Paese d’ottobre di Ray Bradbury: la raccolta di racconti perfetta per l’autunno

A ottobre, la luce del sole declina e le ombre si allungano, creando un’atmosfera magica e misteriosa. È in questo periodo dell’anno che Ray Bradbury ambienta la sua raccolta di racconti “Paese d’ottobre”, un’opera in cui il confine tra reale e surreale si fa labile, dando vita a storie affascinanti e inquietanti.

Sinossi

“Paese d’ottobre” è una raccolta di diciannove racconti ambientati nel Middle West americano, luogo d’origine dell’autore. I racconti mescolano dettagli realistici a spunti fantastici e macabri, dando vita a un’opera unica nel suo genere che rende le terre del Midwest teatro di accadimenti sconvolgenti e inimmaginabili.

Il confine fra quotidiano e surreale

In “Paese d’ottobre”, il confine fra reale e surreale, fra quotidiano e soprannaturale, è labile, quasi inesistente. I racconti attraggono e intimoriscono al tempo stesso, trasportando il lettore in un universo parallelo del tutto somigliante al nostro, in cui tutto è possibile.

Temi e argomenti

I racconti di “Paese d’ottobre” esplorano una vasta gamma di temi e argomenti, tra cui:

  • La natura del male e del soprannaturale

  • La paura e l’angoscia

  • L’amore e la perdita

  • La crescita e la trasformazione

“Paese d’ottobre” è una raccolta di racconti affascinante e inquietante, che non lascia indifferenti. È un’opera che merita di essere letta e riletta, soprattutto durante la stagione autunnale, quando la luce e l’atmosfera creano un’atmosfera ideale per immergersi nelle storie di Ray Bradbury.

Cosa vuol dire “Ottobrata romana”?

C’è stato un tempo in cui l’ottobrata romana era famosa in tutto il mondo. E da tutto il mondo ad Ottobre fiumi di turisti invadevano Roma: un mese unico per il clima, la luce, gli odori. L’ottobrata era una seconda estate, le altre città avevano un’estate sola, Roma due.

Il termine “Ottobrata romana” affonda le sue radici nelle enormi feste che chiudevano la vendemmia sin dal tempo dei primi abitanti dell’Urbe. Si organizzavano gite fuori porta e non c’erano distinzioni tra nobili patrizi e plebei e si racconta che al terzo bicchiere di buon vino non si capiva più chi aveva 4 cognomi e chi faceva lo sguattero. Durante le Ottobrate ci si vestiva eccentrici, e le donne erano piene di fiori e piume.

In tempi più recenti, beh recenti…diciamo intorno al 1700/1800, era consuetudine partire di giovedì; ci si svegliava presto e si partiva con le carrettelle trainate da cavalli. Sopra c’erano sette ragazze vestite a festa. E c’era anche la bellona, seduta accanto al carrettiere. Altri uomini seguivano il carro a piedi. Arrivati fuori porta si iniziava a giocare. Si giocava a tutto: bocce, ruzzola, altalena e alberi della cuccagna; poi c’erano i canti, balli, stornelli, vino a fiumi e grandi mangiate: immancabili erano gnocchi, gallinacci, trippa e abbacchio.

Si ballava fino a tardi, soprattutto il saltarello che era suonato con tamburelle, chitarre e nacchere e accompagnato da un ritornello che recitava:

“birimbello birimbello
quant’è bono ‘sto sartarello
smòvete a destra smòvete a manca
smòvete tutto cor piede e coll’anca”.

Una delle mete più gettonate era il monte Testaccio, le campagne intorno a ponte Milvio, le vigne poste tra Monteverde e porta San Pancrazio o fuori porta San Giovanni e porta Pia. Erano veri e propri baccanali… ovvio: discendevano dalle feste dionisiache degli antichi Romani!

Giggi Zanazzo, studioso di tradizioni popolari romane, parla così delle Ottobrate romane:

“Siccome Testaccio stà vvicino a Roma l’ottobbere ce s’annava volontieri, in carozza e a piedi. Arivati llà sse magnava, se bbeveva quer vino che usciva da le grotte che zampillava, poi s’annava a bballà er sartarello o ssur prato, oppuramente su lo stazzo dell’osteria der Capannone, o sse cantava da povèti, o sse se giôcava a mora”. E racconta poi di come il ritorno a Roma fosse molto più chiassoso della partenza: “la sera s’aritornava a Roma ar sôno de le tamburelle, dde le gnàcchere e dde li canti… E ttanto se faceva a curre tra carozze e ccarettelle che succedeveno sempre disgrazzie”.

Le Ottobrate resistettero fino alla fine del governo papale, poco dopo la metà del 1800, qualcuno nei primi del Novecento ancora le faceva, oggi si sono completamente perse ma quando si parla del bel tempo a ottobre, si parla ancora dell’immortale Ottobrata romana.

di Annarita Sanna

Exit mobile version