Walter Elias Disney

Risalendo l’albero genealogico della famiglia Disney, scopriamo che essa fece il suo ingresso nel Nuovo Mondo nel 1834. I Disney venivano dall’Inghilterra, dove avevano fondato due villaggi che portavano il loro stesso nome, essi discendevano da un’antica stirpe di crociati e, più direttamente da una famiglia di contadini insediati nel villaggio francese d’Isigny. Dunque le radici dei Disney affondano nella Francia .Walter Elias Disney, quarto di cinque fratelli, nasce il 5 dicembre del 1901 a Chicago da Elias Disney e Flora Call. Nel 1906 la famiglia si stabilisce a Marceline, Missouri, dove si dedica alla coltivazione di  frutta e all’allevamento. I due fratelli più grandi lasciano ben presto la casa, così che pesa sulle spalle del piccolo Walt e del fratello Roy il pesante fardello di aiutare nel lavoro dei campi il padre Elias e subire le punizioni corporali che questi infligge ai figli quasi quotidianamente.
Il mancato conforto della madre e la sensazione che quel padre violento non possa essere il suo vero padre portano Walt a vedere sempre più in Roy la figura che incarna un ideale di genitore. Egli porterà con sé nel tempo il segno di questi anni, tre elementi che influenzeranno non poco la sua opera: il dubbio sulla legittimità paterna o materna4, la mancanza di una madre consolatrice, il rapporto d’affetto quasi morboso con il fratello Roy. Già a otto anni Walt scopre il suo amore per il disegno, divertendosi a ritrarre gli animali della fattoria. Ma nel 1909 un raccolto disastroso costringe Elias a vendere la fattoria e traslocare a Kansas City, dove ottiene in appalto la consegna di alcuni quotidiani. Per Walt e Roy sono cambiati la città e il lavoro, ma la loro situazione resta la medesima: continuano ad aiutare il padre e a ricevere percosse.
Nel 1911, a diciotto anni, Roy decide di abbandonare la casa, dopo aver lasciato a Walt gli ultimi consigli su come difendersi dal padre. Una sera Elias entra minaccioso in camera dell’ultimo figlio maschio rimastogli in casa, ma questi lo ferma serrandogli i polsi e guardandolo negli occhi; sarà l’ultimo tentativo di alzare le mani sul piccolo Walt. Nei seguenti cinque anni la passione del disegno andò sempre più sviluppandosi, anche grazie a un corso di d1isegno tenuto per corrispondenza. Si avvicinò anche al teatro; insieme all’amico Walt Pfeiffer si esibiva talvolta in spettacoli serali. Ma soprattutto restò sempre in contatto e strettamente legato al fratello Roy, che lo lasciava affascinato con i suoi racconti avventurosi; tanto che per ben due volte mentì sulla sua età pur di emularlo. Una prima volta nell’estate del 1917 (anno in cui la famiglia Disney si trasferì nuovamente a Chicago), quando lavorò come venditore ambulante di giornali sulla linea Missouri-Colorado. Questa esperienza lo segnò profondamente e benché il lavoro si fosse rivelato per niente remunerativo il ricordo di quei viaggi resterà indelebile. Forse è da questo momento che si sviluppa la sua folle passione per i treni. L’anno successivo decise di arruolarsi. La guerra terminò, ma gli fu comunque possibile “aiutare” la patria prestando servizio per la Croce Rossa in Francia. Il rapporto tra Walt Disney e le due “grandi guerre”, ovvero tra Walt e l’establishment durante le due guerre, è indicativo del suo marcato nazionalismo, o perlomeno di quanto fosse forte il suo sentirsi americano. Già ai tempi della scuola, disegnando per il giornale scolastico, egli incitava a fare tutto il possibile per appoggiare la nazione e spingerla alla vittoria.
I film che faccio non sono rivolti in primo luogo all’infanzia: a meno di non considerare l’infanzia come simbolo dell’innocenza. Anche il peggiore di noi ha in sé dell’innocenza, per quanto possa essere sepolta nel suo profondo. Nella mia opera, cerco di raggiungere e di parlare a questa innocenza.
Con queste parole Walt Disney descrive la sua produzione cinematografica, che, al momento della morte dello “Zio Walt”, il 15 dicembre 1966, aveva accumulato oltre settecento tra premi, onorificenze e titoli. Quando Beauty and the Beast fu candidato all’Oscar come Miglior Film, in molti si interrogarono sulla legittimità di tale scelta. Si può giudicare un film d’animazione secondo gli stessi metri di valutazione adottati per il cinema dal vero? O dobbiamo considerare il cartoon e il film live come prodotti diversi? Nello statuto dell’ASIFA (Association internationale du film d’animation) veniva detto che “in un film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo” e nel 1988 ancora si definiva animazione “tutto ciò che non è semplice ripresa della vita reale a ventiquattro fotogrammi al secondo”. Ma negli ultimi quindici anni c’è stata una vera e propria rivoluzione portata dal digitale e dal perfezionamento degli effetti speciali visivi. ma anche come il cinema, in ogni sua forma, stia sfuggendo sempre più ad ogni tipo di definizione. Inteso come “arte a sé”, o come più ironicamente è stato qualificato arte “settima-bis”7, il cinema d’animazione è considerato come cinema in cui non compaiono affatto né attori né luoghi del mondo reale. Include invece film in stop-motion, come Nightmare Before Christmas; ma lo stop-motion è in realtà una tecnica che nasce al servizio degli effetti speciali, seppure i primissimi film d’animazione non sono che un esercizio basato solo su tale tecnica. Nel film Polar Express di Robert Zemeckis, grazie al perfezionamento della tecnica nota come mocap (Motion Capture), con la recitazione di un solo attore, Tom Hanks, si riuscirà a dare volto ed espressione a tutti e cinque i protagonisti (animati) del film.
Inevitabilmente il cinema d’animazione è avvolto da un’aura di sogno e di mistero, di dimensione reale ma non tangibile, da un lato quale specchio di un mondo altro necessario all’uomo contemporaneo, luogo o meglio non luogo nel quale trovare rifugio o identificarsi, dall’altro come mezzo di spinta alla conservazione delle proprie radici, della propria identità, o di interrogazione sulla realtà che ci circonda, alla ricerca di un cinema che sappia interpretare al meglio il nostro tempo.

[continua con “Verso i Disney Studios”]

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