Il castello di Civitacampomarano

Il Molise esiste ed è un luogo fantastico. Una terra meravigliosa, tra mare e montagna culla della civiltà italiana (uno dei primissimi insediamenti umani è stato proprio vicino ad Isernia) che ha visto susseguirsi popoli e culture che hanno lasciato dietro di se moltissimi siti archeologici e tante, tante leggende.

Tra queste opere meravigliose svetta il castello di Civitacampomarano in provincia di Campobasso, che sorge nella parte centrale del borgo su un crinale di arenaria, fra i torrenti Mordale e il Vallone Grande, uno degli affluenti del fiume Biferno. Secondo gli studiosi, la struttura dovrebbe risalire al XIII secolo, presentando l’edificio degli elementi architettonici tipici dell’epoca, sotto la dominazione angioina. La pianta è quadrangolare, scandita ai vertici da tre torri cilindriche, di cui due perfettamente conservate. Intorno alla struttura c’è un fossato che si affaccia sull’attuale Piazza Municipio. Il fossato è oggi colmato dal verde, ma, dalla fine del Quattrocento in poi, separava il castello dalla cinta muraria occidentale.  Dichiarato Monumento nazionale il 2 maggio del 1979 con Decreto del Ministero per i Beni e le Attività culturali, è stato acquistato dallo Stato nel marzo del 1988, preso in consegna nel 1996 ed è stato chiuso per un lungo lavoro di restauro tra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila.

Il primo insediamento è stato, con molta probabilità, un’area fortificata di origine sannitica. All’interno di questa, nel periodo alto medievale si è sviluppato il primo nucleo abitativo. Una delle prime strutture ad essere erette, secondo i canoni architettonici molisani del XIII secolo, è stata una roccaforte, munita di torre centrale merlata, cinta muraria e un fossato che cingeva i tre lati. La torre circolare, i cui resti della fondazione sono stati ritrovati al centro dell’androne, sotto la pavimentazione,  appartiene probabilmente  a questa fase. Appartengono invece all’epoca angioina elementi quali i beccatelli, le feritoie, le finestre e il portale che vedrete sul fronte orientale. All’epoca di Carlo II d’Angiò, tra la fine del 1200 e i primi del 1300, il castello aveva probabilmente già forma quadrangolare e al centro una torre circolare.

Tra il XIV e il XV secolo, il sito subì una nuova trasformazione: prima attorno al recinto fortificato all’interno del cortile fu costruita una fortezza di forma quadrilatera irregolare, protetta agli angoli da quattro torri cilindriche. Successivamente, in epoca aragonese, la struttura assunse le caratteristiche architettoniche di un tipico “castello di transizione” un castello cioè modificato per adeguarlo all’introduzione delle armi da fuoco. Nel XV secolo il castello si munì di tre torrioni cilindrici, capisaldi della fortificazione, che potete ancora leggere nelle murature dell’attuale loggiato. Furono aperte sia sulle parti alte delle torri di angolo, sia sopra che sotto il redondone (il cordone di pietra che corre lungo la parete esterna) delle strette feritoie che allargandosi verso l’interno, garantivano un’efficace gestione dell’arma, e consentivano un vasto angolo di tiro.

Il castello assume la forma attuale durante la prima metà del XV secolo quando diviene titolare del feudo il capitano di ventura Paolo di Sangro. L’estendersi dell’uso bellico delle armi da fuoco e il progressivo abbandono della guerra di cavalleria impongono modifiche strutturali. Paolo di Sangro decide di fortificare il lato occidentale, quello più esposto, costruendo una seconda cortina di mura che si andò ad addossare a quella preesistente. Fa poi erigere due imponenti torrioni chiusi con ordine casamattato, per l’alloggiamento delle bocche da fuoco, e sovrastate da un terrazzamento merlato fornito di due archibugiere, ossia ulteriori feritoie attraverso cui era possibile sparare. A fine Quattrocento vennero coperte le merlature sia delle torri che della cortina per creare con il piano sottostante un ulteriore ordine casamattato. Dunque è possibile notare le nuove aperture nella parete per dar luogo alla collocazione delle troniere e delle bombardiere oltre delle già presenti archibugiere, formate da un foro circolare sormontato da un’apertura verticale a croce. Qui vennero posizionati i cannoni e le bombarde.  Fu la corte Aragonese a volere questi adeguamenti, perché temeva rappresaglie francesi da parte dell’esercito di Carlo VIII. Per questo fu chiamato uno dei massimi esperti di fortificazioni dell’epoca: il senese Francesco di Giorgio Martini. A lui si deve il nuovo impianto di fortificazione dell’intero borgo, avvenuto probabilmente tra il 1491 e il 1495. Appartiene a questo stesso periodo, e all’intervento di Francesco Giorgio Martini, l’apertura all’altezza dell’ordine casamattato inferiore di un piccolo portale. Di fronte a questa apertura, all’interno del fossato, vennero eretti due grossi pilastri e al di là del fossato una cinta muraria con camminamento di ronda che copriva l’intero versante occidentale, oggi non più esistente.

Nel 1450, il castello di Civitacampomarano celebrò il matrimonio tra Cola Monforte e Altabella, figlia del più noto capitano di ventura Paolo di Sangro. Un matrimonio politico che fu celebrato con solennità, secondo l’uso «per cultellum flexum», «intra dominos, proceres, nobiles et magnates» del Regno, consegnando alla sposa, a garanzia della corretta esecuzione dei patti matrimoniali, un simbolico coltello a serramanico. Da Altabella, il mercenario Cola ebbe tre figli Angelo, Giovanni e Giovancarlo, ma il loro patto matrimoniale era probabilmente basato esclusivamente su accordi strategici e politici tanto che l’uomo, nell’agosto del 1465, mentre la coppia era in esilio a Mantova, decise di uccidere la moglie, dopo aver appreso di un suo presunto adulterio. Secondo molte leggende locali, il fantasma di Altabella ancora si muoverebbe all’interno del maniero in attesa del ritorno del suo consorte.

Fu proprio Paolo di Sangro che decise di aprire il portale di ingresso al castello sul il lato orientale. Sopra di esso, realizzato in roccia sedimentaria, campeggia il suo stemma araldico.  In esso vediamo ripercorsa nella simbologia, la storia del casato.  Lo scudo gotico a sette bande in oro e azzurro era l’insegna di famiglia. Sopra di essa insiste un elmo con cimiero e un grifo che tiene sotto le zampe due gigli capovolti, emblema degli angioini che furono traditi da Paolo di Sangro nella battaglia della Piana di Sessano nel 1442 a favore della famiglia Aragonese. Ai lati dello stemma ancora si riesce a leggere, nonostante l’erosione, il suo nome scritto in corsivo  Paul[us] de Sa[ngro]. Al lato dello stemma campeggiano due rosette, probabile riferimento al matrimonio della figlia di Paolo,  “la magnifica damicella Altabella”, con Cola di Monforte, conte di Campobasso, il cui stemma familiare include quattro rosette. Lo stemma in marmo che sovrasta quello della famiglia di Sangro è il blasone dei Carafa della Spina, a bande orizzontali con ramo spinoso posto in diagonale. I Carafa furono il casato che succedette ai di Sangro nel dominio di Civitacampomarano.  Successivamente altre famiglie nobili subentrarono nel feudo mentre l’ultima proprietaria è stata Anna Roberti-Calzona.

Un altro spunto interessante di approfondimento potrebbe essere quello di intercettare una presunta connessione tra il Castello di Civitacampomarano e l’opera di Alessandro Manzoni , soprattutto nella creazione narrativa dell’affascinante personaggio dell’Innominato e del suo Castello.  Nel capitolo XX de “I Promessi Sposi” troviamo questa descrizione:

«Il castello dell’Innominato era a cavaliere di una valle angusta e uggiosa, sulla cima di un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. quella che guarda la valle e’ la sola praticabile […].». 

L’ipotesi risulta plausibile poiché, durante l’esilio, Vincenzo Cuoco sostò a Milano per sei anni dove frequentò il salotto di Giulia Beccaria, madre di Manzoni. Qui fece conoscere la visione di Giambattista Vico sulla storia, che confluirà nel concetto di Provvidenza. La descrizione che il Manzoni fa del Castello dell’Innominato rappresenta la fotografia esatta della collocazione del Castello di Civitacampomarano: il maniero, posto a sella d’asino su un costone di roccia, sovrasta due precipizi dove scorrono due torrenti. La morfologia del territorio porterebbe quindi a individuare nel castello di Civitacampomarano proprio quello dell’Innominato.

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Alla scoperta dei Promessi Sposi… a fumetti!

Dal 25 febbraio al 7 maggio WOW Spazio Fumetto – Museo del Fumetto, dell’Illustrazione e dell’Immagine animata di Milano, allestisce una mostra davvero unica dedicata a uno dei più importanti romanzi della letteratura italiana: “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni così come è stato raccontato, reinterpretato, ridotto e parodiato dall’illustrazione e dal fumetto. La mostra è realizzata in collaborazione con il Centro Studi Manzoniani, il Sistema Museale Urbano Lecchese, la Civica Raccolta di Stampe Bertarelli, la Biblioteca Sormani e Pixartprinting.

Un percorso affascinante e mai proposto prima porta il visitatore alla scoperta del mondo manzoniano raccontato per immagini partendo dalla prima versione illustrata del capolavoro, la cui edizione definitiva era già illustrata da Francesco Gonin nel 1840 per preciso volere dello stesso Manzoni, per passare poi a una lunga galleria di divertenti parodie come le disneyane “I Promessi Paperi” e “I Promessi Topi”, quella con i Flintstones protagonisti o la più recente firmata da Marcello Toninelli. Preziose anche le sezioni dedicate alle più riuscite riduzioni “serie” a fumetti: dalla primissima con esposti i preziosissimi originali di Domenico Natoli realizzati nel 1953 per la Magnesia S. Pellegrino agli originali della magistrale versione disegnata da Paolo Piffarerio per Il Giornalino, fino alla recentissima versione a fumetti della vera vita della Monaca di Monza disegnata da Alessandro La Monica per WOW Spazio Fumetto in occasione della mostra allestita ai Musei Civici di Monza.

Non manca uno sguardo attento al collezionismo, con una serie di cartoline tratte dal film di Eleuterio Rodolfi del 1913, via via fino alle storiche figurine Liebig, al cinema e gli sceneggiati televisivi con manifesti cinematografici e contributi video, dal film del 1941 con Gino Cervi allo storico sceneggiato RAI del 1967, fino al kolossal firmato da Nocita nel 1989 e le diverse versioni dedicate alla Monaca di Monza, parodie comprese. A rendere il tutto ancora più affascinante è una sezione dedicata alla scoperta della Milano secentesca in cui Alessandro Manzoni ambientò il suo romanzo.

Alessandro Manzoni inizia a concepire l’idea di un romanzo nel 1821, stimolato dai romanzi storici del contemporaneo Walter Scott, e genera tra il 1821 e il 1823 una prima stesura, dal titolo provvisorio ” Fermo e Lucia”. Compie poi una profonda revisione del testo, modificando anche il titolo provvisorio in “Gli sposi promessi”, dando finalmente alle stampe l’opera con il titolo definitivo “I promessi sposi”, pubblicato a fascicoli dal 1825 al 1827 in un’edizione conosciuta come “la Ventisettana”. Mentre la sua fama si accresce in tutta Europa, Manzoni inizia un processo di profonda revisione linguistica del testo: convinto che l’unica vera lingua italiana possa essere solo quella parlata a Firenze dalle persone colte, si reca nel capoluogo toscano proprio nel 1827, dove ha modo di incontrare importanti personalità, come Giacomo Leopardi e il granduca Leopoldo II di Toscana. Il romanzo “I Promessi Sposi”, dopo la proverbiale “risciacquatura in Arno” vede finalmente la luce nel 1840, detta “la Quarantana”, in un’edizione definitiva uscita a dispense insieme con la “Storia della colonna infame”.

“I Promessi Sposi” è però un romanzo fortemente legato alla sua rappresentazione grafica. L’edizione “ventisettana” del romanzo, non illustrata, era stata ampiamente copiata in tutta Italia in edizioni non autorizzate (in un Paese ancora diviso e in assenza di norme a tutela del diritto d’autore) spesso arricchite da poche illustrazioni di scarsa qualità, naturalmente senza interpellare Alessandro Manzoni, che quindi, per l’edizione definitiva del suo romanzo, cerca con convinzione un illustratore di talento e adatto per completare l’opera narrativa. Lo trova finalmente nel giovane artista torinese Francesco Gonin, che realizza una quantità di illustrazioni senza precedenti. Gonin lavora a stretto contatto con Manzoni, realizzando centinaia di immagini che raccontano ogni momento importante del romanzo, con straordinaria aderenza al testo e di perfetto supporto a questo, in un’impaginazione diretta dallo scrittore stesso.

Per vedere delle versioni a fumetti de “I promessi sposi” occorre però fare un salto di oltre un secolo. Il fumetto italiano, concepito fino agli anni Sessanta per essere rivolto principalmente ai ragazzi, ha spesso affiancato la scuola, dimostrandosi un prezioso alleato per il lavoro degli insegnanti, forse anche per convincere educatori e genitori che il fumetto potesse avere anche un valore educativo e non solo di svago. Sulle maggiori testate a fumetti, come il Corriere dei Piccoli o Il Giornalino, su Vera Vita o Lo Scolaro, i ragazzi potevano trovare rubriche storiche o scientifiche e facevano capolino le versioni a fumetti dei libri che, a casa o a scuola, gli studenti si trovavano tra le mani: i romanzi di Salgari o di Verne, “I tre moschettieri”, “Pinocchio”… e naturalmente il romanzo per eccellenza della scuola italiana, ovvero “I Promessi Sposi”. Iniziando dal 1953, le versioni a fumetti del capolavoro manzoniano si sono moltiplicate, e agli adattamenti (più o meno fedeli, più o meno condensati) del romanzo si sono affiancate innumerevoli parodie. Il punto di riferimento grafico rimane in molti casi il lavoro di Francesco Gonin, ma alcuni autori preferiscono invece prendere strade differenti, anche perché nel frattempo altri illustratori o pittori si sono cimentati nell’impresa.

Curiosamente, però, la primissima versione a fumetti de “I Promessi Sposi”, non nasce per una rivista venduta nelle edicole o nelle chiese: viene realizzata nel 1953 da Domenico Natoli per un piccolo albo “a striscia” sponsorizzato dalla Magnesia San Pellegrino e viene regalato nelle farmacie. In mostra saranno esposte le tavole originali di Domenico Natoli, conservate dalla Fondazione Franco Fossati, che permetteranno di leggere la storia completa attraverso il segno del suo autore e la sua delicata colorazione. Solo due anni dopo, nel 1955, una seconda versione del romanzo viene pubblicata sulle pagine de Lo Scolaro, settimanale genovese di ispirazione cattolica, che si rifà soprattutto al film diretto da Mario Camerini nel 1941. L’intento educativo è evidente, dato che in calce alle tavole a fumetti (senza nuvolette, ma solo con didascalie) vengono pubblicati dei passi scelti del romanzo. La trasmissione dello sceneggiato “I Promessi Sposi”, nel 1967, è un grande evento che incolla al teleschermo oltre 18 milioni di telespettatori. Un kolossal del genere riaccende l’attenzione sul romanzo di Manzoni, e infatti vedono la luce in contemporanea due diverse iniziative ispirate al romanzo: un nuovo adattamento a fumetti firmato da Michele Gazzarri e Sergio Zaniboni e un album di figurine allegato al Corriere dei Piccoli, illustrato da Aldo Di Gennaro e Bruno Faganello. L’album propone alcuni brevi passi del romanzo con illustrazioni in cui i volti dei personaggi sono gli stessi del piccolo schermo: Nino Castelnuovo, Paola Pitagora, Luigi Vannucchi, Salvo Randone… La versione di Gazzarri e Zaniboni invece, pur uscendo insieme allo sceneggiato, non si richiama ad esso, anche se sulla copertina i volti dei protagonisti sono incorniciati da uno schermo televisivo.

Nel 1984, invece, in occasione del bicentenario della nascita di Alessandro Manzoni, viene pubblicata per la prima volta quella che a tutti gli effetti è ritenuta la versione più completa e ricca del romanzo: un adattamento realizzato per il settimanale Il Giornalino, scritto da Claudio Nizzi e disegnato da Paolo Piffarerio.I testi riescono a condensare in sole 80 pagine tutti i momenti più importanti del romanzo, adattandoli con un linguaggio chiaro e comprensibile ai giovani lettori di oggi, mentre Piffarerio realizza meravigliose tavole caratterizzate dalla grande attenzione per i costumi e la ricostruzione storica del periodo.
Grazie alla collaborazione con il Sistema Museale Urbano Lecchese, che si è incaricato della loro conservazione, sarà possibile ammirare in mostra le più belle tavole originali di Paolo Piffarerio, frutto di un lungo lavoro di ricerca e documentazione nelle zone in cui è ambientato il romanzo.

Altrettanto ricco è il filone delle parodie: la primissima viene pubblicata sulla rivista satirica Marc’Aurelio negli anni Cinquanta, ma la più famosa è probabilmente “I Promessi Paperi”. Come spesso accade nel mondo Disney, questa versione non può certo dirsi fedele al romanzo, dato che questa volta il matrimonio “s’ha da fare”, affinché il signorotto Don Paperigo possa liberarsi della scocciatrice di Monza Gertruda, rifilandola al poeta Paperenzo Strafalcino. La Banda Disney tornerà “sul luogo del delitto” nel 1989 con “I Promessi Topi”, pubblicata in occasione di un altro kolossal televisivo, prodotto dalla RAI con un cast internazionale. Quelle Disney non sono però le uniche parodie dedicate al capolavoro di Manzoni: a cimentarsi con il capolavoro manzoniano sono stati i maggiori eroi del fumetto umoristico, come Geppo, Alan Ford e gli Antenati. L’ultima versione comica porta la firma di Marcello Toninelli, già autore della Divina Commedia a fumetti. Lo spirito dissacrante è massimo, pur mantenendo i riferimenti all’opera originale.

La mostra si apre con una sezione dedicata alla figura di Alessandro Manzoni e alla sua opera, focalizzando l’ambientazione. Manzoni sceglie il XVII secolo perché si tratta di un periodo particolarmente conflittuale e turbolento, specchio della situazione di duecento e di quattrocento anni dopo, e occasione per un’indagine sulle radici dell’arretratezza italiana. Lo sfondo milanese diventa, all’interno del percorso espositivo, un’occasione per scoprire una città di Milano davvero poco conosciuta, molto diversa da oggi ma anche dagli anni del Manzoni. Ripercorrendo insieme a Renzo il centro della città, si scoprono strade, piazze, palazzi, un Duomo molto diversi da quelli che conosciamo. Un viaggio nel tempo reso possibile dalla contrapposizione tra mappe e stampe delle diverse epoche, grazie anche alla collaborazione della Civica Raccolta di Stampe Bertarelli (la più ampia collezione italiana, conservata al Castello Sforzesco). Sono poi inquadrati alcuni aspetti importanti del romanzo, utili per la sua comprensione, come il particolare contesto storico in cui si svolge la vicenda e le fonti di cui il Manzoni ha potuto servirsi (prima fra tutte la testimonianza di Giuseppe Ripamonti), e la storia editoriale del romanzo, tra la prima edizione del 1827, quella definitiva del 1840, le edizioni successive, i fascicoli settimanali illustrati di editori come Sonzogno e Perino. Grazie alla collaborazione con il Centro Nazionale di Studi Manzoniani e con la Casa Manzoni di Milano sono esposti numerosi esemplari illustrati de “I Promessi Sposi”, sia edizioni della Ventisettana pubblicate nei vari stati italiani negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, sia edizioni ufficiali della Quarantana con disegni di importanti artisti, come Gustavo Rosso, noto come Gustavino. Il successo del romanzo è testimoniato anche da una ricca selezione di edizioni straniere, provenienti da Francia, Spagna e Germania, dove fu tradotta addirittura la Ventisettana, fino a edizioni cinesi, giapponesi ed egiziane.

Una seconda area della mostra presenta i principali personaggi del romanzo, utilizzando anche le differenti trasposizioni a fumetti, segnalando curiosità e aneddoti legati alle varie versioni. Vengono mostrate alcune caratteristiche proprie dei diversi fumetti, come la maggior attenzione data a un personaggio o un’interpretazione particolare del testo manzoniano. Il percorso sui personaggi contiene inoltre approfondimenti sulle figure del romanzo ispirate a persone reali, come l’Innominato o la Monaca di Monza. A quest’ultima la Fondazione Franco Fossati ha già dedicato (da settembre 2016 a febbraio 2017) la mostra “La Monaca di Monza – dal romanzo al cinema al fumetto”, esposta ai Musei Civici di Monza (un importante gioiello conservativo ed espositivo con il quale il Museo del Fumetto ha stretto un rapporto di gemellaggio). In quell’occasione è stata raccontata a fumetti la vera storia di Gertrude/Marianna de Leyva, disegnata dal giovane autore Alexander Tripood (Alessandro La Monica), le cui tavole originali sono esposte anche a WOW Spazio Fumetto.Sarà poi presente un divertente schema che permetterà di ripassare i momenti più importanti del capolavoro di Manzoni utilizzando i disegni di Marcello Toninelli tratti dal suo recentissimo volume “Renzo e Lucia – i Promessi Sposi a fumetti”.

L’ultima parte della mostra passa in rassegna le varie trasposizioni dei Promessi Sposi, serie e parodistiche, concentrandosi sulle diverse versioni a fumetti del capolavoro manzoniano sviluppate nel secondo Dopoguerra, dagli anni Cinquanta a oggi. Delle edizioni di Domenico Natoli per Magnesia San Pellegrino e di Claudio Nizzi e Paolo Piffarerio per Il Giornalino sono presenti le tavole originali, ma trovano spazio anche i fumetti pubblicati dal Corriere dei Piccoli, dall’editore Gino Sansoni, da Lo Scolaro e così via. Chiudono il percorso le parodie: Promessi Paperi, Promessi Topi, Promessi Diavoli, parodie con Alan Ford e i Flinstones, quella di Marcello Toninelli e altre.

Manifesti cinematografici, locandine, fotobuste, cartoline e video raccontano il parallelo percorso cinetelevisivo dei Promessi Sposi nell’arco di un secolo, dal film muto del 1913 di Eleuterio Rodolfi a quello del 1941 di Mario Camerini, dal lungometraggio di Mario Maffei del 1964 al celebre sceneggiato televisivo di Sandro Bolchi del 1967, fino alla spassosissima versione del Trio Lopez-Marchesini-Solenghi e ai “Promessi Sposi in 10 minuti” del gruppo comico Oblivion, diventato virale qualche anno fa su Youtube.

La mostra allo WOW Spazio Fumetto vede il coinvolgimento di numerose altre realtà culturali milanesi e lombarde, la proposta e la pubblicizzazione di “percorsi manzoniani” e lo sviluppo di attività didattiche sul territorio, secondo un progetto collaborativo tra operatori di settori diversi della città, nell’ambito di Cultura, Turismo ed Educazione. Nel corso della mostra, infatti, diverse realtà museali milanesi collaboreranno per dare vita a una Tre Giorni Manzoniana, tre intense giornate in cui ciascun museo metterà a disposizione le proprie opere e le proprie risorse, contribuendo con le specifiche competenze alla riscoperta dei Promessi Sposi e dei suoi personaggi, sulle tracce di Renzo per strade che conducono ai luoghi della città nel Seicento, ma anche di Alessandro Manzoni e della vita intellettuale di Milano nell’Ottocento e ancora, a saperli vedere, sono identificabili nella metropoli del Duemila.

http://www.museowow.it/wow/

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