Scoperta a Roma una domus tardo-repubblicana con mosaico unico

Roma, 14 dicembre 2023 – Un’importante scoperta archeologica è stata fatta a Roma, nell’area del Parco archeologico del Colosseo. In un’area precedentemente scavata nel 2018, sono stati riportati alla luce alcuni ambienti di una lussuosa domus di età tardo-repubblicana, risalente alla seconda metà del II secolo a.C. e alla fine del I secolo a.C.

La domus si articola su più piani e si raccoglie intorno a un atrio. L’ambiente principale è una sala per banchetti, chiamata specus aestivus, decorata da un mosaico unico nel suo genere.

Il mosaico, detto “rustico”, è costituito da una complessa sequenza di scene: cataste di armi, prue di navi, tridenti, timoni e una città affacciata sul mare. Le scene sono realizzate con materiali pregiati, come conchiglie, tessere in blu egizio, vetri preziosi, scaglie di marmo bianco e tartari.

Il mosaico è un’importante testimonianza dell’arte romana tardo-repubblicana. Rappresenta la precoce espressione di quella luxuria asiatica che caratterizzò l’epoca, e che era motivo di feroci lotte politiche tra le fazioni aristocratiche.

Lo scavo archeologico della domus si concluderà nei primi mesi del 2024. Successivamente, il Parco archeologico del Colosseo lavorerà per rendere il sito accessibile al pubblico.

Antica Roma tra sedie e sgabelli

Le case dei Romani avevano un arredamento essenziale. Negli appartamenti delle insulae si trovavano quasi esclusivamente i poveri letti di chi vi abitava, probabilmente non mancava un tavolino o qualche tipo di base d’appoggio, magari addossata a una parete, o eventualmente un baule per contenere gli abiti e poche altre cose. Non esistevano armadi e i letti erano usati anche come divani o per mangiare. Nelle domus invece, si potevano trovare arredi più ricchi e complessi, ma si tendeva comunque a lasciare libere le pareti, che generalmente erano affrescate o adornate da quadri e ritratti, anzi, gli eventuali arredi erano studiati e posizionati proprio allo scopo di mettere in maggior risalto le decorazioni.
 
Ciò che non mancava, tuttavia, erano sedie e sgabelli, come si evince dalle immagini di numerosi dipinti, dove personaggi comuni, ma anche dei e dee, sono assisi su seggiole di varia foggia. Oltre alla “sella curule” cioè la piccola seggiola pieghevole e portatile che in epoca arcaica era appannaggio esclusivo dei re, all’origine di questi arredi, c’era molto probabilmente la sedia greca, elegante e funzionale, dotata di schienale, ma senza braccioli. Dalle case greche, le sedie passarono prima a quelle etrusche e poi a quelle romane.
 
La fattura delle sedute dell’Urbe era estremamente varia: si andava dal semplice sgabello quadrato a quattro zampe, costruito in legno, alla seggiola semplice, fino a vere e proprie poltrone, molto differenti fra loro per aspetto e dimensione. Il materiale maggiormente utilizzato era il legno, che poteva essere più o meno pregiato, ma non mancavano sedie impagliate o poltrone intrecciate in vimini, assai simili a quelle moderne: un esempio di queste è stato ritrovato, sotto forma di scultura, nel sepolcro di un cittadino romano. Era però in uso anche il metallo (sebbene gli artigiani del legno avessero raggiunto una straordinaria perizia), che permetteva di realizzare mobili dalle fogge più snelle ed elaborate, ma di grande resistenza. Esistevano anche seggiole o poltrone composite, in cui legno e metallo venivano utilizzati insieme: alcuni affreschi pompeiani mostrano, per esempio, poltrone dalle gambe così sottili da dover essere necessariamente di metallo.
 
E’ anche probabile che molte parti di cui erano composte queste sedute venissero montate in maniera di volta in volta differente, per realizzare mobili di aspetto diverso, secondo i gusti del committente, così si potevano avere sedie simili, ma, per esempio, con i piedi in legno, in metallo o in avorio. Lo stesso accadeva per i braccioli e gli schienali. Anche per i cuscini, le imbottiture e le stoffe di rivestimento variavano in base al gusto di chi le utilizzava, o alla tipologia di abitazione che si voleva arredare, e andavano dalle più semplici alle più ricche, con stoffe impreziosite anche da fili d’oro o piccole perle.
 

Abitare a Roma … Imperiale

Avere una casa nel centro di Roma non è mai stato facile, nemmeno nell’antichità, e solo i più ricchi potevano permettersi una casa di proprietà. La maggior parte dei romani viveva in affitto nelle insulae, soluzioni abitative simili ai nostri condomini, in media di quattro piani, dove il costo e la qualità degli alloggi scendeva più si saliva di piano.

Quelli che noi oggi chiamiamo attici erano gli spazi peggiori, riservati ai più poveri. Salire fino all’ultimo piano significava dover fare le scale e, soprattutto, rischiare la vita: in caso di incendio era quasi impossibile salvarsi. E gli incendi non erano eventi rari: gli alloggi erano bui e mal ventilati, e all’interno si usavano bracieri e lucerne facilmente infiammabili.

L’edilizia era spesso scadente. In molti casi era gestita da imprenditori privi di scrupoli che costruivano case senza rispettare le minime norme di sicurezza. L’imperatore stabiliva sì regole ufficiali (ad esempio l’altezza massima di una insula), ma nessuno controllava che venissero rispettate.

Si calcola che l’affitto medio al tempo dei Cesari fosse di 2.000 sesterzi l’anno, circa 166 al mese (ma il canone si riscuoteva ogni sei mesi)…immaginate quando quanto poteva essere difficile per un manovale essere puntuale con i pagamenti, visto che poteva guadagnare 5 sesterzi per giornata lavorata e un legionario ancora meno, 2,5 sesterzi al giorno (ma compensava con i bottini di guerra), e una misura di grano costava 3-4 sesterzi, ecco perché nella stragrande maggioranza la gente in molti casi, per “starci dentro”, subaffittava gli spazi inutilizzati.

A gestire l’insula era un amministratore, su incarico del proprietario – che di solito possedeva l’intero complesso. Tra i due si siglava un accordo: il proprietario dava in affitto tutti i piani all’amministratore per 5 anni e in cambio chiedeva il canone dell’appartamento al piano terreno (il più pregiato), che spesso costava attorno a 3.000 sesterzi l’anno.

Al piano basso delle insulae viveva infatti l’aristocrazia urbana: imprenditori, commercianti di successo, costruttori, membri del governo municipale o più in generale chi lavorava a contatto con il potere.

Chi era ancora più ricco e apparteneva al patriziato, l’èlite della società, si costruiva invece una domus (casa autonoma) o una villa di campagna, spesso facendosi aiutare da architetti famosi, in grado di progettare e decorare le loro lussuose abitazioni.

di Annarita Sanna

Exit mobile version