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Zygmunt Bauman – Vita liquida

Una domanda coglie il lettore ad ogni nuova uscita editoriale del grande sociologo polacco: dove collocare il libro? Materialmente, qual è il luogo più adatto? Sulla scrivania, sul comodino, come vademecum contro la degenerazione intellettuale quotidiana, o forse nel cassetto dei medicinali, quale presidio medico indispensabile per la sopravvivenza nella modernità? E dal punto di vista letterario, si tratta di un saggio filosofico o sociologico? Oppure è l’analisi di un pensatore a tutto campo? E’ sempre difficile dare una risposta a simili domande. Anche perché il valore del pensiero e degli scritti di Bauman possono essere paragonati a quelli di un Adorno, di una Arendt o di un Sartre. E’ la frantumazione del vivere sociale contemporanea e la scomparsa dall’orizzonte di un qualsiasi progetto di riforma collettiva dell’esistente, fenomeno di cui proprio lui è ilpiù acuto osservatore, a negare a Bauman quella risonanza e quel valore guida che meriterebbe.

 

A guardar bene anche la definizione di sociologo gli và stretta. Non solo per il discredito che la sociologia si è guadagnata, divenendo la mezzana dei profitti del marketing moderno, ma soprattutto per il vasto respiro intellettuale dell’autore. Ne costituisce un indizio l’eterogeneità delle sue letture: da Marx ai rotocalchi rosa, dalla scuola di Francoforte alle riviste di moda, da Perec e Calvino ai quotidiani. Questo variegato insieme di dati viene filtrato dalla sua genialità tentacolare, per poi venir tradotto in una lettura acuta, originale, spietata e mai scontata della contemporaneità. Il fascino di questo metodo illumina anche questo recente lavoro, che sin dal titolo insiste sulla teoria centrale del sociologo polacco, ovvero sulla modernità liquida, già leit motiv dei suoi precedenti lavori, come Modernità liquida, La società sotto assedio e Vite di scarto, tutti meritoriamente tradotti da Laterza.

La vita liquida, ovvero quella contemporanea
, fondata esclusivamente sull’io, “si alimenta dell’insoddisfazione dell’io rispetto a sé stessi”, dando vita ad una sorta di life politics, “una politica di vita egocentrica”. E’ questa life politics a segnare la fine dell’era delle ideologie, che altro non era se non il tentativo progettuale di una «società buona». Si determina in questo modo, la contrapposizione fra una società liquida, animata da consumismo, liberismo e “liquidità” delle relazioni umane, nei suoi innumerevoli aspetti economici, affettivi e quant’altro, ed una società solida, quella dei produttori, tipica del fordismo e del secolo breve, se si amano le definizioni di comodo, ormai sepolta nei ricordi del passato.

Questa trasformazione è indagata in tutti i suoi aspetti
, anche i meno visibili e scontati. Boe segnaletiche che, nel buio di un oceano notturno, delineano il disegno di possibili itinerari futuri. E fra questi segnali luminosi, il meno apparente, ma allo stesso tempo il più significativo, è la perdita di significato del concetto di eternità. Se la trascendenza cristiana animava le aspettative, collettive ed individuali, del mondo preindustriale occidentale, se l’impegno costruttivista informava la società fordista, oggi l’orizzonte si limita al presente. E ancora, se la società “solida” era animata da progettualità collettive, volte alla costruzione di un futuro declinato dualmente dall’ «homo novus» socialista e dal miraggio sviluppista del fordismo, quella liquida, basata sulla società dei consumatori, vive sulla soddisfazione dell’individuo nel presente. Il futuro è concepito solo nelle sue potenzialità paradisiache. Il nirvana che le moderne tecnologie, informatiche e non solo, offrono all’identità, intercambiabile, passibile di mutazioni infinite, che gli orizzonti della manipolazione genetica rendono praticabili, fa impallidire i progetti d’eternità ortodossi. Il paradiso islamico, popolato da decine di vergini in un eden di latte e miele, dai sapori antichi, svanisce di fronte ai sogni offerti dal mondo digitale.
Basta leggere il bel libro di Marchesini (Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, 2002) per rendersene conto. Questo calo d’interesse per i progetti d’eternità è parte di una generale trasformazione, diacronica, che conduce dalla comunità, attraverso la società dei cittadini individui, alla società dei consumatori. Un triplice passaggio che, nel pensiero di Bauman, riveste un ruolo fondamentale. La comunità preindustriale, animata da una serie di protezioni etiche e relazionali, che proteggevano e imprigionavano allo stesso tempo l’individuo, si è sfaldata con l’emergere della società dei cittadini, prodotto dall’azione congiunta e coeva del capitale e dello stato nazione. Il cittadino, un tempo impegnato a definire la propria identità attraverso la produzione e la cittadinanza, oggi è solo un consumatore. L’insieme dei consumatori, come oggi può definirsi la società, vive secondo Bauman su di un baratro. Da una parte c’è l’eden dei consumi, il cui orizzonte si ferma al presente, dall’altra c’è la discarica. Questa raccoglie indistintamente uomini e merci, che nella vita liquida intercambiano continuamente le loro identità, per gettarli poi in una pattumiera globale.
Sebbene Bauman non lo faccia, vale la pena forse sottolineare che il capitale, sin dai suoi esordi, fondava le proprie fortune sugli scarti. Scarti materiali, inerenti la produzione, ed umani. Un tempo però le discariche erano facilmente reperibili. Le terre emerse alla conoscenza del colonialismo occidentale, eminentemente Americhe ed Australia (si veda in proposito Robert Hughes, La riva fatale. L’epopea della fondazione dell’Australia, gli Adelphi, 1995), erano i luoghi deputati all’assorbimento dei rifiuti umani.Oggi però l’ultima Thule non è più l’ultima e nessuna carta riporta più “hunc sunt leones”. Ed è qui che interviene il cambiamento epocale segnato dalla modernità liquida. I rifiuti oggi convivono fianco a fianco con i consumatori, popolando i suburbi delle megalopoli, i campi trincerati dei migranti, e le vaste terre del sottosviluppo delimitate da muri elettrificati, versione rivisitata e corretta del Vallo di Adriano e della Muraglia Cinese. La tipologia stessa del rifiuto  umano è venuta a mutare. Se agli esordi della rivoluzione industriale gli scarti umani erano affamati ladri di pane, oggi sono sans paiers e richiedenti asilo. “Costoro sono la feccia, i rifiuti e gli scarti del libero scambio e del progresso economico globali che ad una estremità della scala (dove ci troviamo anche noi) accumulano i piaceri di un’opulenza senza precedenti, mentre all’estremità opposta scaricano miseria e umiliazione indescrivibili, spargendo su tutti, a qualsiasi livello siano collocati, paure e premonizioni terribili”.
La società dei consumi fa questo. Distingue gli uomini tra consumatori e non. E coloro che non possono consumare diventano consumatori difettosi”, come li definisce Bauman, meritevoli della pattumiera. Ma se un tempo gli scarti umani erano indirizzati verso pattumiere organizzate dagli stati nazione emergenti che, progettando un «ordine sociale perfetto», almeno teoricamente avrebbero restituito cittadini riformati, oggi, come si diceva, non esistono più ultime Thule da scoprire, ed agli stati non rimane altro compito che rinchiudere i rifiuti in spazi recintati e garantire la sicurezza dei consumi in territori protetti. Questa evoluzione è strettamente legata a quella subita dalla ricerca dell’identità, altro punto nodale dell’analisi di Bauman. Ogni società in ogni tempo ha avuto bisogno di un luogo deputato alla formazione dell’identità per l’individuo. Per la polis antica era l’assemblea dei cittadini (ecclesia). Per la civiltà medioevale occidentale la chiesa (qui l’etimologia dà il significato). Per la modernità la fabbrica, luogo deputato alla produzione, ma anche all’aggregazione ed alla centralità politica. Cosa accade invece nella contemporaneità liquida?Bauman, formulando la sua risposta, parte dal fondamentale passaggio dalla comunità, caratterizzata da una rete normativa di rotezione per l’identità individuale (chiesa, ordo ecc.) alla società degli individui, libera dai vincoli, protettivi e al contempo costrittivi, della comunità, e capace di fornire all’individuo una inusitata “libertà di scelta”. Ma il sociologo avverte: “Il diritto e il dovere di libera scelta … non sono sufficienti a garantire che l’esercizio di quel diritto sia praticabile … L’esercizio della libera scelta è quasi sempre fuori dalla portata di molti, uomini e donne, e per molti ancora lo è in determinate occasioni (più o meno numerose)”.La libertà di scelta è, per la maggior parte di coloro che vivono fra gli scarti o nelle zone limitrofe alle discariche umane, praticamente nulla. La grande utopia delle democrazie, ovvero la scelta tradotta nel suffragio universale, comincia a scoprire la corda. Rimane quindi un’unica scelta possibile per la determinazione dell’identità: il consumo. Ed è da questo continuo, spasmodico ed insonne inseguimento delle mode e dei gusti dalle merci alimentato, che si forma l’identità in epoca liquida.
E a vedere bene il luogo deputato alla sua formazione è un non luogo, per dirla con Augé, un metaluogo. Perché è la televisione, con la pubblicità, o il marchio o logo, come lo definisce la Klein, ad essere il fattore e luogo d’identità.Ma se è il consumo a determinare l’identità, cosa accade a coloro che non sono in grado di consumare? E’ qui che Bauman svela, come un medico pietoso fa con il suo paziente, la perversità di questo modello.“Londra occupa una superficie di 1.500 chilometri quadrati ma …, per produrre ciò che i suoi abitanti consumano e per smaltire i loro stessi rifiuti ha bisogno di un territorio equivalente al totale delle terre utilizzabili dalla Gran  Bretagna. Gli abitanti delle città degli Stati Uniti utilizzano in media, per il proprio sostentamento, 4,7 ettari di terra a testa, mentre chi vive in India deve accontentarsi di appena 0,4 ettari … . La polarizzazione è ormai troppo avanzata perché sia ancora possibile elevare la qualità della vita della popolazione del pianeta a quella dei paesi privilegiati dell’occidente”. Abbiamo varcato probabilmente il punto di non ritorno. Questo sembra suggerirci Bauman, che con semplici dati denuncia anni di falsi programmi di sviluppo, quello sviluppismo che tanto sembrava piacere alle elitès globali (si veda in proposito Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, Bollati Boringhieri, 2005). Un modello fatuo che condanna una parte del pianeta alla miseria, e l’altra alla
consunzione del pianeta stesso. Da una parte la massa delle discariche umane, impossibilitate a “scegliere” con i consumi le loro identità, di cui peraltro vengono private, e dall’altra le nuove elités globali, ansiose di scegliere l’identità previo consumo.Un sistema mostruoso che crea a sua volta categorie sociali mostruose, ibride. Ed è l’ibridismo la pietra angolare su cui Bauman analizza la modernità. Perché l’ibrido vive e prolifera nella società liquida.

Sono le moderne elitès globali
, impermobili e veloci, nello spazio e nelle culture, ad essere in primis afflitte da ibridismo. Tramontato l’assimilazionismo, tipico delle relazioni fra culture della società solida, sorge il multiculturalismo, idiosincratico rispetto a qualsiasi gerarchia. Le nuove elitès sono quindi extraculturali e agerachiche. Nel loro insieme costituiscono una cultura ibrida, “chiaramente onnivora – evasiva, di facili gusti, imparziale, ben disposta a desiderosa di assaggiare qualsiasi proposta e d’ingerire il cibo di qualsiasi cucina”.Il processo trasformativo è ormai ad uno stadio avanzato, che in ogni caso mantiene ancora quel principio culturale antropofagico a suo tempo delineato da Levi Strass. Altrimenti non potremmo vedere distributori automatici di Coca Cola sulle vette dell’Hymalaia o delle Ande, o ancora lungo il corso del Rio Grande o del Nilo.Le nuove elitès ibride definiscono le loro identità tramite la scelta. Perché l’uomo contemporaneo è un “homo eligens”: “l’uomo che sceglie, ma non che ha scelto”. Ma scegliere presuppone libertà e sicurezza di scelta, come si accennava prima. “Tutti gli uomini pensano che la causa della libertà sia dalla loro parte, ma solo chi è ricco e potente sa che lo è”. Ed è la parte esclusa da questa consapevolezza, quella costretta nelle discariche umane a non poter scegliere.Si spalancano così le porte alla mutazione ibrida, forse nella forma più tragica della modernità: il martire – eroe. Il nuovo martire fondamentalista coniuga nella sua figura due modelli: il martire, tipico delle religioni abramitiche, e l’eroe, proprio dello stato nazione.L’eroe nazionale ha goduto della massima popolarità durante l’epopea formativa dello stato nazione. I monumenti al milite ignoto eretti in tutte le principali capitali europee e non solo ne testimoniano i fasti. La sua figura però ha subito un crollo nell’immaginario collettivo con il venire meno dello stato e del suo ruolo di garante per l’identità individuale.

Questa cesura segna da una parte
la fine degli eserciti nazionali fondati sulla leva, e dall’altra la fine dell’epopea eroica nazionale: “lo stato non ha più bisogno di eroi. Per i consumatori soddisfatti, tutti presi dai propri affari, va benissimo così: arrivederci e grazie…”. All’eroe nazionale è subentrata la celebrità televisiva, espressione tipica della società liquida.Sia chiaro, in questi tempi di guerre preventive di morti in battaglia non ne mancano. Viene però il sospetto che il silenzio mediatico con il quale le salme tornano a casa, come accade per i caduti americani in Iraq, sia dovuto più alla volontà di non disturbare i consumi, piuttosto che al timore dell’opinione pubblica. I morti in guerra ormai servono solo ai generali per “fregiarsi di croci sul petto”, per dirla con De André.Al contrario, per i reietti delle discariche, l’ibridazione fra il martire e l’eroe sembra l’unica soluzione per tornare a scegliere. “E’ dalle loro fila che si reclutano i terroristi di oggi: versioni mutanti, e orribilmente snaturate, dei martiri di vecchia maniera, su cui sono stati innestati simulacri, altrettanto deformi, di eroi vecchia maniera”. L’ibrido in questo caso rivendica la sua triste assonanza etimologica con la “hybris” greca, ovvero con quel misto di arroganza e noncuranza umane nemiche dell’ordine naturale, che i Greci condannavano senza appello.Osservando quindi il mondo con la lente di Bauman, si è tentati da un paragone: quello con il grande albergo di lusso, da cinque e più stelle. In ogni albergo lussuoso c’è una hall, rilucente di cromature dorate e popolata da avventori azzimati, e un retro destinato ai servizi, colmo di rifiuti e abitato da facchini in sporche divise di servizio. Questo albergo, con il passare del tempo, ospita nella hall sempre meno clienti, anche se più ricchi, e al contempo affolla sempre più i vani di servizio. Da una parte il paradiso, dall’altra l’inferno. Lo strano è che gli eleganti signori della hall non si curano  minimamente dei dannati assiepati dietro le pareti, sordi ai richiami d’aiuto perché impegnati ad acquistare e forse troppo sicuri della stabilità di quelle pareti. Purtroppo per loro però i muri non sono eterni, cadono. E quando questo accade, avviene sempre in modi e tempi imprevisti, come la storia ci ha ormai abituati da secoli.

Perché una volta sottratta l’identità
, preclusa la possibilità di una sua ricostituzione con i fasti del consumo, chi sta ammassato dietro quelle pareti trova risposte tragiche, facendosi magari esplodere per abbattere il muro. “Il fondamentalismo, che sceglie di tenersi strettamente aggrappato all’identità ereditata e/o attribuita, è un prodotto naturale e legittimo dell’individualizzazione imposta a livello planetario”. Una sorta di estrema risposta biografica a problemi sistemici, per dirla con Angamben, studioso letto ed apprezzato da Bauman.Questo mondo ibrido crea quindi insicurezza, a tutti i livelli, nella hall extralusso frequentata dalla nuova elitè globale, come nella discarica umana più reietta. Si assiste così all’inversione del concetto di progresso. L’idea traino dell’epoca solida, che ancora campeggia nel motto “ordine e progresso” della bandiera brasiliana, ha mutato significante. Oggi progresso si traduce, per milioni di individui, in precarizzazione della vita, in terrore continuo e inarrestabile mutamento, che scalza e piega esistenze.E questo senso diffuso d’insicurezza è percepibile in tendenze e mode non altrimenti spiegabili. Come il fenomeno dei SUV, i moderni veicoli urbani, chiaro sintomo d’insicurezza per la vita cittadina, moda assimilabile al proliferare dei rifugi antiatomici in epoca di guerra fredda. E ancora il dilagare delle recinzioni interne alle città (condomini chiusi, edifici ipercontrollati), con l’inversione moderna del binomio sicurezza/insicurezza che un tempo assicuravano le mura cittadine. Ne scaturisce la sindrome del nemico in casa, del terrore dormiente, pronto a svegliarsi ed a spargere morte e dolore. Sindrome questa trasposta nel corpo, con il terrore del grasso corporeo denunciato dalla fitness: come la città è minacciata all’interno da nemici ben mimetizzati, così il corpo è costantemente minacciato dal nemico interno, il grasso.
Per Bauman tutto questo ha un’origine. Si chiama società dei consumi. “Una società dei consumatori … «interpella» coloro che ne fano parte principalmente, o forse soltanto, in quanto consumatori; una società che giudica e valuta i propri membri soprattutto in base alla loro capacità e ai loro comportamenti in base al consumo”. La mancanza quindi di una carta di credito o di un contante adeguato significa la perdita della cittadinanza. E ancora l’esistenza di uno spazio d’ipocrisia situato fra le convinzioni diffuse e le realtà della vita dei consumatori diventa conditio sine qua non di una società dei consumi che funzioni correttamente”. Motore e centro di una simile società è la pubblicità, e suo veicolo principe è la televisione. Lo spazio d’ipocrisia accennato da Bauman è facilmente individuabile nella discrasia fra il mondo patinato e perfetto offerto dalla pubblicità, e quello grigio, aspro e reale dei consumatori. Pubblicizzare un consumo non significa invitare all’uso, quanto far balenare il modello di vita proposto.La società dei consumi segna il tramonto di qualsiasi trascendenza. Il nirvana proposto dalla mistica del consumo è riservato esclusivamente alla corporeità. Il corpo diventa centro e fine del consumo: “il corpo del consumatore è il fine di sé stesso e costituisce un valore in quanto tale: nella società dei consumatori esso è anzi il primo dei valori”.Tutto questo e altro significa la trasformazione della società dei cittadini in quella dei consumatori, quella del diritto in quella del consumo. Per questo, secondo Bauman, è urgente una nuova formazione alla cittadinanza. “Le libertà dei cittadini non sono beni acquisiti una volta per tutto, non sono al sicuro se rinchiuse in casseforti private. Esse sono piantate a radicate in un suolo sociopolitico che richiede di essere concimato quotidianamente ed è destinato ad inaridirsi e sbriciolarsi se non viene coltivato giorno dopo giorno dalle azioni informate di un pubblico competente ed impegnato”.

La società dei consumi però è individualistica
. Il consumo è un atto individuale, perché individuale è il corpo verso il quale è orientato. Il consumatore quindi è capace solo di un pensiero individualistico, allorquando nella società precedente il pensiero era sempre declinato al sociale. Per questo il valore pubblico ha perso visibilità e ragione. Ed anche l’ultimo baluardo della società dei cittadini, ovvero le libere elezioni, si è trasformato in un atto di consumo, con la rappresentanza declinata e proposta come bene di consumo pubblicitario.Di fronte a questo quadro, la formazione di una nuova cittadinanza può ancora avvalersi dell’analisi marxista? Bauman affronta questo quesito nell’ultimo capitolo del libro, un breve saggio su Adorno e la Arendt.Il pensiero di Marx, secondo l’eminente sociologo polacco, pertiene alla società solida dei produttori, così come l’insegnamento della Arendt, di Adorno e dell’intera scuola di Francoforte. La risposta è quindi negativa. L’originalità della lettura che Bauman dà del progetto marxiano, nonché delle sue realizzazioni politiche e storiche, dal sindacalismo al welfare, sta nel reinterpretare l’intera esperienza come reazione, tardiva, alla perdita dei vincoli di sicurezza che la trama delle relazioni individuali dava alla comunità. L’analisi di Marx sull’imminenza di una società di giustizia ed equità risultava errata, come di fatto lo fu, perché la temperie rivoluzionaria non tentava altro che ripristinare le sicurezze comunitarie sulle insicurezze della società degli individui: “l’agitazione fu alimentata dalla perdita di sicurezza, non fu un balzo fallito verso la libertà”.

Ciononostante, sottolinea Bauman
, quella richiesta di libertà che Marx coglieva e interpretava, non è venuta meno. La domanda, che attende ancora una risposta, assume temi etologici ed antropolocigi: perché l’uomo, pur avendo le possibilità  per rendere la vita sulla terra un paradiso, la tramuta in inferno?“Ai nostri giorni le prospettive di emancipazione umana appaiono molto diverse da quelle che a Marx apparivano tanto evidenti, eppure le accuse dello stesso Marx verso un mondo imperdonabilmente ostile all’umanità non hanno perso nulla della loro importanza ed urgenza, e la difficoltà nel trovare una giuria competente e dotata dei poteri per pronunciare e far affiggere una sentenza, punire i colpevoli e risarcire le vittime, non prova in modo definitivo che l’aspirazione originaria all’emancipazione era irrealistica. Non sono state addotte ragioni sufficienti per cancellare questo obiettivo dalla lista delle cose da fare”. L’eclisse del progetto marxiano non è stato un episodio isolato. Anche lo stato nazione, altro fedele costruttore di sicurezze, ha perso il proprio ruolo e vive ormai agonizzante nella modernità liquida. La sua recente “auge”, evidente nella proliferazione di stati all’indomani del crollo sovietico, è solo apparente. Anzi, è il segno del suo declino.Oggi il potere si è trasferito altrove, “in un nuovo spazio socialmente extraterritoriale”. Sono le multinazionali e quegli apparati di potere produttivo e finanziario, capaci di mobilitare bilanci ben maggiori di quelli prodotti da intere aree del  pianeta, a sostituire lo stato nazione (si veda Michael Hardt / Antonio Negri, Impero, il nuovo ordine della globalizzazione, 2001, Rizzoli, Milano). Per loro è lecito evocare, ancora una volta, il concetto di ibridismo. Metastati, agglomerati di puro potere, svincolati dai doveri sociali che pur gli imperi avevano. Entità ibride che lasciano alle nazioni agonizzanti il compito di smaltire i loro rifiuti, oggetti e uomini indistintamente.
Di fronte a questa mutazione epocale ed al chiudersi di un’era, Bauman si pone con ostinazione un interrogativo: “può lo spazio pubblico tornare ad essere luogo d’impegno duraturo, anziché d’incontri casuali e fugaci?”. C’è quindi redenzione per l’individuo – consumatore? Quel sogno emancipativo che ha segnato gli ultimi due secoli della nostra storia, può trovare una risposta? Secondo Bauman la risposta possono darla solo le future forme sociali, anzi planetarie, di aggregazione. “Una responsabilità che sia anch’essa realmente planetaria, a riconoscimento del fatto che tutti noi che viviamo su questo pianeta dipendiamo gli uni dagli altri per il nostro presente ed il nostro futuro; che nulla di ciò che facciamo, o omettiamo di fare, può essere indifferente per il destino di chiunque altro; e che nessuno di noi può più cercare e trovare un riparo privato dalle tempeste che possono nascere in qualsiasi parte del globo”. Ma quelle forme, planetarie e post-sociali, non possono essere previste o immaginate. Come sempre nella storia degli uomini, della prossima emancipazione “non possiamo conoscere i contorni… . E, tuttavia, possiamo essere certi che la forma non ci apparirà familiare. Essa sarà diversa per tutto ciò che è per noi consueto”.Per questo il lettore di Bauman non può fare a meno di collocare questo libro nella valigia del pronto soccorso. Un libro che è un farmaco, che sana dalla febbre della modernità per restituire la lucidità necessaria ad un’azione sociale. Un libro-farmaco senza data di scadenza.
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