Ammo: il gioco di ruolo

In occasione del ritorno del capolavoro italiano Lex Arcana, vogliamo ricordarvi un altro gioco di ruolo “tricolore” che ebbe un discreto successo sopratutto per la sua ambientazione molto “manga”. Ammo è un gioco di ruolo creato da Mirko Caruccio, Barbara Chies e Piero Cioni ed edito da Planetario nel lontano 1994 con un’ambientazione scifi/fantasy/horror basata sulle produzioni nipponiche di quel periodo di cui gli autori erano fan (tra i quali i riferimenti più diretti sono per le serie Silent Möbius, Bubblegum Crisis, Devilman, Patlabor, Borgman, Dirty Pair, Tekkaman Blade, AD Police, Heavy Metal Skin Panic 001 Maddox, Armored Trooper Votoms). Ovviamente nel gioco sono presenti anche i robottoni che non erano previsti nella prima stesura del gioco, come hanno dichiarato gli autori al lancio del prodoto, ma che erano stati aggiunti per volontà dell’editore che era convinto che avrebbe avuto così un maggiore successo di pubblico.

Un periodo meraviglioso quello di metà degli anni ’90, quando la parola “nerd” non era ancora di moda e quando le fiere del fumetto erano frequentate da poche migliaia di appasionati. Proprio negli anni in cui sostanzialmente prese piede il fenomeno cosplay in Italia, questo gioco di ruolo porta gli “otaku” in un’ambientazione futuristica, nella Kyoto del 2030 dove, dopo il ritrovamento di una’astronave aliena in orbita attorno a Titano, la tecnologia terrestre fa un salto in avanti sfruttando l’energia mentale. La scoperta di questa nuova fonte energetica viene annunciata al mondo dal professor Shuichi Yamagata, uno scienziato che stava studiando un artefatto rinvenuto sulla nave aliena, una sorta di gigantesca armatura. Yamagata non era l’unico scienziato ad interessarsi a questa nuova forma di energia: anche il professor Tsukamoto, alle prese con lo studio di un altro reperto alieno, ritrovato sulla stessa nave e chiamato D-Destroyer, era giunto agli stessi risultati di Yamagata. Tsukamoto però desiderava l’esclusiva della scoperta e decise di usare il suo artefatto, pensando che fosse una bomba, per tentare di distruggere Kyoto, la città dove viveva Yamagata, ed eliminare il rivale. Il D-Destroyer, una volta attivato, distrusse il laboratorio di Tsukamoto stesso, uccidendolo, prima di partire alla volta di Kyoto e schiantarsi sulla Kyoto Tower. Nonostante la grande luce emessa dall’ordigno, la forza distruttiva non si rivelò particolarmente preoccupante. Due giorni dopo questo avvenimento, però, dalle fondamenta del centro commerciale sottostante la Kyoto Tower cominciarono a comparire strane creature, ostili a qualsiasi forma di vita incontrassero. A causa di questa condotta violenta vennero chiamate “demoni” e l’esercito fu costretto a intervenire costruendo delle mura d’acciaio, altissime, intorno al centro della città (da quel momento in poi chiamato Core). Nonostante la cinta muraria i demoni riuscivano ad uscire dal Core e minacciavano Kyoto, che sembrava ormai spacciata, fino a quando il professor Yamagata insieme a un gruppo di ragazzi equipaggiati con delle armature potenzianti, o battlemover, riuscirono a respingere l’ondata di demoni all’interno delle mura. Il gruppo prenderà il nome di “Codimensional Combat Corp).

Il sistema di gioco è un sistema ad abilità  che prevede “l’uso di due dadi a sei facce. I personaggi hanno 18 caratteristiche di base e un numero di abilità quasi illimitato dato che ogni giocatore, in accordo con il regista, può anche inventarne e non seguire quelle proposte dal manuale. Il valore delle abilità può aumentare durante lo svolgimento del gioco con la spesa di punti esperienza. Le azioni e il combattimento sono gestiti con un lancio di dadi a cui si somma il punteggio dell’abilità e il punteggio della caratteristica ad essa collegata. Il sistema dei danni è peculiare dato che non esistono punti ferita, ma i danni vanno a incidere direttamente sulle caratteristiche dei personaggi, rendendo gli stessi via via meno efficaci. Un sistema semplice, immediato, elastico e funzionale si può fare di tutto: dalla creazione dei personaggi fino alla descrizione dell’ambientazione, le regole raramente si intralciano tra loro e rendono molta fluida la meccanica di gioco. Un manuale interessante, privo delle classiche autoreferenzialità di molti autori italiani, con illustrazioni al passo con i tempi (erano gli anni ’90). D’altra parte il gioco presenta alcuni errori tipici di molti sistemi “alla prima edizione” ovvero la mancanza di approfondimento nei poteri non magici, lo sbilanciamento della magia e della tecnologia robotica. Tutto sommato un bel gioco che non ha avuto tanto successo e non ha mai goduto di un nutrito gruppo di appassionati con cui creare campagne basti pensare che poco prima del passaggio di secolo, sullo storico sito di “Gilda Anacronisti”  fu creato un play by email di Ammo, chiamato Kyoto 2030, ma venne chiuso quasi subito per mancanza di giocatori.

In origine erano previste due espansioni al manuale principale, ma, purtroppo l’editore si tirò indietro nonostante gli autori avessero già finito di scrivere e illustrare il primo dei nuovi manuali e avessero già cominciato l’altro.

Tekkaman Blade (Teknoman)

Tekkaman Blade – Teknoman è un anime giapponese che ha deluso tutti i fan del suo illustre predecessore, l’anime Tekkaman del 1975 di Tatsunoko. La serie, prodotta congiuntamente da Tatsunoko e Saban, è stata diretta da Hiroshi Negishi e concepita come un sequel ideale.
La trama si svolge nell’anno 2300, quando la Terra viene invasa dagli alieni parassitari chiamati Radam, guidati dai temibili guerrieri corazzati conosciuti come Tekkamen. Le forze di difesa della Terra si trovano impotenti di fronte a questi invasori. Tuttavia, improvvisamente compare Brando, un ragazzo con la sorprendente capacità di trasformarsi in un misterioso cavaliere protetto da un’armatura potenziata chiamata Teknoman (Tekkaman Blade nella versione giapponese), pronto ad aiutare nella difesa del nostro pianeta.
Dal punto di vista tecnico, Tekkaman Blade è stata una vera e propria delusione. Le animazioni sono mediocri e a volte addirittura pessime. Ad esempio, la trasformazione in Tekkaman è spaventosa e poco convincente, così come le sequenze in cui Blade maneggia la sua lancia. Il design dei personaggi risulta insolito e poco ispirato, a eccezione di Brando e Saber che sembrano essere gli unici elementi di valore estetico. Anche il design dei Mecha, pur essendo promettente sulle locandine e sulle riviste dell’industria giapponese, risulta piuttosto deludente nella serie. Nel complesso, l’aspetto visivo della serie non riesce a suscitare emozioni nel pubblico.
Anche la musica di sottofondo lascia molto a desiderare, con una colonna sonora appena percettibile.
Un altro punto negativo riguarda le battaglie. Durante gli scontri con gli aracnogranchi, Brando sembra passare da Bravo Ajax ad agnello sacrificale, senza una vera e propria coerenza nella caratterizzazione del suo personaggio. Inoltre, l’ultima battaglia contro il suo fratello Saber e poi contro Tenebra viene risolta troppo velocemente, lasciando una sensazione di insoddisfazione nel pubblico.
In conclusione, Tekkaman Blade ha deluso su molti aspetti rispetto al suo predecessore, Tekkaman. Le animazioni, il design dei personaggi e dei Mecha, la musica di sottofondo e le battaglie sono tutti elementi che non hanno soddisfatto le aspettative dei fan. Nonostante ciò, ci sarebbe ancora molto da dire contro Tekkaman Blade e a favore di Tekkaman (la prima serie), ma il limite di parole è quasi raggiunto.
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