Monica, in arte Kohai: la piccola Nerd

Instagram è un posto bellissimo, dove si incontra ogni giorno gente diversa. Proprio lì, recentemente ho incontrato Monica, a.k.a. Kohai. Una grande appassionata di anime e manga, ma anche di mitologia giapponese. Oltre a intrattenerci ogni giorno sul suo profilo principale con post inerenti il mondo dell’intrattenimento fumettistico e animato del sol levante, Kohai ha anche un podcast su Spotify. Ma non un podcast qualunque. Monica ama parlare di creature e leggende. E lo fa deliziandoci con la sua voce attraverso la piattaforma verde più famosa nel mondo della musica. Ma ora lasciamo che a parlare sia lei.

Ciao Kohai! Presentati e parla un po’ di te

Ciao! Sono Monica, 26 anni, Milano. Troppo “vecchia” per essere una piccola nerd? Forse.
Sono sempre stata introversa, la mia prof di italiano mi definiva “ignava”, riferendosi velatamente al fatto che a parere suo, ogni cosa mi era indifferente, ma non era così, non lo è mai stato.
Mi definirei una persona creativa, riservata quanto basta con chi non conosco, nascondendo un grande lato estroverso, infatti poi mi sono diplomata in grafica, con una tesina su Peter Pan. Sono certa che non invecchierò mai :)Mi piace provare cose nuove, mettermi alla prova in nuovi contesti, tanto che non riesco mai a fare solo una cosa per volta.
Chi mi conosce, dice che sono intelligente, autoironica,resiliente. Probabilmente è così, ma personalmente non mi piacciono le etichette e non mi piace descrivermi con aggettivi di cui le persone spesso abusano.
Un mio tratto distintivo, probabilmente, è questa sorta di “ribellione” a tutto ciò che è diventato ormai convenzionale: devo sempre avere l’ultima parola e far sapere la mia. Mi piace distinguermi, tanto che le  mie passioni sono probabilmente da vecchia, ma non vedo l’ora di avere un giardino tutto mio per poter fare un piccolo orticello, e mi piace davvero tanto cucinare, (e mangiare). 

Come e quando nasce la tua passione per i manga e gli anime?

Quarto anno di superiori: le mie amiche parlavano di Death Note, Games Week, e io non avevo la più pallida idea di cosa stessero dicendo. Ero così concentrata sugli studi, che non lasciavo spazio ad altro (sì, ero una secchiona, e ci sono pure rimasta male per essere uscita con 83/100).
Al massimo giocavo alla play con God Of War, Need for speed e giochi simili, ma non mi ero mai avvicinata al mondo degli anime e della lettura in generale, (non solo manga).

Un giorno, mentre lavoravo, un collega mi chiese se leggessi manga, e la mia risposta era ovviamente no, da lì iniziò ad accompagnarmi il pensiero di dovermi avvicinare a questo mondo.Mi venne regalato “Kota, il cane che vive con noi”, e “Il cane che guarda le stelle”. Avevo, e tutt’ora ho un cane, quindi il manga si rivelò molto azzeccato, e iniziai ad appassionarmi a Kota, e piano piano a tutto quel mondo, tanto che almeno una volta a settimana, dovevo andare in fumetteria.
Oggi ho scoperto che essere un po’ nerd o otaku che dir si voglia, in realtà significa far parte di un’enorme e calorosissima famiglia.

Quali sono i tuoi generi preferiti?

Prediligo principalmente Seinen e Shounen psicologici, gialli, thriller, magia, di avventura o d’azione. Qualche volta mi concedo degli slice of life romantici, o scolastici. 

 Preferisci leggere i manga o guardare gli anime?

Ho sempre avuto una regola: se guardo l’anime, non prendo il manga, e viceversa. Non ho una preferenza netta. Faccio molta selezione nella scelta: guardo anime impegnativi (Fairy Tail, HxH) e leggo manga un pò più “leggeri”, questo perché preferisco seguire una storia complessa guardandola, piuttosto che leggendo. (Sono certa che i fan di Jujutsu mi daranno ragione, anche se di questo, sto leggendo il manga e non ho ancora guardato l’anime)

Cosa pensi dei Filler? Meglio aspettare un po’ a fare l’anime, in modo da non essere costretti a metterne, o danno quel l’aggiunta piacevole alle trame?

Non apprezzo particolarmente i filler. Penso sia meglio aspettare, avere una trama scorrevole e curata, piuttosto che intervenire con avvenimenti in qualche caso sconnessi e poco contestualizzati, pur di fare delle aggiunte.

Quali sono i tuoi “punti di riferimento” tra gli autori?

Yoshihiro Togashi e Hiromu Arakawa. Hanno realizzato storie che dopo tanti anni, sono ancora sulla bocca di molti. Spero che Togashi ci sia presto buone nuove su hxh, mentre Arakawa, ci ha regalato una tra le più belle storie di magia alchemica e fratellanza.

Qual è il tuo manga preferito in assoluto?

HunterxHunter, sicuramente. Non per niente, è per ora l’unico manga che sto leggendo, dopo aver concluso l’anime.

Qual è il personaggio che più si avvicina a te come personalità?

Di recente ho scoperto di avere la stessa personalità di Mitsuri (INFP), nonostante non mi ci rivedo troppo in lei. Paradossalmente, anche Alluka si dice avere una personalità INFP e in lei, mi ci ritrovo molto. Sarà che il mio segno zodicale è il cancro, e quindi mi è facile paragonare la mia lunaticità alla figura di Alluka e Nanika.

Penso, però, che una figura “bilanciata” che rappresenti la mia personalità sia quella di Taiga Aisaka: goffa e testarda, lottatrice e dolce, a modo suo.

E invece il personaggio a cui tu vorresti somigliare?

Probabilmente Elsa, di Fairy Tail: una donna forte, che ha lottato e accettato le sue debolezze. Sì, vero, a volte fa davvero paura, ma è un personaggio capace di farsi volere bene e capace di mettere gli altri prima di sè stessa.

Nel tuo Podcast su Spotify parli di leggende Giapponesi. Quale è la tua preferita?

Adoro le leggende giapponesi e in generale, gli yokai giapponesi.  Il mio mito preferito è quello delle Kitsune, credo che personifichi perfettamente il concetto di buono e cattivo, e mi fa rimanere sempre stupita il vedere come la stessa cosa, (in questo caso, lo stesso animale, cioè la volpe), possa avere due lati esattamente opposti e contrastanti.

Cosa pensi dei live action degli anime?

Personalmente non sono una grande fan dei live action. Sicuramente è modo molto attuale per coinvolgere i fan di una determinata opera, e provarne ad attirare di nuovi, ma temo sempre che così facendo, si vada a rovinare qualcosa.

Hai visto One Piece su Netflix? Se sì, ti è piaciuto?

No, per lo stesso motivo di cui ho parlato sopra.

Acuni manga durano da decenni (come One Piece, Dragon Ball e altri), altri dopo un breve arco narrativo si concludono (come Toradora!). Tu cosa preferisci? Premiamo gli autori fino all’osso o lasciamo loro mettere la parola “fine” quando sono a corto di idee, lasciandoci la mente aperta a nuovi orizzonti, che però non vedremo mai?

Penso che ci sono opere che sarebbero potute finire e altre, che purtroppo, sono rimaste incomplete, come Nana. Entrambi i casi mi portano molto dispiacere.
Penso che uno dei più gandi rischi sia quello che opere troppo lunghe vengano poi scartate dalle prossime generazioni, proprio per questo motivo.Bisognerebbe saper terminare l’opera nel momento giusto, senza introdurre filler. Il gioco, sta appunto nel far terminare l’opera senza creare una chiusura troppo affrettata e uscendo “puliti” di scena, cosa che forse, in Giappone, non è troppo facile a causa di diverse pressioni ai mangaka.

Cosa pensi dell’influenza dei social sulle opere presenti? Intendo dire: molti autori modificano la storia in corso d’opera dopo aver letto le opinioni dei fan. Lo facevano anche prima dei social, attraverso i sondaggi sulle riviste come Shonen Jump…ma oggi la cosa è più immediata. Secondo te è un bene, o si rischia di divergere troppo da ciò che aveva in mente l’autore, finendo per depersonalizzare l’opera?

Porto l’esempio di Black Clover, depennato da Shonen Jump. Quel che penso è che la storia sia un’invenzione prettamente personale e intima di chi scrive, per tanto non debba essere snaturata da feedback esterni. Ci sono tante opere che non sono state apprezzate ad alti livelli, o che non sono diventate virali, ma non per questo sono meno importanti.
Di contro, parliamo sempre di mangaka giapponesi, che devono produrre e produrre fino allo sfinimento, quindi capisco la situazione, ma non la condivido.

Tornando a parlare di miti e leggende: “manghizzare” una leggenda secondo te può essere un modo creativo di avvicinare i lettori allo studio della storia e della mitologia? Sarebbe bello se la cosa di commecializzasse anche da noi? In modo da arricchire un po’ le menti?

Assolutamente sì! In Italia ci sono molte persone affascinate dal mistero e dalle leggende, quindi dovremmo assolutamente diffondere il verbo! Inoltre, il fatto di leggere fatti basati su una cultura e una religione molto diversa dalla nostra, può essere un ottimo modo di aprire le menti, per chi vuole ascoltare.

Saresti a favore di inserire la materia del fumetto nelle scuole?

Più che inserire la materia del fumetto, lascerei questo come modo di libera espressione in ambito artistico, a livello scolastico. Inserirei la lettura dei manga: hanno la stessa valenza dei libri! E anzi! Su IG; qualche giorno fa, ho visto il video di un professore che concedeva la lettura di qualche manga, al posto dei classici libri, che noi tutti siamo stati obbligati a leggere durante le vacanze estive.

Ti piace leggere in digitale? Ovviamente non parlo di Scan pirata, ma di fonti ufficiali

Non l’ho mai fatto, e non penso di farlo. Tengo libri e manga in maniera maniacale, ma per quanto possa essere una frase consumista, non voglio privarmi del brivido di entrare in libreria, sfogliare un libro, girare le pagine e ammirare la mia libreria piena di titoli diversi.

Scriverai mai un manga tutto tuo? Anche solo la storia?

Ho una lista simile a quella di Zombie 100, in cui ho scritto le mie 100 cose da fare prima di morire, e tra queste, c’è quella di scrivere un libro, ma per ora è un progetto ancora un pò lontano..

Ultima domanda di rito: vuoi lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Certo: Fate quello che vi consiglia il cuore, e siate sempre orgogliosi delle vostre scelte, a maggior ragione se definibili “nerd”. Konnichiwa!

Se volete seguire Monica sui suoi Social, vi lascio qui i link da visitare: Instagram | Spotify

Cosa sono i Senpai e i kōhai?

Senpai e kōhai sono termini della lingua giapponese usati prevalentemente in ambito scolastico e indicano rispettivamente gli studenti più anziani e più giovani. Utilizzati anche in ambito lavorativo, sportivo, etc descrivono un rapporto personale che è presente in modo informale in Giappone. Negli ultimi anni, questo tipo di rapporto è diventato piuttosto conosciuto anche in Europa e Nordamerica grazie ad anime e manga, ma anche ai dorama, che trattano di vita scolastica. 

Senpai equivale a mentore, mentre kōhai è colui che si mette sotto l’ala protettiva del più grande: il discepolo e il rapporto tra i due è strettamente interdipendente. 

Il concetto si basa sulla filosofia giapponese e ha permeato fin dai tempi antichi l’intera società, anche se negli ultimi anni vi sono stati cambiamenti all’interno delle organizzazioni scolastiche e aziendali circa il rapporto senpai-kōhai perché i giovani non sembrano più portare molto rispetto nei confronti degli anziani, per la loro esperienza portando a una perditi di importanza del fattore età. Questo è dovuto anche a un cambio di mentalità portato dal numero sempre maggiore di studenti che vanno a studiare in paesi occidentali.

Il crollo del vecchio sistema di gerarchia è stato molto più veloce all’interno del mondo lavorativo, dove la crisi economica degli anni ’90 ha causato un alto livello di disoccupazione, includendo anche il licenziamento improvviso di dipendenti d’alto rango, con una ristrutturazione del sistema di promozioni e stipendi  che ha causato una perdita d’influenza da parte dei più anziani all’interno della gerarchia sociale, portando a considerare in primo luogo le competenze dei dipendenti piuttosto che l’età o il rispetto sociale.

Il Giappone secondo Star Wars

Con l’arrivo, su Disney+, della serie di cortometraggi “Star Wars Visions”, il grande pubblico di Guerre Stellari ha scoperto come i maestri dell’animazione giapponese abbiamo letto, vissuto e ricreato quella galassia lontana lontana creata più di 40 anni fa da George Lucas. I corti sono un notevole e appassionante tributo alla Saga realizzato da alcuni tra i più illustri registi e animatori del Sol Levante: pochi sanno che la stessa genesi di Star Wars prende spunto proprio dal Giappone e dagli stilemi classici del cinema, del mito e dell’iconografia nipponica.

George Lucas in “The Making of Star Wars” di J.W. Rinzler ha dichiarato:

“Star Wars è costruito su molte cose che sono venute prima. Questo film è una raccolta di sogni, usati come storia per creare un nuovo sogno”.

 

George Lucas non ha mai nascosto il suo amore per il maestro Akira Kurosawa e per il filone dei film sui samurai (“jidaigeki”) e non fu il solo: basti pensare a Sergio Leone e tutto il filone degli “spaghetti Western” (a cui lo stesso Lucas prende a piene mani ispirazioni tanto da definire la saga di Star Wars un western nello spazio). Sapevate che il leggendario “Per un pugno di dollari” è in realtà un remake di “La sfida del samurai” proprio del maestro Kurosawa?

A proposito di tentati remake, il grande creativo americano, per il primo capitolo della trilogia originale “Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza” si è lasciato moltissimo ispirare dal film “La fortezza nascosta” del 1958 quasi fosse, almeno nell’idea iniziale, un vero e proprio remake del film in chiave fantascientifica. George Lucas avrebbe affermato:

“La Fortezza Nascosta era un’influenza per Star Wars proprio dall’inizio. Stavo cercando una storia. Avevo alcune scene – la scena della cantina e della battaglia spaziale – ma non riuscivo a pensare ad una trama base. All’inizio, il film era una buona idea per la ricerca di una storia. Quindi ho pensato a La Fortezza Nascosta, che ho rivisto nel 1972 o 1973, e le prime trame erano molto simili a quella”.

Abbandonata l’idea del “rifacimento” verso una narrazione parallela originale, George Lucas avrebbe voluto lo stesso nel cast Toshirô Mifune al posto di Sir Alec Guiness nel ruolo iconico di Obi-Wan Kenobi: dopotutto, il leggendario attore del Sol Levante, è, nel film di Kurosawa, un vecchio maestro samurai che funge da guida ai protagonisti, esattamente come il Maestro Jedi avrebbe guidato Luke nella sua ascesa nella Forza. Lo stesso Lucas avrebbe dichiarato:

“Stavo per usare Toshiro Mifune; abbiamo anche fatto un’indagine preliminare. Se avessi ottenuto Mifune, avrei usato anche una principessa giapponese, e poi probabilmente avrei scelto un Han Solo nero”.

I samurai, così come i Jedi erano parte di un’istituzione enorme eppure il rapporto tra maestro (senpai) e discepolo (kohai) era di fondamentale importanza così come in Star Wars il rapporto tra il Cavaliere e il proprio Padawan, basti citare la diade Obi-Wan e Anakin Skywalker a Luke Skywalker e Rey oppure, nel Lato Oscuro, quella tra Darth Sidious e Darth Maul, Darth Tyranus e, alfine, Darth Vader. Non possiamo non citare anche i classici samurai senza padrone, conosciuti come Ronin: lupi solitari che ricordano molto il personaggio di Boba Fett, introdotto nello Star Wars Holiday Special (1978) e soprannominato “samurai cattivo” dallo scrittore di Star Wars: L’Impero Colpisce Ancora (1980), Lawrence Kasdan.

Nick Jamilla, kendok , aikidoka e autore del libro “Sword Fighting in the Star Wars Universe: Historical Origins, Style and Philosophy” ha dichiarato:

 “…è possibile trovare elementi della lotta pragmatica sia nella cultura occidentale della spada che in quella giapponese, le due più grandi influenze sui Jedi di Star Wars – il concetto di cavalleria, l’etica fondamentalmente cristiana dei guerrieri occidentali, e il bushido, l’etica samurai che faceva dell’onore il più importante dovere sociale”.

La stessa uniforme dei Cavalieri Jedi ricorda moltissimo abbigliamento tipico dei maestri del Sol Levante; per non parlare ovviamente dell’elmo di Darth Vader e la sua somiglianza con l’elmo da Samurai Kabuto (in particolare quello Date Masamune). Le stesse “light saber” sono un rimando immediato al concetto di Katane, sia esteticamente sia per il “modo” in cui Sith e Jedi si sfidano nello spazio. Per sua stessa ammissione Nick Gillard, coordinatore degli stunt per il famoso duello tra  Darth Vader e Obi Wan Kenobi nell’Episiodio IV, si è ispirato al kendo  per la costruzione dei combattimenti in scena, sebbene negli episodi prequel il concetto di duello kenshi sia stato in gran parte soppiantato da una “danza coreografica” più spettacolare ma sicuramente meno “saggia”.

Tornando alle influenze cinematografiche con Akira Kurosawa, la stessa parola “Jedi” potrebbe derivare dal termine giapponese “Jidaigeki” che viene tradotto come “genere drammatico”, il genere della quale il maestro era famoso. Più probabilmente invece il termine viene dal romanzo Dune di Frank Herbert e più precisamente dal nome del pianeta Giedi Primo, la patria della Casa Harkonnen, nemici giurati della Casa Atreides.

I due contadini imbranati, perno della narrazione del film giapponese, sono diventati le icone della cultura pop C-3PO e R2-D2: entrambe le coppie saranno gli artefici, loro malgrado, della risoluzione della trama e del salvataggio della rispettiva Principessa in difficoltà. George Lucas avrebbe dichiarato nel 2001:

“La cosa che mi ha realmente colpito de “La Fortezza Nascosta” era il fatto che la storia era raccontata dalla prospettiva di due personaggi minori. Decisi che poteva essere un bel modo di raccontare la storia di Star Wars, che era prendere i due personaggi minori, come ha fatto Kurosawa, e raccontare la storia dal loro punto di vista, che nel caso di Star Wars sono i due droidi”.

Più recentemente, sempre da “La fortezza nascosta”, si ritrova la citazione di “Star Wars Episodio I – La minaccia Fantasma” nello scambio di “regine” tra Padmé la sua ancella.

Tornato al primo/quarto capitolo della saga, la celebre Cantina di Mos Eisley (e la baruffa al suo interno) è una citazione del film “La sfida del samurai” mentre l’iconica scena di Luke che osserva i due soli di Tatooine davanti alla fattoria degli zii è tratta dalla pellicola “Dersu Uzala”. Sempre da questo film vediamo l’avventura del protagonista nel deserto Siberiano, simile all’avventura di Luke nel pianeta ghiacciato di Hoth.

Lo stesso nome del Maestro Yoda potrebbe derivare dalla parola giapponese “Yoda” può essere tradotto con i verbi incoraggiare, far riemergere, sviluppare o accrescere; tutti verbi perfetti per descrivere un antico maestro che insegna le vie della forza ai giovani Padawan.

L’influenza del Maestro Kurosawa e della cinematografia del Sol Levante su Star Wars continua ancora oggi: oltre che il già citato “Star Wars Visions”, realizzato appositamente,  basti pensare all’epopea televisiva di  The Mandalorian (2019) scritto e diretto da Dave Filoni che prende a piena mani dall’iconografia del film Shogun il giustiziere (1972, Shogun Assassin, LoneWolf and Cub: Sword of Vengeance).

Star Wars Visions, lo abbiamo detto più volte è la massima espressione di questo “incontro culturale” che ha influenzato, da oltre quarant’anni, milioni di fan in tutto il mondo. Per questo motivo vi lasciamo con le parole di James Waugh, Vice President, Franchise Content and Strategy at Lucasfilm, che commenta la genesi di questa serie di cortometraggi rileggendo il concetto di “ispirazione” in chiave più moderna”:

“Credo che gli anime siano stati una grande influenza sullo staff creative di George Lucas in ogni media, quell’impostazione artistica e cinematografia ci ha ispirati per molto tempo e abbiamo sempre saputo che avremmo volute unire Star Wars e i narratori del Giappone e dell’animazione. L’unico ostacolo era decidere quale fosse l’approccio migliore per permettere a questi creativi di fare quello che fanno meglio, di permettergli di esplorare il potenziale immaginifico della saga senza subirne le aspettative legate al suo cuore principale. Il nostro molto è andato molto avanti nel frattempo, Disney+ è diventata un’opzione e un luogo perfetto per veicolare nuove storie. Kathy Kennedy è stata la persona che ha seguito l’operazione: aveva lavorato con Miyazaki, adorava il lavoro che arrivava dal Giappone, e ha iniziato rapidamente a fare riunioni con gli studi che ci piacevano di più, trovando incredibili fan di Star Wars, una grande passione, entusiasmo e grandi idee. Al punto che ci è stato difficile scegliere, al cospetto di tante grandi e inaspettate storie e punti di vista sul mondo di Star Wars. È allora che abbiamo capito il vero potenziale di Disney+, che ci ha permesso di andare oltre i formati tradizionali e realizzare qualcosa di antologico, che proponesse uno spettro di toni e stili che vengono dal Giappone. Tutta l’azienda desiderava farlo da tempo, ma è Kathy ad aver dato il definitivo OK per iniziare il processo”.

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