Nel vasto e sfavillante universo degli anime giapponesi, pochi elementi riescono a evocare emozioni forti quanto i robottoni. Giganti d’acciaio, circuiti e anima, simboli di un’epoca e specchi dei sogni tecnologici più arditi. Quando si parla di mecha, si entra in un mondo dove la fantasia sfida la fisica, e dove le dimensioni non sono semplicemente numeri su una scheda tecnica, ma parte integrante del mito.
Per capire davvero questa galassia di metallo e storie, bisogna partire da uno dei padri fondatori: Go Nagai. Se il nome ti fa subito venire in mente Mazinger Z, sai di cosa parlo. Nagai ha creato un pantheon di robottoni che oscillano tra il “contenuto” e il titanico. Jeeg, per esempio, misura solo 11 metri. Poco più alto di un palazzo di quattro piani, ma sufficiente per farci sognare battaglie epiche contro i mostri Haniwa. Dall’altra parte c’è Gloyzer X, che con i suoi 100 metri svetta come un colosso tra i colossi. Ma attenzione: parlare di misure nel mondo di Go Nagai è sempre un po’ rischioso, perché spesso la dimensione dei suoi robot dipende più dall’effetto scenico che dalla coerenza ingegneristica. In fondo, è il fascino del racconto a vincere sulla calcolatrice.
Negli anni ’70, quelli che possiamo definire senza troppi giri di parole l’età dell’oro dei robot giganti, si assiste a un’escalation di grandezza. Daitarn 3, con i suoi 120 metri, e Danguard, che tocca i 210 metri, erano autentici titani televisivi. Non c’era bambino che non rimanesse a bocca aperta davanti a quei colossi, pronti a difendere la Terra a suon di raggi energetici e fendenti di spada.
Ma gli anni ’80 portano una rivoluzione silenziosa. Arriva il movimento “real robot”, e con lui il culto del realismo. Il primo Gundam, simbolo incontrastato di questa corrente, misura “solo” 18 metri. Qui l’attenzione non è tanto sull’esagerazione delle forme, ma sull’idea di plausibilità: questi robot sono macchine da guerra, non divinità meccaniche. Eppure, anche all’interno di questo filone, non mancano eccezioni più mastodontiche. L’RX-93 ν Gundam, pilotato da Amuro Ray, si spinge fino a 23 metri. E se allarghiamo lo sguardo ad altre serie cult del periodo come Arbegas, Gotrinitron (o Goshogun), Golion/Voltron, God Sigma, Baldios e Ideon, ci troviamo di fronte a una tavolozza di taglie che va dai 40 ai 105 metri. Una vera festa per chi ama catalogare e confrontare.
Verso la fine degli anni ’80, quando sembrava che l’epoca dei robottoni giganti stesse rallentando, ecco spuntare Gunbuster. Alto ben 230 metri, questo mecha entra di diritto nell’olimpo delle icone meccaniche, lasciando il segno per la sua imponenza e per le emozioni che ha regalato agli spettatori.
Gli anni ’90 rimescolano nuovamente le carte. Neon Genesis Evangelion porta sullo schermo qualcosa di totalmente diverso. Gli Eva, creati da Hideaki Anno, oscillano tra i 40 e i 220 metri a seconda delle interpretazioni e degli episodi. Ma non è solo una questione di grandezza: gli Eva hanno un’intimità psicologica e una carica emotiva che li rende unici, aggiungendo alla scala dei robottoni una nuova dimensione, quella interiore.
Quando si parla di estremi, però, ci si spinge ben oltre. Astroganga, per esempio, è uno dei robot più piccoli della storia, appena 8 metri. Ma all’estremo opposto, il colossale Zearth di Bokurano raggiunge i 500 metri. E se pensi che sia già impressionante, sappi che non hai ancora visto niente: l’SD-F1 di Macross, una volta trasformato, arriva a 1300 metri. Ma il vero shock arriva con Getter Emperor, che sfida ogni comprensione umana con una larghezza di… 120.000 anni luce. E Gurren Lagann? Nonostante parta da misure “umane”, nella sua forma finale si estende fino a un’altezza con 32 zeri. Letteralmente una scala cosmica.
Il fascino dei robottoni giapponesi non è solo nei loro pugni missilistici o nei raggi fotonici. È nella loro capacità di raccontare epoche, visioni del futuro, paure e speranze. Ogni titolo, ogni serie, ogni autore aggiunge un tassello a un mosaico che è in continua espansione, tra nostalgia e innovazione. Esplorare le dimensioni di questi giganti non è un semplice esercizio nerd, ma un viaggio appassionante nella creatività senza limiti di chi li ha immaginati.
Se anche tu sei cresciuto sognando di salire a bordo di un Mazinger, di pilotare un Gundam o di osservare l’Eva 01 scatenarsi contro un Angelo, allora sai di cosa sto parlando. Raccontami nei commenti qual è il robottone che ha segnato la tua infanzia o che ti ha fatto brillare gli occhi da adulto. E se questo articolo ti ha fatto viaggiare con la mente tra le stelle e i circuiti, condividilo sui tuoi social: il mondo ha bisogno di più nerd pronti a difendere la bellezza dei giganti d’acciaio!
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