Disney. L’arte di raccontare senza tempo a Roma

Raccontare storie senza tempo riuscendo a incantare il pubblico è considerata una vera e propria arte, ma dietro l’immediatezza tipica del risultato artistico perfetto si nasconde – come spesso accade nel mondo dell’arte – un lavoro di ricerca creativa che dura anni, generalmente ignoto a chi ascolta queste storie. Dopo il successo al Mudec di Milano, dal 15 aprile al 25 settembre 2022 arriva a Palazzo Barberini di Roma “Disney. L’arte di raccontare storie senza tempo”, la mostra che racconta al pubblico questo processo creativo.

C’era una volta Walt Disney, un pioniere nell’arte dell’animazione. Il suo innovativo approccio creativo allo storytelling ha creato alcuni dei film più belli e famosi del Ventesimo Secolo, tra cui Biancaneve e i Sette Nani, Pinocchio e Fantasia. La mostra presenta preziose opere originali provenienti dagli Archivi Disney di questi immortali lungometraggi e di altri celebri film dei Walt Disney Animation Studios, tra cui Hercules, e La Sirenetta, fino al più recente film d’animazione Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle, creato da una nuova generazione di artisti e cineasti tuttora profondamente ispirati all’eredità di Walt Disney.

La mostra, promossa e prodotta da 24 ORE Cultura-Gruppo 24 ORE, a cura della Walt Disney Animation Research Library, con la collaborazione di Federico Fiecconi, storico e critico del fumetto e del cinema di animazione, propone un percorso con triplice chiave di lettura. Il percorso racconta al visitatore i capolavori di Walt Disney riconducendo le storie – che tutti noi siamo abituati a conoscere nella versione disneyana – alle antiche matrici di tradizione epica: sono i miti, le leggende medievali e il folklore, le favole e le fiabe che costituiscono da secoli il patrimonio archetipico narrativo delle diverse culture del mondo, un vero e proprio melting pot tra i diversi continenti. Queste sono anche le sezioni tematiche della mostra, in cui trovano collocazione le storie più famose da cui sono stati tratti i film Disney e vengono presentate in chiave narrativa attraverso l’esposizione dei bozzetti preparatori di ricerca creativa, incentrati sull’esplorazione di personaggi, ambientazioni e trame narrative.

Il grande sforzo innovativo degli artisti di Disney fu infatti – e lo è tutt’oggi – quello di portare queste storie al cinema utilizzando diversi strumenti artistici, dal disegno a mano – elemento fondativo del lavoro negli Studios – all’animazione digitale, per captare l’essenza delle favole antiche e rivitalizzarle, attualizzandone il valore universale. L’animazione infatti è un medium artistico che permette di rappresentare le diverse narrazioni con immediatezza. Sin dall’inizio, Walt Disney e la sua équipe lavorarono su queste tematiche, dando aspetti e sentimenti umani agli animali e agli oggetti delle favole, alle fate e ai nani delle fiabe, con una tale naturalezza e verosimiglianza che rapidamente raggiunsero un successo planetario. Con uno studio molto dettagliato dei comportamenti umani e animali, gli artisti della Disney hanno creato negli anni dei personaggi universalmente noti come Topolino e Paperino. Miti e leggende di dei ed eroi, favole di animali, racconti di cavalieri, streghe, maghi e principesse assumono le fattezze dei cartoni animati: da Robin Hood a La Spada nella Roccia a I Tre Porcellini, da Hercules a Pinocchio, Biancaneve e i Sette Nani, La Bella Addormentata nel Bosco, Cenerentola, La Sirenetta, fino a Frozen 2 – Il Segreto di Arendelle. 

Mentre il valore simbolico delle storie nei decenni è rimasto intatto, sono le tecniche di produzione a essersi evolute. Questa è la seconda chiave di lettura del percorso della mostra, che racconta al pubblico come nasce un capolavoro di animazione, il ‘dietro le quinte’ di alcuni dei più grandi film d’animazione di tutti i tempi firmati Disney, entrando nel vivo dello studio e del processo artistico. Ci vogliono infatti mesi e anni di lavoro di un’intera équipe coordinata da un regista per produrre un film d’animazione: un processo creativo lento, continuativo e molto meticoloso che, da un’idea iniziale, costruisce un intero film attraverso migliaia di immagini che via via prendono vita.

In mostra il visitatore potrà ripercorrere l’elaborazione dell’intero processo creativo dietro le quinte di un racconto Disney. Si inizia da un’idea, un concept di storia e si sviluppa un plot narrativo. Si creano quindi i personaggi. Ogni singolo personaggio che animerà la storia viene ‘visualizzato’ dai creativi Disney e, ancor prima che il nostro eroe (o il cattivo, o l’aiutante) abbia il volto e le fattezze che siamo abituati a riconoscere nel film, se ne immaginano gli occhi, i capelli, gli abiti e le movenze più iconiche, ottenendo così fogli e fogli di bozzetti preparatori e maquette tridimensionali in cui lentamente il personaggio prende vita.

Il lavoro del team viene supervisionato da un direttore artistico. Con lo stesso procedimento creativo e sotto la sua guida si definiscono le ambientazioni. Svariate le tecniche artistiche utilizzate (che prevedono disegno a grafite, matite colorate e pastelli, carboncini, acquerelli, tempere, acrilici, collages): la computer grafica, che oggi assiste nello studio e nella realizzazione delle scene di un film, è solo l’evoluzione di quelle tecniche tradizionali, e riguarda soprattutto i successivi step di animazione e colorazione, oggi realizzati mediante processi digitali. Trasformando centinaia di migliaia di immagini una dopo l’altra in fotogrammi, si crea il film.

La terza chiave di lettura della mostra consente una interpretazione personale e sperimentale della grande e creativa arte dello storytelling. Il visitatore viene incoraggiato a diventare egli stesso un narratore e potrà percorrere le sale della mostra non solo come spettatore passivo di contenuti, ma come attore protagonista degli stessi. L’obiettivo è infatti quello di costruire il proprio racconto, che si comporrà in un piccolo ‘libretto’ da portare con sé a casa. Attraverso postazioni interattive e un allestimento che evoca gli scenari dei grandi capolavori dell’animazione Disney, sarà lo stesso percorso di visita a fornire i ferri del mestiere di ogni storyteller. Sala dopo sala ognuno potrà sperimentare gli elementi strutturali fondamentali per dare vita a qualsiasi narrazione – ambientazione, personaggi, plot narrativo – fino a provare l’emozione di immedesimarsi nel lavoro di un artista dell’animazione attraverso le stesse tecniche dei Disney Studios.

La mostra è accompagnata dal catalogo “Disney. L’arte di raccontare storie senza tempo” edito da 24 ORE Cultura. Per maggiori info è possibile visitare il sito mostradisneyroma.it

Walter Elias Disney

Risalendo l’albero genealogico della famiglia Disney, scopriamo che essa fece il suo ingresso nel Nuovo Mondo nel 1834. I Disney venivano dall’Inghilterra, dove avevano fondato due villaggi che portavano il loro stesso nome, essi discendevano da un’antica stirpe di crociati e, più direttamente da una famiglia di contadini insediati nel villaggio francese d’Isigny. Dunque le radici dei Disney affondano nella Francia .Walter Elias Disney, quarto di cinque fratelli, nasce il 5 dicembre del 1901 a Chicago da Elias Disney e Flora Call. Nel 1906 la famiglia si stabilisce a Marceline, Missouri, dove si dedica alla coltivazione di  frutta e all’allevamento. I due fratelli più grandi lasciano ben presto la casa, così che pesa sulle spalle del piccolo Walt e del fratello Roy il pesante fardello di aiutare nel lavoro dei campi il padre Elias e subire le punizioni corporali che questi infligge ai figli quasi quotidianamente.
Il mancato conforto della madre e la sensazione che quel padre violento non possa essere il suo vero padre portano Walt a vedere sempre più in Roy la figura che incarna un ideale di genitore. Egli porterà con sé nel tempo il segno di questi anni, tre elementi che influenzeranno non poco la sua opera: il dubbio sulla legittimità paterna o materna4, la mancanza di una madre consolatrice, il rapporto d’affetto quasi morboso con il fratello Roy. Già a otto anni Walt scopre il suo amore per il disegno, divertendosi a ritrarre gli animali della fattoria. Ma nel 1909 un raccolto disastroso costringe Elias a vendere la fattoria e traslocare a Kansas City, dove ottiene in appalto la consegna di alcuni quotidiani. Per Walt e Roy sono cambiati la città e il lavoro, ma la loro situazione resta la medesima: continuano ad aiutare il padre e a ricevere percosse.
Nel 1911, a diciotto anni, Roy decide di abbandonare la casa, dopo aver lasciato a Walt gli ultimi consigli su come difendersi dal padre. Una sera Elias entra minaccioso in camera dell’ultimo figlio maschio rimastogli in casa, ma questi lo ferma serrandogli i polsi e guardandolo negli occhi; sarà l’ultimo tentativo di alzare le mani sul piccolo Walt. Nei seguenti cinque anni la passione del disegno andò sempre più sviluppandosi, anche grazie a un corso di d1isegno tenuto per corrispondenza. Si avvicinò anche al teatro; insieme all’amico Walt Pfeiffer si esibiva talvolta in spettacoli serali. Ma soprattutto restò sempre in contatto e strettamente legato al fratello Roy, che lo lasciava affascinato con i suoi racconti avventurosi; tanto che per ben due volte mentì sulla sua età pur di emularlo. Una prima volta nell’estate del 1917 (anno in cui la famiglia Disney si trasferì nuovamente a Chicago), quando lavorò come venditore ambulante di giornali sulla linea Missouri-Colorado. Questa esperienza lo segnò profondamente e benché il lavoro si fosse rivelato per niente remunerativo il ricordo di quei viaggi resterà indelebile. Forse è da questo momento che si sviluppa la sua folle passione per i treni. L’anno successivo decise di arruolarsi. La guerra terminò, ma gli fu comunque possibile “aiutare” la patria prestando servizio per la Croce Rossa in Francia. Il rapporto tra Walt Disney e le due “grandi guerre”, ovvero tra Walt e l’establishment durante le due guerre, è indicativo del suo marcato nazionalismo, o perlomeno di quanto fosse forte il suo sentirsi americano. Già ai tempi della scuola, disegnando per il giornale scolastico, egli incitava a fare tutto il possibile per appoggiare la nazione e spingerla alla vittoria.
I film che faccio non sono rivolti in primo luogo all’infanzia: a meno di non considerare l’infanzia come simbolo dell’innocenza. Anche il peggiore di noi ha in sé dell’innocenza, per quanto possa essere sepolta nel suo profondo. Nella mia opera, cerco di raggiungere e di parlare a questa innocenza.
Con queste parole Walt Disney descrive la sua produzione cinematografica, che, al momento della morte dello “Zio Walt”, il 15 dicembre 1966, aveva accumulato oltre settecento tra premi, onorificenze e titoli. Quando Beauty and the Beast fu candidato all’Oscar come Miglior Film, in molti si interrogarono sulla legittimità di tale scelta. Si può giudicare un film d’animazione secondo gli stessi metri di valutazione adottati per il cinema dal vero? O dobbiamo considerare il cartoon e il film live come prodotti diversi? Nello statuto dell’ASIFA (Association internationale du film d’animation) veniva detto che “in un film d’animazione gli avvenimenti hanno luogo per la prima volta sullo schermo” e nel 1988 ancora si definiva animazione “tutto ciò che non è semplice ripresa della vita reale a ventiquattro fotogrammi al secondo”. Ma negli ultimi quindici anni c’è stata una vera e propria rivoluzione portata dal digitale e dal perfezionamento degli effetti speciali visivi. ma anche come il cinema, in ogni sua forma, stia sfuggendo sempre più ad ogni tipo di definizione. Inteso come “arte a sé”, o come più ironicamente è stato qualificato arte “settima-bis”7, il cinema d’animazione è considerato come cinema in cui non compaiono affatto né attori né luoghi del mondo reale. Include invece film in stop-motion, come Nightmare Before Christmas; ma lo stop-motion è in realtà una tecnica che nasce al servizio degli effetti speciali, seppure i primissimi film d’animazione non sono che un esercizio basato solo su tale tecnica. Nel film Polar Express di Robert Zemeckis, grazie al perfezionamento della tecnica nota come mocap (Motion Capture), con la recitazione di un solo attore, Tom Hanks, si riuscirà a dare volto ed espressione a tutti e cinque i protagonisti (animati) del film.
Inevitabilmente il cinema d’animazione è avvolto da un’aura di sogno e di mistero, di dimensione reale ma non tangibile, da un lato quale specchio di un mondo altro necessario all’uomo contemporaneo, luogo o meglio non luogo nel quale trovare rifugio o identificarsi, dall’altro come mezzo di spinta alla conservazione delle proprie radici, della propria identità, o di interrogazione sulla realtà che ci circonda, alla ricerca di un cinema che sappia interpretare al meglio il nostro tempo.

[continua con “Verso i Disney Studios”]

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