Breve storia del D20

I dadi sono piccoli oggetti di forma poligonale, utilizzati principalmente in diversi giochi per generare in modo pseudocasuale esiti numerici o di altro tipo. I dadi tradizionali, utilizzati dalla maggior parte dei giochi, sono cubi con le facce marcate con i numeri naturali da 1 a 6; tuttavia, giochi specifici possono fare uso di varianti che tutti i giocatori di ruolo moderni conosco bene! I dadi esistono a quanto pare da quando esiste l’uomo, non è chiaro da dove abbiano avuto origine. Si teorizza che i dadi si siano sviluppati dalla pratica della predizione del futuro. Nell’antico Egitto, il gioco di senet predeva l’utilizzo di bastoncini piatti a due facce che indicavano il numero di caselle su cui un giocatore poteva avanzare, e quindi funzionavano come una forma di dadi del Gioco dell’Oca. Senet è stato giocato prima del 3000 a.C. e fino al II secolo d.C. Forse i dadi più antichi conosciuti sono stati realizzati per un set di backgammon e ritrovati in un sito archeologico nel sud-est Iran, stimato tra il 2800 e il 2500 a.C. Dadi d’osso da Skara Brae sono state datate al 3100-2400 aC mentre alcuni in argilla,  risalenti al 2500-1900 aC., sono stati rinvenuti in scavi dalle tombe a Mohenjo-daro, un Civiltà della valle dell’Indo.

Il Dado più caro a tutti i Nerd è sicuramente il D20 (icosaedro) reso celebre dal gioco di ruolo Dungeons & Dragons, famoso per aver introdotto l’uso dei dadi poliedrici nei tempi moderni. L’edizione 3.0 di Dungeons & Dragons (sviluppata da Jonathan Tweet, Monte Cook e Skip Williams) e la sua discendenza (il d20 System) usa il d20 come meccanica base

L’Icosaedro è un solido platonico formato da venti triangoli equilateri. Generalmente numerato da 1 a 20 e in questo caso generalmente la somma delle facce opposte è 21. Può anche essere numerato da 0 a 9, ripetendo due volte ogni numero per produrre un dado a dieci facce “platonico”.

Già nell’età classica dunque veniva usato il d20! Questo dado a venti facce del III secolo riporta, su ogni faccia, una lettera dell’alfabeto greco. Secondo gli esperti del The Metropolitan Museum of Art, dove è conservato, questo dado era probabilmente utilizzato come oracolo e posto su un pilastro posto in un luogo pubblico. Il dado veniva lanciato per scegliere una lettera a caso e si consultava un’iscrizione per leggere la risposta dell’oracolo secondo la lettera uscita.

Un dado romano in quarzo a venti facce (icosaedro) del II-III secolo.

Tornando in tempi “più recenti”, come abbiamo detto, il tanto amato/odiato d20 System è un derivato del regolamento della terza edizione di D&D.  Il sistema fu razionalizzato rispetto alle precedenti edizioni del gioco basandosi su una meccanica unica che usava il sistema “dado+bonus” già utilizzato da Tweet in Ars Magia. La meccanica base del sistema è il metodo di risoluzione delle azioni effettuato mediante il risultato del lancio di un dado a 20 facce a cui si aggiungono dei modificatori dipendenti dalle attitudini naturale del personaggio e dalla sua abilità nella specifica azione tentata (come combattimento, muoversi silenziosamente, saltare, ecc…)[5]. Se il risultato è maggiore o uguale a quello di un numero bersaglio  allora l’azione riesce. Questo sistema è usato consistentemente per risolvere tutte le azioni nel d20 System: ordine di iniziativa, tiri per colpire, conferma di un colpo critico, prove di abilità e tiri salvezza. Le edizioni precedenti D&D usavano regole e meccaniche differenti per tipi di azione differente, come le tabelle dei tiri per colpire di AD&D prima edizione o le meccaniche del THAC0 e dei tiri salvezza della seconda edizione, che variavano considerevolmente sia nel tipo e numero di dadi tirati, sia se fosse preferibile un risultato alto piuttosto che uno basso. Anche altri sistemi vennero razionalizzati e definiti più precisamente, per esempio l’uso degli oggetti magici e la possibilità di avanzamento dei mostri come personaggi. Il d20 System non viene presentato come un sistema universale in nessuna versione, diversamente da regolamenti come GURPS. Piuttosto viene adattato a specifiche ambientazioni e generi, in maniera simile al Basic Role-Playing comune ai vari regolamenti della Chaosium, o come allo storyteller system della White Wolf. Altre implementazioni del d20 System (distribuite sotto la Open Gaming License) hanno variato molto di più le regole, fino ad arrivare all’estremo di Mutants & Masterminds, un gioco di ruolo supereroistico pubblicato dalla Green Ronin Publishing che ha eliminato molti classici capisaldi di D&D: classi, allineamenti morali e punti ferita e l’uso di dadi diversi dal d20.

Le regole per il d20 System sono definite nel System Reference Document (SRD), e possono essere copiate liberamente o anche vendute. Progettate per un’ambientazione fantasy generalmente pseudo medievale, la SRD è essenzialmente composta di materiale estratto dai manuali della terza edizione di Dungeons & Dragons. Il suo testo non include descrizioni dettagliate, testo di ‘colore’ e materiale che la Wizard of the Coast considera sua proprietà intellettuale. Nel 2002 la Wizards of the Coast pubblicò il d20 Modern , un gioco di ruolo per ambientazioni moderne, di urban fantasy e di fantascienza basato sul d20 System. Anche per questo venne rilasciato un SRD.

I Giochi di società degli Antichi Romani

Non solo corse sfrenate con le bighe o combattimenti nelle arene. Tra le tante attivitá ludiche, spiccano anche i dadi. Proprio così: i Romani nutrivano anche la passione per i giochi casalinghi, molti dei quali sono arrivati fino a noi.  Inoltre erano forti scommettitori (inclusi imperatori famosi come Augusto, Claudio e Nerone), nonostante le leggi impedissero questo tipo di divertimento, consentito soltanto durante i Saturnali, le feste che segnavano il passaggio fra il vecchio e il nuovo anno.

Tra i giochi su cui si scommetteva, i più diffusi erano probabilmente i dadi e gli astragali. Questi ultimi chiamati anche aliossi, si ricavavano dagli ossi delle articolazioni posteriori di pecore e montoni. La loro conformazione naturale, arrotondata alle estremità, li rendeva adatti ad essere lanciati, proprio come dei dadi, con la differenza che gli astragali potevano ricadere su quattro facce anziché sei. Ogni faccia aveva un valore diverso (“1”, “3”, “4”, “6”) ed era possibile ottenere differenti combinazioni numeriche. Si giocava con quattro astragali (cinque in alcune varianti) e la combinazione più alta era il cosiddetto “colpo di Venere” che consisteva nell’ottenere quattro facce diverse nello stesso lancio. Il colpo peggiore invece era chiamato “colpo del cane” (forse tutti 1).

Oltre agli astragali in osso, ne esistevano di terracotta, avorio, argento e oro. Si trattava di un gioco molto diffuso anche tra i bambini. Gli astragali potevano essere gettati a terra, oppure lanciati in aria e ripresi con il dorso della mano (in questo caso si trattava di un gioco di destrezza, oltre che d’azzardo).Questi ossi erano usati anche per predire il futuro, e proprio per questo motivo sono stati ritrovati in diversi corredi funerari di età romana.

I dadi avevano già l’aspetto odierno, erano realizzati soprattutto in osso, ma anche in avorio, metallo o legno: ogni faccia presentava un numero, da 1 a 6 e se ne usavano due o tre per volta, lanciandoli tramite un bussolotto chiamato “fritillus” o “turricola” Vinceva chi otteneva il punteggio più alto, un risultato stabilto oppure tutti numeri pari o tutti dispari. Anche nel gioco dei dadi esistevano sequenze vincenti, come si evince da alcuni versi di Ovidio, che nell’ Ars Amandi si augura che il lettore sia in grado di “ottenere il numero 3”.
sui dadi e sugli astragali, nonostante i divieti, si scommetteva in maniera forte: nel retro delle locande e delle taverne il gioco era abituale, anche perchè chi veniva scoperto a giocare d’azzardo poteva essere punito, mentre il taverniere non rischiava nulla.

Proprio come oggi non mancavano imbroglioni, bari e trucchi vari. Non di rado i dadi venivano manomessi, consentendo a chi fosse in grado di lanciarli con abilità di ottenere risultati favorevoli. Non erano rari neppure i giochi che prevedevano l’uso di un tavoliere. Ce n’era uno, analogo al moderno filetto con una tavola a tre quadrati concentrici i cui lati erano intersecati da linee perpendicolari: ogni giocatore utilizzava nove pedine e chi riusciva a metterne tre in fila, vinceva una delle pedine dell’avversario.

Più complesso era il gioco dei “latruncoli”, o ludus latrunculorum (gioco dei ladroni): il regolamento non ci è pervenuto, anche se pare che la miglior strategia consistesse nello sferrare un attacco compatto all’avversario, di cui bisognava espugnare la fortezza.

Giochi altrettanto diffusi erano la “morra” (micatio) o il domino, di origine egiziana. Doveva poi esistere qualcosa di molto simile al nostro gioco dell’oca, di cui sono state ritrovate tessere che sembrano indicare movimenti obbligatori, mentre assai popolare era “par et impar” (pari o dispari) in cui si doveva indovinare se i sassolini tenuti in pugno dall’avversario fossero in numero pari o dispari.

Esisteva anche il gioco “testa o croce” che si faceva con una moneta: si chiamava “navia et capita” (navi e teste) perché all’inizio si giocava con una moneta dedicata alla dea Roma che presentava su una faccia la testa della divinità e sull’altra la prua di una nave.

 

 

di Annarita Sanna

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