Tai nasha no karosha: Vulcano esiste!

Tai nasha no karosha, Lunga vita e prosperità! Probabilmente non siamo molto lontani da poterlo dire sul serio ad un Vulcaniano, probabilmente proprio nel suo pianeta d’origine! Spazio, Ultima frontiera: a soli 16,5 anni luce (poco più di 4 giorni di navigazione a Curvatura 9!) dal nostro piccolo pianeta azzurro esiste sul serio un Sistema Solare molto simile a quello abitato da Spock e dai suoi fratelli dediti alla logica proprio come descritto in Star Trek. Il Sistema 40 Eridiani è composto, proprio come Vulcano viene descritto dalla saga di Gene Roddenberry, da tre stelle che si muovono nello spazio come in una danza, oggi ricostruita digitalmente dagli scienziati della Nasa. Probabilmente, il creatore della Serie Classica, si era ispirato ad un altro sistema trestellare, quello di Keid con tre astri più piccole del nostro Sole ma facilmente osservabile anche ad occhio nudo.

Nel Sistema 40 Eridiani. le tre stelle sono legate gravitazionalmente tra loro in un modo complesso, con le due piccole (Eridani B e Eridani C) molto vicine in costante rotazione attorno a un asse comune attorno a un baricentro insieme alla più grande e luminosa Eridani C (dove dovrebbe l’immaginario Vulcano).

La Nasa ha diffuso un’immagine digitale interattiva (clicca qui) che permette di esplorare il sistema solare spostando il punto di vista. In attesa dei motori a curvatura, Plato dell’Agenzia Spaziale Europea e Tess della Nasa, i due telescopi spaziali che saranno presto messi in orbida ci aiuteranno a scoprire il pianeta diSpock esista davvero: per ora sogniamo magari rivedendo la scena di Star Trek che descrive il Primo Contatto (nome anche della pellicola da dove è tratta la sequenza) tra umani e vulcaniani!

La verità sul problema di scrivere nello spazio

Quando la Nasa iniziò il lancio di astronauti, si accorsero rapidamente che le penne non  scrivevano con gravita zero. Per risolvere questo problema, gli scienziati della NASA assunsero la società di consulenza Andersen Consulting (oggi Accenture) per studiare il problema. Impiegarono dieci anni e 12 milioni di dollari sviluppando una penna che potesse scrivere con gravita zero, verso l’alto, verso il basso, con temperature da sotto zero fino a più di 3000C… I russi usarono una matita.

Questa è ovviamente una bufala che gira ormai da anni sulla rete. La verità è stata svelata da Snopes.com, e ci dice che sia i primi astronauti russi, che americani usarono sin da subito le matite. La difficoltà ad utilizzare le lapis si ritrovarono invece sul fatto di spezzarsi facilmente in punta, con la grafite che volteggiava liberamente in assenza di gravità diventando pericolosa sia per gli astronauti che per il materiale tecnico delle apparecchiature. Inoltre la grafite e il legno delle matite sono materiali facilmente infiammabili nell’atmosfera di ossigeno puro usata nelle prime capsule spaziali, e non va dimenticato, a questo proposito, che tre astronauti americani perirono nell’incendio sull’Apollo 1 durante una simulazione a Terra, per cui la paranoia verso l’infiammabilità era più che giustificata. La matita non era quindi la soluzione geniale che racconta questa bufala.

Così nel luglio del 1965 un imprenditore statunitense, Paul Fisher, realizzò a proprie spese e di propria iniziativa la biro pressurizzata, oggi nota come Fisher Space Pen. Lo sviluppo di questa penna stellare ha richiesto più di un milione di dollari finché nel 1965 Paul Fisher creò con successo il primo prototipo della sua rivoluzionaria penna a sfera che funzionava con uno speciale inchiostro tissotropico conservato all’interno di una cartuccia contenente gas pressurizzato. Questa idea insieme ad altri brevetti che compongono la penna nel suo insieme, permetto alla Space Pen di lavorare in assenza di gravità, di scrivere su diverse superfici compre quelle unte e di rimanere operativa con temperature che vanno dai -50 ai 160 gradi Fahrenheit (-35 a 120 gradi centigradi) e in ambiente sottomarino. Dopo la sua creazione, tra l’altro mai autorizzata ufficialmente, il geniale Fisher vendette la sua penna a prezzo simbolico: due dollari e 95 cent al pezzo. La biro costò a Fisher oltre un milione di dollari, che non chiese mai alla NASA. La Fisher Space Pen fu poi utilizzata anche dai cosmonauti russi come si può vedere in un celebre foto, tratta da The Writer’s Edge, che mostra Pavel Vinogradov e Anatoly Solovyev a bordo della stazione spaziale MIR e scattata dal 5 agosto 1997 al 19 febbraio 1998.

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