Nathan Never: Presenze. La variant cover realizzata da Midjourney

«Un computer meriterebbe di essere definito “intelligente” nel momento in cui riuscisse a ingannare un essere umano facendogli credere di essere esso stesso un umano»

Scrisse così nel 1950 il matematico Alan Turing, uno dei padri dell’informatica, nella descrizione del test che prende il suo nome ed è pensato proprio per valutare il grado di mimetismo umano di un’intelligenza artificiale.

Sono ormai parecchi anni che il computer si è fatto strada sui tavoli da lavoro dei disegnatori di fumetti, anche in Italia, ma lo sviluppo di vere e proprie “intelligenze artificiali” volte alla creazione autonoma di opere artistiche è un ambito di ricerca relativamente recente della scienza informatica, cui gli organi di stampa hanno dato spesso ampio spazio. Uno dei programmi più citati, quando si parla di Intelligenza Artificiale è Midjourney, capace di creare immagini partendo da semplici descrizioni testuali di ciò che si vuole ottenere.

È proprio con Midjourney che Sergio Giardo ha compiuto l’esperimento di creare la prima copertina di un albo Bonelli disegnata da un’Intelligenza Artificiale. Un esperimento – perfettamente riuscito! – Dal quale nasce un’edizione variant di “Presenze”, l’albo di Nathan Never per cui era stata realizzata. Nathan Never 379 Variant, testi di Bepi Vigna e disegni di Max Bertolini, copertina di Sergio Giardo & Midjourney. Dal 25 novembre a Cartoomics, Al Bonelli Store e nel  sito ufficiale.

La Bufala dei robot che parlano tra loro

Perché (per ora) possiamo stare tranquilli: le macchine non hanno preso il sopravvento

Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia di due ROBOT che avrebbero iniziato a parlare tra loro in una lingua sconosciuta, prima di essere fermati dagli scienziati spaventati per le conseguenze di questa “evoluzione artificiale”. Terminator sembrava dunque essere alle porte, con i robot che prendono il sopravvento sugli umani.

Ma è andata veramente così? La risposta è NO, si tratta di una BUFALA. E Satyrnet vi spiega perché.

Nel 1950 il matematico Alan Turing, ideatore della famosa macchina di Turing – primo concetto di  computer moderno -, si chiese come determinare la capacità di pensare di un’intelligenza artificiale. Ideò quindi un famoso test, in cui si provava a far comunicare un essere umano con una macchina. Obiettivo, vedere se l’uomo era in grado di capire che dall’altro lato ci fosse un robot.

Ci hanno provato in molti: da Apple (con Siri) a Microsoft (con Cortana), e ci sta provando anche Facebook, cercando di sviluppare dei Bot. Cosa sono i Bot? Utenti macchina realistici, programmati per “imparare”. In questi giorni si è parlato appunto a lungo di un esperimento intentato proprio da Facebook, in cui due  Bot hanno parlato tra loro.

Un esperimento semplice, per vedere come reagissero tra loro. Ma questi hanno improvvisamente iniziato a comportarsi in modo strano, sviluppando un codice “nuovo”. Basato sull’inglese, ma incomprensibile…

I tecnici hanno allora sospeso l’esperimento, perché evidentemente qualcosa non aveva funzionato. La notizia come dicevamo è stata ripresa  in termini apocalittici e catastrofici, in cui si raccontava di due robot in grado di comunicare tra loro senza essere compresi dagli umani.

Ma la realtà è diversa per fortuna, perché in pratica i due Bot hanno semplicemente sviluppato un sistema di codice differente, basato sull’inglese. 

Un codice incomprensibile per gli astanti ma che, a quanto pare, i due interlocutori riuscivano a capire benissimo. Un codice che non è stato programmato, ma si è creato lì per lì, sulla base degli algoritmi pensati proprio perché i due bot potessero arricchire il loro linguaggio, di fatto, imparando.

Pensare ad un Bot capace di imparare è affascinante. Lo possiamo vedere come un bambino che prima o poi scoprirà come parlare ed agire da adulto. Ma la cosa che più colpisce è il miglioramento del codice utilizzato.

E’ davvero interessante da un punto di vista comunicativo che siano riusciti a sviluppare un nuovo codice comprensibile. Forse questo ci potrebbe aiutare anche a capire i vari nodi irrisolti sullo studio della comunicazione umana.

Voi che ne pensate?

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