Il Rituale delle cento candele

Il Rituale delle cento candele, conosciuto anche come “Insieme dei cento racconti sovrannaturali” o Hyakumonogatari Kaidankai, è una millenaria tradizione giapponese. Le prime testimonianze di questo rituale risalgono al Periodo Edo, quando era d’uso durante i mesi estivi, coincidendo con la festività dell’O-Bon, in cui si credeva che gli spiriti dei defunti tornassero sulla Terra prima di essere guidati nell’aldilà. Si presume che siano stati i samurai a inventare questo rituale, come segno del loro grande coraggio e determinazione.

In seguito, nel 1660, una versione molto simile chiamata Otogi Monogatari venne reintrodotta nella scuola di Ogita Ansei, contribuendo a rinnovare l’interesse per questo rituale nella cultura giapponese.

 

Antiche storie dopo tanto orrore

Sul sangue di quarantamila teste di nemici mozzate si fondò la lunga Pax Tokugawa. Il 1600 segnò infatti la fine del periodo di guerre che vide la disfatta delle truppe avverse al generale Ieyasu Tokugawa. L’assenza di guerre, allontanando i ricordi e gli orrori dei massacri del passato, favorì lo sviluppo di racconti epici che davano vita ad atmosfere cupe e terrificanti, come quella della leggendaria tradizione del rituale delle cento candele che si suppone sia stato inventato da alcuni samurai nel XVII secolo per dar prova del loro coraggio.

Il rituale iniziava dopo l’ora del tramonto: i samurai si ritrovavano in una stanza illuminata dalla luce di cento candele. Ogni samurai raccontava una storia agli altri compagni con l’obiettivo di spaventarli con racconti popolati di mostri appartenenti alla tradizione giapponese. Le Jorogumo, avvenenti donne che rivelano alle vittime la loro reale natura di enormi ragni; i Tanuki, simpatici tassi trasformisti; i Bakeneko, gatti mostruosi; i Kappa, esseri acquatici, che importunano le natanti; le Ningyo le sirene giapponesi la cui carne profumatissima può donare agli uomini giovinezza o morte atroce; Okiku, il fantasma inconsolabile che cerca il decimo piatto a lei rubato…  Al termine della storia di paura chi l’aveva narrata doveva alzarsi, spegnere la candela di una lanterna, prendere uno specchio e specchiarvisi nell’angolo più lontano della stanza: l’oscurarsi della stanza accompagnava la narrazione di racconti sempre più spaventosi e carichi di suspense.

L’Erotismo in Giappone

Ogni qualvolta parliamo di erotismo, ci addentriamo nei meandri della natura umana, nei suoi desideri; percorriamo i ripidi sentieri della mente, scoprendo le sue luci e le sue ombre. L’erotismo è integrato nella cultura del paese in cui si sviluppa, nasce dalla sua storia e dalla sua società. Per questo motivo, alla luce dello sguardo occidentale, le caratteristiche dell’ideale erotico e della sessualità, appartenenti alla cultura nipponica, potrebbero spesso risultare particolari, strambe, eccentriche e talvolta, persino disagianti. Avvertiamo le sue sfaccettature distanti dalla nostra visione perché, molte volte, l’oggetto del desiderio non è strettamente collegato all’atto sessuale in sé. L’eros giapponese sposta l’attenzione verso una serie di pratiche, rituali, azioni e fantasie, culturalmente e socialmente delineate, che differiscono spesso da un immaginario legato alle varianti sessuali “solite” che si vivono tra due partner eterosessuali.

Inoltre, i tabù variano molto rispetto allo standard europeo e statunitense: i concetti di lecito e di trasgressivo sono basati su elementi differenti; non c’è il senso di colpa o la vergogna  tipici dello spirito cattolico che vede certe attività sporche o immorali. Gli scenari che alimentano l’istinto sessuale nascono da un rapporto con il quotidiano, quasi fossero una risposta contrastante con l’uniformità sociale richiesta. Si accentrano, infatti, su elementi con cui si ha un contatto giornaliero e ad esempio una delle forme più comuni di pornografia si basa sul concetto di umiliazione o su specifici fetish estrapolati da fenomeni culturali apparentemente comuni:

Basti pensare ai Burusera shop, in cui burusera è un termine specifico della lingua giapponese creato dall’unione del termine burumā (i pantaloncini/mutandine delle tute da ginnastica) con sērā-fuku (la marinaretta, la tradizionale divisa scolastica femminile), in cui le studentesse giapponesi hanno la possibilità di vendere le loro tute da ginnastica, divise scolastiche, biancheria intima e costumi da bagno scolastici usati nelle lezioni di educazione fisica. Tale desiderio sessuale origina da uno stimolo che caratterizza l’adolescenza nipponica, ovvero la visione onnipresente di questi capi di abbigliamento nel periodo stressantissimo della formazione scolastica e universitaria.

Un altro classico feticismo, piuttosto diffuso anche in altre parti del mondo, è quello per il piede femminile, esaltato nelle opere di uno degli scrittori erotici più sofisticati del XX secolo, Tanizaki Jun’ichiro, tanto che esso divenne uno degli oggetti più caratteristici all’interno dei suoi romanzi. Il piede è un elemento con cui si è spesso in contatto, vista la loro abitudine di togliersi le scarpe nei luoghi privati e nei bagni misti. In Giappone non si ha la paura di affrontare anche temi estremamente controversi come nei rape-games, ovvero, i videogiochi a tema stupro, giocati senza scrupoli morali e molto comuni. Essi non sono giudicati con severità, a differenza dell’Occidente, che invece ne rimane piuttosto scioccato e inorridito. Un ruolo fondamentale, che ha definito, sino ai giorni nostri, l’erotismo e la sessualità nel paese del Sol Levante, è stato svolto dalla sofisticata tradizione dell’arte erotica.

Durante il periodo Edo, tra il 1600 e il 1868, divennero particolarmente popolari gli Shunga, tradotto come “pittura della primavera”, un eufemismo che si riferisce a scene e atti erotici, realizzati o impressi, su rotoli o fogli singoli di carta dagli artisti coinvolti nella stampa artistica ukiyo-e. I temi, rappresentati, affrontavano tutte le sfumature della sessualità, sia eterosessuale che omosessuale, considerata come un elemento parecchio comune ed accettato in quell’epoca, sia tra gli uomini che tra le donne.  Diversamente da come ci aspetteremmo, i protagonisti che apparivano nelle scene Shunga sono vestiti, lasciando scoperte alcune specifiche zone del corpo, dato che era molto più eccitante il concetto di “vedo, non vedo”, che lasciasse spazio all’immaginazione.

Le ambientazioni erano realistiche, dimore, bagni pubblici, postriboli o all’aperto, come lo erano i personaggi, tranne per i genitali, che spesso venivano esagerati nelle dimensioni. Alcuni shunga contenevano anche scene di zooerastia come “Il sogno della moglie del pescatore” di Katsushika Hokusai, in cui una donna ha un vero e proprio rapporto sessuale con due polpi. I personaggi più frequenti dei shunga erano spesso cortigiane e prostitute altolocate, che, per le loro condizioni quasi regali, erano inaccessibili alla maggior parte della popolazione. Solo gli uomini molto ricchi potevano sperare di usufruire dei loro servizi, mentre le donne comuni vedevano in loro dei soggetti affascinanti, visto che avevano accesso a tutta una serie di privilegi che ad una moglie non erano concessi, come la cultura e la conoscenza della dialettica.

Kitagawa Utamaro, uno degli artisti che ispirò i più grandi autori dell’Impressionismo in Europa, era caratterizzato non solo dalle raffigurazioni di splendide cortigiane, ma anche da scene omoerotiche, in cui erano presenti degli attori del teatro kabuki, che interpretavano ruoli femminili.  Questa forma d’arte erotica conserva, tutt’oggi, il suo fascino e nel 2013, infatti, al British Museum di Londra venne organizzata una grande mostra dal titolo “Shunga: sex and pleasure in Japanese art”. Inoltre, gli shunga sono stati una delle principali ispirazioni per la produzione di manga erotici in giappone, soprattutto per quanto riguarda il genere hentai. Ricordo con piacere quella mostra, ci andai quasi apposta a Londra, colpito dal fatto che un istituzione cosi grande dedicasse una mostra all’erotismo, addirittura per la prima volta fu limitato l’ingresso ai maggiori di 14 anni. Passai ore ad ammirare dipinti e stampe, cercando quelli in cui fossero presenti corde e shibari, restai un pò deluso dalla loro mancanza, ma non dalla perfezione delle opere.

Tsukioka Yoshitoshi, viene unanimemente considerato, l’ultimo grande maestro di Ukiyo-e a tema erotico: la tecnica infatti morì con lui, sostituita dalla fotografia.   Yoshitoshi diede una nuova svolta all’arte erotica giapponese, introducendo tematiche cruente e sanguinose, che portarono su carta un’esaltazione della violenza sadica. La sua opera più conosciuta è “La Casa solitaria sulla Brughiera di Adachi” del 1885: una raffigurazione macabra, che mette a disagio, ma da cui si riesce con difficoltà a staccare lo sguardo, a causa dell’intenso magnetismo verso ciò che è terribile, ma allo stesso tempo pura forza distruttrice sessualizzata. Il famigerato dipinto di Yoshitoshi, ebbe un tale fascino, che, un altro artista, Itoh Seiu, riuscì a dare i natali all’arte delle legature erotiche ed, infatti, è proprio lui il capostipite del kinbaku.

Come pittore, Itoh fu molto interessato alle forme artistiche del periodo Edo, lavorava spesso come pittore di scene nel kabuki, dai cui trasse spesso ispirazione. Sviluppò un caratteristico filone artistico, denominato “La Bellezza nella Sofferenza” attraverso cui riproduceva le torture tipiche del periodo feudale Giapponese.
L’ispirazione per i suoi dipinti derivava, però, dalla fotografia: per riuscire a rappresentare le torture del periodo Edo, legava le sue modelle in varie posizioni, le immortalava e da tali foto traeva ispirazione per i suoi quadri. Con il passare del tempo prese a dedicarsi sempre più proprio alla fotografia, che fu per lui una scelta di modernizzazione. Legava e torturava le sue modelle consenzienti e volenterose di sottoporsi ai suoi progetti e, ad un certo punto della sua carriera, ne sposò una, Kise, rendendola la sua seconda moglie. Essa viene ricordata per essere stata legata a testa in giù, mentre era incinta, per rappresentare il dipinto di Yoshitoshi proprio in maniera identica alla raffigurazione.

Fu in quel momento, che erotismo, umiliazione e tortura iniziarono a viaggiare sulla stessa linea, fondendosi imprescindibilmente e lasciando un misto tra disagio e attrazione nell’osservatore. L’arte erotica dello shibari, nata proprio dalle ricerche artistiche di Itoh Seiu, è strettamente collegata all’umiliazione e alla sessualizzazione della sofferenza e della vergogna, che il bunny prova durante il momento di costrizione tra le corde. Altri artisti hanno tratto ispirazione dell’arte erotica degli Shunga come l’illustratore e pittore, Toshio Saeki, che si è ispirato chiaramente a queste opere, sottolineandone gli aspetti più cruenti, violenti e dissacranti, riportandoli nelle nostra epoca. Egli è riuscito ad unire la tradizione artistica, erotica e violenta, giapponese con le sue ossessioni più profonde, evidenziandole attraverso uno stile composto da contorni marcati e colori brillanti alla maniera pop. Saeki si caratterizza per atti sessuali estremi che si collegano con il concetto di morte: il decesso di uno o entrambi i protagonisti; l’incontro sessuale disagiante di vivi, morti e demoni; la contrapposizione tra i soggetti giovani e belli, spesso incarnati da studentesse appena adolescenti, con esseri mostruosi, demoniaci o necrofili, sono tutti elementi tipici dell’arte di questo autore, che ben esemplificano un tipo di sessualità estrema, proiettata oltre la realtà possibile, verso i confini onirici.

Anche la fotografia, però, non è stata da meno: assieme agli shunga, alle arti pittoriche ed illustrative, rappresenta uno dei mezzi attraverso cui è stato meglio espresso il concetto di sensualità, erotismo, caratterizzante la cultura giapponese. Ne un più che valido esponente Nobuyoshi Araki, considerato uno dei maestri indiscussi della fotografia contemporanea. Il suo stile è noto per essere volutamente provocatorio, erotico e controverso, e che più volte gli ha causato problemi con la legge, a causa delle numerose accuse di oscenità. Egli pubblicò moltissimi libri e lavorò per numerose riviste, ma i suoi reportage più esemplificativi sono quelli sull’industria del sesso giapponese: “Tokyo lucky hole” raccoglie molte delle fotografie scattate in un quartiere a luci rosse di Shinjuku, fiorente negli anni ‘80 del secolo scorso, in cui si aveva la possibilità di soddisfare le proprie fantasie erotiche, anche quelle più particolari. Infatti nel quartiere si potevano trovare coffee shop in cui le cameriere non indossavano le mutandine, mentre si muovevano su un pavimento di specchi; particolari massaggi che venivano praticati tramite dei fori aperti su delle bare; locali in cui praticare shibari o in cui ci si poteva semplicemente stendere accanto ad una ragazza che dormiva. Tra tutta la possibilità di scelta, spiccava un night club di Tokyo chiamato Lucky Hole. Il suo nome non era di certo scelto a caso: i clienti stavano in piedi da un lato di un sottile muro divisorio in legno, mentre un’hostess stava dall’altro e a collegarli c’era un foro abbastanza grande da permettere di infilarci l’organo genitale maschile. Si capisce quindi che Araki era un assiduo frequentatore dei night club in quella zona e ne descrisse, ampiamente, il fascino attraverso le sue magnetiche fotografie.

La sessualità è uno dei pilastri su cui è costruita la cultura e la struttura sociale giapponese.  In generale, nel suo iter storico e religioso, non esiste una chiara linea di demarcazione tra ciò che è giusto ed etico e ciò che è sbagliato e immorale, ma si esaltano particolari simboli, talvolta provenienti dal passato: l’onore per la morte violenta e sanguinosa degli antichi guerrieri viene tradotta oggi in un gusto esplicito per il sadismo, il sangue e la sofferenza, proprio come ci narra Yukio Mishima nel suo “Confessioni di una maschera”: lacerare la pelle e vederne il sangue sgorgare rappresenta un elemento di massima perfezione sadica ed eccitante, insieme ad un’espressione del viso che esprime paura e dolore che portano quasi alla follia.  Anche l’attrazione per l’orrido, la morte, la mutilazione, l’onirico e i rapporti incestuosi è una caratteristica comune e ben presente anche nello scenario letterario, oltre che artistico, influenzato a sua volta dal folklore e dalle antiche credenze di questo popolo.  Attraverso questo excursus di immagini, opere d’arte e personaggi immortali, la cultura giapponese ci diventa leggermente più chiara e comprensibile, ed il fascino per le differenze con il nostro modo di pensare la sessualità, aumenta in modo inevitabile. Come kinbakushi, sono spesso entrato in contatto con queste sfere, rimanendone prima sorpreso, ma poi facendole diventare parte del mio lavoro. Io stesso ne sono rimasto colpito e ora molti di questi approcci rientrano nel mio modo di pensare, vivere e costruire la sensualità e l’erotismo.
Guardare il Giappone attraverso la camera da letto.

Davide La Greca

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Davide “MaestroBD” La Greca, una vita per il gioco

Se si potesse avere accesso alla registrazione della vita di Davide La Greca, premere il dito sullo schermo e farlo scorrere per visualizzare 49 anni di esistenza in un minuto, salterebbe senza dubbio all’occhio la presenza di un colore ricorrente: il beige. Che cos’è tutto quel beige? Sono corde di juta, strumento primario dello Shibari, una disciplina giapponese che consiste nel legare e immobilizzare il partner e che è una parte fondamentale della vita di Davide, che lo Shibari lo insegna, lo immortala, lo porta sui palchi di tutto il mondo, e soprattutto lo vive. Siamo estremamente contenti di potervi raccontare di Davide, senza il quale, non ci sarebbe mai stato “Satyrnet”, almeno come lo conosciamo oggi: fu appunto Davide ad introdurci nel magico mondo degli eventi Nerd e aprirci le porte al nostro futuro!

Accanto alla passione per lo Shibari ce n’è però un’altra, nata ancora prima di quella per le corde: il gioco. Anche se ora il tempo per il gioco si è un po’ ridotto Davide arriva dal mondo dei giochi di ruolo dal vivo, in cui ha vissuto per tantissimi anni e che ha contribuito a sviluppare: fu probabilmente uno dei primi in Italia a fare gioco di ruolo dal vivo e convinse tanti altri a unirsi a lui. Il suo primo contatto con il gioco fu Dungeons & Dragons, che un amico di famiglia gli portò di ritorno dall’America quando ancora in Italia non si sapeva cosa fosse. Iniziò a giocare insieme ai genitori e al fratello, ma D&D e i giochi da tavolo lo presero talmente tanto che convinse a giocare anche gli amici, e capitava che il lunedì mattina arrivassero a scuola direttamente da un incontro di gioco, in carenza di sonno e senza compiti. Partecipò alle prime due edizioni del campionato nazionale di D&D (vincendo persino alla tappa romana) e poi passò ad arbitrare il torneo.

Nel ‘98 fu uno dei promotori e dei i cinque fondatori di GRVItalia (associazione attiva ancora oggi), con cui organizzò svariati progetti legati al gioco di ruolo dal vivo e che aiutò a sua volte altre associazioni a nascere e crescere, e che portò il gioco di ruolo a Lucca. Il ricordo più forte di quel periodo sono l’energia e l’entusiasmo che animavano l’associazione, e tutte le persone che hanno iniziato a giocare con lui da ragazzini e che da allora ha visto crescere.

Insomma, Davide era un nerd quando ancora essere nerd non era di moda e implicava essere un outcast. A questo proposito mi racconta sorridendo un episodio della sua adolescenza: lui e il suo migliore amico di allora salgono su un autobus mentre discutono animatamente di draghi e di mostri, parlando di una qualche avventura vissuta insieme. Nel giro di dieci minuti si accorgono però che c’è qualcosa di strano: si guardano attorno e scoprono di essere cirdondati dal vuoto, con la gente che si schiaccia sulle pareti dell’autobus pur di tenersi lontana da loro. Ai loro occhi probabilmente quei due ragazzini che parlavano di mostri sembrarono due pazzi satanisti. Oggi invece essere nerd sembra quasi figo. Quando era ragazzo lui chi si faceva le nottate a giocare a X-wing il giorno dopo non lo si raccontava, mentre ora magari ci si fa una diretta su Twitch e si rischia anche di guadagnarci. Il che è un bene, perché significa che certe fantasie sono state liberate, ma al contempo lascia un po’ stupito chi come Davide si riconosce in film come Ready Player One di Spielberg.

Anche il BDSM, altra pratica che è parte della sua vita da tanto, è a suo modo un gioco di ruolo, seppur meno “giocoso” e molto legato all’immedesimazione e alle sensazioni, un po’ come i giochi di ruolo più complessi e moderni in cui si crea un personaggio che abbia una propria vita e una propria personalità che poi chi gioca adotta e fa propria durante il gioco. Nella vita di Davide gioco di ruolo e BDSM sono particolarmente intrecciati, tanto che si è trovato a giocare nel ruolo di torturatori o di personaggi che si occupavano di sessualità, ma anche a recitare se stesso in un futuro cyberpunk. Ve li immaginate degli spettacoli di Shibari in un mondo cyberpunk?

Ormai Davide vive la sua passione per lo Shibari e il BDSM apertamente e su tutti i profili social suoi e della sua scuola si legge il suo nome, ma non è stato sempre così. Gli chiedo di raccontarmi quando ha deciso di esporsi per la prima volta e mi spiega che iniziò a crearsi un personaggio pubblico quando nei primi anni 2000 gli venne chiesto di tenere dei corsi di Shibari insieme a un collega: era fondamentale avere un personaggio per risultare credibile e poter riuscire a vendere i corsi. La vera svolta fu però il primo spettacolo pubblico di Shibari, che Davide ricorda ancora molto bene: un locale pubblico a Roma nel quartiere Ostiense, una legatura a terra perché nel locale non c’erano punti per sospendere, un tavolo quadrato su cui esporre la modella e della cera bollente. Ma il ricordo più nitido resta quello del coinvolgimento e delle espressioni del pubblico, affascinato da quella ragazza seminuda con la cera che le colava addosso. A quel palco ne seguì un secondo e poi un terzo, e poi sempre di più, fino ad arrivare alla consolidata carriera di performer internazionale che Davide ha ora alle spalle. Nonostante i palchi siano più grandi e attrezzati, il pubblico più numeroso e gli spettacoli più frequenti, dietro a ogni esibizione c’è ancora oggi lo stesso desiderio di incantare e far emozionare il pubblico che lo mosse per la prima volta più di 20 anni fa. Il suo nome invece iniziò ad apparire (in sostituzione o accanto al nick MaestroBD) quando verso la fine del primo decennio degli anni 2000 fondò la prima vera associazione italiana per il BDSM e ne divenne presidente, perché dovette utilizzare il proprio nome per assumere l’incarico. Mi spiega che dopo tutti questi anni non c’è più una netta distinzione tra personaggio pubblico e persona: il Davide che fa lezione o che organizza e partecipa a eventi è il Davide reale, con i suoi pregi e i suoi difetti. Gli unici momenti in cui ancora emerge il personaggio è quando si trova su un palco, perché il palco è un universo diverso, una bolla in cui hai il potere di essere qualcun altro.

Gli chiedo di descriversi e di raccontarmi in che modo vive se stesso e inizia in modo “tecnico”, definendosi un cismale pansessuale, ovvero una persona “riconosciuta maschio alla nascita e che si percepisce uomo” con un orientamento sessuale aperto a tutte le identità di genere. Aggiunge poi che lui si definirebbe vecchio, ma ogni volta che ci prova si scontra con una certa opposizione da parte dei suoi interlocutori, quindi ora il compromesso è vecchio saggio, che in effetti gli si addice. La parte più importante della sua identità è però l’essere un sognatore che crede ancora nel costruire, nell’inventare, nel condividere, nel fare cose. Questo aspetto caratteriale si riflette anche nel suo lavoro: il suo obiettivo è creare emozioni e poi farle uscire; far vedere quello che c’è dentro a qualcuno senza spogliarlo nudo, senza umiliarlo; tirare fuori il bello che c’è dentro alle persone, quella parte legata anche alla sessualità, bella ma pulita. E allora Davide costruisce ragnatele di corda intorno alle persone e intorno alle cose, con lo scopo di suscitare un’emozione e per liberare e raccontare di una bellezza che va oltre l’estetica corporea.

Quali sono i punti di riferimento di una persona che ha votato la sua carriera alla creazione di emozioni? In primo luogo il suo maestro Yukimura Ryu, da cui trae il proprio approccio allo Shibari: intimo, caldo, suadente. Ma l’esempio del maestro va anche oltre le corde: Yukimura era un uomo tenace, instancabile, che fino a pochi giorni dalla morte ha portato avanti progetti e organizzato eventi. L’altra fonte di ispirazione di Davide è Ieyasu Tokugawa, imperatore giapponese che unificò e riformò il Giappone tra la fine del sedicesimo e l’inizio del diciassettesimo secolo. Uomo con un’attenzione ai particolari mostruosa, Tokugawa creò il Giappone che oggi conosciamo e pose inconsapevolmente le basi per la nascita dello Shibari: decretò che solo quattro forme di tortura erano accettabili, e due di queste prevedevano l’uso delle corde; spinse indirettamente l’uso delle corde come strumento di immobilizzazione perché cacciò tantissimi Samurai dalla loro casta e li costrinse a trovarsi un nuovo lavoro, e tanti finirono ad insegnare lo hojojutsu (un’arte marziale che utilizza le corde e che fino ad allora era una pratica segreta conosciuta solo dai Samurai); creò e legalizzò i quartieri a luci rosse giapponesi, dove nacque poi la figura della Geisha che a sua volta diede vita a un immaginario erotico specifico connesso allo Shibari. Insomma, la sua influenza su questa pratica è notevole.

Passiamo a parlare in termini più ampi della società odierna e gli chiedo se secondo lui si possa ancora parlare di “trasgressione” o se sia più opportuno parlare di libera espressione di sé, e soprattutto se ci sia e quale sia la linea di demarcazione tra questi due concetti. Mi dice che la parola trasgressione di per sé piace perché viviamo in un mondo di regole rigide e l’idea di trasgredire ci fa sentire meglio, ma che nel BDSM non c’è nulla di trasgressivo. Al contrario chi pratica BDSM ha molte più regole etiche, morali e strutturali rispetto a chi non lo pratica perché nel BDSM cose come la cultura del consenso, il rispetto dell’altro e il rispetto delle regole sono fondamentali e “trasgredire” può portare a conseguenze molto gravi, anche dal punto di vista legale. Qualsiasi pratica si scelga, l’importante è svolgerla in maniera integrata, facendo sì che non comprometta la propria vita sociale, relazionale e lavorativa. È un ragionamento che in realtà vale per qualsiasi cosa: anche il tifo calcistico è sano se integrato in una vita normale, ma diventa un problema se ci si mette a lanciare i motorini dal terzo anello di San Siro o se si spende in trasferte più di quanto si guadagna.

Se da un lato il BDSM non quindi è una trasgressione di per sè, è anche vero che da parte di chi non lo pratica viene spesso percepito come un qualcosa di assurdo e che non sempre è facile essere se stessi in una società ancora piena di pregiudizi verso ciò che non conosce. Davide mi dice che serve tanta integrità personale e soprattutto che si deve essere disposti a perdere qualcosa. Gli chiedo cosa intende e mi spiega che ci sono persone che non vogliono avere a che fare con lui perché fa qualcosa che va al di fuori dei loro schemi mentali, anche se quelli che hanno il coraggio di dirglielo in faccia sono sempre meno. Mi racconta che la prima casa che ha trovato quando si è trasferito l’ha persa perché quando il proprietario l’ha cercato su Facebook e ha scoperto che lavoro fa si è rifiutato di affittargliela. Ultimamente però le cose stanno un pochino cambiando, per esempio recentemente è andato a rinnovare la assicurazione e l’assicuratrice voleva vendergli a tutti i costi una assicurazione per gli incidenti; quando gli ha chiesto che lavoro facesse lui le ha detto la verità e, dopo i primi due o tre minuti interdetta, gli ha trovato un’assicurazione che fosse in grado di coprire anche il suo lavoro.

Lasciamo da parte le assicurazioni e torniamo a parlare di Shibari e mondo nerd, uniti prima di tutto dalla fantasia su cui entrambi si basano. Davide mi spiega che lo Shibari è fortemente legato ai manga, in cui ricorre spessissimo: essendo parte integrante dell’erotismo e della cultura giapponese da ormai un secolo, le corde fanno la loro comparsa in tantissimi manga erotici e non. Lo Shibari compare poi in tantissimi film di Samurai giapponesi, che sono un po’ l’equivalente dei Western per gli USA. Nell’immaginario giapponese quindi le corde ci sono sempre state, e negli ultimi anni sono passate dalla rappresentazione mediatica a quella in carne e ossa. Tantissima gente che fa cosplay include le corde nei propri cosplay, e anche in questo caso non si tratta per forza di cospaly con una sfumatura erotica. A questo punto Davide prende il cellulare, traffica un po’ e mi mostra una foto di gruppo. Dieci persone, di cui nove con addosso un kigurumi, e otto di loro sono legate. Tra le corde vedo un coniglio, un unicorno, un lupo, ma soprattutto un Pikachu. Sorride e mi dice che il Pikachu l’ha legato lui e che si è divertito parecchio a farlo. Continua poi il discorso e aggiunge che le corde e il BDSM sono presenti anche nei fumetti americani, per esempio in Sunstone. Anzi, i primi media a raccontare le corde contemporaneamente o forse anche poco prima dei giapponesi sono stati proprio i fumetti della Golden Age americana, quelli di Stanton, Egen e Irving Klaw, che poi sono stati i papà putativi di Tempest Storm e Betty Page. Quindi il fumetto americano è stato uno dei primi a rappresentare le corde. Le prime donne legate che lui abbia mai visto, mi dice Davide con tono divertito, sono quelle di Wacky Races (in italiano La corsa più pazza del mondo), un cartone animato per bambini della Hanna-Barbera in cui Penelope Pitstop finiva regolarmente legata sui binari.

Poi con l’avvento dei social network il BDSM e lo Shibari sono usciti sempre più allo scoperto e da attività di nicchia si sono trasformati in pratiche discretamente diffuse. Internet permise di creare i primi siti di divulgazione; in Italia uno dei primi fu il sito di Dr. Fazio, che pubblicava dei tutorial disegnati di Bondage. Per l’epoca era qualcosa di incredibile. Poi con social come MySpace o Facebook si sono create le prime comunità e fare divulgazione è diventato ancora più semplice. L’impatto di internet e dei social network sul BDSM è quindi stato grosso, ma lo è stato anche per il mondo nerd: su internet potevi trovare di tutto e potevi capire che eri uguale ad altri diecimila, e se sei uguale ad altri diecimila sei “normale”, sei comune. Tanto che ora nel BDSM si sta assistendo al processo opposto: chi lo pratica sta cercando di fare un po’ il punto della situazione e far capire che è bello poter essere ciò che si vuole, ma che ci sono delle regole da rispettare.

Come ultima cosa gli chiedo di raccontarmi un caso in cui si è dovuto scontrare con del criticismo pesante, e poi, per concludere la nostra intervista con qualcosa di positivo, un caso in cui invece gli è successo qualcosa di bello. Davide risponde che le critiche per lui sono all’ordine del giorno: quando si vive apertamente e si è un personaggio pubblico ricevere critiche è la prassi. Aggiunge che in 30 anni di carriera e in 15 anni di lavoro come personaggio pubblico di errori ne ha fatti, ha avuto alti e bassi, e di gente che ha approfittato dei bassi per rendergli la vita un pochino più difficile ce n’è sempre stata. Col tempo ha capito che il modo migliore per gestire le critiche è ascoltarle, cercare di capire se contengono qualcosa di importante da mettere tra quello su cui deve lavorare e poi tirare dritto per la propria strada. Non serve prendersela o starci male, non ne vale la pena. Come aneddoto conclusivo sceglie di raccontarmi qualcosa che gli è successo qualche giorno fa. Ha iniziato da poco a tenere una rubrica settimanale sul Bondage e lo Shibari su Clubhouse, e durante una chiacchierata una persona gli ha detto con entusiasmo che stava leggendo un libro sullo Shibari e che lo stava trovando molto interessante. Davide le ha allora chiesto che libro fosse, lei è andata a prenderlo e una volta tornata al microfono ha esclamato sorpresa “ah ma è il tuo!”. Il fatto che non si fosse accorta di parlare con l’autore del libro che stava complimentando rende i suoi apprezzamenti sinceri e ancora più di valore e soprattutto, dice Davide, è stato divertente vedere la sua reazione quando se n’è resa conto.

Lo saluto con una stretta di mano, lo ringrazio e mi incammino verso l’uscita. Mi sa che potrei farmi contagiare dall’entusiasmo di quella ragazza e mettermi anche io a leggere qualche libro sullo Shibari…

Per conoscere meglio Davide La Greca, la sua eccezionale storia e la sua immensa creatività vi consigliamo di visitare il suo profilo Facebook MaestroBD.DavideLaGreca; la sua Pagina Ufficiale @MaestroBD.Kinbakushi; il sito internet maestrobd.it e, ovvviamente su instagram instagram.com/Spaziomusubi e instagram.com/maestrobd2.

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