, Sette Voci) e Mario Schiano (Il Silenzio dell’Acqua, Pane per i Bastardi di Pizzofalcone), quest’ultimo anche autore della copertina del primo volume. Un mix di stili che arricchisce la narrazione e che promette di offrire una visione visiva particolarmente dinamica ed evocativa della tragedia fiorentina.

Il Mostro di Firenze è il nome con cui la stampa identificò, per molti anni, l’autore o gli autori di una serie di duplici omicidi che insanguinarono le campagne fiorentine tra il 1968 e il 1985. In questo lungo periodo, il Mostro uccise diverse coppie di innamorati, compiendo omicidi con una brutalità tale da lasciare un segno indelebile nella memoria storica del nostro paese. La figura del Mostro di Firenze è legata alla figura del serial killer per eccellenza, capace di non solo compiere atti atroci ma di plasmare, con la sua presenza, una parte della cultura popolare italiana. La sua aura di mistero e il suo modus operandi hanno alimentato per anni teorie, leggende e congetture.

Nonostante numerose indagini e il fatto che nel 1999 la Procura di Firenze condannò Mario Vanni e Giancarlo Lotti, ritenuti responsabili degli omicidi ma considerati solo come una “manovalanza” di una più ampia organizzazione, il caso continua a suscitare interrogativi. Ancora oggi, il Mostro di Firenze è un enigma, alimentando discussioni appassionate sia nel mondo accademico che tra i più ferventi appassionati di criminologia. La miniserie “Notte Infinita” si propone di trattare proprio questi aspetti, approfondendo non solo i fatti storici ma anche le figure chiave coinvolte nella vicenda, tra cui i personaggi reali, come investigatori, vittime e criminali.

Il titolo “Notte Infinita” si rifà a una delle missive ricevute nel 1985 dal quotidiano La Nazione, nella quale l’autore, che si presume fosse il Mostro di Firenze, scriveva “In me la notte non finisce mai”, una frase che riecheggia la sua inquietante e misteriosa figura. Questo riferimento, carico di simbolismo, viene scelto per suggerire il perpetuarsi della violenza e la sensazione di un incubo che non ha mai fine, tema centrale nel fumetto.

Nel primo volume, che funge da introduzione, viene ripercorso il delitto del 1968, in cui persero la vita Barbara Locci e Antonio Lo Bianco, le prime vittime della lunga scia di omicidi che avrebbe devastato la zona di Firenze. Questo episodio tragico, descritto in modo dettagliato e ricco di atmosfera, getta le basi per il proseguimento della serie, che si concentrerà sullo sviluppo delle indagini e sull’approfondimento psicologico del personaggio del Mostro, analizzandone le motivazioni e gli aspetti più oscuri legati alle sue azioni.

La miniserie si comporrà di sei volumi e il personaggio del Mostro di Firenze verrà gradualmente sviluppato, con una narrativa che esplora ogni sfumatura del suo comportamento e delle sue azioni. I successivi albi promettono di essere sempre più intensi e profondi, riflettendo sulla natura dell’omicidio e del serial killer, ma anche sulla società italiana dell’epoca e su come questi eventi abbiano influito sulla cultura popolare e sulla mentalità collettiva.

“Notte Infinita” si presenta come un’opera di grande impatto, non solo per il tema trattato, ma anche per l’approccio visivo e narrativo che promette di coinvolgere i lettori fin dalle prime pagine. Il formato americano e la copertina curata da Mario Schiano danno un tocco di classe all’intero progetto. Il volume, al prezzo di 9,99€, è disponibile sia in fumetteria che su Amazon, rendendo facilmente accessibile un’opera che rappresenta un importante punto di riferimento per tutti gli appassionati di crime, storia e fumetto. Chi ama il fumetto italiano e le storie che scavano nel profondo delle psiche umane, non potrà fare a meno di tuffarsi in questa narrazione mozzafiato che promette di riscrivere una pagina nera della nostra storia.

Testimonianza fatale: il thriller che ti terrà con il fiato sospeso fino all’ultima pagina

Dopo aver conquistato milioni di lettori in tutto il mondo con il suo esordio straordinario La donna di ghiaccio, Robert Bryndza torna con un nuovo, avvincente capitolo della sua serie thriller che ha come protagonista la determinata detective Erika Foster. Con Testimonianza fatale, l’autore britannico porta i lettori in un viaggio intricato, dove crimine, mistero e suspense si intrecciano in un ritmo serrato che non lascia respiro fino all’ultima pagina.

La storia inizia con un incontro casuale, ma drammatico. Erika Foster, mentre passeggia nella quiete notturna di Blackheath, un tranquillo quartiere di Londra, si imbatte nel corpo senza vita di Vicky Clarke, una podcaster specializzata in true crime. Questo inquietante ritrovamento spinge la detective a immergersi in un’indagine complessa che la porterà a scoprire un intricato puzzle di segreti e pericoli nascosti.

Vicky Clarke, una giovane giornalista appassionata di casi di crimine, stava infatti preparando una nuova puntata per il suo podcast. Un progetto che l’avrebbe dovuta portare a svelare la verità su un predatore sessuale che da tempo prendeva di mira giovani studentesse nelle università di Londra, in particolare nel quartiere di South London. Il modus operandi di questo criminale era disturbante: sorvegliare le vittime nei loro dormitori, per poi irrompere nelle loro stanze nel cuore della notte per aggredirle.

Nonostante il caso sembri essere inizialmente un omicidio come tanti altri, qualcosa non quadra. Le registrazioni e gli appunti di Vicky, che stavano documentando i dettagli di questa vicenda, sono misteriosamente spariti dal suo appartamento poco dopo il suo omicidio. Erika Foster, con la sua acuta intelligenza e un senso della giustizia che non conosce ostacoli, comincia a nutrire il sospetto che Vicky stesse per scoprire qualcosa di estremamente pericoloso, tanto da essere stata silenziata per sempre. Ma quando il caso si complica ulteriormente con il ritrovamento di un altro corpo – quello di una giovane studentessa di medicina – l’indagine si trasforma in una corsa contro il tempo.

Con pochissimi indizi a disposizione e un’assassino che sembra muoversi con una spietata precisione, Erika Foster si trova ad affrontare un mistero che potrebbe rivelare una rete di crimini ben più ampia e pericolosa di quanto avesse immaginato. Ogni pista sembra portare a una nuova domanda, ogni tentativo di avvicinarsi alla verità è ostacolato da un assassino pronto a tutto pur di non essere scoperto. In questo scenario ad alta tensione, la detective deve fare affidamento non solo sulle sue capacità investigativa, ma anche sulla sua resistenza mentale ed emotiva, poiché il tempo per fermare il killer sta per scadere.

Testimonianza fatale è un thriller che non lascia respiro, costruito con una scrittura precisa ed efficace che sa come incatenare il lettore alla pagina. Robert Bryndza, autore pluripremiato con milioni di copie vendute in tutto il mondo, dimostra ancora una volta la sua straordinaria capacità di creare storie avvincenti e ricche di suspense, dove ogni dettaglio può fare la differenza. La detective Erika Foster, già protagonista di altri romanzi di Bryndza, come La donna di ghiaccio, è un personaggio che continua a conquistare i lettori con la sua forza, la sua determinazione e il suo instancabile impegno nel perseguire la giustizia.

Con Testimonianza fatale, Bryndza esplora anche temi di grande attualità, come il crimine e la protezione delle donne, senza mai perdere di vista l’elemento centrale di ogni thriller che si rispetti: il mistero. La trama è avvincente, i colpi di scena non mancano, e la tensione cresce pagina dopo pagina, lasciando il lettore a chiedersi: chi sarà la prossima vittima? E, soprattutto, chi è il colpevole?

Con il successo di Testimonianza fatale, Robert Bryndza si conferma uno degli autori di thriller più apprezzati a livello internazionale, con un’abilità unica nel creare trame intricate che non deludono mai. Non c’è dubbio che questo romanzo contribuirà a consolidare ulteriormente il suo posto tra i grandi maestri del genere. Se siete appassionati di thriller ad alta tensione, Testimonianza fatale è una lettura imperdibile.

Dexter: Original Sin – Un Prequel Oscuro che Svela le Origini del Mostro Dentro Dexter

Il 13 dicembre 2024 segna un ritorno alle radici di uno dei personaggi più iconici della televisione: Dexter Morgan. Con Dexter: Original Sin, finalmente riceviamo un prequel che esplora le origini di questo complesso antieroe, dando ai fan una nuova chiave di lettura per comprendere le sue motivazioni e il suo oscuro passato. Disponibile su Paramount+, la serie non si limita a rispondere ai quesiti lasciati in sospeso dalla serie madre, ma ci accompagna in un viaggio psicologico che scava nelle profondità di un personaggio che ha segnato un’intera generazione televisiva.

Ambientata nella calda e soffocante Miami del 1991, Dexter: Original Sin riesce a rievocare l’atmosfera che ha reso unica la serie originale. Il giovane Dexter, interpretato da un affascinante Patrick Gibson, ci presenta un protagonista ben lontano dal “patologo forense e serial killer dei serial killer” che abbiamo imparato a conoscere. Gibson non tenta di imitare Michael C. Hall, ma porta invece una nuova interpretazione del personaggio, intrisa di una sensibilità tutta sua. La voce interiore di Dexter, pur assente fisicamente, riesce a risuonare nei momenti giusti, creando una connessione interessante con l’immagine che avevamo di lui in Dexter.

Una delle forze della serie è l’introduzione di versioni più giovani di personaggi iconici della saga, come Maria LaGuerta, Vince Masuka e Angel Batista, che arricchiscono la trama con una presenza che evoca nostalgia ma allo stesso tempo porta freschezza. La serie non si limita a rispolverare volti familiari, ma introduce anche nuovi e carismatici protagonisti come Patrick Dempsey nei panni di Aaron Spencer e Sarah Michelle Gellar nel ruolo di Tanya Martin, i cui contributi si inseriscono perfettamente nelle dinamiche di Dexter senza snaturarne lo spirito.

Tuttavia, ciò che rende veramente avvincente Dexter: Original Sin è la continua esplorazione del legame familiare che definisce Dexter. In questa fase della sua vita, il giovane Dexter non è solo un uomo in lotta con il suo “passeggero oscuro”, come lo chiamava il padre Harry, ma è anche un figlio che, nonostante la sua natura mostruosa, cerca un legame con il mondo che lo circonda. La figura di Harry, interpretato da Christian Slater, emerge come una guida morale nel buio dell’animo di Dexter, cercando di insegnargli a controllare le sue pulsioni attraverso il “Codice”, un sistema che mescola vendetta e una morale distorta. La relazione padre-figlio, tanto complicata quanto fondamentale, è il cuore pulsante della serie, un conflitto che porta l’evoluzione del protagonista in direzioni tanto inquietanti quanto affascinanti.

Uno degli aspetti più disturbanti di Dexter: Original Sin è il modo in cui affronta il primo omicidio di Dexter. La scena in cui Dexter compie il suo primo crimine è scioccante, ma è anche fondamentale per comprendere la sua evoluzione come “giustiziere oscuro”. In quel momento, la discesa nell’oscurità del protagonista diventa tangibile e lo spettatore si trova a fare i conti con la crudeltà del gesto, ma anche con la necessità di comprendere come Dexter arrivi a giustificare queste azioni, pur essendo tormentato da esse. Il contesto carico di tensione diventa terreno fertile per il conflitto interiore che segnerà ogni sua mossa futura.

Dal punto di vista visivo, la serie non si limita a riprendere gli elementi che hanno reso celebre la saga di Dexter, ma li rielabora con nuove sfumature. La sigla, iconica quanto la serie stessa, viene reinterpretata in un nuovo intreccio visivo che mantiene il suo spirito ma introduce nuovi elementi che rispecchiano le prospettive morali e temporali della serie. La regia, inoltre, si concentra sui primi piani, creando un’atmosfera palpabile di tensione che permea ogni scena, alimentando il contrasto tra la normalità apparente del mondo che circonda Dexter e l’oscurità che si nasconde dentro di lui. La ricostruzione di una Miami dei primi anni ’90 è fatta con grande attenzione ai dettagli, rendendo la serie non solo una piacevole esperienza visiva, ma anche un viaggio nostalgico per chi ha seguito la saga fin dall’inizio.

Ma Dexter: Original Sin non è solo una storia di origini; è un’esplorazione della moralità e dei legami familiari che rendono il personaggio così affascinante. La lotta interiore di Dexter, il suo rapporto con Harry e la sua perenne ricerca di giustizia, seppur distorta, sono gli elementi che spingono la narrazione in avanti, tenendo lo spettatore incollato allo schermo. Dexter non è solo un mostro, ma un uomo che cerca disperatamente di trovare un equilibrio tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, in un viaggio psicologico che mette in discussione la nozione stessa di giustizia e vendetta. Dexter: Original Sin non solo riscrive le origini di un serial killer, ma getta le basi per nuove evoluzioni narrative, preparando il terreno per Dexter: Resurrection previsto nel 2025. Se Dexter: New Blood aveva chiuso un capitolo della saga, Original Sin riaccende la fiamma del mistero, lasciandoci con più domande che risposte, ma con la consapevolezza che la storia di Dexter ha ancora molte pieghe da esplorare.

The Deviant: Il Thriller Natalizio di James Tynion IV che Ti Terrà Con il Fiato Sospeso

Edizioni BD presenta The Deviant, la nuova serie che promette di scuotere il mondo del fumetto. Firmata dal pluripremiato James Tynion IV, autore di Something is Killing the Children, e con i disegni di Joshua Hixson, questa storia di Natale prende una piega decisamente oscura e inquietante. Con un’atmosfera che mescola il brivido psicologico di Il silenzio degli innocenti e il mistero di Silent Night, il fumetto esplora temi di violenza, segreti nascosti e pregiudizi sociali più pericolosi della lama di un coltello.

La storia si ambienta nel 1973, a Milwaukee, dove la neve copre la città e un Babbo Natale insanguinato compie atroci crimini su due giovani ragazzi. Cinquant’anni dopo, un famoso scrittore, tormentato dal passato, intervista il cosiddetto “Killer Deviato”, il quale, da dietro le sbarre, continua a proclamare la propria innocenza. Ma mentre il Natale si avvicina, il passato torna a bussare, e la tragedia sembra destinata a ripetersi.

James Tynion IV, che ha già conquistato il pubblico con la sua serie di successo Something is Killing the Children e con il volume unico The Closet, torna a catturare l’attenzione con questo thriller psicologico, che definisce come “una delle storie più oscure e personali che abbia mai scritto”. La scrittura di Tynion, che lo ha consacrato vincitore del Premio Eisner come Miglior Scrittore per tre anni consecutivi, è accompagnata dalle tavole mozzafiato di Joshua Hixson, in un crescendo di suspense e tensione che tiene il lettore incollato fino all’ultima pagina. A completare il team d’eccezione, c’è il letterista Hassan Otsmane-Elhaou, vincitore del Premio Eisner 2024 per il Miglior Lettering.

Con il suo mix di inquietudine e mistero, The Deviant è un volume imperdibile che ha già ricevuto l’approvazione di leggende del fumetto come Scott Snyder, Ed Brubaker e Brian Michael Bendis. Considerato da molti “uno dei libri più terrificanti, intensi e disturbanti degli ultimi tempi”, The Deviant è pronto a lasciare il segno.

Il primo volume della serie, che si compone di due libri, sarà disponibile in libreria, fumetteria e in tutti gli store online a partire da mercoledì 11 dicembre. Non perdere l’occasione di immergerti in questa storia di Natale che, più che di gioia e pace, parla di segreti inquietanti e verità scomode.

Merendopoli: il gioco da tavolo sul Mostro di Firenze che sfida ogni decenza

Siamo nerd, lo sappiamo, e come tali siamo sempre a caccia di nuovi giochi da provare, da esplorare, da condividere con la nostra comunità. Ma questa volta, credetemi, il gioco da tavolo che ci troviamo davanti, Merendopoli, è di quelli che ti fanno venire voglia di chiudere il computer e sparire in un buco nero. Un prodotto che definire discutibile è un eufemismo così ampio che quasi ci fa sembrare ipocriti. Il suo concept? Sì, avete letto bene: si ispira alle atroci gesta del Mostro di Firenze. No, non è uno scherzo, e non stiamo parlando di una parodia dark fatta da un’IA impazzita. Questo è un gioco vero e proprio, acquistabile solo su Instagram, che riduce a passatempo l’orrore di uno dei più terrificanti casi di cronaca nera italiana.

L’idea dietro Merendopoli è talmente di cattivo gusto che se ne fa fatica a credere che qualcuno abbia pensato fosse accettabile. Il gioco è ispirato agli omicidi commessi dal Mostro di Firenze, il serial killer che tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’80 ha lasciato una scia di sangue nei boschi toscani, uccidendo coppie di fidanzati. E cosa si fa in Merendopoli? Si competono per conquistare le piazzole dove il Mostro ha compiuto i suoi crimini. Già, avete capito bene: invece di raccogliere soldi come in Monopoly, qui si spiano le coppiette nei boschi. Sì, proprio così. Un gioco da tavolo che fa il suo “best” per ridurre a intrattenimento la memoria di una tragedia che ha scosso l’intero paese.

L’ideatore, Andrea Matteoni, ha pensato inizialmente di farne una tiratura limitata per sé stesso, ma evidentemente, quando l’idea è davvero “irresistibile”, non puoi fare a meno di metterla sul mercato. Così, Merendopoli è arrivato ovunque, spingendo addirittura gli organizzatori di Lucca Comics a metterlo in vetrina, dove ha fatto furore. Le regole sono quelle di Monopoly, ma con una twist raccapricciante. Sei giocatori si sfidano per conquistare le piazzole di crimine – Scopeti, San Casciano, Londa, Vicchio – e invece di case e hotel ci sono automobili, quelle delle vittime. Le banconote? Immaginatevi i volti dei protagonisti dei processi legati agli omicidi, come Pacciani, Vanni, Lotti e persino il pubblico ministero Paolo Canessa. Un bellissimo souvenir macabro, se ci pensate.

E se pensate che la cosa non possa andare oltre, siete in errore. C’è anche il “carcere di Sollicciano”, perché ovviamente parlare di omicidi e processi è ancora più divertente quando si riduce a un ingranaggio di gioco. Un’infelice trovata per infilare la realtà più nera nelle dinamiche di un gioco da tavolo.

Le reazioni? Beh, non hanno tardato ad arrivare. L’avvocato Vieri Adriani, che rappresenta i parenti delle vittime, ha definito l’idea “deplorevole” e ha ragione. Fare un gioco sul Mostro di Firenze è una vera e propria mancanza di rispetto per chi ha perso i propri cari in uno dei momenti più bui della storia recente. Come se non fosse già abbastanza vergognoso sfruttare il crimine per scopi commerciali, qualcuno ha deciso che era il momento di giocare con la morte, perché dopotutto, il business viene prima di tutto.

La vera follia sta nel tentativo di Merendopoli di trasformare una tragedia in un passatempo da tavolo. Perché tanto, che importa se parliamo di omicidi, stragi e sofferenze? L’importante è vendere un prodotto, presentare una novità. La sensibilità? Chi se ne frega. È un gioco, dopo tutto. Un gioco che ha come unico obiettivo quello di sfruttare una tragedia per far soldi, mascherato da intrattenimento provocatorio. E, sinceramente, se qualcuno trova divertente o stimolante tutto ciò, siamo messi male.

Merendopoli è l’ennesima provocazione fuori luogo, che sfuma ogni confine del buon senso e della decenza. Un altro prodotto che prova a riscrivere le regole della distorsione della realtà, rendendo un crimine un gioco da tavolo. E a noi non resta che chiederci: dove siamo arrivati?

Based on a true story

La serie “Based on a true story” ha ottenuto un’eccezionale accoglienza da parte del pubblico americano grazie alla sua ironica rappresentazione della mania dilagante per i podcast di cronaca nera! Creata da Craig Rosenberg e interpretata da Kaley Cuoco e Chris Messina, la serie thriller-commedy è stata trasmessa in anteprima su Peacock l’8 giugno 2023 e ha immediatamente conquistato il pubblico. Il successo è stato tale che, già nell’ottobre dello stesso anno, è stata confermata la produzione di una seconda stagione.

Con soli otto episodi, “Based on a true story” narra la storia di una coppia con un matrimonio in crisi che si impegna nella risoluzione di un omicidio per creare un podcast. Grazie alla reputazione di Craig Rosenberg, già noto per il suo lavoro su The Boys e Gen V, la serie si distingue per la sua qualità e originalità: la trama segue Ava, interpretata da Kaley Cuoco, un’agente immobiliare sfortunata appassionata di podcast sui serial killer, e suo marito Nathan, interpretato da Chris Messina, un ex campione di tennis che ha visto sgretolarsi il suo sogno di successo. Dopo essere stato retrocesso come allenatore di tennis in un club esclusivo, Nathan vede svanire le sue ambizioni future insieme al suo orgoglio.

Ava e Nathan scoprono che l’idraulico che hanno assunto per un lavoro (interpretato da Tom Bateman) è in realtà un pericoloso serial killer. Vedendo un’opportunità di guadagno sfruttando l’ossessione impereante per i podcast sul crime, decidono di offrire una proposta insolita al killer: collaborare con lui per creare uno show che sveli i dettagli della mente criminale di un serial killer, evitando così di denunciarlo alla polizia.

Il cast include anche Priscilla Quintana, Liana Liberato, Natalia Dyer, Alex Alomar Akpobome, Aisha Alfa, Annabelle Dexter-Jones e Li Jun Li, che contribuiscono a creare un’atmosfera coinvolgente e intricata in questa storia insolita e intrigante di una coppia in crisi che trova un modo originale per affrontare le proprie sfide. “Based on a true story” si distingue per la sua trama avvincente e per l’interpretazione magistrale del cast, offrendo al pubblico un’esperienza televisiva indimenticabile che riflette l’ossessione contemporanea per i podcast true crime e i casi irrisolti.