C’è qualcosa di ancestrale e irresistibile nella paura che suscita lo Xenomorfo. Una creatura perfetta, letale, che ancora oggi, a oltre quarant’anni dal suo esordio, riesce a farci rabbrividire. Ma è davvero così anche in Alien: Romulus, il nuovo capitolo della saga prodotto da Disney e diretto da Fede Álvarez? O siamo di fronte all’ennesima operazione nostalgica che fruga tra i resti gloriosi del passato? Mettetevi comodi, accendete la vostra lampada da scrivania in perfetto stile Nostromo e preparatevi a esplorare insieme a me questo controverso ritorno nell’universo di Alien.
Quando Disney ha acquisito la 20th Century Fox e con essa il franchise di Alien, in molti si sono chiesti quale sarebbe stato il futuro di una saga così cupa e adulta sotto l’egida della casa di Topolino. La risposta è arrivata con Alien: Romulus, un film che si colloca narrativamente tra il capolavoro di Ridley Scott del 1979 e l’epico Aliens di James Cameron. La mossa è furba e strategica: evitare gli intricati e spesso criticati labirinti filosofici dei prequel Prometheus e Alien: Covenant, e puntare su un ritorno alle origini più immediato e orrorifico.
Ma è proprio qui che cominciano i chiaroscuri di questo progetto.
Un’avventura gore tra giovani eroi e vecchie paure
Alien: Romulus abbandona le atmosfere cupe e drammatiche dei primi due film per abbracciare un tono che ricorda più un Venerdì 13 nello spazio che un autentico thriller sci-fi. La nuova storia segue un gruppo di giovani colonizzatori che, fuggendo dal loro pianeta sotto il controllo della solita, onnipresente Weyland-Yutani, finiscono in una stazione spaziale abbandonata. E naturalmente, tra cunicoli bui e stanze sigillate, risvegliano l’incubo alieno.
Da subito, però, il film svela la sua anima più pop e teen-friendly. Non c’è il senso opprimente di claustrofobia che ci stringeva il cuore nel Nostromo, né l’epica disperata della colonia di Aliens. Qui i protagonisti – capitanati da una convincente Cailee Spaeny, ormai destinata a diventare la nuova eroina di genere sci-fi – sembrano un gruppo di giovani avventurieri lanciati in una caccia al mostro a metà tra il citazionismo e il gore adolescenziale.
Ed è proprio il citazionismo uno degli elementi più ingombranti del film. Dalle battute che strizzano l’occhio agli spettatori di lungo corso, fino a un finale che sembra un collage tra la Ripley del primo film e quella di Alien: Resurrection, passando per la riproposizione del robot Ash in versione aggiornata ma altrettanto sinistra. Fortunatamente, il secondo sintetico di bordo si rivela invece più umano e empatico, incarnando quella visione più positiva dell’intelligenza artificiale che il cinema contemporaneo ama sempre più spesso abbracciare.
Regia, sceneggiatura e CGI: tra alti e bassi
La mano di Ridley Scott, qui in veste di produttore, si avverte solo nei primi minuti, quando la rappresentazione della città richiama alla mente la Los Angeles di Blade Runner. Un’apertura che promette molto, ma che purtroppo non mantiene la stessa qualità per il resto del film. La regia di Fede Álvarez, già noto per i suoi horror come Man in the Dark, si limita infatti a un compitino diligente ma privo di vera inventiva.
La sceneggiatura, scritta dallo stesso Álvarez insieme a Rodo Sayagues, scivola su binari prevedibili e non offre mai spunti davvero originali. Certo, la CGI abbonda e soddisfa gli amanti dello splatter e degli effetti visivi più crudi, ma l’effetto sorpresa ormai si è assopito. I fan storici, abituati al terrore psicologico e al minimalismo visivo del primo Alien, potrebbero trovarsi spiazzati di fronte a tanto frastuono visivo.
Un “midquel” tra continuità e revisionismo
Dal punto di vista narrativo, Alien: Romulus si posiziona come un “midquel”, un termine che il cinema di franchise sembra ormai amare tanto quanto le sue infinite timeline alternative. Questa collocazione temporale permette al film di recuperare l’immediatezza horror, ispirandosi anche al videogioco Alien: Isolation, più volte citato sia visivamente che a livello di atmosfera.
La trama non brilla per originalità: un gruppo di giovani in fuga che si rifugia in un luogo maledetto è un topos classico dell’horror. Ma l’intenzione dichiarata di non intaccare la continuity principale e di limitare i riferimenti ai prequel consente al film di evitare i pasticci narrativi che hanno afflitto i capitoli più recenti.
Un tentativo di coerenza con la lore della saga è comunque presente, soprattutto nel richiamo al fluido nero di Prometheus, qui gestito in modo più snello e funzionale. Meno riuscito, invece, il legame con il finale del primo Alien, che rischia di far storcere il naso ai fan più integralisti.
Atmosfere, ritmo e il peso della nostalgia
Dal punto di vista atmosferico, Romulus parte con il piede giusto. I cunicoli della stazione, i rumori ovattati e il senso di isolamento ricordano i momenti più riusciti del film originale. Ma la tensione si dissolve troppo presto, lasciando spazio a una sarabanda di jumpscare, scene splatter e azione adrenalinica che tradiscono l’intenzione iniziale. La voragine temporale tra il 1979 e il 2024 si sente tutta: il ritmo è quello di un horror moderno, veloce e frenetico, che sacrifica la costruzione lenta del terrore a favore di una fruizione più immediata. Il cast, seppur giovane e fotogenico, non riesce a reggere il confronto con i protagonisti storici della saga. I dialoghi, spesso dimenticabili, accentuano la sensazione di un prodotto confezionato più per il pubblico giovane che per i fan hardcore.
In definitiva, Alien: Romulus è un film furbo, derivativo e consapevolmente commerciale. Non ha la pretesa di reinventare il mito dello Xenomorfo né di espandere significativamente l’universo narrativo di Alien. Piuttosto, gioca con gli elementi classici del franchise, li mescola con le esigenze del cinema contemporaneo e consegna al pubblico un horror sci-fi che fa il suo dovere: diverte, spaventa il giusto e riempie due ore di puro intrattenimento.Non aspettatevi un nuovo Alien, ma neppure un disastro come Alien vs Predator: Requiem. Romulus si posiziona onestamente a metà strada, superando i capitoli più recenti ma senza mai sfiorare la grandezza dei primi due film. E se uscirete dal cinema con qualche brivido lungo la schiena e la voglia di rigiocare a Alien: Isolation, allora forse Fede Álvarez avrà colpito nel segno.
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