Jarhead

Dopo lo splendido American Beauty e il convincente Era mio padre ecco il terzo film del regista americano Sam Mendes. Tratto dal romanzo autobiografico di Anthony Swafford (nel film impersonato dall’ottimo Jake Glyllenhall), Jarhead (teste di barattolo, il termine gergale americano per indicare i marines) racconta l’addestramento e la vita di un gruppo di marines inviati in Arabia Saudita durante la Prima Guerra del Golfo.

La voce narrante è affidata ad Anthony Swafford, ragazzo del cui passato si sa poco – lui stesso dice a inizio film che non vuole far conoscere il suo passato allo spettatore  – che decide di arruolarsi volontariamente nei marines.L’impatto con il mondo dell’esercito non è dei più felici: Swafford sperimenta da subito la durezza di commilitoni e superiori.

La prima parte del film, quella dedicata all’addestramento, copia spudoratamente Full metal jacket risultando davvero fastidiosa. Viene addirittura ripetuta la stessa frase dedicata al fucile! Anche nel resto del film ci saranno citazioni di capolavori del cinema, come il Cacciatore e Apocalypse Now (di cui viene anche mostrata una scena).

Ma l’entusiasmo dimostrato da Swafford e compagni nel periodo dell’addestramento svanisce all’arrivo in Arabia Saudita. Non c’è nessuna azione militare, ma solo caldo, noia, sete e brutti pensieri sui possibili tradimenti delle rispettive ragazze. Bisogna dire che in questo Mendes è stato molto realistico.

Ma allo stesso tempo ci sono scene ridicole, nel senso negativo del termine, accompagnate a scene più drammatiche. Mendes sembra non sapere quale direzione prendere e il risultato è un bel pasticcio.

Si salvano alcune scene: il combattimento tra lo scorpione bianco e quello nero con vittoria di quest’ultimo (il male che vince sul bene?), il cavallo zuppo di petrolio che vaga senza meta nel deserto, proprio come i soldati e la scoperta dei cadaveri di civili carbonizzati.

Ma i dialoghi sono di una banalità più unica che  rara: esemplare a proposito il dialogo tra Swafford e il colonnello, pieno zeppo di banalità.

Francamente, non ho capito lo scopo di questo film, che considero totalmente inutile.

American Beauty: il capolavoro di Sam Mendes che esplora la bellezza nascosta

American Beauty è il film d’esordio del regista britannico Sam Mendes: si tratta di un’opera che mescola commedia nera, dramma familiare e satira sociale, mettendo in scena le vite di alcuni personaggi che abitano in una tranquilla periferia americana, ma che nascondono frustrazioni, segreti e desideri inconfessabili.

Il protagonista è Lester Burnham (Kevin Spacey), un giornalista quarantenne in crisi esistenziale, che si sente trascurato dalla moglie Carolyn (Annette Bening), una spietata agente immobiliare ossessionata dal successo, e dalla figlia Jane (Thora Birch), una teenager insicura e ribelle. La sua vita cambia quando incontra Angela (Mena Suvari), la seducente amica di Jane, di cui si innamora perdutamente. Lester decide di ribellarsi alla sua routine, lasciando il lavoro, comprando una macchina sportiva, fumando marijuana e allenandosi per riconquistare la sua giovinezza perduta.

Intorno a Lester ruotano altri personaggi, che rappresentano altrettante sfaccettature dell’american dream e dei suoi fallimenti. C’è il vicino di casa, il colonnello Fitts (Chris Cooper), un militare omofobo e violento, che vive con la moglie depressa (Allison Janney) e il figlio Ricky (Wes Bentley), un ragazzo solitario e sensibile, che si guadagna da vivere vendendo droga e filmando con una videocamera tutto ciò che lo circonda. Ricky si innamora di Jane, e le mostra le sue registrazioni, in cui cerca di catturare la bellezza nascosta nelle cose più semplici, come una busta di plastica che volteggia nel vento.

American Beauty è un film che indaga la complessità dell’animo umano, mostrando come dietro le apparenze si celino verità scomode, bugie, ipocrisie e contraddizioni. Il titolo si riferisce sia alla varietà di rose rosse che Carolyn coltiva nel suo giardino, sia alla bellezza americana incarnata da Angela, che però si rivelerà essere una maschera. Il film è pervaso da un’ironia amara e da una tensione drammatica, che culmina in un finale tragico e sorprendente.

Sam Mendes dimostra una grande abilità nella regia, creando delle immagini suggestive e simboliche, che rimangono impresse nella memoria dello spettatore. La fotografia di Conrad Hall è ricca di colori e contrasti, che enfatizzano le emozioni dei personaggi. La sceneggiatura di Alan Ball è brillante e profonda, con dei dialoghi incisivi e delle battute memorabili. Il cast è eccezionale, con Kevin Spacey che offre una delle sue migliori interpretazioni, e gli altri attori che lo affiancano con grande talento.

American Beauty è un film che non lascia indifferenti, che fa riflettere e commuovere, che diverte e sconvolge. È un film che celebra la bellezza della vita, anche quando sembra non esserci. È un film che merita di essere visto e rivisto, per coglierne ogni sfumatura e ogni dettaglio. È un film che è diventato un classico, e che resta uno dei capolavori del cinema contemporaneo.

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