Nel vasto universo nerd, ci sono opere che segnano un’epoca e poi ci sono quelle che diventano immortali. Dragon Ball è una di queste. Il 20 novembre 1984, sulle pagine della rivista Weekly Shōnen Jump, faceva il suo esordio un manga destinato a riscrivere le regole dell’intrattenimento mondiale. Oggi, a quarant’anni di distanza, Dragon Ball non è solo un fumetto, ma un patrimonio culturale condiviso da milioni di persone. Un mito moderno che ha saputo attraversare generazioni, trasformandosi in un linguaggio universale fatto di trasformazioni, colpi segreti e legami indissolubili.
Eppure tutto è iniziato quasi per caso, o meglio, con una scintilla d’ispirazione che univa le acrobazie spettacolari dei film di Jackie Chan e la spiritualità epica del romanzo cinese Il viaggio in Occidente. Akira Toriyama, già celebre per il folle e divertente Dr. Slump, voleva cambiare registro. Cercava qualcosa di nuovo, qualcosa che unisse l’umorismo a un senso dell’avventura più profondo. E lo trovò immaginando un bambino con la coda di scimmia, ingenuo e potentissimo, che corre per il mondo alla ricerca delle misteriose Sfere del Drago.
Goku, Jackie Chan e il Re delle Hawaii
Chi conosce bene Toriyama sa quanto fosse attratto dal cinema d’azione orientale, ma anche da quella leggerezza buffa che solo Jackie Chan sapeva portare sullo schermo. Non è un caso che l’anima di Dragon Ball sia così sorprendentemente comica, almeno all’inizio. Goku, con la sua innocenza spiazzante e la forza sovrumana, era il perfetto erede spirituale di Sun Wukong, il Re Scimmia del romanzo cinese, ma aggiornato con un tocco di slapstick e di follia alla Toriyama. La formula funzionava: arti marziali, umorismo demenziale, mistero e un pizzico di magia orientale.
E poi c’è quel nome mitico, Kamehameha, l’attacco simbolo dell’intera saga. Un colpo che ogni nerd ha provato almeno una volta a lanciare davanti allo specchio, urlando con tutta l’aria nei polmoni. Pochi sanno che fu proprio la moglie di Toriyama a suggerirlo, ispirandosi al primo sovrano delle Hawaii. Un nome che fonde “kame” (tartaruga), “ha” (onda) e “hametsu” (distruzione), diventando così un piccolo poema geek, un urlo di battaglia con dentro la filosofia della serie.
Dalla carta al mito globale
Il successo del manga fu immediato e crescente. Per oltre dieci anni, Toriyama disegnò instancabilmente la storia di Goku e dei suoi amici, portando avanti un’opera che avrebbe raggiunto quota 519 capitoli raccolti in 42 volumi. Ma il vero miracolo fu la trasformazione di Dragon Ball da semplice fumetto a mito globale. Nel 2002 arrivò l’edizione kanzenban, con una grafica raffinata e un finale rivisitato, seguita dalla Full Color Edition tra il 2013 e il 2016. Ogni nuova pubblicazione era un successo assicurato, segno che il cuore dei fan batteva ancora per quelle pagine.
E se in Giappone Dragon Ball era già una leggenda, l’espansione mondiale fu qualcosa di straordinario. Negli Stati Uniti, Viz Media lo pubblicò a partire dal 1998, scegliendo di chiamare Dragon Ball Z i volumi dalla seconda parte per cavalcare l’onda dell’anime. Non mancarono le polemiche per alcune censure, ma i fan fecero sentire la loro voce: una petizione con oltre 10.000 firme riportò il manga alla sua versione originale. Anche l’Europa fu conquistata: Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Svezia, Italia… ogni paese abbracciò Goku a modo suo.
In Italia, l’arrivo di Dragon Ball negli anni ’90 fu un evento. Grazie a Star Comics, i lettori italiani scoprirono per la prima volta un manga nella sua forma originale, con impaginazione alla giapponese e un’avventura che profumava di esotico e di futuro. Edizioni su edizioni si sono susseguite: dalla Deluxe alla Perfect Edition, dalla Evergreen alla versione Full Color, passando persino per un’iniziativa con La Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera. Ogni nuova edizione era un’occasione per riscoprire la saga, magari con occhi nuovi, magari con un figlio accanto.
L’evoluzione di un’epopea: da avventura comica a saga cosmica
All’inizio era tutto molto semplice. Un ragazzino e una ragazza in cerca di sfere magiche. Poi arrivarono i tornei, i nemici sempre più potenti, le trasformazioni inaspettate. Dragon Ball si trasformò da avventura scanzonata a vera epopea, toccando temi profondi come il sacrificio, l’amicizia, la perseveranza. La leggerezza iniziale lasciò spazio a una narrazione più intensa, ma senza mai perdere quella scintilla infantile e sognante che la rendeva unica.
Goku, in fondo, è il perfetto archetipo dell’eroe shōnen: parte da zero, cresce, sbaglia, si rialza, supera i limiti. È un guerriero, ma prima di tutto è un ragazzo curioso, sempre pronto a mettersi alla prova. E con lui crescono anche gli altri: Vegeta, l’antagonista diventato alleato, è forse il personaggio più amato per complessità e evoluzione. Ma l’intero cast di Dragon Ball è indimenticabile: da Piccolo a Gohan, da Trunks a Bulma, ogni personaggio ha un cuore pulsante e una storia che merita di essere raccontata.
Una rivoluzione chiamata Battle Shōnen
Prima di Dragon Ball, il mondo dei manga per ragazzi era molto diverso. Toriyama ha creato un modello che ha ispirato intere generazioni di autori. Naruto, One Piece, Bleach, My Hero Academia: tutti devono qualcosa a Goku. Il concetto di power-up, la progressione dei livelli di potere, le trasformazioni fisiche e spirituali, sono tutti marchi di fabbrica introdotti (o perfezionati) da Dragon Ball. E quando nel 1991 Goku si trasformò per la prima volta in Super Saiyan, il mondo nerd trattenne il fiato: da quel momento, nulla sarebbe stato più lo stesso.
Un impatto culturale epocale
Dragon Ball non è solo un’opera di fiction: è una lente attraverso cui guardare l’evoluzione dell’intrattenimento pop. È citato in film come Matrix e Fight Club, è presente in meme, parodie, videogiochi, canzoni e persino in momenti sportivi. Rafael Nadal, ad esempio, ha confessato di amare Dragon Ball fin da bambino, e chi tra noi non ha mai voluto scagliare una Kamehameha in una giornata no?
Curiosità? Ce ne sono a bizzeffe. Come quella sulla decisione di rendere biondi i Super Saiyan solo per risparmiare tempo in fase di inchiostrazione. O la quantità di gadget che oggi fa impallidire anche i collezionisti più accaniti: da action figure ultra dettagliate a set LEGO, da lampade Shenron a repliche delle Sfere del Drago.
Il futuro del mito: Daima e oltre
Il 2024 non è solo l’anno dei 40 anni di Dragon Ball, ma anche l’anno in cui arriva Dragon Ball Daima, una nuova serie che riporta Goku e compagni a un aspetto più infantile ma con un tono decisamente misterioso. È la conferma che il mondo di Toriyama è ancora vivo, pulsante, pronto a reinventarsi pur rimanendo fedele alla sua anima. E anche se il maestro Toriyama ci ha lasciati nel marzo del 2024, il suo spirito vive in ogni pagina, in ogni trasformazione, in ogni “HA!” lanciato con gli occhi chiusi e le mani congiunte.
Quarant’anni dopo quel fatidico 20 novembre 1984, Dragon Ball è ancora qui. Non come reliquia da museo, ma come presenza attiva nella vita di milioni di fan. È un racconto che ci ha insegnato a credere nei nostri sogni, a non mollare mai, a superare i nostri limiti. E che ci ricorda, ogni volta che rivediamo quel primo scontro con Radish o la battaglia su Namecc, che siamo parte di qualcosa di più grande.
Dragon Ball è leggenda, è infanzia, è risate, pianti e adrenalina. È quel momento in cui un’intera generazione – e tutte quelle che seguiranno – si ritrova unita sotto il cielo, pronta a lanciare la propria personale Kamehameha. E voi? Qual è il vostro momento preferito? Raccontatelo nei commenti e condividete l’articolo sui vostri social… perché anche oggi, dopo quarant’anni, l’onda energetica non si ferma.
