Le Case Romane del Celio

Le Case romane del Celio sottostanti la Basilica dei SS. Giovanni e Paolo, sono state riaperte al pubblico nel gennaio 2002, grazie ai complessi interventi conservativi promossi e finanziati dal Fondo Edifici di Culto (Ministero dell’Interno) proprietario del monumento e condotti dal Ministero per i Beni e le attività culturali (Soprintendenza Archeologica di Roma e Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici). Si trovano alle pendici del Celio, sul Clivo di Scauro tra il Colosseo e il Circo Massimo, e insieme agli Scavi di San Clemente rappresentano uno dei luoghi più affascinanti della Roma sotterranea per la straordinarietà dello stato di conservazione degli ambienti affrescati e per l’altissimo valore artistico e di interesse religioso. Le domus, note anche come la casa dei martiri Giovanni e Paolo, racchiudono oltre quattro secoli di storia e testimoniano il passaggio e la convivenza tra paganesimo e cristianesimo.
 
Al loro interno è possibile ammirare alcuni tra gli affreschi più belli di età tardo-antica. Gli scavi iniziati nel 1887 hanno portato al ritrovamento di oltre 20 ambienti ipogei, in parte affrescati, disposti su vari livelli e pertinenti ad edifici residenziali di età imperiale e tardo antica.
 
Secondo la tradizione il luogo sarebbe legato al martirio di due ufficiali della corte costantiniana, Giovanni e Paolo, avvenuto all’epoca dell’imperatore Giuliano l’Apostata (361-363 d.C.) ma le vicende archeologiche sono alquanto più complesse. Nei secoli infatti le insule subiscono numerose trasformazioni: passano da edifici popolari a più piani con portico e taberne (insule) a domus residenziale con impianto termale privato. Nel corso del III secolo d.C. le unità abitative si riuniscono a formare un’unica ed elegante Domus signorile, al cui interno nasce il luogo di culto (Basilica dei SS. Giovanni e Pietro) fino ad ottenere il Titulus cristiano, che nel linguaggio ecclesiastico sta a significare “donazione di luoghi di culto fatta da privati, con il culto aperto a tutti.”
 
L’Antiquarium ospita i reperti provenienti dagli scavi e parte degli arredi medievali, oltre alla bellissima raccolta di ceramica islamica del XII secolo collocata in origine come decorazione sul campanile della chiesa del SS. Giovanni e Pietro.
 
Una piccola curiosità: nel piccolo vano all’interno delle domus chiamato “Confessio” la tradizione cristiana colloca il martirio dei fratelli Giovanni e Paolo che, per la loro fede in Cristo, vennero uccisi al tempo delle persecuzioni e ivi sepolti. Poco dopo la loro morte, vennero giustiziati anche Crispo, Crispiniano e Benedetta, tre coraggiosi cristiani che si erano recati a pregare sulla tomba dei due martiri. Proprio per questo evento, l’intero complesso divenne un luogo di pellegrinaggio, come testimoniato anche dalla presenza di altri affreschi presenti nel settore vicino al portico dove venne ricavato, in epoca medioevale, un piccolo oratorio con una rara rappresentazione della crocifissione del Cristo vestito. Successivamente, l’importanza del culto per Giovanni e Paolo crebbe così tanto che si rese necessaria la costruzione di una vera e propria chiesa che ancora oggi possiamo ammirare, in tutta la sua maestosità, esattamente al di sopra di queste antiche e preziose.
 
 
 

Abitare a Roma … Imperiale

Avere una casa nel centro di Roma non è mai stato facile, nemmeno nell’antichità, e solo i più ricchi potevano permettersi una casa di proprietà. La maggior parte dei romani viveva in affitto nelle insulae, soluzioni abitative simili ai nostri condomini, in media di quattro piani, dove il costo e la qualità degli alloggi scendeva più si saliva di piano.

Quelli che noi oggi chiamiamo attici erano gli spazi peggiori, riservati ai più poveri. Salire fino all’ultimo piano significava dover fare le scale e, soprattutto, rischiare la vita: in caso di incendio era quasi impossibile salvarsi. E gli incendi non erano eventi rari: gli alloggi erano bui e mal ventilati, e all’interno si usavano bracieri e lucerne facilmente infiammabili.

L’edilizia era spesso scadente. In molti casi era gestita da imprenditori privi di scrupoli che costruivano case senza rispettare le minime norme di sicurezza. L’imperatore stabiliva sì regole ufficiali (ad esempio l’altezza massima di una insula), ma nessuno controllava che venissero rispettate.

Si calcola che l’affitto medio al tempo dei Cesari fosse di 2.000 sesterzi l’anno, circa 166 al mese (ma il canone si riscuoteva ogni sei mesi)…immaginate quando quanto poteva essere difficile per un manovale essere puntuale con i pagamenti, visto che poteva guadagnare 5 sesterzi per giornata lavorata e un legionario ancora meno, 2,5 sesterzi al giorno (ma compensava con i bottini di guerra), e una misura di grano costava 3-4 sesterzi, ecco perché nella stragrande maggioranza la gente in molti casi, per “starci dentro”, subaffittava gli spazi inutilizzati.

A gestire l’insula era un amministratore, su incarico del proprietario – che di solito possedeva l’intero complesso. Tra i due si siglava un accordo: il proprietario dava in affitto tutti i piani all’amministratore per 5 anni e in cambio chiedeva il canone dell’appartamento al piano terreno (il più pregiato), che spesso costava attorno a 3.000 sesterzi l’anno.

Al piano basso delle insulae viveva infatti l’aristocrazia urbana: imprenditori, commercianti di successo, costruttori, membri del governo municipale o più in generale chi lavorava a contatto con il potere.

Chi era ancora più ricco e apparteneva al patriziato, l’èlite della società, si costruiva invece una domus (casa autonoma) o una villa di campagna, spesso facendosi aiutare da architetti famosi, in grado di progettare e decorare le loro lussuose abitazioni.

di Annarita Sanna

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