Now and Then: il documentario che racconta l’ultima canzone dei Beatles

Now And Then – The Last Beatles Song è disponibile su Disney+! Il documentario di 12 minuti, scritto e diretto da Oliver Murray, racconta la storia dell’ultima canzone dei Beatles “Now And Then”, con filmati esclusivi e commenti di Paul, Ringo, George, Sean Ono Lennon e Peter Jackson.

Parlando del cortometraggio, Oliver Murray ha affermato:

“L’eredità dei Beatles ha posto una delle basi più importanti per la cultura giovanile moderna. È un grande onore avere la responsabilità di raccontare questa storia e credo che susciterà emozioni diverse nelle persone, poiché ognuno di noi ha un rapporto molto personale con il lavoro della band. ‘Now And Then’ è una storia di archeologia musicale e un legame fraterno tra quattro ragazzi che hanno regalato al mondo alcuni degli spettacoli più popolari della storia”.

The Beatles - Now And Then - The Last Beatles Song (Short Film)

L’ultima canzone dei Beatles, “Now And Then”, è stata pubblicata in tutto il mondo ieri, giovedì 2 novembre, da Apple Corps Ltd./Capitol/UMe. Il video musicale di “Now And Then”, diretto dal regista tre volte premio Oscar® Peter Jackson, è disponibile da oggi, venerdì 3 novembre, su Disney+.

Parlando del video musicale, Peter Jackson ha dichiarato:

“Volevamo che il video facesse commuovere, ma generare emozioni utilizzando solo filmati d’archivio è una cosa difficile. Fortunatamente, la semplice forza di questa bellissima canzone ha fatto gran parte del lavoro per noi. Sono profondamente orgoglioso di ciò che abbiamo realizzato e lo conserverò per il futuro”.

Il movimentato viaggio di “Now And Then” si è svolto nell’arco di cinque decenni ed è il prodotto di conversazioni e collaborazioni tra i quattro Beatles che continuano ancora oggi. La demo di John Lennon, a lungo mitizzata, fu lavorata per la prima volta nel febbraio del 1995 da Paul, George e Ringo nell’ambito del progetto The Beatles Anthology, ma rimase incompiuta, in parte a causa delle impossibili sfide tecnologiche legate alla lavorazione della voce che John aveva registrato su nastro negli anni Settanta.

Per anni è sembrato che la canzone non potesse essere completata. Ma nel 2022 è arrivato un colpo di fortuna: un software sviluppato da Peter Jackson e dal suo team, utilizzato durante la produzione della docuserie The Beatles: Get Back, ha aperto finalmente la strada al lavoro di separazione della voce di John dalla sua parte di pianoforte. Di conseguenza, la registrazione originale ha potuto essere riportata in vita e lavorata nuovamente con il contributo di tutti e quattro i Beatles. Questa straordinaria storia di archeologia musicale riflette l’infinita curiosità creativa dei Beatles e il loro comune fascino per la tecnologia. Segna il completamento dell’ultima registrazione che John, Paul, George e Ringo hanno potuto fare insieme e celebra l’eredità della band più importante e influente della storia della musica popolare.

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, il capolavoro musicale dei Beatles. La storia personale dell’album che ha rivoluzionato il mio modo di pensare la musica.

Come a scuola si incomincia dall’asilo prima di approdare all’Università, così ho fatto anch’io a livello musicale. Un po’ me ne vergogno (ma poi, perché?) quando ricordo che la prima musicassetta che ho ascoltato e amato (manco fosse stata un primo amore) quando ero bambino era di Raoul Casadei e la sua Mazurka di periferia faceva capolino nelle mie orecchie durante le spensierate giornate di piccolo e tenero cucciolo di famiglia. Poi, arrivarono Antonello Venditti (ancora oggi mi fa impazzire “Penna sfera”), Baglioni (checce volete fa…), i Pink Floyd (mai amati) e i Beatles.

Inutile dire che quando i Fab Four si sono presentati alla porta delle mie orecchie poco aduse ai suoni incomprensibili e psichedelici, come quelli di Animals, decimo album dei Pink Floyd, pubblicato il 21 gennaio 1977, lo hanno fatto in punta di piedi, aspettando che io crescessi prima di propormi quei brani che allora sentivo di sottofondo dappertutto senza sapere che erano “cosa” loro.

Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band

Il motivetto che mi affascinò in quegli anni era, col senno di poi, piuttosto bruttino e lo cantava il meno dotato del gruppo. S’intitolava “I wanna be your man” ed era un modesto rock’n roll nella quale non si riusciva proprio a nascondere la voce nasale di Ringo Starr. Tuttavia, allora mi piaceva e con i Beatles, quei Beatles, io ho trascorso i primi migliori anni della mia vita.

Poi, si cresce, si cambia abitazione, ci si sposta di località. L’amore per la musica lascia il posto all’arrivo della primavera (non intesa come stagione dell’anno ma di quella della vita) e la ricerca di una compagna si permeava di sottofondi musicali diversi. I Beatles, però, non se ne erano andati. Avevano semplicemente deciso di farmi maturare a sufficienza prima che, durante quelle che una volta venivano chiamate “prove tecniche di trasmissione” di una radio che avrebbe aperto i battenti a pieno regime soltanto qualche mese dopo, le nostre strade s’incrociassero un’altra volta. La radio, in sequenza, trasmetteva una scaletta, oggi si chiamerebbe “playlist”, in cui c’erano canzoni bellissime che non avevo mai ascoltato e che mi ricordavano terribilmente le voci e le atmosfere che conoscevo bene. Tempo prima ero riuscito a procurarmi una rivista, non rammento nemmeno quale, che trattava di gossip. Per me era diventata preziosa in quanto al suo interno era contenuto il “fotoromanzo dei Beatles”. Ebbene, grazie a quella che a quei tempi era la wikipedia dei bambini (la carta stampata) provai a dare dei titoli a quei pezzi e giurai che due di essi rispondevano a “While my guitar gently weeps” e “I am the walrus”.

Da allora, scoprì che il mio gruppo preferito aveva scritto pagine sonore memorabili tanto che, senza alcun ritegno, ero pronto a dire: “I wanna be your man”… scansati. È arrivato di meglio. Da adolescente con i primi stipendi potei coronare il mio sogno e, complice un negozio in Via Vigone a Pinerolo, cominciai ad acquistare tutti gli album dei miei eroi insieme e nelle loro carriere soliste. Ovviamente, questa decisione non comportò nessuna delusione. Ogni LP (allora si chiamavano così) era più bello del precedente.

Uno spettacolo nello spettacolo.

Tutto continuò fino a che incocciai in una loro produzione del 1967. I Fab Four hanno realizzato quell’album quando avevo due anni. Pensa un po’… Ricordo benissimo quei momenti. Avevo appena acquistato il disco ed ero tornato a casa. Prima di ascoltarlo mi colpì la copertina. Piena zeppa di colori. Nemmeno una confezione di matite colorate ne ha così tanti e quei bei disegni, la costruzione del puzzle di immagini che la compone era qualcosa che non avevo mai visto. Ci sono personaggi incredibili che riconosco: Tony Curtis, Oliver Hardy, Marlon Brando, Marilyn Monroe, Fred Astaire, Marlene Dietrich, Bob Dylan, Edgar Allan Poe, William Burroughs, H. G. Wells, Albert Einstein, Carl Gustav Jung, Karl Marx. La leggenda narra che ci fosse anche l’immagine di Gandhi ma la EMI la tolse per timore di turbare i rapporti con l’India. In verità, temeva che un po’ tutti potessero far causa alla Casa Discografica ma i Fab Four promisero che avrebbero pagato gli eventuali danni richiesti.

Naturalmente, mai nessuno fece causa. Anzi…

Prima di parlare della magistrale Opera musicale contenuta in quei solchi debbo raccontare un’altra leggenda, tutt’altro che metropolitana. Si narra che nonostante il battage pubblicitario della Decca Records per imporre all’opinione pubblica un dualismo tra i Beatles e i Rolling Stones tra i due gruppi non vi fu mai alcuna rivalità tanto che ancora oggi si possono visionare dei filmati fatti durante le riprese dal vivo di “All you need is love” di poco tempo dopo. Mick Jagger si nota tranquillamente seduto insieme a tutti gli ospiti in studio durante la mondovisione. Chi riteneva invece i Fab Four dei nemici da sconfiggere, qualcuno da seppellire a forza di note, era il leader degli americani Beach Boys, che si chiuse per lungo tempo in studio per creare l’album della vita da consegnare ai posteri e col quale intendeva spodestare dallo scranno più alto della popolarità musicale Lennon & McCartney. Quando lo terminò convocò una conferenza stampa. Peccato che durante la stessa, un giornalista gli chiese se avesse ascoltato un disco appena arrivato d’importazione. Si intitolava Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Inutile dire che dopo l’ascolto di questo capolavoro, il nostro trascorse un lungo periodo in clinica per riaversi dal duro colpo appena subito dalla sua ambizione.

Il giornalista aveva ragione. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band è un album quasi perfetto. L’unica sua imperfezione è talmente incastonata bene da sembrare quasi un suo punto di forza, un neo sul viso che ne aumenta l’appeal.

Va bene, mettiamolo sul piatto.

Lato A

  1. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – 2:00 (Lennon-McCartney)
  2. With a Little Help from My Friends – 2:43 (Lennon-McCartney)
  3. Lucy in the Sky with Diamonds – 3:26 (Lennon-McCartney)
  4. Getting Better – 2:47 (Lennon-McCartney)
  5. Fixing a Hole – 2:35 (Lennon-McCartney)
  6. She’s Leaving Home – 3:33 (Lennon-McCartney)
  7. Being for the Benefit of Mr. Kite! – 2:35 (Lennon-McCartney)

Durata totale: 19:39

Lato B

  1. Within You Without You – 5:05 (Harrison)
  2. When I’m Sixty-Four – 2:37 (Lennon-McCartney)
  3. Lovely Rita – 2:41 (Lennon-McCartney)
  4. Good Morning Good Morning – 2:42 (Lennon-McCartney)
  5. Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (Reprise) – 1:19 (Lennon-McCartney)
  6. A Day in the Life – 5:34 (Lennon-McCartney)

Durata totale: 19:58.

Quasi quaranta minuti, di musica e di emozioni.

L’Opera che si ascolta fin dall’inizio non è una raccolta di canzoni com’era stata fin da allora confezionata dai Beatles ma inaugurava un nuovo genere, una nuova idea. Era il primo esempio di quello che in seguito verrà definito come “concept album”. Insomma, i Fab Four avevano deciso di comporre sinfonie anziché canzonette e così stavano dicendo al mondo di essere dei veri compositori e non dei menestrelli che seguivano le mode del momento allo scopo di diventare sempre più ricchi. Il brano rock che apre il disco non è il migliore dell’album ma, come prima traccia, funziona alla perfezione, quasi a spiazzare l’ascoltatore per quel che seguirà. Il secondo pezzo, pur se cantato da Ringo Starr, è talmente perfetto che il batterista cantante avrebbe potuto esser sostituito dal primo stonato che s’incontra per la strada senza che il risultato cambiasse di una virgola.

Con il terzo brano entriamo in un’atmosfera di canzoni che finiscono con l’inizio della successiva o che ne sono la naturale continuazione sonora e melodica fino a diventare un corpo unico. Non sto a dilungarmi sulla chiave di lettura delle parole del titolo che vedrebbe un’allusione all’uso di una certa sostanza stupefacente perché tale è il risultato musicale da far dimenticare qualsiasi altro ragionamento. “Getting better” e “Fixing a Hole” possono sembrare a un’analisi superficiale la stessa canzone ma in realtà sono due perle incastonate in uno scrigno d’oro e preparano al brano successivo: “She’s leaving” home, struggente atto di accusa nei confronti della società degli adulti che vede perdere i suoi figli che se ne vanno perché non possono più convivere con loro.

Il brano più bello in assoluto del primo lato (così come del secondo) è l’ultimo. Si tratta di una carrellata di suoni attorno a una melodia accattivante che ricrea sonorità tipiche del Luna Park.

Il lato B si apre con il peggior brano dell’Opera. Il tentativo di George Harrison di ricreare atmosfere indiane non è riuscito appieno ma lo scoppiettante prosieguo delle canzoni risistema le cose innalzando l’asticella sempre più in alto. I successivi tre brani e mezzo praticamente non hanno una fine ma s’incastrano con l’inizio del successivo e lo completano.

Magistrale è la versione breve e reprise (molto più ritmica e veloce) del brano iniziale che dà il titolo all’album.

Manco a dirlo, la migliore canzone è quella con cui si chiude il sipario: “A day in the life”. Il pezzo sembra che sia nato quasi per caso ma appartiene alla Storia del Rock. Lennon non aveva il ritornello di una canzone mentre a McCartney mancavano le strofe di una accattivante melodia. George Martin, il loro Direttore Artistico, nonché co-produttore, suggerì al duo di unire le due incompiute in un’unica canzone e fu subito un’apoteosi.

Quando arrivai alla fine dell’ultimo solco dell’album mi resi conto che dopo aver ascoltato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band avrei definitivamente seppellito la “Mazurka di periferia”.

Da quel giorno la musica per me non è mai più stata la stessa e accontentarsi men che meno il verbo riflessivo che avrebbe influenzato il mio presente e il mio futuro. Spero che possa accadere anche a tutti i lettori che vorranno concedersi quei quasi 40 minuti di ascolto che un album così merita.

Un saluto a tutti e anche ai Fab Four. Due sono ancora con noi. Gli altri due, da lassù staranno certamente applaudendomi per ringraziarmi per le splendide (! ndr) parole che ho usato. Tuttavia, l’applauso più grande è quello che faccio io ogni volta che apro le mie orecchie al suono di qualunque cosa è MUSICA.

Ciao John, George, Paul, Ringo. Grazie per aver educato la mia mente al meglio del meglio…

di Piergiorgio Tomatis

Pier Giorgio Tomatis è nato nel 1965, a Torino e vive a Cantalupa, una graziosa cittadina vicina ai monti. Scrive da sempre, racconti e sceneggiature. Ha collaborato in qualità di giornalista pubblicista con il settimanale il monviso e il periodico il piccolo di pinerolo. E’ stato direttore del bollettino comunale di saluggia e presidente dell’associazione di volontariato culturale e sociale gruppo sisifo. E’ promotore dell’associazione to.ta.le. per la diffusione dei libri e delle performance di autori a km zero… Redattore dei progetti la lettura è magia e 10 piccoli autori, è stato un educatore scout. Attualmente è titolare della casa editrice pinerolese hogwords.

Il mitico The Rooftop Concert nelle sale IMAX

The Beatles: Get Back – The Rooftop Concert, l’indimenticabile concerto dei Beatles sul tetto della sede di Apple Corps di Savile Row avvenuto il 30 gennaio 1969, debutterà in Italia esclusivamente nelle sale IMAX dal 9 al 13 febbraio in una versione di 60 minuti.

Il regista/produttore Peter Jackson, afferma:

Sono entusiasta che il pubblico possa vivere il concerto sul tetto di The Beatles: Get Back in IMAX, su uno schermo enorme…È l’ultimo concerto dei Beatles ed è il modo assolutamente perfetto per vederlo e ascoltarlo”.

Megan Colligan, presidente di IMAX Entertainment, afferma:
 
Fin dal debutto della bellissima e illuminante docuserie di Peter Jackson, sentivamo che i fan avevano il desiderio di vivere in IMAX l’indimenticabile esibizione sul tettoSiamo davvero entusiasti di collaborare con Disney per portare Get Back su un palcoscenico completamente nuovo e offrire ai fan dei Beatles in tutto il mondo l’opportunità unica di guardare e ascoltare i loro eroi attraverso l’impareggiabile immagine e suono di IMAX”.

The Beatles Get Back - The Rooftop Concert | Trailer Ufficiale

 
Il concerto, che appare nella sua interezza nella docuserie originale di Peter Jackson The Beatles: Get Back disponibile su Disney+, sarà ottimizzato per gli schermi IMAX, rimasterizzato in digitale nella qualità dell’immagine e del suono di The IMAX Experience con la tecnologia proprietaria IMAX DMR (Digital Remastering).

Rock anni ’60

 Era giunto il tempo perché qualcosa cambiasse, ma serviva ancora un elemento catalizzatore. Il “Mersey-beat” cambiò per sempre la storia della musica. Il Mersey-beat proveniva dal niente, ma si portava dietro il potere della storia. La Gran Bretagna aveva avuto una scena musicale pidocchiosa per tutti i Sixties. Per lo più, i rockers inglesi scimmiottavano Presley. La Gran Bretagna non si identificava con il rock and roll, non apprezzava quelle sue attitudini “ribelli”, non si divertiva ai suoi ritmi frenetici. In altre parole, quindi, il seme era già stato piantato. La Gran Bretagna ebbe una scena alternativa prima degli Stati Uniti: i blues clubs. Per tutti gli anni ’50, in Inghilterra spuntavano blues clubs ovunque. Londra ne era l’epicentro, ma un po’ tutte le maggiori città inglesi avevano la loro dose settimanale di blues.

 

Diversamente dalla controparte rock, che era costruita attorno a meri imitatori, il cosiddetto British blues contava su veri innovatori che plasmarono la materia blues fino a farla diventare qualcosa di diverso. Cominciò una metamorfosi che trasformò il blues in musica “bianca”: si enfatizzavano i ritornelli epici, si velocizzavano le chitarre ritmiche di Chicago, le parti cantate venivano smorzate perché il suono fosse più operatico, si flettevano i cori, si aumentavano gli arrangiamenti organistici e si aggiungevano armonie vocali. In pochi anni, i musicisti di british blues si trovavano a suonare qualcosa di profondamente sentito, come era il blues americano, ma con una potenza che nessun altro aveva sulla Terra.

 

Agli albori dei Sixties, i veterani di quella scena, o, se si preferisce, i discepoli, portarono alla formazione di bands come i Rolling Stones, gli Yardbirds e gli Animals. I Rolling Stones divennero “la” sensazione a Londra e registreranno i singoli che ebbero il maggior successo. Gli Yardbirds erano il gruppo più sperimentale di tutti, e furono il ginnasio di tre tra i migliori chitarristi di sempre: Eric Clapton, Jeff Beck e Jimi Page. Dalle loro ceneri nacquero due gruppi blues, i Cream e i Led Zeppelin, che in pochi anni, rivoluzionarono di nuovo la musica rock.

 

Liverpool era l’eccezione: non ebbe una scena alternativa ma un pugno di gruppi più commerciali. Il produttore George Martin fu il demiurgo che creò l’intera scena, insieme a Gerry And The Pacemakers e i Beatles, il gruppo che avrebbe poi avuto un successo mondiale. Le facce pulite e sorridenti dei ragazzi di Liverpool creavano un aspro contrasto con l’animalismo del blues selvaggio dei club del circuito underground. Ma i due fenomeni erano complementari. La “Beatlemania” rubò il momento di grazia che stava vivendo la musica blues e capì presto come convertire quella musica in un’attrazione di massa.

 

Era nato il Rock come business. I gruppi più influenti della seconda generazione furono i Kinks e gli Who. Ma, mentre i Kinks proponevano del rock melodico, gli Who, con le loro chitarre maniacalmente amplificate, puntavano ad un futuro più rumoroso e meno ingentilito. I Rolling Stones, i Kinks e gli Who rappresentano la triade rock di metà anni ’60 che influenzerà per decenni intere generazioni di gruppi rock. Gli Who componevano canzoni autobiografiche sulla gioventù selvaggia e frustrata. I Rolling Stones scrivevano canzoni autobiografiche sui punk decadenti della classe operaia. I Kinks componevano vignette realistiche sulla vita ordinaria dell’Inghilterra borghese. Tutti e tre insieme hanno dato un affresco completo dell’epoca nella quale vivevano.

 

Cream e Led Zeppelin pagarono la loro quota del debito quando cominciarono a suonare un blues decisamente rumoroso. I lunghi solo dei Cream e i riff veloci dei Led Zeppelin crearono l’epitome dell’hard rock”. Il movimento psichedelico che si stava diffondendo per tutto il paese in qualche modo si unì con l’ondata di rock elettrico e con i movimenti di protesta. Diventarono tutt’uno a New York e a San Francisco. I Velvet Underground e i Fugs fecero del rock and roll un’operazione intellettuale. Nella West Coast tanto San Francisco quanto Los Angeles reagirono al boom del rock and roll in un modo tipicamente eccentrico. San Francisco, che stava diventando la mecca degli hippies, profuse l’acid-rock, e Los Angeles, il cui milieu aveva già prodotto innumerevoli danni letterari e cinematografici, profuse Frank Zappa e Captain Beefheart, due dei più influenti musicisti del secolo.

 

Zappa e Beefheart registrarono alcuni dei dischi tra i più sperimentali di sempre ever e fecero del rock and roll un’arte seria e maggiore. Le bands San Francisco, guidate dai Jefferson Airplane e dai Grateful Dead, si avvalevano di complesse armonie e di jams improvvisate, con le quali avvicinarono la musica rock agli eccessi intellettuali del jazz. Blue Cheer e Quicksilver spianarono la fondazione dell’hard-rock. il rock psichedelico si diffuse per tutto il paese, fino a riversarsi in Gran Bretagna.

 

Ben presto l’America produsse i Doors e l’Inghilterra i Pink Floyd, due bands la cui influenza sarà gigantesca. La psichedelia texana restò nell’anonimato, ma gruppi come Red Crayola erano “avanti” per il loro tempo. Anche Detroit restò ai margini del giro principale, comunque sia gli MC5 e gli Stooges fecero fare un passo in più allla musica rock sulle scale del rumore. Il boom della musica rock negli Stati Uniti fece resuscitare il blues. Jimi Hendrix e Janis Joplin divennero stars, e innumerevoli musicisti di blues bianco riempirono i clubs di Chicago e di San Francisco. La Band, i Creedence Clearwater Revival e i Doobie Brothers raggiunsero nuove frontiere nella rivisitazione delle tradizioni della musica bianca e nera. Nel sud questo revival portò alla nascita del “southern rock” e gruppi quali gli Allman Brothers e Lynyrd Skynyrd.

 

La musica country era sempre monopolio di Nashville, ma molti artisti la univano alle meditazioni orientali, all’improvvisazione jazz e alla libertà del rock. Nel frattempo, la black music stava avendo una sua metamorfosi. Il Soul assunse la forma di una musica festaiola e il rhythm and blues mutò in un genere febbrile , il “funk”, grazie alle spettacolari oscenità di artisti come James Brown. In Gran Bretagna, la musica rock prese più di un sentimento europeo con i movimenti psichedelici nati al di fuori dei clubs. Canterbury divenne il centro del rock più sperimentale.I Soft Machine furono il gruppo più importante del periodo, dando alla musica rock una tinta jazz che sarà ispirazione del “progressive-rock”.

 

Il Progressive-rock tagliò via l’energia del rock e la rimpiazzò con l’intelletto. Traffic, Jethro Tull, Family e più tardi i Roxy Music svilupparono una miscela di soul-rock che avava poco in comune sia con il soul che con il rock and roll: lunghe jams convolute, accenti jazzati, e arrangiamenti barocchi deragliarono dalla forma-canzone. King Crimson, Colosseum, Van Der Graaf Generator, i primi Genesis, Yes cominciarono a suonare brani sempre più complessi, teatrali ed ermetici. Gli arrangiamenti diventarono sempre più complessi, gli strumentisti sempre più virtuosi. Spesso venica adoperata una strumentazione elettronica. Gli anni ’60 furono in definitiva l’era “classica” della musica rock. I principali sotto-generi del rock furono coniati in quel decennio. Il paradigma della musica rock, intesa come polo “alternativo”, in contrapposizione alla musica pop commerciale, fu stabilito proprio negli anni ’60.Le sperimentazioni selvagge permisero ai musicisti rock di esplorare una gamma di stili musicali che in pochi avvicinarono prima del 1966.

 

Captain Beefheart e i Velvet Underground crearono addirittura un diverso tipo di musica rock dentro la musica rock, un diverso paradigma dentro il nuovo paradigma, uno che influenzerà musicisti alternativi per decenni. Non i giganti Bob Dylan e Jimi Hendrix, ma umili musicisti come Captain Beefheart, i Velvet Underground e Red Crayola sono forse i veri eroi dei Sixties.
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