C’è un brivido particolare che percorre la schiena quando ti rendi conto che il vero predatore non è quello con le pinne, i denti a sega e gli occhi neri come la notte. No, il vero orrore ha volto umano. E “Dangerous Animals”, l’attesissimo ritorno di Sean Byrne, ce lo sbatte in faccia con una brutalità chirurgica. Dimenticatevi i classici shark movie dove la minaccia emerge dalle profondità marine: qui, a terrorizzarci davvero, è l’uomo. Un uomo disturbato, sadico, metodico. Un killer che trasforma l’oceano in un palcoscenico di morte, e gli squali nei suoi strumenti di tortura preferiti.
In uscita nei cinema italiani dal 20 agosto grazie a Midnight Factory (etichetta di Plaion Pictures) e Blue Swan Entertainment, “Dangerous Animals” è un thriller psicologico che affonda i denti nel cuore stesso del genere horror, sporcandosi le mani con il sangue delle emozioni più primitive: la paura, la sopravvivenza, l’ossessione.
Dalla mente contorta che ci ha regalato perle come The Loved Ones e The Devil’s Candy, Sean Byrne torna dietro la macchina da presa dopo un lungo silenzio creativo e lo fa con una pellicola che ha fatto il suo debutto nella prestigiosa Quinzaine des Cinéastes al Festival di Cannes 2025. Un ritorno in grande stile, che ci fa capire da subito una cosa: stavolta non si scherza.
La protagonista è Zephyr, interpretata da una convincente Hassie Harrison (che i fan di Yellowstone conoscono bene), una giovane surfista alla deriva, in fuga dalla vita e forse da sé stessa. Zephyr è il tipo di personaggio che nei fumetti diventerebbe un’eroina disillusa, una guerriera solitaria scolpita dal vento e dalle onde. Durante un viaggio nella Gold Coast australiana, tra cieli infuocati dal tramonto e mare che sembra promettere libertà, incontra Moses (un credibile Josh Heuston), con cui vive un’avventura notturna intensa quanto fugace. Ma dietro quell’idillio si nasconde il vero volto del film: l’incubo che prende forma con Tucker.
Tucker – interpretato da un glaciale e inquietante Jai Courtney (The Suicide Squad, Die Hard – Un buon giorno per morire) – è un serial killer ossessionato dal cinema horror e dagli squali. Cresciuto nel culto del terrore dopo essere sopravvissuto a un attacco squalo durante l’infanzia, ha sviluppato un vero e proprio rituale sanguinario. Organizza escursioni in mare per turisti ignari, ma il suo scopo è uno solo: creare snuff movie in cui le sue vittime vengono divorate vive da squali affamati, il tutto immortalato con una vecchia cinepresa analogica. Un sadico regista di morte, un profeta della carneficina marina, un assassino convinto di agire per volere delle oscure divinità dell’oceano.
La storia si sviluppa tra momenti di tensione crescente e sequenze di puro terrore. La barca di Tucker, da apparente rifugio turistico, si trasforma in una prigione galleggiante, una vera “stanza delle torture marina”. In questo ambiente chiuso, soffocante e instabile, Zephyr dovrà trovare in sé la forza di trasformarsi da vittima designata a combattente indomita. Il suo percorso ricorda quello delle migliori final girl del cinema horror, ma con un’intensità fisica e psicologica che lascia il segno. È ferita, sola, drogata, ma mai spenta.
Byrne dimostra una regia matura e consapevole: evita i facili jumpscare per concentrarsi sulla costruzione del terrore. Le scene sull’acqua sono girate con una tensione palpabile, le inquadrature sono strette e studiate, la colonna sonora di Michael Yezerski accompagna ogni momento con un battito ritmico che ti entra sotto pelle. E quando il sangue scorre – e scorre eccome – lo fa con una crudezza realistica, grazie anche a un ottimo lavoro di make-up e effetti pratici che richiamano il miglior body horror.
Uno degli aspetti più affascinanti del film è proprio il modo in cui capovolge lo schema classico dello shark movie. Qui lo squalo non è più il villain, ma l’arma. Il vero mostro è umano. Un uomo che ha trasformato il trauma in ideologia, il dolore in spettacolo. Ed è proprio questa riflessione a rendere “Dangerous Animals” più di un semplice film horror: è una metafora feroce sull’umanità che perde la bussola, sull’intrattenimento che diventa malattia, sul voyeurismo che divora l’empatia.
Il confronto finale tra Zephyr e Tucker è di quelli che non si dimenticano. Ogni colpo è reale, ogni ferita fa male. Fino a quel climax catartico, liberatorio, in cui il carnefice diventa vittima, gettato in pasto alle creature che tanto ha venerato. La vendetta di Zephyr non è solo una questione di sopravvivenza, ma un vero e proprio rito di passaggio, un’esplosione di rabbia e forza che sigilla il film con un urlo muto sotto le onde.
Certo, il film non è perfetto. La parte iniziale si prende un po’ di tempo per ingranare, e il finale si concede qualche falso climax di troppo. Ma sono dettagli che svaniscono di fronte all’impatto complessivo di un’opera che riesce a intrattenere, turbare e far riflettere. Perché “Dangerous Animals” non è solo una pellicola d’estate da vedere con i popcorn in mano. È un horror intelligente, potente, capace di scavare nei nostri istinti più profondi e di trasformarli in puro cinema.
E a questo punto, la domanda è inevitabile: avete ancora voglia di fare una gita in barca? O magari un’immersione in gabbia con gli squali? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto e condividete le vostre impressioni sui social con l’hashtag #DangerousAnimalsFilm. Perché, in fondo, il vero pericolo non è mai quello che viene dal mare… ma quello che si nasconde dietro un sorriso umano.