Archivi tag: John Malkovich

In the Hand of Dante: il thriller che porta il Sommo Poeta nella New York della mafia

Quando un regista come Julian Schnabel arriva al Lido con un progetto che ha inseguito per quindici anni, la curiosità diventa febbre. In the Hand of Dante, presentato fuori concorso alla 82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è molto più di un semplice film: è un’opera-mondo, un flusso che ingloba Dante Alighieri, la mafia newyorkese, il dolore creativo, le ossessioni letterarie e un cast che definire stellare è riduttivo. Schnabel lo ha descritto come “tragico e folle come la vita”, e basta questa dichiarazione per capire il tono del viaggio.

La storia prende vita da un manoscritto perduto della Divina Commedia, custodito per secoli nella Biblioteca Vaticana e improvvisamente piombato nel ventre oscuro di New York. Qui passa dalle mani di un boss mafioso a quelle di Nick Tosches, lo scrittore che nel romanzo originale si mette in scena e che nel film ha il volto intenso di Oscar Isaac. Ed è proprio Isaac a farsi carico del gioco più ambizioso: interpretare sia Tosches che lo stesso Dante Alighieri, in un continuo rimbalzo tra presente e passato. Da una parte c’è lo scrittore coinvolto in una spirale di violenza e tradimenti, dall’altra il poeta alle prese con il proprio blocco creativo, i tormenti politici e le visioni che lo condurranno fino al cuore della Commedia.

Il film è costruito come una discesa agli Inferi che alterna mafiosi a Caronte, sicari a demoni, vicoli di Brooklyn a corridoi medievali. È un noir che si traveste da poema epico, un thriller letterario che flirta con la filosofia e la leggenda. Schnabel non si limita a citare Dante: lo reinventa, lo piega a un presente in cui l’arte è ancora un’arma di salvezza.

Il cast è una di quelle combinazioni che sembrano nate in un universo parallelo dove i fan di cinema hanno potere decisionale. Accanto a Isaac troviamo Gal Gadot come Giulietta/Gemma Donati, Gerard Butler nei panni del brutale Papa Bonifacio, John Malkovich nel glaciale ruolo di Joe Black, Sabrina Impacciatore come la dottoressa Pulice, Franco Nero nei panni del misterioso Don Lecco, Benjamin Clementine in versione Mefistofele enigmatico, e Martin Scorsese, che oltre a produrre veste i panni del mentore Isaiah, con un ruolo scritto quasi come un’eco della sua stessa vita. E non è finita: Jason Momoa, Al Pacino, Lorenzo Zurzolo, Claudio Santamaria e Guido Caprino completano un mosaico che oscilla tra Hollywood e il grande cinema europeo.

Un film così non nasce dall’oggi al domani. L’idea risale al 2008, quando Johnny Depp acquisì i diritti del romanzo di Nick Tosches con l’intenzione di produrlo e interpretarlo. Per anni il progetto rimase sospeso tra voci e annunci, finché Schnabel non ne prese le redini, portando sul set un team di attori che ha trovato la strada solo nel 2023, durante gli scioperi di Hollywood, grazie a un accordo speciale con il sindacato SAG-AFTRA. Girato tra location italiane e metropoli americane, In the Hand of Dante si presenta come un’opera visivamente potente, sospesa tra la pittura raffinata di Schnabel e la crudezza di un noir senza sconti.

Ma un film così ambizioso non poteva non dividere. Già a Venezia le opinioni sono state contrastanti. Alcuni spettatori lo hanno accolto come un esperimento visionario, altri lo hanno definito un guazzabuglio ipertrofico, un flusso di citazioni e immagini che rischia di perdersi nel proprio labirinto. C’è chi ha riso in sala durante scene che avrebbero dovuto suscitare pathos, e chi invece è rimasto incantato dall’azzardo di Schnabel. Lui, dal canto suo, ha difeso le scelte del casting e ha ribadito che il suo film non è un trattato sulla Divina Commedia, ma un’opera che ci spinge a restare nel presente, proprio come i quadri di Caravaggio che trasformano la morte in eternità visiva.

Il paradosso è che, proprio grazie a queste spaccature, In the Hand of Dante sembra destinato a diventare un instant cult. Non tanto per il suo successo narrativo, quanto per la sua natura di esperimento folle, di oggetto cinematografico che si prende terribilmente sul serio e finisce, forse involontariamente, per sfiorare la parodia. È il tipo di film che i cinefili nerd si costringeranno a vedere e rivedere, per poi discuterne per ore tra una birra e una convention, chiedendosi se Schnabel abbia davvero trovato un varco tra Inferno e Paradiso o se si sia perso in un limbo di eccessi.

Alla fine, la domanda che resta sospesa è semplice e abissale: può davvero l’arte salvarci dalla caduta? Schnabel sembra rispondere di sì, ma la sua risposta non è mai rassicurante, perché ci ricorda che l’Inferno può nascondersi dietro l’angolo, tra un vicolo di Brooklyn e un’aula del potere fiorentino. E allora la salvezza non è una meta, ma il viaggio stesso.

E voi, lettori di CorriereNerd, che ne pensate? Questo film è un capolavoro visionario o un disastro affascinante? Raccontatelo nei commenti e condividetelo con la vostra community: la discussione, in fondo, è il vero fuoco che alimenta ogni opera d’arte.

Monsieur Blake – Maggiordomo per amore: John Malkovich protagonista di una commedia dolceamara che conquista il cuore

Immaginate di essere catapultati in una vecchia tenuta francese, di quelle che sembrano uscite da un romanzo d’altri tempi, tra siepi potate con precisione maniacale, stanze cariche di memorie e profumo di legna bruciata. Ora, immaginate di trovarci un uomo come Andrew Blake, un imprenditore inglese di successo, elegante, carismatico… e devastato. Perché sì, anche gli uomini di successo possono essere naufraghi della vita. È proprio qui che comincia Monsieur Blake – Maggiordomo per amore, la nuova commedia romantica diretta da Gilles Legardinier, in arrivo nei cinema italiani il 7 agosto 2025, tratta dal suo stesso romanzo bestseller “Complètement cramé!”.

John Malkovich, che non ha davvero bisogno di presentazioni per chi bazzica il mondo del cinema (ma anche per chi è appassionato di teatro e di quei ruoli da villain magnetici e un po’ inquietanti), qui si cimenta in qualcosa di inedito e sorprendente: indossare i panni di un uomo che, perso e svuotato dalla perdita della moglie, decide di tornare là dove aveva trovato l’amore, in Francia, nella tenuta Beauvillier. Solo che il destino — con la complicità del tipico humour francese — ha in serbo un colpo di scena: per un malinteso, Blake si ritrova assunto come maggiordomo. Un inglese compassato alle prese con una banda di eccentrici francesi: ditemi se non è già la promessa di una commedia irresistibile.

Il bello di Monsieur Blake – Maggiordomo per amore non è solo nella trama, che pure è adorabile. È nel modo in cui Legardinier, al suo debutto da regista, riesce a trasformare questa storia in un’esperienza intima e universale. Non si limita a mettere in scena gag e fraintendimenti (che pure ci sono, e sono spassosi), ma ci accompagna dentro l’anima dei personaggi. Madame Beauvillier, interpretata da una Fanny Ardant semplicemente ipnotica, non è la classica padrona di casa algida: è una donna imprevedibile, piena di crepe e ombre. E attorno a loro si muove un piccolo universo umano: Odile, la cuoca dalla scorza dura e il cuore tenero; Philippe, il custode bizzarro che sembra uscito da un romanzo gotico (e che, a tratti, pare quasi strizzare l’occhio ai fan di Tim Burton); e Manon, la giovane domestica che porta addosso ferite invisibili ma ancora aperte.

La cosa affascinante è che Monsieur Blake non salva solo loro. Anzi, forse sono proprio loro a salvare lui. Perché dietro ogni situazione comica, ogni caduta rocambolesca o peluche malconcio, c’è una riflessione più profonda: si può ripartire, sempre. Si può trovare una nuova famiglia, anche dove non te l’aspetti. E soprattutto, non c’è dolore che non diventi più leggero se condiviso. Non è un caso che il film riesca a toccare corde così intime: Legardinier conosce i suoi personaggi meglio di chiunque altro, li ha creati sulla pagina e ora li porta sullo schermo con una delicatezza rara, aiutato dalla sceneggiatura scritta a quattro mani con Christel Henon.

Il contrasto tra il rigore british di Malkovich e il caos splendidamente umano della tenuta francese è il motore comico ed emotivo del film. Ma sarebbe ingiusto non menzionare il resto del cast: Émilie Dequenne, Philippe Bas, Eugénie Anselin… tutti donano ai loro ruoli un’umanità palpabile, fatta di fragilità, sogni infranti e una irresistibile voglia di riscatto. Non sono solo spalle comiche: sono anime in cerca di un posto, proprio come Blake.

E poi c’è il messaggio, quello che ti resta addosso quando le luci si accendono in sala: la vita fa male, sì, ma sa anche sorprendere. Non è mai troppo tardi per rimettersi in gioco, per aprirsi di nuovo agli altri, per imparare a ridere anche quando pensavi di aver dimenticato come si fa. Monsieur Blake – Maggiordomo per amore non è solo una commedia romantica: è un piccolo inno alla resilienza, alla leggerezza che salva, a quell’umanità che spesso sottovalutiamo.

Distribuito in Italia da Adler Entertainment, il film promette di conquistare il cuore degli spettatori, nerd e non. Perché diciamolo: chi di noi non ha mai sognato, almeno una volta, di essere catapultato in una storia dove le seconde possibilità diventano realtà? Io, sinceramente, non vedo l’ora di sedermi in sala, ridere, commuovermi e lasciarmi trasportare da questa favola moderna.

E voi? Siete pronti a lasciarvi incantare da Monsieur Blake? Fatemelo sapere nei commenti: sono curiosissimo di scoprire le vostre opinioni, le scene che vi hanno fatto ridere di più, quelle che vi hanno toccato il cuore. E se vi va, condividete questo articolo sui vostri social: più siamo, più sarà bello confrontarci tra appassionati di cinema, storie e personaggi che sanno ancora sorprenderci. Perché, in fondo, è anche questo che significa essere parte della nerd culture: emozionarsi insieme.

“Opus – Venera la tua stella”: Il Thriller Psicologico che sfida i Confini del Cinema Horror

Nel panorama cinematografico del 2025, Opus – Venera la tua stella emerge come un thriller psicologico che promette di affascinare e inquietare, lasciando un segno indelebile nel genere. Diretta da Mark Anthony Green, al suo esordio alla regia, e con una trama che scava nelle pieghe più oscure della mente umana, il film esplora con intensità i temi della manipolazione, dell’idolatria e del potere distruttivo della celebrità, incorniciando il tutto in un’atmosfera densa di mistero e paranoia. La storia ruota attorno al ritorno sulla scena musicale di Alfred Moretti, una popstar leggendaria che, dopo trent’anni di silenzio, decide di rilasciare un nuovo album e di organizzare un esclusivo ritiro stampa in un ranch isolato. Tra gli invitati c’è Ariel, una giovane giornalista che, man mano che la trama si dipana, scopre la pericolosa realtà dietro l’apparente evento esclusivo.

Il film non è solo una riflessione sul culto della fama, ma un’indagine profonda sulle dinamiche tossiche tra artista e pubblico. Il controllo totale che Moretti esercita sui partecipanti del ritiro, attraverso regole coercitive e comportamenti manipolatori, trasforma gradualmente il gruppo in una sorta di setta, creando una crescente tensione psicologica che tiene lo spettatore sulle spine. La disconnessione sociale e la radicalizzazione dei personaggi sono temi affrontati con una maestria che rende “Opus” un’esperienza unica, dove ogni scena sembra mettere alla prova la realtà stessa.

La direzione di Green è impeccabile nell’evocare un senso di claustrofobia crescente, utilizzando il contrasto tra la bellezza inquietante della residenza e la follia che pervade gli abitanti del ranch. È nella psicologia dei personaggi che il regista si distingue, riuscendo a creare un’atmosfera in cui la paranoia è palpabile e il confine tra la realtà e l’illusione si fa sempre più sfocato.

John Malkovich, nel ruolo di Alfred Moretti, offre una performance magnetica, portando sullo schermo un personaggio ambiguo, capace di affascinare e inquietare al tempo stesso. La sua interpretazione è il cuore pulsante del film, trascinando Ariel e il pubblico in un vortice di ossessione e disorientamento. Ayo Edebiri, nel ruolo di Ariel, è altrettanto notevole, offrendo una prova intensa che fa di lei non solo una testimone della discesa nell’incubo, ma una figura con cui lo spettatore può identificarsi. La sua vulnerabilità e la lotta per mantenere il controllo in un mondo che sembra impazzire attorno a lei aggiungono profondità al personaggio, facendo di Ariel una figura complessa e affascinante.

Il cast di supporto, composto da Juliette Lewis, Murray Bartlett e Amber Midthunder, arricchisce ulteriormente la narrazione, contribuendo a costruire un mondo cinematografico che, pur nella sua inquietudine, appare incredibilmente stratificato. Ogni personaggio, pur con una presenza talvolta minore, gioca un ruolo cruciale nell’intensificare la tensione e nel riflettere le tematiche principali del film.

Uno degli aspetti più affascinanti di “Opus” è la sua capacità di intrecciare la musica con la narrazione. Le composizioni originali di Nile Rodgers e The-Dream non sono solo un accompagnamento sonoro, ma un elemento fondamentale nell’immersione totale nel mondo psicologico dei personaggi. La scenografia di Robert Pyzocha, che già aveva lavorato su “Joker”, amplifica il senso di isolamento e tensione, utilizzando lo spazio come uno strumento narrativo che riflette il deterioramento mentale e la disconnessione dalla realtà.

Nonostante qualche critica riguardante la coerenza narrativa, “Opus – Venera la tua stella” riesce comunque a immergere lo spettatore in un mondo psicologicamente turbolento, dove ogni scena mina le certezze e le aspettative. La regia di Green, pur non cercando l’originalità a tutti i costi, si inserisce perfettamente nel linguaggio contemporaneo, affrontando temi come l’idolatria, la vanità e la distorsione della realtà.

In definitiva, “Opus – Venera la tua stella” è molto più di un semplice thriller psicologico: è un’analisi potente e disturbante del potere devastante della fama e della cecità con cui spesso essa viene adorata. Con una regia precisa, una trama che tiene alta la tensione e un cast eccezionale, il film di Mark Anthony Green si preannuncia come una pietra miliare nel panorama del cinema psicologico contemporaneo. Un’opera che rimarrà nella memoria dello spettatore ben oltre la sua conclusione, sollevando interrogativi sul mondo moderno e sulla nostra ossessione per il culto della celebrità.

Martin McDonagh e il misterioso “Wild Horse Nine”: un thriller in una location leggendaria

Martin McDonagh torna dietro la macchina da presa con un nuovo e affascinante progetto cinematografico: “Wild Horse Nine”. Dopo aver conquistato pubblico e critica con “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “Gli spiriti dell’isola”, il regista britannico-irlandese si prepara a stupire ancora una volta con un film che promette di essere un thriller drammatico avvolto nel mistero. La trama resta un segreto ben custodito, ma le prime indiscrezioni sulla produzione e il cast bastano per alimentare l’attesa tra i cinefili.

Uno degli elementi più intriganti del film è senza dubbio la scelta della location: le riprese di “Wild Horse Nine” si svolgeranno a Rapa Nui, meglio conosciuta come Isola di Pasqua. Situata nel cuore dell’Oceano Pacifico meridionale, a oltre 3.700 chilometri dalle coste cilene, Rapa Nui è l’isola abitata più remota del pianeta. Celebre per i suoi enigmatici moai e per l’alone di mistero che circonda la sua storia millenaria, questa terra esotica fornirà uno sfondo unico e suggestivo alla pellicola. Girare un film in un’area protetta della fauna selvatica cilena non è una scelta casuale e aggiunge un ulteriore livello di fascino al progetto.

Per rendere il tutto ancora più interessante, McDonagh ha riunito un cast di altissimo livello. Tra i protagonisti spicca Sam Rockwell, alla sua terza collaborazione con il regista dopo “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” e “Sette psicopatici”. Rockwell, premiato con l’Oscar per la sua interpretazione nel film del 2017, è noto per la sua capacità di dare profondità e intensità ai suoi personaggi, rendendolo una scelta perfetta per un progetto di questo calibro. Al suo fianco troviamo Mark Ruffalo, attore eclettico e amatissimo dal pubblico, che ha saputo distinguersi in pellicole come “Spotlight” e “Poor Things!”. La sua presenza nel cast contribuisce ad aumentare le aspettative nei confronti del film, soprattutto considerando che sarà anche protagonista del prossimo “Mickey”.

Ma non finisce qui: “Wild Horse Nine” vedrà la partecipazione di un’icona del cinema come John Malkovich. Con un talento camaleontico e una filmografia che spazia da “Essere John Malkovich” a “Red”, fino al recente “Seneca – On the Creation of Earthquakes”, Malkovich è una garanzia di qualità e imprevedibilità. A completare il cast c’è Parker Posey, attrice di grande esperienza apprezzata per i suoi ruoli in “Thelma” e nella serie “The White Lotus”, capace di portare sullo schermo un carisma unico e sofisticato.

La produzione del film è affidata a Blueprint Pictures, Film4 Productions e Searchlight Pictures, lo stesso studio che ha sostenuto il successo di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. L’inizio delle riprese è previsto per il prossimo mese, con le telecamere pronte a catturare la bellezza incontaminata di Rapa Nui. L’isola, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, offre paesaggi mozzafiato e un’atmosfera carica di mistero che potrebbero giocare un ruolo cruciale nella narrazione del film. L’area del Parco Nazionale di Rapa Nui è rimasta pressoché intatta nel corso dei secoli, conservando un’autenticità rara nel mondo moderno. Un dettaglio che suggerisce che la location non sarà solo uno sfondo suggestivo, ma potrebbe avere un peso significativo nella storia.

Se c’è una cosa certa su “Wild Horse Nine”, è che la produzione sta facendo di tutto per mantenere il massimo riserbo sulla trama. Già nel 2021 si vociferava di un nuovo progetto tra McDonagh e Searchlight Pictures, ma fino ad oggi nessun dettaglio è trapelato sulla storia che il regista intende raccontare. Considerando il suo stile narrativo, possiamo aspettarci un film carico di tensione, con personaggi ben caratterizzati e dialoghi brillanti, elementi che hanno sempre contraddistinto la sua filmografia.

L’attesa per “Wild Horse Nine” è alta e, con un cast così stellare e un’ambientazione tanto affascinante, il film ha tutte le carte in regola per essere uno degli eventi cinematografici più attesi dei prossimi anni. Gli appassionati di cinema e i fan di McDonagh non vedono l’ora di scoprire cosa il regista ha in serbo per loro. Sarà un thriller psicologico? Un dramma esistenziale? Un mix di entrambi? Solo il tempo lo dirà, ma una cosa è sicura: “Wild Horse Nine” è un titolo da tenere d’occhio.

Sacrifice: Un film tra azione, commedia e misticismo che sfida i limiti dell’umanità

Sacrifice è uno dei progetti cinematografici più attesi per il 2025, un action adventure comedy che sta suscitando l’interesse di appassionati di cinema, fan delle star coinvolte e amanti delle trame audaci. Diretto e co-scritto da Romain Gavras, noto per il suo stile viscerale e provocatorio, il film promette di portare sul grande schermo una storia che mescola azione ad alta adrenalina, momenti di riflessione e una dose di umorismo pungente. Con un cast stellare che include nomi come Anya Taylor-Joy, Chris Evans, Salma Hayek, Vincent Cassel, e John Malkovich, Sacrifice si profila come un’esperienza cinematografica unica.

La trama di Sacrifice: un’epica missione di salvezza e sacrificio

La storia ruota attorno a Joan, interpretata da Anya Taylor-Joy, una giovane donna guidata da una profezia che solo lei può sentire, una visione che la spinge a credere di poter salvare il mondo da un destino infuocato e apocalittico. In un mix di fervore religioso e misticismo, Joan, insieme alla sua milizia di discepoli, decide di dirottare un galà di beneficenza esclusivo, prendendo tre ostaggi. Questi ostaggi sono Mike Tyler, interpretato da Chris Evans, una star del cinema in cerca di riscatto personale; Bracken, il miliardario interpretato da Vincent Cassel, e Katie, una sfortunata donna interpretata da Ambika Mod, che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La trama si sviluppa lungo un viaggio ad alta tensione tra foreste e incendi, dove i tre ostaggi sono costretti ad affrontare situazioni estreme e a mettere in discussione cosa sarebbero disposti a sacrificare per salvare l’umanità. La domanda cruciale che emerge è: cosa sarebbe disposto a sacrificare Mike Tyler, un uomo che ha tutto ma non sa cosa fare con la sua vita, per il bene del mondo intero?

Un cast stellare che mescola talento e diverse sfumature di cinema

Il cast di Sacrifice è uno degli elementi più intriganti del film, con un ensemble che unisce attori di talento provenienti da vari generi cinematografici. Anya Taylor-Joy, conosciuta per il suo ruolo in La regina degli scacchi e The Menu, porta in scena una Joan misteriosa e determinata, un personaggio che ricorda vagamente figure storiche come Giovanna d’Arco, ma in una versione moderna e radicale. Chris Evans, che di recente ha recitato in Pain Hustlers e in Deadpool & Wolverine, interpreta Mike Tyler, un uomo che cerca redenzione ma si trova intrappolato in un gioco più grande di lui. Vincent Cassel, celebre per i suoi ruoli in film come La Haine e Black Swan, interpreta Bracken, l’uomo più ricco del mondo, un personaggio cinico che si troverà a fare i conti con una realtà che non può controllare.

A completare il cast ci sono nomi iconici come Salma Hayek, nota per il suo ruolo in Eternals, e John Malkovich, che aggiunge quel tocco di eccentricità che solo lui sa dare. Inoltre, il film accoglie anche artisti provenienti dal mondo della musica, come Charli XCX e Yung Lean, che fanno il loro debutto cinematografico, promettendo di portare un’energia fresca e inaspettata alla trama.

La produzione e le riprese: un mix internazionale di talento

La produzione di Sacrifice è un progetto ambizioso che coinvolge diverse case di produzione di spicco, tra cui Iconoclast, Heretic e Film4. Le riprese sono iniziate nel novembre del 2024 in location mozzafiato in Grecia, Bulgaria e Islanda, che offriranno un’ambientazione unica per il viaggio pericoloso dei protagonisti attraverso paesaggi naturali selvaggi e imponenti. La sceneggiatura, scritta da Gavras in collaborazione con Will Arbery (noto per la sua opera Succession), è ispirata liberamente alla vicenda storica di Giovanna d’Arco, ma con un’interpretazione moderna e provocatoria che mescola elementi di thriller, commedia e azione. Oltre alla produzione, il film beneficia della collaborazione con Gucci, Head Gear Films, Onassis Culture e Athens Festival, che aggiungono una dimensione di eleganza e raffinatezza al progetto. La co-produzione tra Grecia e Regno Unito, e il coinvolgimento di importanti nomi del cinema internazionale, suggeriscono che Sacrifice sarà un’esperienza visiva e narrativa straordinaria.

Con la sua trama audace, un cast stellare e la regia visionaria di Romain Gavras, Sacrifice è destinato a essere un film che sfida le convenzioni del genere action e comedy, mescolando temi di sacrificio, redenzione e sopravvivenza in un contesto che non mancherà di stimolare riflessioni profonde sul destino dell’umanità. La combinazione di elementi mistici, azione mozzafiato e umorismo tagliente potrebbe renderlo uno dei film più discussi e apprezzati dei prossimi anni. Se siete fan di storie intense e coinvolgenti, con un cast che offre performance straordinarie, Sacrifice è senza dubbio un film da tenere d’occhio nel 2025.

Mindcage – Mente criminale

Uscirà al cinema l’8 giugno distribuito da Medusa Film per Notorious Pictures il nuovo thriller di Mauro Borrelli (The Recall – L’Invasione, 2017; WarHunt, 2022) dal titolo Mindcage – Mente Criminale, con un cast stellare formato da John Malkovich (Le relazioni pericolose, 1989; Il tè nel deserto, 1990), Martin Lawrence (Bad Boys, 1995, Bad Boys for Life, 2020) e Melissa Roxburgh (la celebre Michaela Beth Stone nella serie tv statunitense di successo Manifest, 2018-2023).

Il film è un thriller soprannaturale/horror che esplora il sovrumano utilizzando l’iconografia religiosa. Un’investigatrice di polizia che ha perso la fede si rifiuta diconsiderare l’esistenza di qualcosa al di fuori del mondo fisico mentre è sulle tracce di un misterioso serial killer. Ma mentre la sua caccia procede, lecircostanze le impongono diriesaminare la sua ideologia. Mindcage racconta l’avvincente ricerca di un assassino imitatore da parte dei detective Jake (Martin Lawrence) e Marty (Melissa Roxburgh). I due, attraverso numerosi espedienti e colpi di scena, chiederanno aiuto a L’Artista (John Malkovich), un pericoloso serial killer incarcerato e dalla mente diabolica che li attirerà in un gioco contorto e pieno di suspance. Mentre Mary cerca indizi nella brillante ma contorta psiche dell’Artista, lei e Jake vengono attirati in un diabolico gioco del gatto e del topo, correndo contro il tempo per stare un passo avanti all’Artista e al suo emulatore…

Il regista Mauro Borrelli, noto anche come sceneggiatore, designer e visual artist ha utilizzato elementi ancestrali suggestivi che ricordano film di successo come Il sesto senso, Seven e Constantine, immergendo lo spettatore in un’affascinante cornice dark. Fondamentali, in tal senso, i richiami all’arte classica religiosa italiana che si fondono perfettamente con l’estetica noir.

The Survivalist: Un Thriller Distopico che Promette ma delude

The Survivalist, diretto da Jon Keeyes, è uno di quei thriller distopici che lascia un po’ di amaro in bocca. Il film, ambientato in un futuro segnato dalla devastazione di una variante letale del Covid-19, ha tutte le premesse per essere un prodotto interessante, ma purtroppo non riesce a decollare, nonostante un cast di attori noti come Jonathan Rhys Meyers e John Malkovich.

La trama è semplice: il mondo è stravolto da una terribile pandemia, un virus mutato e diventato sempre più letale: la popolazione è allo sbando, le attività produttive sono chiuse, il presidente degli Stati Uniti è morto e il paese è senza una guida. Ben (Jonathan Rhys Meyers) vive chiuso nel suo ranch che ha trasformato in una piccola fortezza. La sua vita trascorre monotona e solitaria finché, un giorno, accoglie in casa una ragazza, in fuga, bisognosa del suo aiuto. Poco dopo un gruppo di uomini armati guidato da Aaron (John Malkovich) si presenta al ranch, vogliono rapire la giovane donna, l’unica persona al mondo ad essere immune al virus…

Ma qui iniziano i problemi del film. The Survivalist si rivela essere una pellicola a basso budget che non riesce a sviluppare adeguatamente né la trama né i suoi personaggi. La sceneggiatura è povera di spunti originali, con un ritmo che non riesce a creare quella tensione che un thriller distopico dovrebbe evocare. La storia si svolge per la maggior parte all’interno della fattoria del protagonista, con scontri che sembrano più una serie di “stalli alla messicana” che una vera battaglia tra forze contrapposte. Il conflitto principale tra Ben e Ramsey, che dovrebbe essere il cuore pulsante del film, risulta piuttosto debole, senza picchi di adrenalina o momenti davvero emozionanti.

Dal punto di vista estetico, la regia è del tutto anonima. Le sequenze notturne, girate con una palette di colori discutibile, contribuiscono a una sensazione di piattezza visiva, mentre il dinamismo delle azioni è quasi nullo, con il film che scivola facilmente nella monotonia. Anche i numerosi flashback sul passato di Ben, sebbene tentino di dare profondità al personaggio, appaiono forzati e inutili, senza riuscire ad aggiungere qualcosa di significativo alla narrazione.

Il cast, purtroppo, non riesce a risollevare le sorti della pellicola. Jonathan Rhys Meyers, che già da tempo sembra essere un attore poco sfruttato al massimo delle sue potenzialità, offre una performance che sembra più un’ombra di se stesso. John Malkovich, pur essendo un attore di grande calibro, sembra accettare il ruolo di villain per una mera questione di routine, senza apportare nessun guizzo di originalità. E anche l’apparizione di Julian Sands, che veste i panni del padre di Ben, sembra più un cameo senza vera rilevanza per la trama.

The Survivalist è uno di quei film che promette tanto ma che, alla fine, si rivela una delusione. Il suo potenziale di thriller post-apocalittico viene sprecato da una sceneggiatura povera e una regia incapace di sfruttare la tensione psicologica che una storia come questa dovrebbe avere. Se cercate una pellicola che sappia catturare l’immaginazione con un’ambientazione distopica e un conflitto che vada oltre la superficie, probabilmente vi consiglio di guardare altrove. Peccato, perché la premessa di The Survivalist aveva tutte le carte in regola per diventare un cult del genere.

Valley of the Gods con John Malkovich dal 3 giugno

L’uscita nelle sale italiane, posticipata a causa dell’emergenza sanitaria, è confermata: Valley of the Godsil nuovo film scritto e diretto da Lech Majewski – il visionario autore de “I Colori della Passione” e “Onirica” –  sarà distribuito al cinema dal 3 giugno da CG Entertainment in collaborazione con Lo Scrittoio. Con il due volte candidato al Premio Oscar John MalkovichJosh Hartnett (“The Black Dahlia”, “Penny Dreadfull”), Bérénice Marlohe (“Song to Song”, “Skyfall”) e il protagonista di “2001 Odissea nello spazio” Keir Dullea, Valley of the Gods  si presenta come un’esperienza visiva ed emotiva inedita. Il maestro polacco torna ad affrontare con questa opera temi a lui cari come l’amore, la perdita, il sogno e ovviamente l’arte

L’essenza dell’arte è il contrasto. Qui abbiamo un contrasto enorme tra sistemi di valori diversi: da un lato il mondo ancestrale dei Navajo, abitanti della Valle degli dei, e dall’altro quello del magnate Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco del mondo”. “Tutto ciò che accade lo vediamo attraverso gli occhi e le descrizioni di uno scrittore (Josh Hartnett). Non sappiamo se abbia rappresentato la pura realtà o se l’abbia piegata alla sua scrittura. Siamo nella mente dell’artista, e questa è l’idea alla base del film”. 

Lech Majewski

Lech Majewski ha ricevuto il premio alla carriera al Lucca Film Festival-Europa Cinema 2020 e il premio speciale per la regia al 27th EnergaCAMERIMAGE 2019; Valley of the Gods ha vinto il premio come miglior film all’International Uranium Film Festival Berlin 2020 ed è stato selezionato in competizione al 53° Sitges Film Festival 2020 e al 44th Polish Film Festival 2019.

Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco sulla terra e collezionista di arte, vive nascosto dal mondo in un misterioso palazzo, conservando un segreto che lo tormenta. John Ecas (Josh Hartnett), dopo una separazione traumatica dalla moglie, inizia a scrivere la biografia di Tauros e accetta un invito nella sua magione. La società del magnate, che estrae uranio, ha deciso di scavare anche nella Valle degli Dei, violando una terra sacra: secondo un’antica leggenda Navajo tra le rocce della Valle sono rinchiusi gli spiriti di antiche divinità.

Il film è stato co-prodotto da Lorenzo Ferrari Ardicini, presidente di CG Entertainment, e la produzione esecutiva per le scene girate in Italia è stata curata da Clara Visintini“In questi mesi così complicati CG Entertainment non si è mai fermata: abbiamo proseguito il nostro lavoro di distribuzione, in home video e in digitale. Ora siamo entusiasti di poter tornare in sala e soprattutto di poterlo fare con Valley of the Gods, l’incredibile film di Lech Majewski di cu siamo anche co-produttori. Siamo rimasti travolti dal suo talento, dall’originalità della storia narrata – interpretata da un cast internazionale straordinario – dall’universalità dei temi affrontati e dalla potenza visiva di ogni scena, che sul grande schermo farà spiccare il volo all’immaginazione del pubblico”. Lorenzo Ferrari Ardicini, co-produttore e presidente di CG Entertainment. La collaborazione tra CG Entertainment e Lech Majewski è iniziata nel 2011, quando la sua fama di artista (poeta, scrittore, pittore, compositore, regista) era nota a livello internazionale –  basti pensare alle retrospettive a lui dedicate dal MOMA di New York o dal Louvre di Parigi –  ma non ancora in Italia. CG decise di distribuire in sala (e successivamente in home video e in digitale) quello che è stato definito “Il trittico di Lech Majewski”, una trilogia di film ispirati al mondo della pittura e dell’arte: Il giardino delle delizie, ispirato all’omonimo dipinto di Bosch, I colori della passione, con Rutger Hauer e Charlotte Rampling, ispirato a La salita al calvario di Pieter Bruegel, e Onirica, ispirato alla Divina Commedia.

Space Force: Duelli stellari a suon di copyright

Sembra fantascienza ma non lo è …. La Space Force e degli Stati Uniti è stata annunciata solo due anni fa e non ha ancora intrapreso alcuna operazione militare, ma l’ultimo ramo delle forze armate statunitensi sta già per perdere la sua prima battaglia – contro la Space Force di Netflix . Sembra fantascienza, ma non lo è: come leggiamo da Cbr.com, il noto servizio di streaming ha presentato in anteprima la sua nuova serie di sci fi comedy Space Force lo scorso 29 maggio, tecnicamente il nome dello show non ha alcuna relazione con la più recente organizzazione dell’esercito americano, che ha svelato la sua bandiera ufficiale solo tre settimane fa. A causa del comune naming, tuttavia, la prima battaglia della Forza Spaziale degli Stati Uniti potrebbe essere una guerra di brand- combattuta in tribunale, piuttosto che nello spazio.

In Space Force, la serie televisiva creata da Greg Daniels e Steve Carell, Il presidente degli Stati Uniti ha creato una forza militare spaziale come capo di stato maggiore il generale a 4 stelle Mark R. Naird (Steve Carell). Ma le cose si complicheranno presto, poiché la base sarà installata in Colorado e costringerà tutta la famiglia del generale a spostarsi da Washington in una minuscola cittadina nel mezzo del deserto causando una serie di tragedie famigliari. Inoltre, a lavoro, Naird avrà a che fare con un team un tantinello “non professionale” composta dallo scienziato Mallory (John Malkovich), eccentrico e contrario alla guerra, l’arrogante e incompetente social media manager Tony Scarapiducci (Ben Schwartz), un soldato russo di nome Yuri, ma che si fa chiamare Bobby, che dovrebbe essere un collaboratore ma pare sia inviato lì per rubare i segreti tecnologici, l’ingenuo assistente di Naird, Brad, anch’egli generale ma ad una stella.

La “reale” US Space Force è stata annunciata invece per la prima volta dal presidente Donald Trump nel marzo 2018. Il ramo militare è stato ufficialmente istituito come organizzazione formale lo scorso dicembre. Netflix, nel frattempo, ha dato il via libera all’omonima serie di 10 episodi a gennaio 2019 e ha già bloccato i diritti sul nome in diversi paesi.

Nonostante condividano il nome, entrambe le entità hanno molto spazio di manovra senza suscitare confusione. È improbabile che l’ironica serie di Netflix, con la sua satira politica contro l’attuale amministrazione presidenziale, induca i suoi spettatori a pensare che stiano guardando una reale docufiction su un vero ramo dell’esercito americano. La nascente US Space Force, nel frattempo, deve ancora decollare, sia letteralmente che figurativamente.

100 Years: il film segreto di John Malkovich e Robert Rodriguez

Cosa accadrà tra cento anni? Chi saremo, come vivremo? E, soprattutto, che mondo vedranno i nostri pronipoti? Sono domande che ci tormentano da sempre, l’eterno dilemma della fantascienza e il sogno di ogni autore. Ma c’è chi non si è limitato a immaginarlo, bensì ha osato creare qualcosa che vivrà per vederlo. Non è l’ultima invenzione della Silicon Valley, né un esperimento di qualche laboratorio segreto. È la storia di “100 Years”, il film misterioso e geniale nato dalla mente di John Malkovich e diretto da Robert Rodriguez, che giace in una cassaforte da quasi un decennio e che vedrà la luce solo il 18 novembre 2115.

Questa non è una semplice pellicola, ma un’opera d’arte concettuale, un vero e proprio atto di fede nel futuro e, a sorpresa, la più incredibile e audace campagna pubblicitaria mai concepita. Dietro a questo progetto c’è infatti il cognac Louis XIII, un marchio di lusso che, per tradizione, non si produce in un anno, ma in un secolo. Per raggiungere l’eccellenza, questo nettare dorato richiede che le sue eaux-de-vie invecchino per un tempo lunghissimo, un’attesa quasi mistica che unisce diverse generazioni di Maestri Cantinieri. L’idea di un film che rimanesse segreto per 100 anni è nata da questa filosofia: la celebrazione della pazienza, dell’artigianato e di un’eredità che si tramanda nel tempo, proprio come avviene per il cognac.

L’operazione è stata un capolavoro di marketing e narrazione. I pochi teaser rilasciati hanno fatto il giro del mondo, creando un’aura di mistero e curiosità che non accenna a svanire. In questi trailer futuri, Malkovich, in una veste d’attore e sceneggiatore, ha immaginato tre scenari. Nel primo, un futuro post-apocalittico e distopico, un po’ alla Mad Max o alla Fallout, dove il mondo è tornato a una sorta di età della pietra tecnologica. Nel secondo, un’utopia tecnologicamente avanzata, quasi alla Gattaca o alla Blade Runner, dove robot e droni convivono con gli esseri umani. E poi, il più enigmatico: un futuro completamente vegetale, dove la natura ha ripreso il sopravvento, con i protagonisti vestiti di muschio e foglie, quasi a suggerire una rinascita ecologica. Queste visioni, così diverse tra loro, ci interrogano su quale delle tre strade il nostro pianeta prenderà, stimolando la nostra immaginazione e, onestamente, facendoci un po’ invidia per chi vedrà il film.

Il regista Robert Rodriguez, maestro del cinema d’azione e autore di cult come Sin City e Machete, ha definito il progetto “una sfida incredibile ed emozionante”. Lavorare a qualcosa che non vedrà la luce per un secolo è un’esperienza unica, una sorta di capsula del tempo cinematografica. La pellicola, insieme a una bottiglia del pregiato cognac, è stata sigillata in una cassaforte high-tech costruita su misura, esposta per la prima volta al Festival di Cannes nel 2016. Questa cassaforte, che si aprirà automaticamente solo tra un secolo, non è solo un contenitore, ma un simbolo di quell’attesa e dedizione che definiscono sia il prodotto che l’opera stessa.

100 Years” non è solo un film, ma una riflessione profonda sul concetto di tempo, sull’importanza di creare qualcosa che superi la nostra stessa esistenza. È un lascito, un regalo ai nostri nipoti, che avranno il privilegio di vedere cosa pensavamo del loro mondo. La proiezione, infatti, sarà accessibile solo ai discendenti di coloro che hanno ricevuto un biglietto metallico speciale. Un gesto che lega indissolubilmente il concetto di eredità a quello di visione. È un progetto che unisce l’arte, il lusso, la fantascienza e, in un certo senso, la storia. È la dimostrazione che, nel mondo frenetico di oggi, c’è ancora spazio per la pazienza, l’attesa e il mistero. E non vediamo l’ora di scoprire cosa ci riserverà il futuro, anche se, per farlo, dovremo aspettare un secolo intero.


E voi, cosa ne pensate? Riuscirete a trasmettere il vostro biglietto ai vostri discendenti? Quale futuro, tra i tre ipotizzati, vi affascina di più? Condividete la vostra opinione qui sotto e fate sapere a tutti i vostri amici di questa incredibile storia!