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XXY

Alex ha un segreto. Un terribile segreto tanto che i genitori, appena nata, l’hanno portata via, lontano da Buenos Aires, dalla città, via da tutti quegli occhi che difficilmente sarebbero riusciti a evitare. Ma il passato ritorna come in ogni storia che si rispetti, non si può fuggire dalle proprie paure e affrontarle diventa il nodo centrale dell’opera.

Le tre lettere del titolo fanno riferimento alla condizione di Alex, non ancora donna, non ancora uomo, a metà strada, costretta a vivere ingurgitando pillole che non le fanno crescere la barba, come dice indispettita al giovane ospite della casa.
Tutto cambia: le paure, da tanto tempo, evitate ora si fanno più evidenti con la pubertà in arrivo e ad Alex tocca scegliere se vivere ed essere accettata come un “ Freak” oppure donarsi alle braccia del chirurgo venuto a studiare il suo caso.
Lucia Puenzo, alla sua opera seconda, ci mostra un mondo nascosto, che il cinema non aveva ancora osservato da cosi vicino.
La sessualità, anche nei suoi aspetti più particolari, è stata sì oggetto di mille racconti da parti di svariati autori, dai nomi più illustri a quelli meno, ma mai l’attenzione è stata portata con tanta attenzione e obbiettività da un cineasta nei confronti di questo argomento.
Alex è ermafrodita e la cosa turba non solo lei ma anche i suoi genitori e la madre ha deciso farla vedere da un importante chirurgo della città per far si che si operi e decida definitivamente il suo sesso.
I mille turbamenti di Alex non contribuiscono ad una scelta e lo spettatore riesce attraverso l’occhio obbiettivo della mpd ( macchina da presa) ad osservare da vicino i mille problemi a cui questa persona va incontro.
Con occhio indiscreto la mdp si annida nella camera da letto di Alex che osserva il suo corpo cercando dentro di se un identità che l’involucro nega.
La ricerca dell’amore con il figlio del chirurgo è dolorosa e incerta ( anche per le attinenze sessuali del ragazzo). Da sfondo, il padre, convinto di dare alla figlia la libertà di scegliere, anche per una “terza” faccia della medaglia.
L’odio del padre si manifesta nei confronti delle angherie sopportate dalla figlia nei confronti dei ragazzi del paese, che, appena saputa la verità su Alex, la inseguono per vedere il fenomeno da baraccone, il freak.
Lucia Puenzo riesce con maestria e indiscrezione a entrare nella casa di questa famiglia argentina, e a mostrarcene il loro piccolo dramma ricordandoci che ci sono ancora terreni inesplorati dalla pellicola.
Storia vera di una famiglia e del loro dramma, che forse non è giusto definirlo cosi, il luogo in cui si muove il film è un mondo ancora inesplorato ancora incerto per poter definire il suo un dramma da punto di vista fisico.
Puenzo cerca di porre l’attenzione verso l’identità di questa persona e non sul suo difetto cercando di mostrarcela come una persona afflitta da mille dubbi. Una soluzione radicale ci sarebbe ma la scelta spetta solo a lei e al tempo che potrà farle conoscere la sua vera indole.
Dal punto di vista tecnico, il film è ben girato con attori ben scelti: da segnalare Ricardo Darin nella veste del padre, già visto in un altro successo Argentino, “ Nove regine”, in cui interpretava la parte di un truffatore. Lei, Lucia Puenzo, figlia di Luis Puenzo, regista Argentino, più incline alla letteratura ( nasce, infatti, come una scrittrice che, attualmente, sta adattando un suo romanzo al cinema per la sua prossima opera) che al cinema riesce con questa quasi-opera prima a far trasudare passione e spessore nella storia narrata ,riuscendo a raccontarla con il dovuto tatto della circostanza.

Indubbiamente una storia vera, di vissuto, piena di silenzi e piani sequenza, intersecata in quell’azzurro del mare, nei suoi tramonti e nell’infinito, come a ricordarci le infinite storie che popolano il nostro piccolo mondo.

 

  di Giulio Cangiano

 

 

 

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