Selene, la Dea della Luna

Selene è la Dea della Luna, nel suo aspetto di plenilunio, legato alla figura della Madre. Questa Dea era raffigurata come una bellissima donna dalla pelle d’argento, capelli lunghi, neri e intrecciati e una mezzaluna sulla fronte, lo stesso simbolo che si disegnavano le sacerdotesse di Avalon quando impersonavano la Dea nei loro rituali.
 
Il nome Selene viene dal greco Sèlas che significa splendore. Figlia di Iperione e della titanessa della luce Theia (chiamata anche Tia o Tea), era sorella di Elios (il sole) ed Eos (la luce dell’aurora). La troviamo raffigurata alla guida del carro lunare trainato da buoi bianchi nel firmamento, dono fattale da Pan per farsi perdonare di averla presa con l’inganno.
 
Narra una leggenda greca l’amore tra Selene e Endimone, risalente al tempo in cui gli Dei e gli esseri umani vivevano ancora uno accanto all’altro e il mondo era privo di male.
 
Un giorno la Dea scorse il bellissimo giovane e immediatamente se ne innamorò , essendone ricambiata. Il grande ostacolo tra loro consisteva nel fatto che lei era una Dea mentre lui un semplice mortale. Selene allora si recò da Zeus e gli chiese che le venisse concesso un desiderio. Chiese che a Endimione venne concessa l’immortalità, non ricordando però che non avendo chiesto prima l’eterna giovinezza, il giovane sarebbe diventato un vecchio condannato a vivere in eterno. Rendendosi conto dell’errore, la Dea lo addormentò in un sonno eterno e lo adagiò in una caverna sul monte Latmo, dove ancor oggi il principe, eternamente giovane e bello, sogna Selene.
 
La Dea si accoppiò anche con Zeus, il padre degli Dei, e dalla loro unione nacque Pandia, personificazione del chiarore del plenilunio.
 
 

James Hillman: Saggio su Pan

pan3Chi è Pan? E chi sono gli dèi della Grecia? Tutta la cultura moderna – basta pensare a Holderlin e a Nietzsche – è stata traversata dal desiderio di un ‘ritorno alla Grecia’ di cui qui Hillman ci aiuta a riscoprire le motivazioni profonde e la tortuosa storia. L’immenso lavorio degli studi sull’antichità classica negli ultimi due secoli è andato di pari passo con l’erosione di quel modello monocentrico di cultura che ci ha trasmesso la tradizione giudeo-cristiana. Così la ricerca della Grecia si è collegata con la riscoperta di un modello policentrico, dove i nuclei sono i vari dèi. E quei nuclei vivono ancora in noi.

Poggiando sulle tesi di Jung, ma spingendole alle loro conseguenze più radicali, Hillman ci mostra come l’immagine di Pan continua a manifestarsi nella nostra esperienza, dietro le maschere della psicopatologia. Il panico, lo stupro, la masturbazione, l’incubo, la malia delle ninfe, la sincronicità – sono tutti fatti oscuri che in qualche modo si rivelano governati dal potere di Pan, e grazie a esso possono acquistare senso, invece di continuare ad agire ciecamente. Ma perché il dio possa operare in noi, perché il dio che rende pazzi possa anche guarire la nostra follia, bisogna che ritroviamo ciò che qui Hillman, sulla scia di Corbin, chiama l’immaginale, un livello di percezione e di esperienza delle immagini a cui la nostra storia ha tentato in ogni modo di impedire l’accesso. Scritto con felice piglio polemico, questo saggio, che rivendica “una regressione che sia peculiarmente ‘greca'” e ne argomenta lucidamente le ragioni, ci introduce subito nel cuore dell’opera di uno degli psicoanalisti che più hanno fatto in questi anni per criticare rigorosamente dall’interno la psicoanalisi e la sua storia.

Recensione a cura di Maurizio Carandini:

Partendo dalla fuga dell’uomo moderno verso il futurismo e le sue tecnologie, dalla conversione all’Oriente e all’interiorità, James Hillman offre in questo saggio una riscoperta dei miti Greci proponendoci la figura e l’immagine di Pan come presenza continua e manifesta delle nostre esperienze.
La Grecia “ci offre una possibilità per correggere le nostre anime” perché gli Dei, se letti in una regione immaginale, sono e non furono o saranno.
Pan morì quando Cristo divenne Sovrano assoluto, così che, il diavolo non è altro che Pan visto attraverso l’immaginario cristiano.
La morte dell’uno significò la vita dell’altro in un contrasto chiaramente espresso nelle iconografie: Pan nella grotta, Cristo sul Monte; l’uno ha la musica, l’altro la Parola.
Ecco quindi perché Roscher ripropone la tesi di Pan come demone dell’incubo.
Partendo da Roscher, Hillman ricorda che Pan è Dio della natura:
Il termine natura va considerato a partire dalle qualità associate e Pan, dalla sua descrizione iconografica e dalla sua storia.
Il suo luogo originario: Arcadia, “oscure caverne” dove lo si poteva incontrare = località tanto fisica che psichica.
Il suo habitat: grotte, fonti, boschi e luoghi selvaggi.
Genealogia: abbandonato alla nascita, avviluppato in una pelle di lepre ( animale sacro ad Afrodite e Eros) dal padre Ermes fu accolto dagli Dei con gioia.
La genealogia di Pan offre un quadro archetipico entro cui egli viene costellato.
Per afferrare Pan dobbiamo allontanarci dai concetti astratti per accostarci ad una persona sensibile che corrisponde al movimento dall’intelletto all’immaginazione che è popolata di tangibili immagini sensoriali.
Solo così Pan può personificare la nostra coscienza per tutto ciò che è naturale, ma prima dobbiamo essere afferrati dalla natura, sia da “fuori”, in una campagna deserta che parla con suoni e con parole, sia “dentro” di noi, in una reazione improvvisa ed istintiva.
Partendo da questi presupposti Hillman ci mostra come Pan continui a manifestarsi nella nostra esperienza dietro le maschere della psicopatologia.
Così, quando l’anima è presa dal panico, come nella storia del suicidio di Psiche, Pan si rivela con la saggezza della natura.
Ecco perchè la masturbazione, il panico e lo stupro sono governati dal Dio Capro della natura e, solo osservandole sensibilmente, ci appaiono come attività istintuali e naturali se inserite nell’ambiente del Dio Pan, nello spogliarsi della natura, nell’acqua, nelle grotte e nel clamore di cui è amante, nella danza e nella musica.
Pan, quindi, si divide tra cime montuose e grotte, tra clamore e musica, tra zampe pelose e corna spirituali, tra panico e stupro.
Nel rapporto con le Ninfe, (alcune erano “impersone”: senza nome) come Siringa, Pitis, Eco, Eufeme, Selene, Pan rivela la radice della trasformazione in arte.
Pan, nella favola di Siringa, ci dice che il desiderio della natura “dentro di noi” è di unirsi con se stessa con consapevolezza.
Tra le immagine che Hillman ci offre, mi piace ricordare quella di coscienza riflessiva dove Pan viene rappresentato come un osservatore: ritto in mezzo ad eventi ai quali non partecipa ma dove è fattore soggettivo di attenzione vitale: Pan l’osservatore, Pan il lungimirante.
La via di Pan può essere ancora questa: lasciati guidare dalla natura anche dove la natura “là fuori” è scomparsa.
Riascoltiamo il nostro corpo quando ci dice “si” o “no”, “lascia andare” oppure “vai”.
Con la morte di Pan scomparvero anche le ninfe che esprimevano liberamente le verità naturali.
La ninfa continua però ad operare nella nostra psiche e così produce il moderno culto di Pan.
In ogni ninfa c’è un Pan, in ogni Pan una ninfa.
Rozzezza e timidezza vanno insieme.

http://www.liberonweb.com/

by Ilaria ***Luna***

Exit mobile version